Frattamaggiore

RIFLESSIONE SULL’ANNO DELLA VITA CONSACRATA ANNO DELLA MISERICORDIA

CONSACRATI PER ESSERE MISERICORDIOSI 

INTRODUZIONE

Il nostro itinerario di formazione 2015/2016 si svolge, potremmo dire, utilizzando un’espressione del Concilio Vaticano II, tra il già e il non ancora.

Il “già” è l’Anno della vita consacrata che si concluderà il 2 febbraio 2016.

Il “non ancora” è il Giubileo della Misericordia, che inizierà il prossimo 8 dicembre 2015, in coincidenza con la solennità dell’Immacolata Concezione e che si concluderà il 30 novembre 2016, solennità di Cristo Re dell’Universo.

 

Verifichiamo il nostro cammino compiuto in questo anno.

 

Cosa ci chiedeva il Papa ai noi religiosi all’inizio dell’anno della vita consacrata?

 

1. Guardare il passato con gratitudine. In che modo?.  Papa Francesco ha raccomandato che ogni famiglia carismatica ricordi i suoi inizi e il suo sviluppo storico, per ringraziare Dio che ha offerto alla Chiesa così tanti doni che la rendono bella e attrezzata per ogni opera buona (cfr Lumen gentium, 12).

Questo anno doveva essere un’occasione anche per confessare con umiltà, e insieme con grande confidenza in Dio Amore (cfr 1 Gv 4,8), la propria fragilità e per viverla come esperienza dell’amore misericordioso del Signore; un’occasione per gridare al mondo con forza e per testimoniare con gioia la santità e la vitalità presenti nella gran parte di coloro che sono stati chiamati a seguire Cristo nella vita consacrata.

 

2. Vivere il presente con passione.  L’Anno della Vita Consacrata ci ha interrogato davvero sulla fedeltà alla missione che ci è stata affidata. I nostri ministeri, le nostre opere, le nostre presenze, rispondono a quanto lo Spirito ha chiesto ai nostri Fondatori, sono adeguati a perseguirne le finalità nella società e nella Chiesa di oggi? C’è qualcosa che dobbiamo cambiare? Abbiamo la stessa passione per la nostra gente, siamo ad essa vicini fino a condividerne le gioie e i dolori, così da comprendere veramente le necessità e poter offrire il nostro contributo per rispondervi? «La stessa generosità e abnegazione che spinsero i Fondatori – chiedeva già san Giovanni Paolo II di cui oggi facciamo la memoria liturgica – devono muovere voi, loro figli spirituali, a mantenere vivi i carismi che, con la stessa forza dello Spirito che li ha suscitati, continuano ad arricchirsi e ad adattarsi, senza perdere il loro carattere genuino, per porsi al servizio della Chiesa e portare a pienezza l’instaurazione del suo Regno». Fondatori e fondatrici erano affascinati dall’unità dei Dodici attorno a Gesù, dalla comunione che contraddistingueva la prima comunità di Gerusalemme. Dando vita alla propria comunità ognuno di loro ha inteso riprodurre quei modelli evangelici, essere con un cuore solo e un’anima sola, godere della presenza del Signore (cfr Perfectae caritatis,15). Santa Caterina Volpicelli in questo anno cosa ci ha detto, quale strada ci ha indicato per incontrare Cristo e i fratelli?

 

Vivere il presente con passione significa diventare “esperti di comunione”. In una società dello scontro, della difficile convivenza tra culture diverse, della sopraffazione sui più deboli, delle disuguaglianze, siamo chiamati ad offrire un modello concreto di comunità che, attraverso il riconoscimento della dignità di ogni persona e della condivisione del dono di cui ognuno è portatore, permetta di vivere rapporti fraterni.  Vivere la mistica dell’incontro: «la capacità di sentire, di ascolto delle altre persone. La capacità di cercare insieme la strada, il metodo», lasciandovi illuminare dalla relazione di amore che passa fra le tre Divine Persone (cfr  1 Gv 4,8) quale modello di ogni rapporto interpersonale.

 

3. Abbracciare il futuro con speranza.  La speranza di cui parliamo non si fonda sui numeri o sulle opere, ma su Colui nel quale abbiamo posto la nostra fiducia (cfr 2 Tm 1,12) e per il quale «nulla è impossibile» (Lc 1,37). È questa la speranza che non delude e che permetterà alla vita consacrata di continuare a scrivere una grande storia nel futuro, al quale dobbiamo tenere rivolto lo sguardo, coscienti che è verso di esso che ci spinge lo Spirito Santo per continuare a fare con noi grandi cose.

 

Non cedete alla tentazione dei numeri e dell’efficienza, meno ancora a quella di confidare nelle proprie forze. Scrutate gli orizzonti della vostra vita e del momento attuale in vigile veglia. Con Benedetto XVI vi ripeto: «Non unitevi ai profeti di sventura che proclamano la fine o il non senso della vita consacrata nella Chiesa dei nostri giorni; piuttosto rivestitevi di Gesù Cristo e indossate le armi della luce – come esorta san Paolo (cfr Rm 13,11-14) – restando svegli e vigilanti». Continuiamo e riprendiamo sempre il nostro cammino con la fiducia nel Signore.

 

 

II – Le attese per l’Anno della Vita Consacrata

 

Che cosa mi attendo in particolare da questo Anno di grazia della vita consacrata?

 

1. Che sia sempre vero quello che ho detto una volta: «Dove ci sono i religiosi c’è gioia». Che tra di noi non si vedano volti tristi, persone scontente e insoddisfatte, perché “una sequela triste è una triste sequela”.

 

3. Essere “esperti di comunione”. La comunione si esercita innanzitutto all’interno delle rispettive comunità dell’Istituto. Critiche, pettegolezzi, invidie, gelosie, antagonismi sono atteggiamenti che non hanno diritto di abitare nelle nostre case. È «la “mistica” di vivere insieme», che fa della nostra vita «un santo pellegrinaggio».

 

4. Uscire da sé stessi per andare nelle periferie esistenziali. «Andate in tutto il mondo» fu l’ultima parola che Gesù rivolse ai suoi e che continua a rivolgere oggi a tutti noi (cfr Mc 16,15).  Non ripiegatevi su voi stessi, non lasciatevi asfissiare dalle piccole beghe di casa, non rimanete prigionieri dei vostri problemi. Questi si risolveranno se andrete fuori ad aiutare gli altri a risolvere i loro problemi e ad annunciare la buona novella. Troverete la vita dando la vita, la speranza dando speranza, l’amore amando.

 

5. Ogni forma di vita consacrata si interroghi su quello che Dio e l’umanità di oggi domandano.

 

I monasteri e i gruppi di orientamento contemplativo potrebbero incontrarsi tra di loro, oppure collegarsi nei modi più differenti per scambiarsi le esperienze sulla vita di preghiera, su come crescere nella comunione con tutta la Chiesa, su come sostenere i cristiani perseguitati, su come accogliere e accompagnare quanti sono in ricerca di una vita spirituale più intensa o hanno bisogno di un sostegno morale o materiale.

 

L’ANNO GIUBILARE DELLA MISERICORDIA.

MISERICORDIOSI COME IL PADRE

 

Il testo del vangelo (Lc 6,36-38)

 

“Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato;  date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio”.

 

Dal Vangelo di Luca 17, 3-4

 

“Se un tuo fratello pecca, rimproveralo; ma se si pente, perdonagli. E se pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice: Mi pento, tu gli perdonerai».

 

Sant’Agostino- DISCORSO 114- SULLA REMISSIONE DEI PECCATI

 

Si deve perdonare a un fratello ogni qual volta ci offende e si pente.

 

1. Il santo Vangelo, come abbiamo udito mentre veniva letto, ci ha dato degli ammonimenti circa il perdono dei peccati. Su questo tema dovete essere richiamati dal nostro discorso. Poiché noi siamo i servitori della parola, non nostra, ma appunto di Dio nostro Signore, che nessuno serve senza riceverne gloria, che nessuno disprezza senza incorrere nel castigo. Nostro Signore Gesù Cristo, dunque che, rimanendo nel Padre, ci ha fatti e, fattosi uomo per noi, ci ha rifatti, Dio nostro Signore in persona ci dice, come abbiamo udito: Se un tuo fratello ti avrà fatto del male, rimproveralo; se si pentirà, perdonalo; e anche se ti offende sette volte al giorno e verrà da te per dirti: Mi dispiace, perdonalo. Dicendo: Sette volte al giorno non volle che s’intendesse se non “tutte le volte”, per evitare che, se uno fosse offeso otto volte, non volesse perdonare. Che significa dunque: Sette volte? Significa: Sempre, ogni qual volta uno farà del male e se ne pentirà. Perché questo è il significato della frase: Sette volte al giorno ti loderò, come sta scritto in un altro salmo: La sua lode sarà sempre nella mia bocca. E perché invece di “sempre” troviamo scritto “sette volte” c’è un motivo sicurissimo: tutto il tempo si svolge in sette giorni che se ne vanno e che tornano.

 

Si deve concedere perdono al fratello per riceverlo da Dio.

 

2. Chiunque dunque tu sia che pensi a Cristo e desideri di ricevere quel che ha promesso, non devi essere pigro a fare ciò ch’egli ha comandato. Che cosa ha promesso? La vita eterna. E che cosa ha comandato? Perdona tuo fratello. Fa’ conto che ti abbia detto: “Tu che sei uomo, perdona un uomo, affinché, io che sono Dio, venga da te”. Ma tralasciamo o meglio lasciamo per il momento di parlare delle promesse divine più sublimi grazie alle quali il nostro Creatore ci renderà uguali ai suoi angeli, affinché viviamo eternamente in lui e con lui e di lui; per non parlare dunque per il momento di ciò, non vuoi ricevere da parte del tuo Dio la stessa cosa che ti comanda di dare a un tuo fratello? La stessa cosa – ripeto che ti si comanda di dare a un tuo fratello, non vuoi forse riceverla da Dio tuo Signore? Dimmi se non la vuoi e allora non darla. Quale è questa cosa, se non che tu dia il perdono a chi te lo chiede, se tu chiedi che venga accordato a te quando lo chiedi? Oppure, se tu non hai nulla da farti perdonare, io oso dire: “Non perdonare”. Tuttavia non avrei dovuto dire neppure ciò. Anche se non hai nulla da farti perdonare, devi perdonare lo stesso; poiché perdona anche Dio che non ha nulla che gli si possa perdonare.

 

Sull’esempio di Dio dobbiamo rimettere i debiti.

 

3. Tu però dirai: “Ma io non sono Dio, sono un peccatore”. Sia ringraziato Dio che ammetti d’aver dei peccati. Perdona dunque affinché sia perdonato a te. Tuttavia ci esorta lo stesso nostro Dio d’imitare lui. Innanzitutto ci esorta lo stesso Cristo nostro Signore del quale l’apostolo Pietro dice: Il Cristo è morto per noi, lasciandoci l’esempio affinché seguiamo la sua condotta. Eppure egli non aveva certamente alcun peccato, ma è morto per i nostri peccati e ha sparso il suo sangue per la remissione dei peccati. Prese su di sé per noi il peccato, che non avrebbe dovuto addossarsi, per liberarci dal debito. Non era lui che doveva morire, ma eravamo noi che non dovevamo vivere. Perché? Perché eravamo peccatori. Né a lui era dovuta la morte né a noi la vita. Prese su di sé ciò che a lui non era dovuto, e diede a noi ciò che non ci era dovuto. Ma poiché si tratta della remissione dei peccati, affinché non crediate che sia per voi una cosa gravosa imitare il Cristo, ascoltate l’Apostolo che dice: Perdonandovi a vicenda, come Dio ha perdonato a voi per mezzo di Cristo. Siate dunque – sono parole dell’Apostolo, sue non mie – siate dunque imitatori di Dio 6. È forse da superbi imitare Dio? Imitatori di Dio! Forse è da superbi. Siccome siete figli molto amati. Sei chiamato figlio: se rifiuti l’imitazione, perché cerchi l’eredità?.

 

Il peccatore perdoni il peccatore.

