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La riflessione di padre Antonio Rungi sull’attuale situazione della pandemia

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Riflessione sull’attuale situazione della pandemia in Italia e nel mondo.
di padre Antonio Rungi
Sono tra quelli che chiedono continuamente a non incentrare l’informazione nel nostro paese e nell’intero continente europeo sulla questione della pandemia. Non vedo la necessità di sapere ogni giorno quanti siano stati i contagi, quanti sia stati i morti, quanti siano stati ricoverati in terapia intensiva e tutto il resto. A me e a tutti interessa sapere non numeri da farci allertare in continuazione e metterci in uno stato di angoscia e di paura, senza più freni inibitori di questo male oscuro, che porta a non vivere più, ad stare in continua agitazione per tutto. I numeri non servono se poi la gente continua a comportarsi come sempre.
Gli esperti, i politici, gli addetti all’informazione devono fare una scelta di campo importante per i prossimi mesi. Sapere dell’aumento dei contagi a cosa serve se questi aumentano per i nostri assurdi comportamenti? Se ci viene detto che dobbiamo vaccinarci tutti per uscire da questa emergenza sanitaria italiana e mondiale, perché non lo facciamo ed aspettiamo che la pandemia passi da sola se in realtà siamo noi ad alimentarla con le nostre varie opposizioni?
Se ci viene chiesto di usare le mascherine FFp2 a chiuso, all’aperto e in qualsiasi luogo in cui ci troviamo a contatto con sconosciuti e persone di passaggio, perché non lo facciamo e molti non usano nessuna protezione dovunque si trovano? Se ci si dice di lavarci e sanificarci le mani in continuazione e parimenti gli ambient dove viviamo, perché non agiamo di conseguenza? Se ci si raccomanda di areare continuamente i nostri ambienti in cui viviamo, perché non facciamo in modo che questo avvenga nell’arco della giornata quando magari splende il sole o comunque è possibile far passare un pò di aria nei nostri ambienti abituali e soprattutto in quelli dove si lavora e si fa istruzione? Se questi ed altri accorgimenti sono indispensabili per allontanare da noi lo spettro della pandemia, perché continuiamo a fare assembramenti, incontri, attività in presenza in numeri considerevoli come quelli di una partita di pallone che non interessa a nessuno e che può fare aumentare contagi soprattutto tra i tifosi, calciatori e staff dirigenziali dei vari sport e non solo del calcio? Se il Paese non vuole fermarsi per sempre e morire nella paura di incontrare il mostro del covid-19, ora con la variante omicron, qualcosa pure deve fare a livello di comportamento individuale e non soltanto a livello verbale e di raccomandazioni varie dei politici e degli esperti che non sempre sono uniti nella trasmissione delle informazioni scientifiche.
Se la soluzione sta nel fare tutto questo, ce lo dicano con certezza gli scienziati, ma se una pandemia non si blocca con i vaccini con che cosa la si può bloccare o farla terminare? Qualcuno pure deve dircelo? Possibile che non si può preventivare la fine di questa guerra mondiale sottile e silenziosa senza armamenti e senza soldati in combattimento, ma solo con numeri e informazioni angoscianti e deprimenti che non fanno altro che aumentare i disagi?
Non possiamo continuare a vivere in questa incertezza infinita, ben sapendo che nessuno ti può dire quanto finirà tutto questo, anche se fosse il più grande scienziato di questo mondo. Basta con i numeri e sviluppiamo tutta la ricerca necessaria per trovare una cura definiva a questa infezione che non significa distruzione e terrore per persone, gruppi familiari e per l’intera popolazione mondiale. In altri tempi pure ci sono state le pandemie e non hanno fatto tutta questa tragedia che stiamo facendo noi con il coronavirus che potrebbe essere bloccato con comportamenti individuali e collettivi adeguati.
Cosa aspettiamo a farlo unitamente a livello nazionale, europeo e mondiale? Io la mia parte l’ho fatta e la continua a fare. Mi auguro che tutti assumono gli stessi comportamenti che ci sono stati suggeriti per superare la pandemia e per ritornare in pochi mesi alla normalità più assoluta di vivere la vita come il Signore ce l’ha donata, nella gioia, nella libertà, nella fraternità, nella vicinanza e non nella paura e nella lontananza, nell’indifferenza o peggio ancora nella consapevolezza di fare del male positivamente a qualcuno, o con la superficialità di comportamenti non adeguati al momento attuale che stiamo vivendo. Basta con i numeri che non interessano a nessuno e prestiamo attenzione alla nostra salute ben sapendo che qualcuno pure ci sta indicando il modo concreto ed operativo per uscire da questa emergenza. Dobbiamo solo agire di conseguenza.
Mi auguro che i bollettini quotidiani, veri resoconti di guerra virale si possano accantonare e che arrivino gratuitamente tutte le protezioni sanitarie per difenderci da questo morbo che diventa mortale se non ci vacciniamo, se non manteniamo le dovute distanze, se non usiamo la mascherina, se non ci laviamo le mani, se non sanifichiamo gli ambienti vitali e lavorativi, se non facciamo entrare neppure un filo di aria nelle nostra case, abitazioni e nei posti di lavoro. Riprendiamo da tutto questo e vediamo come andrà a finire questo thriller del coronavirus.

P.RUNGI. IL MIO SUSSIDIO PER IL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA

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COMUNICATO STAMPA

P. RUNGI (TEOLOGO MORALE). CURATO DAL RELIGIOSO PASSIONISTA UN SUSSIDIO SUL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA.

“Anno Santo della Misericordia – 2015/16”, è questo il titolo del sussidio sul Giubileo della Misericordia, curato da padre Antonio Rungi, religioso passionista della comunità del Santuario della Civita, docente, teologo morale, originario di Airola (Bn). Con tale titolo l’autore ha voluto indicare il contenuto del suo opuscolo, in distribuzione presso lo stesso autore e presso le Suore di Gesù Redentore di Mondragone. La prima edizione, a carattere divulgativo, è stata stampata a Mondragone, dove padre Rungi insegna Filosofia e Pedagogia nel Locale Liceo Statale “G.Galilei” e dove il religioso ha vissuto per circa 30 anni, ricoprendo vari uffici a livello diocesano e scolastico.
Il sussidio predisposto da padre Rungi si divide in due parti. La prima riguarda la presentazione del Giubileo in generale con il concetto e i simboli del Giubileo, e il Giubileo della Misercordia in particolare, con il richiamo al concetto biblico di misericordia, a quello di indulgenza, alle parabole della misericordia; alle opere di misericordia corporale e spirituale; alla Madonna, Madre della Misercicordia e ad alcuni Santi della Misericordia, particolarmente conosciuti, tra cui san Paolo della Croce, San Pio da Pietrelcina, Santa Faustina Kovalska, Santa Rita da Cascia, Santa Maria Goretti ed altri. Si tratta di piccoli accenni biografici di questi e di altri santi, accenni utili per inquadrare il cammino giubilare personale che si intende fare. La seconda parte del sussidio è di carattere catechestico e liturgico con il richiamo ai comandamenti giubilari, al Sacramento e al rito della Confessione, con la proposta di uno schema di esame di coscienza, per prepararsi in modo serio a ricevere il Sacramento della Riconciliazione, alle varie preghiere per il Giubileo, a partire da quella ufficiale, scritta da Papa Francesco, alle preghiere che hanno attinenza con la devozione alla Passione di Cristo, ai Dolori di Maria, alla Preghiera della Divina Misercordia di Santa Faustina. Si tratta di un utile sussidio ed aiuto spirituale che deve accompagnare il cammino dei cristiani in questo anno Santo. Tutto il materiale inserito nel libro è stato attinto dai vari testi, libri e siti internet sul Giubileo, con una consistente parte del lavoro fatto, quello più specifico, che è stata scritta dall’autore. In particolare le preghiere, le riflessioni sui testi biblici delle parabole e delle opere di misericordia corporale. Intanto, è in fase di stampa, presso l’Editore Caramanica di Marina di Minturno, lo stesso sussidio con ulteriori testi del Magistero di Papa Francesco sul Giubileo della Misericordia; sussidio che sarà pronto, quale approfondimento del primo, alla fine della prossima settimana, subito dopo l’apertura ufficiale dell’Anno Santo.