 

4. Direi così, anche se tu non avessi alcun peccato, che desidereresti ti fosse rimesso. Ora invece chiunque tu sia, sei un uomo; anche se tu fossi giusto, sei un uomo; se sei un laico, sei un uomo; anche se sei un monaco, sei un uomo; fossi tu un chierico, sei un uomo; anche se tu fossi un vescovo, sei un uomo; anche nell’ipotesi che tu fossi un apostolo, sei sempre un uomo. Ascolta la voce d’un apostolo: Se noi diremo d’essere senza peccati, inganniamo noi stessi. Chi lo ha detto? Proprio quel grande Giovanni evangelista che nostro Signore il Cristo amava più di tutti gli altri, che mentre era a tavola con Gesù posava il capo sul suo petto; è proprio lui a dire: Se diremo. Non dice: “Se direte d’essere senza peccato”, ma: Se diremo d’essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi . Si unì nella colpa, per trovarsi unito anche nel perdono. Se diremo. Vedete chi lo dice. Se diremo d’essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se invece confesseremo i nostri peccati, egli che mantiene la sua parola ed è giusto, ci perdonerà i nostri peccati e ci libererà da tutte le nostre colpe. In che modo “libererà”? Perdonando. Non immaginiamo che non trovi colpe da punire ma ne trovi da perdonare. Se dunque abbiamo peccati, fratelli, concediamo il perdono a quelli che ce lo chiedono, concediamolo a coloro che si pentono. Non conserviamo nel nostro cuore l’inimicizia. Se infatti conserviamo ad oltranza l’inimicizia, questa corrompe lo stesso nostro cuore.

 

Nella preghiera si chiede perdono a Dio col patto di perdonare agli altri.

 

5. Desidero dunque che tu conceda il perdono poiché ti considero come uno che lo chiedi anche tu. Ne vieni pregato? Perdona. Tu ne vieni pregato e lo implorerai tu stesso. Se ne vieni pregato, perdona, come anche tu preghi di essere perdonato. Ecco: verrà il momento di pregare; con le parole che pronuncerai, ti metterò con le spalle al muro. Tu dirai: Padre nostro, che sei nei cieli. Ebbene, non sarai annoverato tra i figli, se non dirai: Padre nostro. Dirai dunque: Padre nostro, che sei nei cieli. Seguita: Sia santificato il tuo nome. Di’ ancora: Venga il tuo regno. Prosegui ancora: Sia fatta la tua volontà, come in cielo, così in terra. Vedi ora che cosa soggiungi: Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Dov’è la tua ricchezza? Ecco, tu chiedi l’elemosina. Tuttavia dopo aver detto: Dacci oggi il nostro pane quotidiano, di’ ancora ciò di cui si tratta, di’ quel che segue: Rimetti a noi i nostri debiti. Sei arrivato a ciò ch’io dicevo. Rimetti, è detto, i nostri debiti. Fai dunque ciò che segue. Rimetti a noi i nostri debiti. Con qual diritto? A qual patto? Con qual accordo? Leggendo quale impegno sottoscritto di proprio pugno? Come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Non ti basta il fatto che non condoni, ma tu menti per di più anche a Dio. È stata stabilita la condizione; è stabilita solidamente la legge. Perdona tu, come perdono io. Dio dunque non ti perdona, se tu non perdoni. Perdona, come perdono io. Tu vuoi che ti si dia il perdono quando lo chiedi, dàllo anche tu a chi te lo chiede. Questa preghiera l’ha dettata il giurisperito celeste. Non t’inganna. Chiedi conforme alla giustizia celeste, di’: Perdona, come perdoniamo anche noi. Fa’ però quel che dici. Chi mente nel pregare, si priva della grazia. Chi mente nel pregare, non solo perde la causa, ma trova il castigo. Se poi uno mente all’imperatore, quando verrà questi, quello verrà convinto che mente; quando invece tu menti nel pregare, vieni convinto dalla stessa preghiera. Poiché Dio, per convincerti, non ha bisogno di testimoni contro di te. Colui che ti ha dettato la preghiera è il tuo avvocato; se però menti, è tuo testimonio; se non ti correggi, sarà tuo giudice. Perciò non solo devi dire quella frase, ma devi pure metterla in pratica; poiché se non la dirai, per il fatto che chiedi contro la legge, non otterrai; se poi la dirai e non la metterai in pratica, sarai anche colpevole di menzogna. Non è possibile passar oltre questo versetto se quel che dici non è messo in pratica. Potremo forse cancellare questo versetto dalla nostra preghiera? Oppure volete che ci sia la frase: Rimetti a noi i nostri debiti e cancelliamo quella che segue: Come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori? Non dovrai cancellarla per non essere prima cancellato tu stesso. Nella preghiera dunque tu dici: Da’, dici: Perdona, affinché tu riceva ciò che non hai e ti siano perdonate le tue colpe. Vuoi ricevere? Da’. Vuoi essere perdonato? Perdona. È un breve dilemma. Ascolta Cristo in un altro passo: Perdonate e sarete perdonati. Date agli altri e Dio darà a voi. Perdonate e sarete perdonati. Che cosa perdonerete? Le offese commesse dagli altri contro di voi. Che cosa vi sarà perdonato? Vi saranno perdonate le offese commesse da voi. Ma voi: Date agli altri e Dio darà a voi. Voi, che desiderate la vita eterna, ristorate la vita temporale dei poveri; sostentate la vita temporale dei poveri e in cambio di questo seme tanto piccolo e terreno riceverete come messe la vita eterna. Amen.

FRATTAMAGGIORE. PRIMO INCONTRO DI FORMAZIONE PER LE SUORE ANCELLE DEL SACRO CUORE

ANCELLE DEL SACRO CUORE DI CATERINA VOLPICELLI

FRATTAMAGGIORE – NAPOLI

PRIMO INCONTRO DI FORMAZIONE – 24 OTTOBRE 2013

GUIDA SPIRITUALE: P.ANTONIO RUNGI – PASSIONISTA

 

<<La chiamata di Dio: dall’evento parola all’esperienza>>

 

1.PREMESSA

 

In questo anno pastorale 2013-2014 avremo come tema unificante dei nostri incontri, secondo quanto deciso dal Consiglio generale della Congregazione delle Suore Ancelle del Sacro Cuore di Caterina Volpicelli e fino al prossimo capitolo generale il seguente tema: “La chiamata di Dio: dall’evento parola all’esperienza”. Comprendiamo subito che è tutta la famiglia di Caterina Volpicelli a mettersi in cammino per preparare e vivere l’evento capitolare tra tre anni, come momento di grazia e di rinnovamento personale. E a rinnovarsi non sono chiamate solo le Ancelle, ma anche le Piccole Ancelle e le Aggregate, che a vario titolo giuridico, canonico, spirituale fanno parte dell’unica famiglia della Santa che amore di intenso trasporto il Cuore di Cristo e ne fece la sua missione in terra napoletana, in un periodo di grandi sconvolgimenti sociali. Ognuno è chiamato a vivere la propria vocazione ed il carisma di appartenenza seguendo quello che sono le regole di vita per la diversità delle chiamate che il Signore ha rivolto a voi facendovi conoscere ed apprezzare, professare e promettere di vivere la devozione al Sacro Cuore di Gesù secondo l’esempio di Santa Caterina Volpicelli. Per comprendere questa speciale chiamata, che la maggior parte di voi, vive e testimonia stando nel mondo e nella famiglia, è necessario partire proprio dal significato della chiamata che il Signore ha rivolto a voi, come a me, e alla quale abbiamo e stiamo dando la nostra umile risposta, non senza difficoltà, problemi ed ostacoli che, con la grazia di Dio e la nostra personale volontà, dobbiamo superare per vivere meglio questo dono e questa grazia ricevuta.

 

2.CHE SIGNIFICA “VOCAZIONE”?

 

Il termine vocazione (dal latino vocatio) significa chiamata e, nell’ambito del lessico religioso, fa riferimento alla chiamata da parte di Dio alla vita religiosa o ad una particolare missione a servizio della Chiesa o del prossimo. Per voi, carissime sorelle della famiglia di Caterina Voplicelli, significa vivere il carisma come “Ancelle”, che vivono insieme in comunità e in fraternità legittimamente costituite; in “Piccole Ancelle” che hanno promesso di vivere i voti e i consigli evangelici stando nel mondo e in famiglia. “Aggregate” che hanno deciso di fare esperienza di vita consacrate al Cuore di Cristo vivendo da donne sposate o nubili. Capire e valorizzare la propria chiamata è il primo passo per essere in sintonia con quanto abbiamo liberamente deciso di fare per la maggior gloria di Dio, per la nostra santificazione personale e per essere strumenti per la santificazione degli altri.

Partendo dalla terminologia possiamo affrontare meglio questo percorso di formazione sulla vocazione, come adesione alla Parola di Dio e come impegno di vita, cioè esperienza da vivere e condividere.

2.1. Nel linguaggio dei latini.

 

Per i latini, la vocatio assumeva significati differenti in rapporto al contesto sociale in cui tale vocabolo veniva usato: essa poteva significare una citazione in giudizio (da qui, il termine ad-vocatio, vale a dire la consultazione legale centrata sulla figura professionale dell’ad-vocatus, il cui termine greco corrispondente è paràcletos, o paraclito), un invito a pranzo (suggestivo il riferimento alla chiamata, rivolta da Dio a tutti gli uomini, a partecipare al banchetto celeste della fine dei tempi), una convocazione  (o  con-vocatio, ossia la chiamata in riunione di un gruppo di persone per trattare un argomento di interesse comune), un’invocazione o appello (in-vocatio) ad agire per il bene comune (come la chiamata alle armi per difendere la patria minacciata da pericoli esterni od interni).

Nella lingua italiana, la vocazione o chiamata è arricchita da sinonimi, che, di volta in volta, chiariscono ulteriormente il significato di questo vocabolo: inclinazione, attitudine, disposizione, tendenza, predisposizione, propensione, passione, capacità, dote. Nessuno di questi sinonimi, però, chiarisce del tutto il significato profondo della vocazione nella sua accezione religiosa e biblica, laddove la chiamata è frutto di una libera iniziativa di Dio e di una libera accettazione da parte dell’uomo, chiamato per l’appunto da Dio a svolgere una missione a favore degli uomini.

 

2.2. Nell’Antico Testamento

 

La radice ebraica qr’ compare circa 760 volte nell’Antico Testamento ed ha il significato di “richiamare l’attenzione di una persona con il suono della voce, per entrare in contatto con lei”. Da ciò si comprende come la chiamata possa essere ambivalente: solitamente è Dio che “chiama” l’uomo per comunicargli la sua volontà suprema e per affidargli un importante incarico, ma può essere anche l’uomo a cercare di “farsi sentire” da Dio, alzando per bene la voce, per esporgli le proprie difficoltà ed angosce ed essere esaudito. A questo proposito, appare evidente il contrasto tra la mentalità dei pagani, che cercavano di farsi ascoltare dalle loro divinità con grida, lamenti e riti chiassosi e sanguinari e la profonda spiritualità del pio israelita, consapevole che Dio non ha bisogno di tanto chiasso per accorgersi delle esigenze spirituali dei suoi fedeli. È molto indicativo l’episodio del profeta Elia, che sfida in un curioso duello i numerosi sacerdoti di Baal invitandoli a farsi ascoltare dal loro falso dio gridando sempre più forte e ferendosi a più non posso con lance e spade, perché forse è distratto o si è addormentato, mentre a lui basta una muta preghiera per essere esaudito da YHWH, l’unico vero Dio adorato dal popolo ebraico (1Re 18,20-40). Nel Nuovo Testamento, invece, appare accentuata l’iniziativa di Dio, cui corrisponde la libera risposta dell’uomo, mediante l’impiego del termine kaléin (“chiamare”), con i suoi derivati klésis e klétos (“chiamata”),  epikaléin (“nominare, chiamare”) e proskaléomai (“chiamare vicino a sé”), che ricorrono per circa 230 volte.

 

2.3. Le varie accezioni del “verbo chiamare”

Nell’Antico Testamento, si possono distinguere le seguenti importanti sfumature semantiche nel verbo qr’.

 

2.3.1.Gridare, ossia comunicare con il suono della voce (cf. Dt 20,10; 1Sam 17,8; 2Re 18,28); può trattarsi di un grido (Gen 41,43; Lv 13,45; Gdc 7,20), di un annuncio (Est 6,9.11), di una dichiarazione festosa (Sal 89,27) o di una proclamazione (Es 32,5; Lv 23,21; 1Re 21,9-12; Is 1,13).

 

2.3.2.Annunciare, termine tecnico della proclamazione profetica (1Re 13,32; Is 40,2.6; Ger 2,2; Gn 1,2); è espressivo il passo di Zc 7,7 in cui Dio stesso rivela di essere il soggetto che parla “per mezzo dei profeti del passato”. A questo significato fanno riferimento i passi biblici nei quali si parla dell’importanza del nome di YHWH nell’annuncio (Es 33,19: “proclamare il nome di YHWH”; cf. anche Dt 32,3; Sal 105,1; Is 12,4).

 

2.3.3.Chiamare a sé, spesso in casi in cui il contatto avviene dopo aver percorso una certa distanza (Gen 12,18; 20,8; Es 9,27). Quando si tratta di un pasto, allora il termine acquista il significato di invitare (1Sam 16,3). Nel contesto giuridico, la parola significa convocare qualcuno davanti al tribunale (1Sam 22,11; Is 44,7; 59,4) e, nel contesto militare, chiamare alle armi (Gdc 8,1; Ger 4).