P.RUNGI. SI’ AL PRESEPE E ALLE CELEBRAZIONI NATALIZIE IN TUTTE LE SCUOLE PUBBLICHE E UFFICI PUBBLICI

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COMUNICATO STAMPA 

P.RUNGI  (TEOLOGO MORALE) . NON FAR FARE IL PRESEPE O OSTACOLARE ALTRE MANIFESTAZIONI RELIGIOSE NATALIZIE  A SCUOLA O NEI  LUOGHI PUBBLICI  E’ UN GRAVE  ATTO DI INTOLLERANZA RELIGIOSA NEI CONFRONTI DEI CRISTIANI.

 

“Non far fare il presepe o proibire di fare altre manifestazioni religiose in occasione del Natale sia a scuola che nei luoghi pubblici, soprattutto in questo Anno giubilare della Misericordia, è una grave violazione della libertà religiosa nei confronti dei cristiani; anzi è un gravissimo peccato contro la libera espressiva religiosa di ogni persona umana che crede in Gesù Cristo, Figlio di Dio, che si è incarnato nel grembo verginale di Maria, per opera dello Spirito Santo ed è nato a Betlemme 2015 anni fa per la salvezza del genere umano”, è quanto afferma padre Antonio Rungi, teologo morale, religioso passionista, docente di Filosofia e Pedagogia nelle scuole statali, a commento di quanto sta succedendo in alcune parti d’Italia sia nelle scuole pubbliche che in determinati luoghi pubblici.

“E’ inconcepibile in una nazione –afferma P. Rungi – come l’Italia con una forte caratterizzazione di cultura cristiana, di arte ed espressioni musicali e simboliche che hanno attinenza con il mistero della Nascita di Gesù Cristo, proibire ai bambini, ai ragazzi, ai giovani e agli adulti di esprimere la loro passione per il Natale, in quei luoghi dove ogni giorno vivono la loro esperienza formativa, anche attraverso l’insegnamento della religione cattolica. La presenza di alunni e studenti o di adulti di altre religioni non può ostacolare quello che è il comune sentire e la tradizione natalizia nel nostro paese. Nessuno è tenuto a partecipare alle manifestazioni di carattere religioso, se non le condivide, ma è pur vero che nessuno può ostacolare che tali manifestazioni di culto e di fede debbano essere represse, in ragione di una libertà religiosa e tolleranza che è tale se si rispettano solo le altre fedi e si massacra la nostra religione, il nostro culto, le nostre tradizioni. E per giunta in un Paese libero e democratico, in una Nazione e in un Continente a forte caratterizzazione cristiana. Per cui, invito gli studenti cattolici, i genitori cattolici, i docenti cattolici, il personale della scuola, soprattutto i dirigenti scolastici, cattolici o di altre fedi o agnostici, a favorire tutto ciò che è espressione di amore e rispetto del Natale cristiano a partire dal presepe, dai canti, dall’arte, per poi esplicitarsi nelle molteplici modalità di vivere il Natale con i bambini italiani, quale la recita del Natale e il saggio natalizio. Togliete il Natale ai bambini e ai ragazzi nella scuola e togliete a loro una parte della felicità, della gioia in questi giorni. Vivere il clima natalizio con un spirito di pace, fraternità e solidarietà è il modo migliore per incontrare i bambini di altre culture e religioni, che, più degli adulti, sanno stare insieme ai propri coetanei e non fare polemica o ostacolare un percorso di formazione ed esperienza umana e religiosa, in caso di realizzazione del presepe a scuola o nei luoghi pubblici o di manifestazioni canore e artistiche riguardante il mistero della Natività. Chiedo a tutti i dirigenti scolastici, essendo anch’io un docente impegnato nelle scuole statali, di avere massimo rispetto per i bambini, i ragazzi, gli studenti che vogliono festeggiare il loro Natale a scuola, senza ostacolare nessuna forma di manifestazione della loro gioia di credere, vivere e sperare in un mondo migliore, mediante tutto quello che è espressione di cultura, fede e religione cristiana, la quale può solo aiutare il cammino verso la pace, la solidarietà e fratellanza universale e non certamente ostacolarla. D’altra parte – continua il teologo morale Rungi – per ogni cristiano, dovunque egli si trovi ed operi è suo dovere manifestare la fede e testimoniarla, nel rispetto degli altri, ma non privandosi di ciò che è essenziale alla sua fede stessa. E il Natale è essenziale per ogni cristiano che ama la pace, la giustizia, la famiglia, i poveri, gli emarginati, gli immigrati e fa di questa festa non solo un artistico presepe o saggio natalizio, ma la traduce in opere di bene, a partire dalla scuola e dal mondo del lavoro dove vive ogni giorno da cattolico e non da agnostico. E tal proposito è bene citare quanto recita il Catechismo della Chiesa cattolica sulla professione della fede cristiana: “Chi dice “Io credo”, dice “Io aderisco a ciò che noi crediamo. La comunione nella fede richiede un linguaggio comune della fede, normativo per tutti e che unisca nella medesima confessione di fede” (CCC, 185).