 

2.3.4.Chiamare, con YHWH come soggetto (2Re 3,10.13; Is 3,3; 41,9; Os 11,1). In tale situazione è utilizzata l’espressione “chiamare per nome”, che dimostra come YHWH, colui che chiama, entri in un intenso rapporto con colui che è stato chiamato (Es 31,2; Is 43,1). Questa chiamata include un servizio che si assume nei confronti di Dio.

 

2.3.5.Dare un nome a qualcuno, usato assieme a šem; si tratta del termine tecnico che indica l’imposizione del nome (Gen 1,5; 2,20; Rt 4,17; Is 66,15; Gen 3,20; 4,25 s). L’espressione “il nome di qualcuno viene invocato sopra qualcosa” ha un significato giuridico: in caso di cambiamento di proprietà, il nome del nuovo proprietario viene indicato ufficialmente, quasi a sigillo dell’atto d’acquisto o di conquista (2Sam 12,28; Is 4,1). Quando tale espressione è riferita al nome di YHWH, essa indica il dominio di Dio, ad esempio su Israele (Dt 28,10; Is 63,19), sul Tempio (1Re 8,43; Ger 7,10 s) e sui popoli (Am 9,12).

 

2.3.6.Invocare, con YHWH come complemento oggetto dell’invocazione (89 volte nell’Antico Testamento, di cui 47 nei salmi; cf. Sal 17,6; 18,47 ecc.), spesso anche nell’espressione “invocare il nome del Signore” (Gen 4,26; 12,8; 1Re 18,24; Is 64,6), il cui significato varia con il contesto: lodare, ringraziare, protestare, gridare, chiedere aiuto, pregare sono le sfumature semantiche più ricorrenti del verbo “invocare”.

 

2.4. NEL NUOVO TESTAMENTO

Nel Nuovo Testamento s’incontrano varianti semantiche simili a quelle dell’Antico Testamento. Il verbo greco kaléin (chiamare) assume, di volta in volta, vari significati secondo il contesto in cui tale verbo è utilizzato dall’autore sacro.

 

2.4.1.Chiamare qualcuno, nel senso di chiamare “a sé”, o invitare (Mt 2,7; Mc 3,31; Lc 14,7-11; 1Cor 10,27). Nei Vangeli è Gesù che chiama “a sé” i suoi discepoli (Mt 10,1; 15,32;18,32; 20,25; Mc 15,44; Lc 7,18)

 

2.4.2.Conferire un nome (Lc 6,15; At 10,1; 15,37). La posizione ed il ruolo, che una persona assume ai fini della storia della salvezza, dipendono dal nome con cui essa viene designata (Lc 1,13 ss; Mt 1,21; Lc 1,32.35; Mt 22,41.46; 5,9; Eb 2,11; 1Gv 3,1).

 

2.4.3.Designare, è il significato che emerge nei passi in cui Gesù è colui che chiama, mentre i discepoli sono i destinatari della chiamata (Mt 10,5 ss; Mc 1,16-20; 6,7-13; Lc 9,1-6; 10,1-17). La chiamata di Gesù è caratterizzata dal suo potere, che coinvolge i destinatari, dal rigorismo che richiede una dedizione incondizionata e dal fatto di rivolgersi a singole persone, che sono assunte al suo servizio. Per quanto riguarda il senso e lo scopo della chiamata, occorre tenere presente che chiamata e missione, sequela ed invio sono costantemente collegati tra loro.

 

2.4.5.Nominare (epikaléin) è il significato sotteso all’assegnazione di un nome proprio (Mt 10,25) o di un soprannome (Mt 10,3; At 4,36; 12,25). In altri passi, compare il significato giuridico di “appellatio” (At 25,11.12.21.25), o dell’invocare Dio come testimone (2Cor 1,23). Infine, il termine è utilizzato spesso per l’invocazione di Dio e del suo nome nella confessione, che avviene nella comunità (At 7,59; Rm 10,12 ss). L’applicazione di quest’invocazione a Gesù (At 22,16; 1Cor 1,2) indica che Egli è il Figlio di Dio, il Messia.

 

2.4.6.Chiamare nel senso della “chiamata sovrana di Dio”, significato ricorrente in Paolo. In quest’autore, “chiamata” e “vocazione” sono concetti fondamentali per descrivere in che cosa consistano l’esistenza e la salvezza del cristiano. Paolo stesso fu chiamato dalla grazia di Dio e, contemporaneamente, gli fu affidato l’incarico di annunciare il vangelo (Gal 1,15 s; Rm 1,1). Non è, però, solo l’apostolo ad essere chiamato, ma tutti coloro che credono in Cristo (Rm 1,6 s; 9,24; 1Cor 1,2.24). La chiamata di Dio è parola creatrice (Rm 4,17) ed è l’unica fonte dell’esistenza della comunità, costituita dai “santi chiamati”; essi formano un unico corpo, chiamato alla pace di Cristo che regna su di loro (Col 3,15; Ef 4,4). Paolo (Rm

8,28-30) sottolinea il fatto che la chiamata degli eletti è il fondamento del decreto divino di salvezza: vivere nella chiamata di Dio, significa essere giusti e partecipare alla gloria di Cristo (1Cor 1,9; 1Ts 2,12; 5,24). La chiamata al regno di Dio (1Ts 2,12) racchiude in sé, per i credenti, una nuova vita nella libertà (Gal 5,13) e nella santificazione (Ef 4,1; 1Ts 4,7; 2Ts 1,11); per tale prova, viene promesso “il premio della vocazione” (Fil 3,14; Ef 1,18; 1Tm 6,12). Il credente può lasciare gli ordinamenti di questo mondo così come sono, poiché la condizione in cui egli si trovava al momento della vocazione non ha più gran valore (1Cor 7,20-22). Similmente, Pietro dichiara che coloro che sono stati chiamati da Dio in Cristo (1Pt 1,15; 5,10) e che sono stati salvati dalle tenebre, devono annunciare le opere di Dio (1Pt 2,9), seguendo Cristo nella sofferenza alla quale sono anch’essi chiamati (1Pt 2,21), per

ereditare infine la benedizione (1Pt 3,9; cf. anche Eb 3,1; 9,15; Ap 17,14; 19,9). Allo spettro semantico del verbo greco kaléin appartengono i termini importanti di eklégomai (“eleggere”) e di ekklesìa (comunità).

 

3.Spunti di riflessione

Il rapporto tra Dio e l’uomo, per quanto concerne la vocazione/chiamata, è asimmetrico, perché c’è un’infinita sproporzione tra l’infinito amore di Dio per la sua creatura e la pur libera iniziativa dell’essere umano, che si rivolge al suo Creatore per invocarlo o per rispondere alla sua chiamata. Solitamente l’uomo si rivolge al suo Signore e Dio per ottenerne l’aiuto, l’attenzione, il sostegno nella prova, la compassione, il perdono e la benevolenza ma Dio dona sempre la sua grazia ai suoi

figli e con sapiente provvidenza li guida alla salvezza, anche se vuole essere al centro del pensiero dell’uomo e vuole essere “pregato e supplicato”.

L’uomo non è mai dispensato dalla supplica, rivolta al suo Creatore e Signore, proprio perché è “creatura”. Quando Dio “chiama” l’uomo, non si comporta mai allo stesso modo, ma la sua chiamata è sempre originale, unica, personale e personalizzata.

– Dio chiamò Abramo facendo sentire la propria voce nell’intimo della coscienza del patriarca, mentre questi era in tutt’altre faccende nella chiassosa città di Ur, un crocevia commerciale molto attivo della bassa Mesopotamia (l’attuale Iraq); la “Voce” era perentoria e non ammetteva repliche né ripensamenti: “Vattene dal tuo paese e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io t’indicherò” (Gen12,1). Abramo restò affascinato dalla Voce che gli rimbombava nel cuore e nella mente ed abbandonò la sicurezza della sua posizione economica e sociale, affrontando i rischi di una promessa di proporzioni così smisurate da sembrare irreale: “Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione… in te saranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gen 12,2-3). Abramo non se lo fece ripetere due volte. 

– Chiamò Mosè, mentre stava pascolando il gregge di suo suocero Ietro. Dio gli “parlò” da un roveto ardente, prospettandogli una grandiosa impresa: liberare niente meno che un popolo intero dalla schiavitù in Egitto, uno dei regni più potenti del tempo e non c’è da meravigliarsi che Mosè si fosse spaventato a morte davanti a quella missione “impossibile”: ma, come aveva già fatto il suo antenato Abramo, egli obbedì, diventando il legislatore d’Israele (Es 3,1-21).

Il piccolo Samuele avvertì di notte una “Voce” che lo invitava a mettersi a disposizione del Signore Dio d’Israele per cambiare radicalmente la situazione religiosa e politica del suo popolo (1Sam 3,1- 21) ed egli divenne uno dei più grandi profeti e uomini del Signore dell’intera storia del popolo eletto.

– Elia ricevette dal Signore l’invito di ritornare sui suoi passi (1Re 19,3-18) mentre era in fuga dal re Acab e dalla perfida regina Gezabele, che lo volevano morto, perché il suo compito era quello di essere il paladino di Dio contro le ingiustizie perpetrate dalla casa regnante del Regno del Nord, Samaria. Il profeta s’aspettava un incontro maestoso e terrificante col Signore (il vento impetuoso, il terremoto, il fuoco), ma la “Voce” del Signore si fece sentire nel mormorio di un vento leggero (1Re 19,12), un impalpabile soffio appena percettibile più dagli orecchi del cuore che da quelli che ornano la testa. Il Signore Dio sa fare un gran rumore anche nel silenzio più assoluto, se l’uomo accetta di ascoltarlo, come insegna la storia di tanti santi del nostro tempo e di quello passato.

-Saulo di Tarso, invece, mentre si recava in quel di Damasco per perseguitare ed imprigionare, torturare e, forse, uccidere gli odiati cristiani, fu travolto da una luce impetuosa e sbalzato di brutto da cavallo, mentre una “Voce” potente rimproverava il focoso fariseo, religiosissimo ed integerrimo osservante della Legge ebraica: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” (At 9,1-4). La vocazione di altri grandi uomini è stata meno drammatica e clamorosa di quella di Paolo di Tarso.

-S. Antonio abate, fondatore del monachesimo occidentale, fu colpito da una pagina del Vangelo mentre stava casualmente partecipando ad una celebrazione eucaristica. Il celebrante stava proclamando l’invito rivolto da Gesù ai suoi discepoli di vendere tutti i loro averi, darli ai poveri e seguirlo alla conquista di beni superiori. Detto, fatto.

-S. Ambrogio era il rappresentante legale dell’imperatore nell’Italia settentrionale ed era solo un catecumeno quando, intervenuto nella cattedrale del capoluogo per prevenire possibili disordini tra cattolici ed ariani, la voce di un bambino lo proclamò vescovo di Milano, cambiandogli la vita in modo radicale dall’oggi al domani.

– Per attirare a sé s. Agostino, uomo dall’intelligenza inquieta ed attratto più dai vizi che da una vita virtuosa, Dio si servì delle lacrime e delle silenziose preghiere di s. Monica, la madre del futuro vescovo e grande Padre della Chiesa.

-S. Francesco d’Assisi cominciò il suo cammino di conversione nelle buie ed umide prigioni di Perugia, dopo una sfortunata spedizione militare. Il crollo del suo sogno di diventare un cavaliere ammirato e ricco di gloria segnò l’inizio di una vita spesa nel totale dono di sé al Signore della storia e del mondo al punto che, chi lo incontrava, aveva l’inquietante impressione di essersi imbattuto in Cristo stesso.

-S. Ignazio di Loyola, un combattente nato, mentre era convalescente per i postumi di una ferita da guerra, sentì montare dentro di sé il desiderio di mettersi al servizio del grande Re del cielo leggendo un libro di biografie dei santi, capitatogli in mano per puro caso (o per provvidenza divina?), avendo ormai esaurito la scorta dei libri d’avventura di cui era avido lettore.

San Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti, avvertì questa chiamata ascoltando un giorno una predica del suo parroco e decise di rinunciare ad ogni uso personale dei beni, ispirando la sua vita a Gesù Crocifisso.

– Santa Caterina Volpicelli   sentì questa speciale vocazione a consacrarsi totalmente al Signore e a percorrere più alacremente la via della santità, guidata da sapienti e santi Direttori spirituali.

Si potrebbe continuare all’infinito, su questa falsariga, per raccontare la storia della vocazione alla santità di tanti uomini e donne che, nel corso della storia antica o recente, hanno saputo ascoltare la “voce” talvolta carezzevole, talvolta imperiosa ma sempre amorevole di Dio, che chiama i suoi figli al proprio servizio, allo scopo di far giungere a tutti gli uomini il suo annuncio di salvezza. Dio chiama sempre, non smette mai di parlare al cuore ed alla mente degli uomini, ma non sempre trova menti e cuori disposti ad ascoltarlo ed a donargli il proprio unico ed irrepetibile “sì”.

Passionisti. 38 anni di sacerdozio di padre Antonio Rungi, missionario passionista

150120132141.jpgantonio1.jpgPadre Antonio Rungi, passionista, domenica 6 ottobre 2013 celebra il 38° anniversario della sua ordinazione sacerdotale, avvenuta a Napoli il 6 ottobre 1975 per la preghiera e l’imposizione delle mani di mons.Antonio Zama, nella Chiesa dei padri passionisti di Napoli, dedicata a Santa Maria ai Monti, ai Ponti Rossi. Una tappa importantissima per noto religioso passionista della Provincia dell’Addolorata, che ha guidato come superiore provinciale nel quadriennio 2003-2007. Padre Antonio Rungi, padre Antonio dell’Addolorata, religioso e sacerdote passionista  è nato ad Airola (BN) 62 anni fa. Entra tra i Passionisti, all’età di 13 anni, nella Scuola Apostolica di Calvi Risorta (CE) il 4 ottobre 1964. A settembre del 1966, dopo il ginnasio, fa il suo ingresso nel Noviziato passionista di Falvaterra (FR), dove svolge il suo anno di prova, prima della professione religiosa, emessa il 1 ottobre del 1967 nel Ritiro di San Sosio Martire in Falvaterra (Fr). Completati gli studi filosofici a Ceccano (Fr) nel Ritiro della Badia, viene trasferito a Napoli per seguire gli studi di Teologia, presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale Sez. San Tommaso d’Aquino-Capodimonte.

Il 21 novembre del 1974 emette la professione perpetua. Ultimato il quinquennio teologico consegue il Baccellierato in Teologia nel 1975. Il 23 luglio 1975 è ordinato Diacono nella Chiesa S. Maria ai Monti dei Padri Passionisti di Napoli. Il 6 ottobre 1975 nella medesima Chiesa dei Passionisti di Napoli viene ordinato sacerdote dall’allora vescovo ausiliare di Napoli, mons. Antonio Zama, poi diventato arcivescovo di Sorrento-Castellammare.

Negli anni accademici dal 19775/76 al 1977/78 prosegue gli studi per la Licenza specializzata in Teologia, che consegue, nel 1979, presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale con una tesi in Teologia pastorale, indirizzo etico, sul “Verbum Crucis e rinnovamento pastorale” (relatore: prof. Settimio Cipriani, biblista).

I primi anni del suo ministero sacerdotale li svolge nella città di Napoli e nella vicina città di Casoria, come collaboratore del parroco di San Paolo Apostolo. Promuove una serie di iniziative culturali, ricreative e religiose e svolge un’intensa azione pastorale nelle famiglie, tra i giovani, con gli anziani e nella scuola. Memorabile è la sacra rappresentazione della Passione di Gesù nella settimana santa del 1977 nella Piazza di Casoria con circa 200 attori e 10.000 spettatori.

Nel settembre del 1978 è trasferito alla comunità passionista di Mondragone, con l’incarico di collaboratore del parroco. Inizia, così, la lunga ed ininterrotta presenza di Padre Antonio Rungi nella comunità di Mondragone, che durerà fino al 2003, quando fu eletto dal capitolo provinciale, tenuto a Formia (Lt), superiore provinciale della provincia religiosa dell’Addolorata (Basso Lazio e Campania). Mandato ultimato nell’aprile 2007. In questo periodo è stato assistente spirituale del Monastero delle Monache Passioniste di Napoli e Vice-presidente della Cism Campania.

Padre Rungi nel 1982 consegue anche la Laurea in Filosofia all’Università di Napoli, con una tesi in Filosofia della Storia, e, nel 1986, la Laurea in Lettere classiche presso l’Università di Cassino (FR), con una tesi in Storia della Scuola.

Docente di ruolo nelle scuole statali di varie discipline (Lettere, Filosofia, Pedagogia, Psicologia, Scienze umane e sociali), ha insegnato ininterrottamente dal 1978 a tutt’oggi 2013.

Impegno didattico anche nel campo religioso, con l’insegnamento della Teologia Morale  ed altre discipline teologiche ed umanistiche negli Istituti di Scienze religiose di Sessa Aurunca e Teano e nel Magistero di Capua.

Dal 1973 a tutt’oggi ha collaborato, in qualità di giornalista pubblicista, con diverse riviste e giornali, quali l’Osservatore Romano e Avvenire. Dal 1990 al 2011 è stato direttore responsabile della rivista Presenza Missionaria Passionista.

Tra i passionisti ha ricoperto alcuni uffici: vicario, direttore,, membro delle commissioni provinciali apostolato, delegato al Capitolo provinciale, delegato della Cipi, Superiore provinciale. 

Nella diocesi di Sessa Aurunca è stato chiamato a vari uffici e mansioni: membro del consiglio presbiterale, del consiglio pastorale diocesano, vice-segretario del Sinodo Diocesano, presidente della commissione comunicazioni sociali, direttore dell’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali, incaricato diocesano della pastorale del tempo libero, turismo, sport e spettacolo.

Autore di oltre 13.000 articoli di prevalente contenuto religioso, molti sulla vita consacrata, pubblicati su giornali, riviste, siti e blog internet è autore anche di alcuni opuscoli (Chiesa locale e mass-media; Il Servo di Dio Padre Giuseppe Pesci, il Nuovo Rosario Meditato, la Via Crucis, ecc,), Il Rosario di Padre Pio da Pietrecina..

La sua maggiore attività l’ha svolta nel campo missionario: panegirici, tridui, settenari, novenari, collaborazione alle missioni popolari, conferenze, esercizi spirituali al popolo, ritiri spirituali alle Suore, settimane sante, prediche di circostanze, esercizi spirituali ai religiosi e alle religiose, Ritiri mensili al clero diocesano. Assistente spirituale e confessore ordinario e straordinario di vari istituti religiosi femminili. Negli anni 1978-2011 è stato cappellano delle Suore Stimmatine e di Gesù Redentore di Mondragone. Ha predicato gli esercizi spirituali a vari istituti religiosi, ha tenuto il ritiro mensile a tutte le religiose della Diocesi di Sessa Aurunca e dall’arcidiocesi di Gaeta. Continua questo suo specifico ministero nell’attuale comunità di residenza del Santuario della Civita in Itri (Lt).

Nel 2006 è’ stato eletto Vice-presidente della Cism-Campania.

Oggi continua la sua missione nella Chiesa e nella Congregazione dei Passionisti offrendo il suo pieno servizio per la diffusione della Parola della Croce e del Vangelo della Passione, sull’esempio del fondatore dei Passionisti, San Paolo della Croce, con la predicazione itinerante, l’amministrazione del sacramento della riconciliazione, con la direzione spirituale e la predicazione di corsi di esercizi spirituali alle Suore di vari istituti femminili.

Attualmente è confessore ordinario di vari istituti religiosi femminili della Campania e del Lazio. Predica ritiri spirituali mensili o periodici a vari istituti religiosi. Cura la formazione di Suore, di Laici e soprattutto dei giovani con l’insegnamento nella scuola statale.

Un sincero augurio da parte della comunità web a padre Antonio Rungi, anche per il suo impegno nella comunicazione sociale.

 

Frattamaggiore. La meditazione sulla devozione mariana in Caterina Volpicelli

SUORE ANCELLE DEL SACRO CUORE – FRATTAMAGGIORE (NA)

INCONTRO DI SPIRITUALITA’ – 23 MAGGIO 2013

LA DEVOZIONE MARIANA IN CATERINA VOLPICELLI

di padre Antonio Rungi, passionista

 

1.     Premessa

 

La spiritualità di santa Caterina Volpicelli (1839-1894), fondatrice della Ancelle del Sacro Cuore, è stata considerata in genere “tutta cristologica”, per il suo fondamentale riferirsi alla consacrazione al Sacro Cuore di Gesù, ma è anche una spiritualità prettamente mariana, per il costante riferimento alla vita e alle virtù della Beata Vergine Maria da parte di Caterina.

Una santa napoletana, non poteva non essere una santa mariana, sia per i richiami costanti alla Madonna nella città di Napoli (Madonna del Carmine e del Buon Consiglio) sia per la devozione speciale che ha nutrito verso la Madonna del Rosario di Pompei, per la sua amicizia con il Beato Bartolo Longo, grande promotore della devozione alla Madonna del Rosario.

Tale spiritualità ha avuto, infatti, eccezionali originalità mariane nell’esperienza della beata Caterina, che “nel Sacro Cuore” ha attinto sicuramente le energie per rendere operanti ed esemplari la carità e la direzione spirituale della sua Congregazione, ma “nella fede della Vergine” ella ha posto la speranza del suo agire e del suo servizio di ‘Ancella del Signore’.  

Anche la denominazione che ha voluto dare alla sua famiglia religiosa, Ancelle del Sacro Cuore, Piccole Ancelle, rimanda alla vita esemplare della Madonna, umile ancella del Signore.

Un riferimento in tal senso è l’originalità mariana della vocazione giovanile della beata Caterina, la quale amava nominarsi Maria Caterina, e frequentava l’oratorio delle Sacramentine ove si venerava la Madre del Buon Consiglio, portando al suo polso la decina di un rosario di corallo per pregare anche nelle occasioni mondane.

Riconducibile al luogo di Pompei è infatti il riferimento alla santa amicizia che Caterina aveva con il beato Bartolo Longo; una amicizia che si sviluppò nel contesto di una comunione di fede e di preghiera e che coinvolse anche molte altre personalità del cattolicesimo napoletano della fine dell’800.

Santa Caterina avviò Bartolo Longo alla devozione mariana con il dono della ‘medaglia miracolosa’, e questi la tenne sempre con sé e ricambiò il dono, sul finire della vita della beata, offrendole il suo crocifisso benedetto dal Papa.

Anche all’origine della fondazione del Santuario mariano di Pompei si ritrova l’influenza di Santa Caterina Volpicelli; infatti, quando ebbe innalzato il Tempio del Rosario, Bartolo Longo non nascose l’ispirazione ricevuta dalla costruzione del Santuario del Sacro Cuore che Caterina aveva già eretto in Napoli come tempio per le sue ‘Ancelle’; ed il primo altare maggiore di marmo del santuario mariano fu proprio un dono della Volpicelli.

 

 

 

 

2.     La vita di santa Caterina Volpicelli

 

Nata a Napoli il 21 gennaio 1839, Caterina ebbe nella sua famiglia, appartenente all’alta borghesia, una solida formazione umana e religiosa. Nel Reale Educandato di S. Marcellino, sotto la guida sapiente di Margherita Salatino (futura fondatrice, con il Beato Ludovico da Casoria, delle Suore Francescane Elisabettine Bigie), apprese le lettere, le lingue e la musica, cosa non frequente per una donna del suo tempo. Guidata poi dallo Spirito del Signore, che le rivelava il progetto di Dio attraverso la voce di sapienti e santi Direttori spirituali, Caterina che intanto si accaniva a rivaleggiare con la sorella e a brillare nella società, frequentando teatri e spettacoli di danze, rinunciò con prontezza agli effimeri valori di una vita elegante e spensierata, per aderire con generosa decisione ad una vocazione di perfezione e di santità.

L’incontro occasionale con il Beato Ludovico da Casoria, il 19 settembre 1854, a “La Palma” in Napoli, fu, come affermò  la stessa Santa “un tratto singolare di grazia preveniente, di carità e di predilezione del S. Cuore innamorato delle miserie della sua Serva”. Il Beato l’associò all’Ordine Francescano Secolare e le indicò, come unico scopo della sua vita, il culto del S. Cuore di Gesù, invitandola a restare in mezzo alla società, nella quale doveva essere “pescatrice di anime”. Guidata poi dal suo confessore, il barnabita P. Leonardo Matera, il 28 maggio 1859 Caterina entrò tra le Adoratrici perpetue di Gesù Sacramentato, uscendone però ben presto, per gravi motivi di salute. Altro era il disegno di Dio su Caterina. Lo aveva ben intuito il Beato Ludovico che spesso le ripeteva: “Il Cuore di Gesù, o Caterina, questa è l’opera tua!” Su indicazione del suo confessore, la Volpicelli, conosce il foglio mensile dell’Apostolato della Preghiera in Francia, ricevendo da lui notizie dettagliate della nascente Associazione, con il diploma di Zelatrice, il primo giunto a Napoli.