“La manifestazione pubblica della nostra fede  è vivere coerentemente con essa, ma anche realizzare  il presepe nei locali pubblici o utilizzare tutti i simboli, i riti cattolici per renderla visibile a tutti, senza paure e ipocrisie. E allora, perché vietare il presepe o altro del Natale se è una cosa buona ed è utile per il bene comune, per la gioia di tutti? Provate a togliere il presepe o altre iniziative natalizie –conclude con amarezza e tristezza padre Rungi – e in Italia e nel mondo non sarà più Natale davvero, non solo per i cristiani, ma per tutti gli uomini di buona volontà. Cristo è venuto nel mondo per la felicità di tutti e non solo per una parte di esso”.

PENSIERI QUARESIMALI DI PADRE ANTONIO RUNGI

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In 40 anni di vita sacerdotale ho constato conversioni vere di persone, di ogni genere e stato di vita, che hanno cambiato totalmente vita e si sono dedicate a Dio e ai fratelli. E conversioni apparenti, fatte solo di esteriorità, di parole, di atteggiamenti nuovi, di cambiamenti di ruoli, posti, attività, missioni. Persone vuote che fino allora avevano vissuto nel lusso, nello spreco, non prendendo minimamente in considerazione la povera gente. E poi chissà per quale misteri…oso evento, divenuti grandi umanitari, solo con la bocca. Vorrei domandare a quanti oggi si riempiono la bocca di fare il bene, di ricordarsi dei poveri, dei bambini in particolare, quando spendevano centinaia di migliaia di euro, dove stavano i bambini, i poveri, dove stavano nel loro cuore le sofferenze di tante persone? Non credo a conversioni di facciata, dovute alle circostanze e forse per nascondere problemi più seri di queste persone apparentemente convertite all’amore, alla carità, alla giustizia sociale. Dopo una vita dissoluta, di piaceri, goduti sui sacrifici altrui, sul lavoro altrui, sulle rinunce altrui, si fanno paladini di campagne promozionali a favore dei poveri del mondo. Quanta falsità e quanto opportunismo in tutti i campi ed i settori della vita sociale. Il tempo di Quaresima è invito alla conversione vera e non di facciata e di apparenza. Meglio avere la coscienza di peccatori, che avere la presunzione di essere i nuovi santi e giusti, i nuovi profeti e messia della globalizzazione dell’amore e della solidarietà delle sole parole e non dei fatti. Smettiamola una volta per sempre ad essere ipocriti e farisei. Buona notte carissimi amici che avete avuto sempre l’attenzione e la preoccupazione verso chi soffre, vivendo da poveri con i poveri e non da ricchi tra i poveri, come spesso ci troviamo a costatare nella vita di tante persone che predicano bene e razzolano male, soprattutto nel servizio ai poveri e ai sofferenti di tutto il mondo, a partire dai poveri della nostra terra, spesso dimenticati per aiutare altri poveri, lontani dal controllo dell’opinione pubblica, che oggi è molto attenta, vigile e critica.