Nel luglio del 1867, P. Ramiere visita il palazzo di Largo Petrone alla salute, in Napoli, dove Caterina sta meditando di stabilire la sede delle sue attività apostoliche “per far rinascere nei cuori, nelle famiglie e nella società l’amore per Gesù Cristo”.

L’Apostolato della Preghiera sarà il cardine dell’intero edificio spirituale di Caterina, che le consentirà di coltivare il suo ardente amore per l’Eucaristia e diventerà lo strumento di un’azione pastorale avente le dimensioni del Cuore di Cristo e perciò aperta ad ogni uomo, sempre a servizio della Chiesa, degli ultimi e dei sofferenti.

Con le prime zelatrici, il 1° luglio 1874 Caterina fonda il nuovo Istituto delle “Ancelle del S. Cuore”, approvato in primo tempo dal Cardinale Arcivescovo di Napoli, il Servo di Dio Sisto Riario Sforza, e in seguito, il 13 giugno 1890, da Papa Leone XIII che accorda alla nuova Famiglia religiosa il “Decreto di lode”. Premurosa delle sorti della gioventù, aprì poi l’orfanotrofio delle “Margherite”, fondò una biblioteca circolante e istituì l’Associazione delle Figlie di Maria, con la saggia guida della Venerabile M. Rosa Carafa Traetto (+ 1890).

In breve tempo aprì altre case: a Napoli nel Palazzo Sansevero e poi presso la Chiesa della Sapienza, a Ponticelli, dove le Ancelle si distinsero nell’assistenza alle vittime del colera del 1884, a Minturno, a Meta di Sorrento e a Roma.

Il 14 Maggio 1884, il nuovo Arcivescovo di Napoli, Cardinale Guglielmo Sanfelice, OSB, consacrò il Santuario dedicato al Sacro Cuore di Gesù, che la Volpicelli aveva fatto erigere accanto alla Casa Madre delle sue opere, destinandolo particolarmente all’adorazione riparatrice chiesta dal Papa per il sostegno della Chiesa, in un’epoca difficile per la libertà religiosa e per l’annunzio del Vangelo.

La partecipazione della Caterina al primo Congresso Eucaristico Nazionale celebratosi a Napoli nel 1891 (19-22 novembre), fu l’atto culminante dell’apostolato della Fondatrice delle Ancelle del Sacro Cuore: in quell’occasione allestì una ricca esposizione di arredi sacri, destinati alle chiese povere, organizzò l’adorazione eucaristica nella cattedrale e fu l’animatrice di quel gran movimento di anime che sfociò nell’impressionante “Confessione e Comunione generale”.

Caterina Volpicelli si spense a Napoli il 28 Dicembre 1894 offrendo la sua vita per la Chiesa e per il Santo Padre.

 

3.     La canonizzazione

 

A 115 dalla sua morte, il 26 aprile 2009 Caterina Volpicelli, quattro anni fa, fu proclamata santa da Benedetto XVI. Queste le bellissime parole che il Papa emerito pronunciò in quello storico avvenimento per tutte le Ancelle del Sacro Cuore e per la Chiesa santa di Dio: “Testimone dell’amore divino fu anche santa Caterina Volpicelli, che si sforzò di “ essere di Cristo, per portare a Cristo” quanti ebbe ad incontrare nella Napoli di fine Ottocento, in un tempo di crisi spirituale e sociale. Anche per lei il segreto fu l’Eucaristia. Alle sue prime collaboratrici raccomandava di coltivare una intensa vita spirituale nella preghiera e, soprattutto, il contatto vitale con Gesù eucaristico. E’ questa anche oggi la condizione per proseguire l’opera e la missione da lei iniziate e lasciate in eredità alle “Ancelle del Sacro Cuore”. Per essere autentiche educatrici della fede, desiderose di trasmettere alle nuove generazioni i valori della cultura cristiana, è indispensabile, come amava ripetere, liberare Dio dalle prigioni in cui lo hanno confinato gli uomini. Solo infatti nel Cuore di Cristo l’umanità può trovare la sua ‘stabile dimora”. Santa Caterina mostra alle sue figlie spirituali e a tutti noi, il cammino esigente di una conversione che cambi in radice il cuore, e si traduca in azioni coerenti con il Vangelo. E’ possibile così porre le basi per costruire una società aperta alla giustizia e alla solidarietà, superando quello squilibrio economico e culturale che continua a sussistere in gran parte del nostro pianeta”.

 

4.     L’esempio di Caterina Volpicelli

 

I Santi sono una presenza di Dio per ogni tempo e vita della Chiesa: sono il richiamo continuo a convincerci che è possibile prendere sul serio il Vangelo, che è possibile farsi Santi e che questa vocazione alla Santità è un’occasione offerta ad ogni uomo e donna nelle singole situazioni e realtà personali, familiari, professionali. Ricordiamo bene: la vita non è tanto tensione verso l’aldilà, quanto vigile attenzione all’aldiquà, all’oggi che viviamo per coglierne tutta la potenzialità del bene, che ci viene offerta.  

Fare memoria di una Santa vuol dire ricordare il passato più o meno recente, in cui ha vissuto, le cose che ha fatto, ma soprattutto vuol dire scoprire una luce sul presente della nostra vita e della nostra società. Luce che ci dà possibilità di integrare nell’esistenza di ciascuno l’orizzonte ultimo, che la rende autenticamente

umana e cristiana. Sappiamo bene che al centro di ogni festa e solennità cristiana e religiosa, la Chiesa pone la celebrazione eucaristica.

Anche i nostri ritiri spirituali mensili si concludono con la celebrazione della santissima Eucaristia. In essa facciamo comunione con la vita, Cristo Gesù: ce l’ha detto Gesù, lui stesso : «Io sono la Via, la Verità, la Vita». In questa comunione vitale riceviamo forza e ragione per vivere bene, perché ci viene offerto l’antidoto di ogni vecchiaia secondo quanto ha affermato Gesù : «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo resusciterò nell’ultimo giorno: chi mangia di questo pane vivrà in eterno!»

Ecco perché l’Eucarestia, unitamente al Vangelo, è stata la fonte della vita buona e operosa di Santa Caterina Volpicelli. Nell’Eucarestia ha trovato la luce di una profonda fede, la forza del suo totale impegno per la Chiesa e la società del suo tempo, la dedizione tutta particolare per i poveri e gli emarginati, e un’attenzione peculiare per l’educazione della gioventù, che lei desiderava «buona ma ben istruita». Caterina maturò la sua vocazione religiosa in età giovanile: se all’inizio aspirava ad una vita contemplativa, successivamente si orientò all’apostolato attivo. Il Vangelo fu la sua guida costante e, tutta pervasa dalla Parola di Dio, trasmetteva alle figlie amore e passione per il Signore e per il prossimo più bisognoso, come per i colpiti dal colera di Napoli del 1884.

Sull’esempio di Santa Caterina è importante, per ciascuno di noi, affrontare il problema posto nel Vangelo : chi è Gesù per noi?

E’ importante perché possiamo tutti correre il rischio di vivere una religione senza il Cristo e quindi una religione che non dà salvezza: potremmo essere praticanti atei, cioè non credenti E Caterina fu perfetta discepola di Gesù, che non è venuto per farsi servire ma per servire. Servire e donare se stessi vuol dire essere non per se stessi ma per gli altri da parte di Dio ed in vista di Dio. Questa, in definitiva, è stata la missione di Cristo Gesù: egli ha reso il termine “servo” come il suo più alto titolo di onore.così compiuto un capovolgimento di valori e ci ha donato una nuova immagine di Dio e dell’uomo. Gesù non viene come uno di padroni di questo mondo, ma lui è il vero padrone, viene come servo di tutti nell’amore. Ecco perché Caterina mise al centro della sua vita spirituale e del suo apostolato, oltre all’Eucaristia, l’intensa devozione al Sacro Cuore di Gesù e ne diffuse la propagazione: «Il Sacro Cuore di Gesù, centro di Amore!» Da questa mistica del della tenerezza del cuore ella parte per essere vicina alle sofferenze degli uomini del suo tempo, Infatti, ogni volta che le si narrava qualche disagio o qualche disordine, ascoltava senza agitarsi e poi diceva: “non fatevi scrupolo di ascoltare le miserie umane, ma fatevi scrupolo di non sacrificarvi abbastanza per porvi rimedio». E’ un programma di vita che la Santa ci suggerisce: porre rimedio al male per quel che possiamo.

 

5.     Il servizio della croce

 

Papa Francesco in una delle sue ultime meditazioni del mattino (giorno 21 maggio), che detta alle persone presenti alla celebrazione della santa messa nella cappella della Casa di santa Marta in Vaticano, dove si abitata, ha espresso cose meravigliose sul significato del servire: “Il vero potere è il servizio. Nel racconto evangelico del 21 maggio 2013, si legge che Gesù attraversa la Galilea in compagnia dei suoi discepoli e parla loro della sua passione: «Il figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini che lo uccideranno», ma dopo tre giorni risorgerà. «Sta parlando ai suoi discepoli di questa realtà, di quello che lui doveva fare, del suo servizio, della passione. Ma essi però non capivano queste parole; loro erano in un’altra orbita, discutevano tra loro. E il Signore lo sapeva». Tanto che, quando giunsero a Cafarnao, «chiese loro: Di cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi «tacevano» per la vergogna. Per la strada avevano infatti discusso tra loro chi fosse il più grande.

«La lotta per il potere nella Chiesa non è cosa di questi giorni, eh? È cominciata là, proprio con Gesù». Mentre il Signore parlava della Passione, i discepoli pensavano a discutere su chi di loro fosse più importante, così da meritare «il pezzo più grande» della torta di potere da spartire. Ma nella Chiesa non deve essere così. Lo stile di Cristo, del Vangelo e della Chiesa nel suo insieme, è un altro, come ricorda Gesù e ha ricordato il Papa: “I capi delle nazioni sottomettono i loro popoli e fanno sentire il loro potere… Ma fra voi non deve essere così”. Questa è la chiave: fra noi non deve essere così. Nell’ottica del Vangelo, «la lotta per il potere nella Chiesa non deve esistere. O, se vogliamo, che sia la lotta per il vero potere, cioè quello che lui, con il suo esempio, ci ha insegnato: deve essere la lotta del servizio e del servire sempre di più e meglio. Il vero potere è il servizio. Come ha fatto lui, che è venuto non per farsi servire, ma per servire. E il suo servizio è stato proprio un servizio di croce: lui si è abbassato, fino alla morte, morte di croce, per noi; per servire noi, per salvare noi». Nella Chiesa non c’è nessun’altra strada per andare avanti. «Per il cristiano — ha puntualizzato il Pontefice — andare avanti, progredire, significa abbassarsi. Se noi non impariamo questa regola cristiana, mai potremo capire il vero messaggio cristiano sul potere». Progredire pertanto vuol dire essere sempre al servizio. E «nella Chiesa il più grande è quello che più serve, che più è al servizio degli altri. Questa è la regola. Ma da quel tempo fino ad adesso le lotte per il potere» non mancano nella Chiesa.

Il Papa ha poi posto l’accento sul linguaggio che si usa abitualmente quando si intende sottolineare i passaggi di carriera: «Quando a una persona danno una carica che secondo gli occhi del mondo è una carica superiore, si dice: Ah, questa donna è stata promossa a presidente di quell’associazione; e questo uomo è stato promosso». Promuovere: «Sì — ha commentato — è un verbo bello. E si deve usare nella Chiesa, sì: questo è stato promosso alla croce; questo è stato promosso all’umiliazione. Questa è la vera promozione. Quella che ci fa assomigliare meglio a Gesù». Sant’Ignazio, negli  Esercizi spirituali, «ci fa chiedere al Signore crocifisso la grazia delle umiliazioni: Signore voglio essere umiliato, per assomigliare meglio a te. Questo è l’amore, è il potere di servizio nella Chiesa. E si servono meglio gli altri per la strada di Gesù». Altri tipi di promozione non appartengono a Gesù. Sono promozioni definite dal Pontefice «mondane» ed esistono sin dal tempo di Gesù stesso. «Sempre ci sono state nelle Chiese cordate per arrivare più in alto: carrierismo, arrampicatori, nepotismo». Il Papa si è poi riferito a una sorta di «simonia educata», cioè quella che porta a pagare di nascosto qualcuno pur di diventare qualcosa. «Ma quella non è la strada del Signore. La strada del Signore è il suo servizio. Come lui ha fatto il suo servizio, noi dobbiamo andare dietro a lui nel cammino del servizio. Quello è il vero potere nella Chiesa. Io vorrei oggi pregare per tutti noi, perché il Signore ci dia la grazia di capire che il vero potere nella Chiesa è il servizio e anche per capire quella regola d’oro che lui ci ha insegnato con il suo esempio: per un cristiano progredire, andare avanti, significa abbassarsi».

Esempio di questo servizio è la Madonna e Caterina Volpicelli

 

6.     La devozione mariana di Caterina Volpicelli

 

La sua devozione alla Madonna era proverbiale. Una devozione la sua a largo raggio, che prende esempio dalla Madonna dal momento dell’Annunciazione, con il suo Si e il suo dichiararsi serva del Signore, fino alla gloriosa assunzione in cielo. A Maria ha ispirato tutta la sua vita di donna, di religiosa, di responsabile dell’istituto e guida spirituale per quanti la contattavano nel suo operare quotidiana. Alla devozione al Cuore di Gesù, Caterina abbinò la devozione al cuore Immacolato di Maria. Lei visse il tempo in cui Papa Pio IX proclamò il dogma dell’Immacolata Concezione nel 1854, il tempo delle apparizioni della Madonna a La  Salette (1846) e soprattutto a Lourdes (1858). Tempi di dolore e sofferenza, ma anche di speranza e gioia.

 

Alcuni pensieri mariani di Santa Caterina Volpicelli, ci fanno capire esattamente la sua spiritualità:

“Abbiamo avuto da Dio una Madre tutta misericordia –scrive-  perché non dobbiamo sperare? Coraggio e fiducia…Maria ci tende le braccia, per condurci a Gesù, di cui fa a noi volgere gli occhi misericordiosi, e noi ripetiamoglielo spesso: O Maria, fa’ volgere a noi gli occhi del Figlio tuo!”. E nel commentare la morte di Gesù e la deposizione del corpo del redentore nelle braccia e sulle ginocchia della sua tenerissima e desolata madre, scrive:

 

“Gesù vi chiede… un ultimo sguardo morto fra braccia della Madre desolata che ne osserva minutamente tutte le ferite e tutta sostiene nel suo cuore addolorato la trafittura del costato ricevuta dal suo Divin Figlio con estrema e oltraggiosa crudeltà…Ricordate che Dio permise che la lancia del soldato ferisse al cuore Gesù per mostrarci la piaga invisibile fatta dell’amore, nella quale ci invita a rifugiarci, e ci offre il perdono chiedendoci il ricambio di amore.

 

Rifugio, amore, misericordia, perdono, contrizione dei propri peccati, conversione, sono i termini ricorrenti nella sua spiritualità mariana, ben convinta e cosciente che davvero attraverso Maria, ogni cristiano incontra davvero Cristo e in Lui trova pieno ristoro per le tante fatiche della vita.

 

7.     Conclusione

 

Nel mese di maggio, praticamente alla conclusione di esso, in questo anno della fede, davanti a noi si pone l’esempio di Caterina Volpicelli, modello di vita di preghiera individuale, personale e comunitaria, soprattutto mariana. Ispiriamoci a lei perché nella nostra vita non manchi mai il riferimento al Cuore amabilissimo di Cristo, ma anche al tenerissimo cuore immacolato di Maria.

Mondragone (Ce). Seminario di studi su Victorine Le Dieu

DSC07165.JPG150120132147.jpgDSC07159.JPG150120132139.jpgSi svolgerà giovedì 16 maggio 2013, per l’intera giornata, un seminario di studi sulla figura e l’opera della serva di Dio Victorine Le Dieu, Fondatrice delle Suore di Gesù Redentore, che a Mondragone hanno una rinomata ed affermata struttura finalizzata all’accoglienza e all’ospitalità. E, infatti, presso la Stella Maris di Mondragone a pochi metri dal mare che giovedì prossimo si svolgerà questo importante convegno nell’anno della fede, voluto espressamente dalle suore della comunità e dall’assistente spirituale, padre Antonio Rungi, che sarà il moderatore del seminario di Studi. Importanti personalità del mondo ecclesiastico nazionale e locale prenderanno parte al seminario di studi. L’aspetto storico del tempo in cui visse ed operò Victorine Le Dieu verrà trattato, nella mattinata del 16 maggio 2013, dal passionista, Giuseppe Comparelli, uno studioso ed esperto dell’Ottocento. L’aspetto teologico e carismatico della figura della Serva di Dio Victorine Le Dieu verrà trattato, nella mattinata di giovedì prossimo, dall’arcivescovo di Potenza, mons. Agostino Superbo, già assistente nazionale dell’Azione Cattolica e Vice-presidente per l’Italia Meridionale della Conferenza Episcopale Italiana (Cei). La presenza delle suore a Mondragone, le loro attività svolte e che continuano a svolgere veranno presentate da due comunicazioni nel pomeriggio, curate rispettivamente dal frate francescano, padre Berardo Buonanno, autore di numerose pubblicazioni di carattere storico e religioso su Mondragone e dal vicario foraneo, don Roberto Guttoriello. La giornata verrà aperta dal saluto del vicario episcopale per la vita consacrata della Diocesi di Sessa Aurunca, don Paolo Marotta e sarà conclusa con la celebrazione eucaristica, presieduta dal Vescovo di Sessa Aurunca, alle ore 19.00, nella Chiesa delle Suore della Stella Maris. Il seminario di studio è aperto a tutti, specialmente ai fedeli laici e a quanti vogliono sviluppare un approfondimento della loro fede sull’esempio della Serva di Dio, Victorine Le Dieu, avviata verso la beatificazione. Il seminario di studi promosso dalla comunità delle Suore di Gesù Redentore ha un significato particolare, in quanto l’Istituto fondato da Victorine Le Dieu celebra quest’anno i suoi 150 anni di riconoscimento dell’opera, approvata il 15 gennaio 1863 da Pio IX. L’Istituto che fina dalla sua nascita e nel corso degli anni si è incentrato soprattutto nel curare le ferite del corpo e dello spirito, specialmente dei bambini e dei sofferenti, oggi è presente in varie parti d’Italia e del mondo, continuando con rinnovato vigore l’opera della fondatrice. Al seminario di studio è attesa anche la nuova madre generale delle Suore di Gesù Redentore, Marilena Russo, con i vertici della Congregazione, che ha la sua sede generale a Fonte Nuova in Roma. Lì sono conservati le spoglie mortali di Victorine Le Dieu, considerata da tutti nella chiesa del suo tempo e del nostro tempo una donna straordinaria oer generosità e sacrifio per servire la causa degli ultimi e dei sofferenti nella Francia post-rivoluzionaria e nell’Europa del periodo napoleonico e post-napoleonico. Dalla Francia all’Italia il suo cammino di carità, di fede e speranza mai si interruppe, forte come era della grazia e della potenza che le venivano da Cristo, unico Redentore del mondo, sotto la cui protezione aveva messo la sua opera e la sua missione nella Chiesa.

Il Seminario di studi parlerà di questa singolare donna francese in un anno speciale come quello della fede che la cristianità sta vivendo a cavallo di due pontificati: quello del Papa emerito, Benedetto XVI, che ha indetto questo anno in occasione dei 50 anni dell’inizio del Concilio Vaticano II e continuato con particolare fervore da nuovo pontefice, Papa Francesco, che ha ripreso le catechesi sull’anno della fede in occasione delle udienze generali del mercoledì, sempre più affollate da credenti e non in una Piazza san Pietro che incomincia ad essere stretta e limitata per accogliere tutti i pellegrini che giungono a Roma per vedere il Papa e celebrare l’anno della fede, nella sede di Pietro.

MEDITAZIONE DI PADRE RUNGI ALLE SUORE ANCELLE DEL SACRO CUORE

SUORE ANCELLE DEL SACRO CUORE – FRATTAMAGGIORE (NA)

INCONTRO DI SPIRITUALITA’ – 18 APRILE 2013

 

LA FEDE FORTE E GENEROSA DI CATERINA VOLPICELLI

 

DI PADRE ANTONIO RUNGI – PASSIONISTA 

 

DAL MOTU PROPRIO “PORTA FIDEI” DI BENEDETTO XVI, NN 6-7

 

6. Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti: con la loro stessa esistenza nel mondo i cristiani sono infatti chiamati a far risplendere la Parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato. Proprio il Concilio, nella Costituzione dogmatica Lumen gentium, affermava: “Mentre Cristo, «santo, innocente, senza macchia» (Eb 7,26), non conobbe il peccato (cfr 2Cor 5,21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo (cfr Eb 2,17), la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento. La Chiesa «prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio», annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cfr 1Cor 11,26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce” [11].

 

L’Anno della fede, in questa prospettiva, è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza l’Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante la remissione dei peccati (cfr  At 5,31). Per l’apostolo Paolo, questo Amore introduce l’uomo ad una nuova vita: “Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una nuova vita” (Rm 6,4). Grazie alla fede, questa vita nuova plasma tutta l’esistenza umana sulla radicale novità della risurrezione. Nella misura della sua libera disponibilità, i pensieri e gli affetti, la mentalità e il comportamento dell’uomo vengono lentamente purificati e trasformati, in un cammino mai compiutamente terminato in questa vita. La “fede che si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6) diventa un nuovo criterio di intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo (cfr Rm 12,2; Col 3,9-10; Ef 4,20-29; 2Cor  5,17).

 

DALL’OMELIA DI PAPA BENEDETTO PER LA CANONIZZAZIONE DI CATERINA VOLPICELLI.

 

Testimone dell’amore divino fu anche santa Caterina Volpicelli, che si sforzò di “ essere di Cristo, per portare a Cristo” quanti ebbe ad incontrare nella Napoli di fine Ottocento, in un tempo di crisi spirituale e sociale. Anche per lei il segreto fu l’Eucaristia. Alle sue prime collaboratrici raccomandava di coltivare una intensa vita spirituale nella preghiera e, soprattutto, il contatto vitale con Gesù eucaristico. E’ questa anche oggi la condizione per proseguire l’opera e la missione da lei iniziate e lasciate in eredità alle “Ancelle del Sacro Cuore”. Per essere autentiche educatrici della fede, desiderose di trasmettere alle nuove generazioni i valori della cultura cristiana, è indispensabile, come amava ripetere, liberare Dio dalle prigioni in cui lo hanno confinato gli uomini. Solo infatti nel Cuore di Cristo l’umanità può trovare la sua ‘stabile dimora”. Santa Caterina mostra alle sue figlie spirituali e a tutti noi, il cammino esigente di una conversione che cambi in radice il cuore, e si traduca in azioni coerenti con il Vangelo. E’ possibile così porre le basi per costruire una società aperta alla giustizia e alla solidarietà, superando quello squilibrio economico e culturale che continua a sussistere in gran parte del nostro pianeta.

 

LA FEDE FORTE E CORAGGIOSA DI CATERINA VOLPICELLI: VITA ED OPERE

 

1.   UNA FEDE SACRAMENTALE

2.   UNA FEDE ADORANTE

3.   UNA FEDE DI AUTENTICA CARITA’

4.   UNA FORTE FORTE NELLA TRIBOLAZIONE E NELLA PROVA

5.   UNA FEDE CORAGGIOSA NEL TESTIMONIARE L’AMORE DI DIO E DEI FRATELLI.

6.   UNA FEDE CHE PASSA ATTRAVERSO LA CROCE E LA SOFFERENZA

7.   UNA FEDE EUCARISTICA

8.   UNA FEDE MARIANA

9.   UNA FEDE DI INCENTRATA SUL CUORE AMABILISSIMO DI GESU’

10.               UNA FEDE PASQUALE

 

ALCUNI PENSIERI DI CATERINA VOLPICELLI SULLA FEDE

 

“Dobbiamo vivere di fede, perché tutto ciò che avviene è disposto da Dio per confermarci nel suo amore.

 

“La gioia è l’atto più bello della fede, speranza e amore nella vita di ogni cristiano”

 

“Oh che gran dono di Dio è la fede! Come co solleva e rende felici anche in questa valle di lacrime.

 

“Accendetevi di fede e sarete forti nella debolezza, allegri nella tristezza, sani nell’infermità”.

 

“Cerchiamo insieme il volto sorridente di Dio, gustiamo il suo amore e la sua tenerezza”.

 

“Dilatiamo il cuore e crediamo nell’amore di Dio per noi, con illimitata fiducia nella sua bontà”.

 

“Ascoltate sempre la parola di Dio con fede ed umiltà, senza badare a chi ve l’annuncia”.

 

“Rivestitevi di fede, offrite a Gesù le cadute e pregatelo di rialzarvi e preservarvi”.

 

Nasce a Napoli il 21 gennaio 1839, da una famiglia dell’alta borghesia. Educata in casa, secondo i sani valori della tradizione del Meridione d’Italia, passa poi a completare la sua formazione nel Real Collegio

di s. Marcellino, avendo così un alto grado di cultura, cosa non comune per una donna del suo .tempo.

Desiderando di poter raggiungere “l’intima unione con Dio” entra a 20 anni nel Monastero delle Adoratrici Perpetue, ma deve lasciare dopo sei mesi per la salute cagionevole, il beato Ludovico da Casoria “amico dell’anima sua” glielo aveva predetto ripetendogli: “Il Cuore di Gesù, o Caterina, questa è l’opera tua”.