PADRE ANTONIO RUNGI

GIORNO DELLA MEMORIIA (SHOA’) 27 GENNAIO 2015

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P.RUNGI (TEOLOGO). UNA PREGHIERA SPECIALE PER IL SETTANTESIMO ANNIVESARIO DELLA SHOA’

In occasione del settantesimo anniversario della Shoa’, padre Antonio Rungi, passionista, teologo morale, docente di storia e filosofia nelle scuole statali ha composto una preghiera per questo giorno della memoria  del 27 gennaio 2015. Il sacerdote in questa orazione richiama all’attenzione dei credenti che pregano il dramma dei fratelli della religione ebraica e l’impegno di tutti nel costruire la pace e il rispetto di ogni razza, popolo, cultura e religione. Affida questa preghiera non solo ai credenti, ma anche a quanti guardano con simpatia la religione ebraica. Ecco il testo dell’orazione:

PREGHIERA DELLA SHOA’
COMPOSTA DA PADRE ANTONIO RUNGI
27 GENNAIO 2015
SETTANRESIMO ANNIVERSARIO DELLA SHOA’

Signore Gesù Cristo, Messia atteso dai secoli,
unico Salvatore del mondo, ieri, oggi e sempre,…
ci rivolgiamo a te, in questo giorno della memoria,
durante il quale, con profondo dolore,
ricordiamo le tante vittime dell’olocausto,
consumato ai danni dei nostri fratelli ebrei,
nei lager della Germania di Hitler.

Non permettere più che nel mondo
ci siamo stragi di persone innocenti,
di qualsiasi razza, religione, popolo,
nazione, condizione sociale e personale
o colore degli occhi o della pelle.
Mai più olocausti del genere,
ma solo pace e speranza per il mondo intero.

In questo giorno, in cui sentiamo forte l’appello
a fare memoria di quanti sono stati uccisi
nei lager nazisti e bruciati vivi,
quali veri martiri del ventesimo secolo,
nei forni crematori di Aushwitz,
Ti eleviamo la nostra umile preghiera,
perché Tu possa illuminare le coscienze e i progetti
dei potenti di oggi e di sempre
di quella vera luce che viene dal cielo
e che hai rivelato a Mosé sul Monte Sinai
e Gesù Cristo ha portato a compimento
sul Monte Calvario, ove tuo Figlio
si è sacrificato ed è morto per i peccati dell’umanità.

Noi rinnoviamo la nostra fede
nel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe,
e ci impegniamo a vivere in comunione con tutti
i nostri fratelli e sorelle del mondo intero,
specialmente con i nostri cugini e predecessori
nella fede nell’unico Dio,
che a tutti ha lasciato come quinto comandamento
quello di Non uccidere e di amare e difendere la vita.

Perdona quanti hanno massacrato fratelli e sorelle
in umanità, durante la seconda guerra mondiale.
Mostri, come i tanti dittatori del scolo scorso,
non abbiano più spazio e possibilità di affermarsi,
in questa umanità del terzo millennio dell’era cristiana,
ma vengano abbattuti con la forza della ragione e della fede
prima che compiano crimini di ogni genere.

Mai più Signore, esaltati e prepotenti che uccidono
e distruggono la vita della gente,
azzerando la speranza e la gioia dell’umano genere.
Mai più crimini contro l’umanità. Mai più per l’eternità!

Te lo chiediamo per l’intercessione di Maria, Regina della pace
e consolatrice degli afflitti e dei disperati,
Te lo chiediamo, inoltre, per intercessione di San Massimiliano Kolbe,
vittima sacrificale sull’altare dell’olocausto
della Germania hitleriana.
Te lo chiediamo, infine, per intercessione
di Santa Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein,
la monaca carmelitana, convertita al cristianesimo,
che ha visto gli orrori infiniti della Shoà. Amen.

Papa Francesco non si può uccidere in nome di Dio, ma neppure si può offendere e ridicolizzare le religioni.