Nel 1864 viene a conoscenza dell’esistenza dell’Associazione ‘Apostolato della Preghiera’ e qui la sua vita ha una svolta decisiva.

Scrive al padre Enrico Ramière, che incontrerà anche personalmente e da lui riceverà tutte le notizie riguardo la nascente Associazione, di cui avrà il diploma di zelatrice (il primo a Napoli), ne diventerà il vero Centro per l’espandersi del Movimento.

Le prime zelatrici saranno anche le prime compagne di Caterina nell’apostolato e nella fondazione dell’Istituto delle Ancelle del Sacro Cuore.

Napoli è la patria di s. Tommaso e di s. Alfonso, i teologi dell’Eucaristia, che hanno segnato la pietà popolare e nel cui solco si colloca anche l’amore di Caterina Volpicelli per il ss. Sacramento. E’ l’Eucaristia la sorgente del suo convinto servizio alla Chiesa, articolato in un apostolato vario ed ispiratore di una famiglia religiosa. Considera la Chiesa il Corpo Mistico di Cristo e venera i Pastori con devozione filiale e eroica umiltà, accettando da loro ogni sorta di prova che richiedono.

Dalla sua casa partirà il beato Bartolo Longo, guarito in salute, convertito alla fede cattolica, diventato anch’esso zelatore dell’Apostolato della Preghiera, per cominciare la grande opera del Santuario di Pompei.

Lasciata la casa paterna, fissa la sua dimora e la sede delle sue opere in Largo Petrone alla Salute ove in seguito, auspice il cardinale arcivescovo Sisto Riario Sforza, per la presenza di gesuiti insigni, di P. Ludovico, per la predicazione quasi ininterrotta di esercizi spirituali, diventerà un vivissimo Centro di spiritualità.

Dietro l’invito del cardinale, Caterina fonda l’Istituto delle Ancelle del s. Cuore che contrariamente agli Ordini religiosi femminili dell’epoca, dediti soprattutto alla contemplazione e alle opere assistenziali, sorge per l’apostolato e la santificazione delle anime. Non c’è un abito religioso, l’Istituto ha tre rami, uno religioso e due laicali, lo studio della teologia, il servizio della Chiesa sono tutte specifiche che anticipano quasi un secolo prima le novità del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Il 14 maggio 1884, il nuovo arcivescovo di Napoli Guglielmo Sanfelice consacra il Santuario dedicato al Sacro Cuore eretto in adiacenza alla Casa Madre.

Il 21 novembre 1891 si celebra a Napoli il 1° Congresso Eucaristico Nazionale, alla Volpicelli e alle sue figlie viene dato l’incarico dell’organizzazione delle Adorazioni in Cattedrale, la preparazione alla confessione e Comunione generale, la gestione degli arredi sacri.

Il 28 dicembre 1894, Caterina Volpicelli, muore a soli 55 anni, a Napoli.

All’alba del III millennio, il papa Giovanni Paolo II, la proclama beata in Piazza s. Pietro il 29 aprile 2001, avverandosi così l’auspicio del suo primo biografo M. Jetti “Napoli abbia presto, al pari delle fortunate città di Alessandria, Siena, Genova e Bologna, la sua santa Caterina”.

E’ stata canonizzata a Roma da papa Benedetto XVI il 26 Aprile 2009.

 

Roma. In Udienza da Papa Francesco, ieri mercoledì 10 aprile 2013

DSC07861.JPGUn gruppo di 50 fedeli, soci dell’Associazione nazionale dei Carabinieri, Sezione di Marcianise (Ce), mercoledì 10 aprile 2013, è stata in Udienza generale da Papa Francesco, in Piazza San Pietro ed ha visitato i Musei Vaticani, il maggior centro mondiale di cultura ed arte, per l’eccezionale patrimonio artistico che conserva in una vasta area, che giustamente viene definiti come “Musei”  e non Museo, in quanto è un insieme di tante espressioni artistiche.Il gruppo era accompagnato dall’assistente spirituale, padre Antonio Rungi, religioso passionista  e dal Luogotenente in pensione, Davide Morrone, presidente della sezione locale di detta affermata amata associazione di volontariato. Partenza da Marcianise alle ore 7,30 ed arrivo a Roma alle ore 11.00. Il gruppo ha fatto in tempo, data la distanza e il traffico, a partecipare all’Udienza generale in Piazza San Pietro, dove migliaia di fedeli provenienti da ogni parte del mondo ha seguito la catechesi di Papa Francesco, incentrata sulla paternità di Dio e sul tema della speranza cristiana che nasce dalla Pasqua di morte e risurrezione di Cristo. Conclusa l’Udienza generale un gruppetto dell’Associazione è stato intervistato in diretta da TV2000, la Tv dei Vescovi italiani. A nome di tutti ha parlato padre Antonio Rungi, assistente spirituale, sul tema della catechesi del Papa, e il maresciallo Davide Morrone che ha sottolineato alcuni aspetti importanti della figura di Papa Francesco. Subito dopo, il gruppo, accompagnata da Elisabetta, si è trasferito presso i vicini Musei Vaticani e tutto unito ha visitato, con la guida di Gabriele, un esperto del settore, che ci ha illustrato buona parte del patrimonio artistico conservato nei Musei Vaticani. In particolare ci ha presentato tutto ciò che è stato realizzato negli anni nella Cappella Sistina dai vari artisti che vi hanno messo mano ed hanno realizzato l’opera più bella ed espressiva del mistero di Dio, Creatore, Salvatore, Redentore del genere. Le varie immagini sono state presentate e commentate, calate nel contesto biblico, teologico e storico. Una grande lezione di fede e di catechesi per un cristiano che è particolarmente attento ai suoi bisogni spirituali. La visita ai musei vaticani e alla Cappella Sistina iniziata alle 12,30 si è conclusa alle 14,30. Dopo di ciò il gruppo percorrendo a piedi altri tratti della zona del Vaticano ha raggiunto un locale, in Borgo Pio, dove in fraternità è stato consumato il pranzo, impegnato circa un’ora e mezzo. Alle 16,30 concluso il pranzo, ognuno dei componenti ha avuto la possibilità di muoversi liberamente nella zona del Vaticano. Chi ha visitato la Basilica, chi ha fatto acquisto di ricordini, chi è rimasto in Piazza San Pietro e chi si è ritagliato uno spazio personale per la preghiera, raggiungendo la Chiesa di Sant’Anna, appena si entra nel Vaticano. Il gruppo si è ritrovato alle 17,15 in Piazza San Pietro per poi trasferirsi, accompagnato da Elisabetta, al Terminal del Gianicolo, per prendere l’Autobus e fare ritorno a casa. Da Roma, il gruppo è partito alle ore 18,00 circa ed è arrivato a Marcianise alle 22,15. La giornata bellissima da un punto di vista spirituale, culturale e sociale è stata anche bella da un punto di vista meteo. Il sole primaverile che ha accompagnato lo svolgersi della giornata romana ha fatto sì che tutti i componenti del Gruppo potesse godersi i vari momenti programmati e rispettati al millesimo. La grande folla presente in Piazza San Pietro non ha permesso di vedere da vicino il Papa, ma si è visto benissimo da lontano e sui maxi-schermi che inquadravano la persona di Papa Francesco in tutti i momenti più belli del suo percorso in mezzo alla gente, con la papamobile, abbracciando numerosi bambini e salutando tantissime persone presenti in Piazza San Pietro per la sua terza udienza generale del mercoledì, alla quale partecipano sistematicamente migliaia di fedeli provenienti da ogni parte del mondo. L’elezione di Papa Francesco ha determinato un entusiasmo nuovo che è percepibile stando in mezzo alla gente, soprattutto durante le Udienze generali e la partecipazione alla preghiera domenicale della Regina coeli, che si recita in questo tempo di Pasqua, tempo di gioia, risurrezione, vita e speranza come ha ricordato Papa Francesco, nuovamente, mercoledì 10 aprile 2013, nella sua terza udienza generale, davanti ad oltre 50.000 fedeli che si sono radunati intorno al Santo Padre, per ascoltare parole di speranza, che trovano la loro sorgente nel mistero di Dio Padre e di Cristo Salvatore dell’umanità.
E il Gruppo si prepara, come ogni anno, a travalicare i confini nazionali, con il pellegrinaggio internazionale, che quest’anno si svolgerà a Medijugorie a fine agosto 2013.
 

PAGANI. CONCLUSO IL TRIDUO DI PREPARAZIONE ALLA FESTA DELLE SUORE

Foto1007.jpgCon un solenne celebrazione eucaristica presieduta questa sera, 5 gennaio 2013, da padre Antonio Rungi, dalle ore 17 alle 19.30, si è concluso il triduo di preparazione spirituale che si tiene nella casa madre di Pagani (Sa), in Via San Francesco, dove riposano le spoglie mortali del Beato. Triduo voluto espressamente predicato da padre Rungi dalle Suore della Carità del Preziosissimo Sangue, che domani 6 gennaio 2013, ricordano il loro Fondatore, Tommaso Maria Fusco, prossimo alla canonizzazione, in  questo anno della fede. Ma le suore ricordano in particolare la loro fondazione, che risale al 140 anni fa. Era, infatti il 6 gennaio del 1873, solennità dell’Epifania, 140 anni fa, quando profondamente colpito dalla disgrazia di un’orfana, vittima della strada, dopo attenta preparazione nella preghiera di discernimento, don Tommaso Maria fondò la Congregazione delle «Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue». L’Opera ebbe inizio nella Chiesa della Madonna del Carmine, in Pagani, alla presenza del Vescovo Raffaele Ammirante il quale, con la consegna dell’abito alle prime tre Suore, benedisse il primo Orfanotrofio per sette orfanelle povere del paese. Sulla nascente famiglia religiosa e sull’Orfanotrofio, dietro sua richiesta, non tardò a scendere anche la benedizione del Papa. Ora le Suore fondate dal Fusco sono presenti in varie parti d’Italia e all’estero, portando avanti l’opera iniziata dal fondatore, con particolare attenzione ai bambini e all’infanzia abbandonata o in difficoltà. La straordinaria figura di questo sacerdote diocesano, viene commemorata in questi giorni, con una specifica preparazione spirituale alla festa dell’Istituto che si ricorda il 6 gennaio. Le comunità religiose delle Suore della Carità del Preziosissimo Sangue di Pagani e delle altre località della regione Campania si sono  ritrovate in queste sere per la celebrazione dei vespri, della santa messa con riflessione e con altri momenti di incontri tra le suore e i fedeli laici, soprattutto giovani, che fanno riferimento ai cenacoli di preghiera istituiti a Pagani e negli altri Comuni del territorio.

Questa sera giornata conclusiva del triduo la celebrazione è stata particolarmente sentita e vissuta, con circa 100 persone presenti in chiesa, tra suore, giovani e fedeli laici appartenenti al cenacolo di preghiera, guidato negli anni scorsi da padre Antonio Rungi. L’intensa celebrazione con la sentita omelia pronunciata da padre Rungi ha attirato l’attenzione di tutti i presenti, in particolare i circa 30 giovani che hanno animato la liturgia con canti religiosi e natalizi di grande sensibilità ed efficacia. A conclusione del rito, il bacio del bambino e la commovente rappresentazione scenica di alcuni quadri del vangelo dell’infanzia di Gesù. Sacra rappresentazione curata dai Giovani dell’Avo di Nocera Inferiore, i volontari ospedalieri che questa sera hanno condiviso con le suore il momento di preghiera in onore del Beato Tommaso Maria Fusco. La sacra rappresentazione è partita con la lettura del prologo del Vangelo di Giovanni e si è sviluppata poi sull’annunciazione, sulla visita a Sant’Elisabetta, su San Giuseppe, sulla nascita di Gesù a Betlemme con l’adorazione dei pastori e dei Magi. Vari quadri molto belli, con personaggi dal vivo, stile presepe vivente, in cui i dialoghi, tratti dal vangelo sono stati la parte dominante della sacra rappresentazione. L’associazione Avo di Nocera inferiore conta oltre 300 aderenti e si alimenta con il propri proventi, senza alcun aiuto esterno, ma solo con l’autotassazione di 15 euro all’anno per tutti gli iscritti, come ha sottolineato il presidente presente alla celebrazione. E’ stata Madre Ofelia a volere ringraziare tutti i convenuti alla celebrazione della sera, particolarmente riuscita e vissuta con spiritualità e coinvolgimento emotivo da parte di tutti. La stessa religiosa ha voluto tracciare, prima della santa messa, presieduta da padre Antonio Rungi, la figura esemplare del Beato Tommaso Fusco e il perché della nascita del loro istituto, le Suore Figlie della Carità del preziosissimo Sangue. Informazioni risultate utili per i giovani e i presenti, alcuni dei quali per la prima volta giunti al luogo di culto dedicato al Beato Tommaso Maria Fusco. La bellissima serata di preghiera e di riflessione sui testi della parola di Dio relativi alla solennità dell’Epifania del Signore del 2013, si è conclusa con la piccola agape fraterna nel refettori delle suore, alla quale hanno partecipato tutti i giovani che hanno animato la liturgia e la sacra rappresentazione della natività di Gesù, ma anche i fedeli presenti in chiesa le suore della comunità di San Francesco di Pagani e delle apre comunità della cittadina e di altre località. Che dire? Una festa dell’Epifania che si ricorderà a lungo e segnerà la storia dell’Istituto delle Suore della Carità del Preziosissimo Sangue e lasciare una traccia indelebile nel prossimo cammino della Congregazione a Pagani, città natale del Beato e luogo di prima evangelizzazione di Tommaso Maria Fusco, uno degli uomini e santi illustri della città nota anche per la presenza di un altro grande santo, che con il Natale ha una storia particolare, quel Sant’Alfonso dei Liguori, che ha scritto pagine stupende e meravigliose sul mistero dell’incarnazione del Signore, fissando la sua spiritualità natalizie in celebri canti come Tu scendi dalle Stelle o “Quann nascette Ninno a Betlemme”. Canti eseguiti questa sera a conclusione di tutto il periodo natalizio, celebrandosi oggi la solennità dell’Epifania che tutte le feste porta via.

Pagani (Sa). Festa delle Suore della Carità del Preziosissimo Sangue

tommasomariafusco.jpgCon un solenne triduo di preparazione spirituale, predicato da padre Antonio Rungi, passionista, che si tiene dal 3 al 5 gennaio 2013 nella casa madre di Pagani (Sa), in Via San Francesco, dove riposano le spoglie mortali del Beato, le Suore della Carità del Preziosissimo Sangue, ricordano il loro Fondatore, Tommaso Maria Fusco, prossimo alla canonizzazione, in  questo anno della fede. Era, infatti il 6 gennaio del 1873, solennità dell’Epifania, 140 anni fa, quando profondamente colpito dalla disgrazia di un’orfana, vittima della strada, dopo attenta preparazione nella preghiera di discernimento, don Tommaso Maria fondò la Congregazione delle «Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue». L’Opera ebbe inizio nella Chiesa della Madonna del Carmine, in Pagani, alla presenza del Vescovo Raffaele Ammirante il quale, con la consegna dell’abito alle prime tre Suore, benedisse il primo Orfanotrofio per sette orfanelle povere del paese. Sulla nascente famiglia religiosa e sull’Orfanotrofio, dietro sua richiesta, non tardò a scendere anche la benedizione del Papa. Ora le Suore fondate dal Fusco sono presenti in varie parti d’Italia e all’estero, portando avanti l’opera iniziata dal fondatore, con particolare attenzione ai bambini e all’infanzia abbandonata o in difficoltà. La straordinaria figura di questo sacerdote diocesano, viene commemorata in questi giorni, con una specifica preparazione spirituale alla festa dell’Istituto che si ricorda il 6 gennaio. Le comunità religiose delle Suore della Carità del Preziosissimo Sangue di Pagani e delle altre località della regione Campania si ritroveranno in queste sere per la celebrazione dei vespri, della santa messa con riflessione e con altri momenti di incontri tra le suore e i fedeli laici, soprattutto giovani, che fanno riferimento ai cenacoli di preghiera istituiti a Pagani e negli altri Comuni del territorio. Particolarmente seguito è quello che si tiene presso l’antica abitazione del Beato, ora trasformata in casa religiosa, cenacolo di preghiera e di apostolato con i bambini, secondo il carisma dello stesso Tommaso Maria Fusco, di cui il Beato Giovanni Paolo II, disse, nel giorno della beatificazione, avvenuta in San Pietro, il 7 ottobre del 2001: “La singolare vitalità della fede, attestata dal Vangelo nel brano di Luca, emerge anche nella vita e nell’attività di don Tommaso Maria Fusco, fondatore dell’Istituto delle Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue. In virtù della fede egli seppe vivere, nel mondo, la realtà del Regno di Dio in modo del tutto speciale. Tra le sue giaculatorie, una ve n’era a lui particolarmente cara: “Credo in te, mio Dio; aumenta la mia fede”. E’ proprio questa la domanda che gli Apostoli rivolgono a Gesù nel Vangelo (cfr Lc 17,6). Il beato Tommaso Maria aveva infatti capito che la fede è prima di tutto un dono, una grazia. Nessuno può conquistarla o guadagnarla da solo. Si può soltanto chiederla, implorarla dall’Alto. Perciò, illuminati dal prezioso insegnamento del nuovo Beato, non stanchiamoci mai di invocare il dono della fede, perché “il giusto vivrà per la sua fede” (Ab 1,4)” (Omelia di Giovanni Paolo II, Beatificazione di T.M. Fusco, 7 ottobre, 2001).Le Suore della carità del preziosissimo Sangue, forti dell’insegnamento del loro fondatore, avvertono in questo anno della fede la necessità di presentare lo spirito di fede, animato da una profonda carità e da una sicura speranza di Tommaso Maria Fusco, in questo tempo in cui, come chiesa, tutti i cristiano sono chiamati a rivitalizzare il dono e la grazia della fede, ricevuta nel Battesimo, come fu impegno fondamentale di Tommaso Maria Fusco da semplice battezzato, poi cresimato e soprattutto da pastore delle anime, come sacerdote zelante e mosso da un grande spirito di servizio e di amore verso Dio, la Chiesa e le anime affidate alla sua cura pastorale. Fin dall’inizio del ministero curò la formazione dei fanciulli, per i quali in casa sua, aprì una Scuola mattinale, e ripristinò la Cappella serotina, per i giovani e gli adulti presso la chiesa parrocchiale di San Felice e Corpo di Cristo con lo scopo di promuovere la loro formazione umana e cristiana. Essa fu un autentico luogo di conversioni e di preghiera, come lo era stata nell’esperienza di Sant’Alfonso, venerato e onorato a Pagani per il suo apostolato. Nel 1857 fu ammesso alla Congregazione dei Missionari Nocerini, sotto il titolo di San Vincenzo de’ Paoli, con la immissione in una itineranza missionaria estesa specialmente alle regioni dell’Italia meridionale. Nel 1860 fu nominato cappellano del Santuario della Madonna del Carmine, detta delle Galline, in Pagani, dove incrementò le associazioni cattoliche maschili e femminili, e vi eresse l’altare del Crocifisso e la Pia Unione per il culto al Preziosissimo Sangue. Don Tommaso Maria continuò a dedicarsi al ministero sacerdotale con predicazione di esercizi spirituali e di missioni popolari; e su questa itineranza apostolica nacquero le numerose fondazioni di case e orfanotrofi che segnarono la sua eroica carità, ancora più intensa specialmente nell’ultimo ventennio della sua vita (1870-1891). Agli impegni di Fondatore e Missionario Apostolico associò anche quelli di Parroco (1874-1887) presso la Chiesa Matrice di San Felice e Corpo di Cristo, in Pagani, di confessore straordinario delle monache di clausura in Pagani e Nocera, e, negli ultimi anni di vita, di padre spirituale della Congrega laicale nel Santuario della Madonna del Carmine. Ben presto don Tommaso Maria, divenuto oggetto d’invidia per il bene operato col suo ministero e per la vita di sacerdote esemplare, affronterà umiliazioni, persecuzioni fino all’infamante calunnia nel 1880, da un confratello nel sacerdozio. Ma egli sostenuto dal Signore, portò con amore quella croce che il suo Vescovo Ammirante, al momento della fondazione, gli aveva preconizzato: «Hai scelto il titolo del Preziosissimo Sangue? Ebbene, preparati a bere il calice amaro». Nei momenti della durissima prova sostenuta in silenzio, ripeteva: «L’operare e il patire per Dio sia sempre la vostra gloria e delle opere e patimenti che sostenete sia Dio la vostra consolazione in terra e la vostra mercede in cielo. La pazienza è come la salvaguardia e il sostegno di tutte le virtù». Consumato da una patologia epatica, don Tommaso Maria chiuse piamente la sua esistenza terrena il 24 febbraio 1891, pregando col vecchio Simeone:  «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele». (Lc 2, 29-32).e di Gesù. Aveva appena 59 anni quando celebrò il suo transito per l’eternità. Era nato, infatti, 1 dicembre 1831 a Pagani, in diocesi di Nocera- Sarno, settimo di otto figli, del farmacista dott. Antonio, e della nobildonna Stella Giordano, genitori di integra condotta morale e religiosa che seppero formarlo alla pietà cristiana e alla carità verso i poveri. Fu battezzato lo stesso giorno della nascita nella Parrocchia di San Felice e Corpo di Cristo. Ben presto rimase orfano della madre, vittima dell’epidemia colerica nel 1837 e, pochi anni dopo, nel 1841, perdette anche il padre. D’allora si occupò della sua formazione don Giuseppe, lo zio paterno, il quale gli fu maestro negli studi primari. Fin dal 1839, anno della canonizzazione di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, il piccolo Tommaso aveva sognato la chiesa e l’altare e finalmente nel 1847 entrò nel Seminario diocesano di Nocera, dal quale nel 1849 uscirà consacrato sacerdote il fratello Raffaele. Il 1° aprile 1851 Tommaso Maria ricevette il Sacramento della Cresima e il 22 dicembre 1855, dopo la formazione seminaristica, fu ordinato sacerdote dal Vescovo Agnello Giuseppe D’Auria. In questi anni di esperienze dolorose, per la perdita di persone care alle quali si aggiungeva quella dello zio (1847) e del giovane fratello Raffaele (1852), si sviluppa in Tommaso Maria una devozione già cara a tutta la famiglia Fusco: quella al Cristo paziente e alla sua SS. Madre Addolorata, come viene ricordato dai biografi: «Era devotissimo del Crocifisso e tale rimase sempre».

 

Basta con i botti di Capodanno. Legge speciale per eliminare questa usanza.

fuochi-d-artificio.jpgauguri2013.jpgAnche il 2013 inizia con i morti e i feriti di Capodanno. E come sempre la Regione più colpita è la Campania. Perché non si proibiscono i fuochi artificiali sparati in questo modo? Sono tanti i bambini con ferite ed ustioni da fuoco. Una festa che si trasforma in tragedia. Immagino in quelle famiglie dove ci sono stati dei morti e dove il Capodanno invece di trascorrerlo serenamente in famiglia, si è dovuto correre in opsedale per ustioni e ferite varie. Ma cosa ci costa capire l’inutilità di questo modo di festeggiare Capodanno? Al di là di questo siamo comunque vicini con la preghiera alle famiglie toccate da questi gravi incidenti nella notte di San Silvestre” Adesso è doveroso fare attenzione -ha aggiuntorivolgendosi ai presenti- ai petardi inesplosi. I bambini sono curiosi per natura e come tali sono a maggior rischio di menomazioni per petardi non esplosi. E’ necessaria un’opera di bonifica delle zone dove sono stati sparati i fuochi, che per lo più sono spazi pubblici, strade, piazze ed altro. Ci auguriamo che in questa giornata i sindaci e le amministrazioni locali provvedano quanto prima a bonificare l’ambiente con persone esperte, quasi come se fossimo in guerra. Ed una considerazione finale: abbiamo parlato tanto di crisi economica e ancora oggi lo si fa. A vedere alla quantità di fuochi artificiali sparati anche quest’anno c’è poco da credere alle crisi di tante famiglie che lamentano la mancanza di cibo ed altro e poi spendono centinaia se non migliaia di euro per i fuochi artificiali che potevano e dovevano essere evitati, anche perché fanno solo danni. In alcune parti si è sparato ininterrottamente fino alle 2.00 della notte. Un modo assurdo di festeggiare il passaggio al nuovo anno, quando invece sarebbe più bello viverlo nella serenità. nella tranquillità, nell’allegria vera e senza pericoli, organizzando ed ottimizzando al meglio le feste in famiglia, in piazza o nei locali adatti per simili speciali feste. Speriamo che da queste continue lezioni che ci arrivano all’inizio di ogni anno impariamo a festeggiare nella vera e sana gioia il passaggio al nuovo anno, senza più morti e feriti che comunque pesano sulla coscienza di tutti, perché non si fa abbastanza per proibire l’uso dei petardi nella notte di san Silvestro, nonostante i tanti controlli e sequesti delle forze dell’ordine. Ci vuole una legge che proibisca tassativamente la vendita e l’acquisto dei botti a Capodanno come in altre circostanze e che questi ordigni di morte vengano usati solo dai fuochisti di professione.