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Papa Francesco non si può uccidere in nome di Dio, ma neppure si può offendere e ridicolizzare le religioni. Né irriverenti e né irritanti.

di Antonio Rungi

Mi piace iniziare la mia riflessione con quanto ha detto ai giornalisti Papa Francesco, oggi, 15 gennaio 2015, sull’aereo, nel suo viaggio di trasferimento da Colombo a Manila, ovvero dallo Sri Lanka alle Filippine. Una conferenza stampa che ha riguardato, tra gli altri temi, quello del rispetto delle religioni e della libertà di opinione e pensiero. Tra le risposte date dal Papa ai cronisti che viaggiavano con lui, da Colombo a Manila, ha colpito quella sui fatti di Parigi. Riflettendo sul rapporto tra libertà di espressione e libertà di fede, riproposto dal sanguinoso attacco terroristico alla redazione di Charlie Hebdo, il Papa ha ribadito che accanto al diritto fondamentale alla libertà d’espressione, c’è quello di ogni fede di potersi esprimere senza essere ridicolizzata. “Non si uccide in nome di Dio, dunque, ma nessuna fede si può prendere in giro. C’è un limite rappresentato dalla dignità che ogni fede possiede”. Infatti rispondendo alla domanda di un giornalista francese sulla libertà religiosa e sulla libertà di espressione come diritti umani fondamentali, Papa Francesco ha detto: “Credo che tutti e due siano diritti umani fondamentali, la libertà religiosa e la libertà di espressione. Parliamo chiaro, andiamo a Parigi! Non si può nascondere una verità: ognuno ha il diritto di praticare la propria religione senza offendere, liberamente e così vogliamo fare tutti. Secondo: non si può offendere o fare la guerra, uccidere in nome della propria religione, in nome di Dio. A noi ciò che succede adesso ci stupisce, ma pensiamo alla nostra storia, quante guerre di religione abbiamo avuto! Pensiamo alla notte di San Bartolomeo! (Il riferimento è alla strage degli ugonotti, uccisi dai cattolici). Come si capisce, anche noi siamo stati peccatori su questo, ma non si può uccidere in nome di Dio, questa è una aberrazione. Si deve fare con libertà senza offendere, ma senza imporre e uccidere.
Sulla libertà di espressione: ognuno ha non solo la libertà e il diritto ma anche l’obbligo di dire ciò che pensa per aiutare il bene comune. Se un deputato non dice quella che pensa sia la vera strada da percorrere, non collabora al bene comune. Avere dunque questa libertà, ma senza offendere, perché è vero che non si può reagire violentemente, ma se il dottor Gasbarri, che è un grande amico, dice una parolaccia contro mia mamma, gli spetta un pugno, è normale. Non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri. Papa Benedetto in un discorso (la lectio di Ratisbona, nel 2006) aveva parlato di questa mentalità post-positivista, della metafisica post-positivista, che portava a credere che le religioni o le espressioni religiose sono un sorta di sottoculture, tollerate, ma sono poca cosa, non fanno parte della cultura illuminista. E questa è un’eredità dell’illuminismo. Tanta gente che sparla, prende in giro, si prende gioco della religione degli altri. Questi provocano e può accadere quello che accadrebbe al dottor Gasbarri se dicesse qualcosa contro mia mamma. C’è un limite, ogni religione ha dignità, ogni religione che rispetti la vita umana, la persona umana, io non posso prenderla in giro. Ho preso questo esempio del limite per dire che nella libertà di espressione ci sono limiti, come (nell’esempio) della mia mamma».
Il pensiero del Papa è molto chiaro, a noi spetta il compito di approfondirlo ed essere strumenti di pace e non di guerra in questo mondo, definito della babele globale, facendo riferimento alla biblica torre di Babele che crollo sotto il peso della incomunicabilità e della pluralità di lingue e culture che non si integravano e non interagivano tra loro. E’ quello che sta succedendo oggi.
Dopo gli attentati di Parigi di inizio 2015 è in atto una campagna di autopromozione della libertà di pensiero e di stampa che sono gli stessi media, autoreferenziali, a sostenere, senza confrontarsi con il pensiero reale dei paesi e della gente.
Penso che non sia messa in discussione la libertà di pensiero e di stampa oggi nel mondo, al punto tale che ognuno lo può esprimere liberamente attraverso i suoi blog, siti, internet e social network.
La questione di fondo è quella di rispettare ogni persona, ogni cultura, ogni popolo, ogni religione nell’esprime il proprio pensiero, nel pubblicare le proprie idee, nel fare satira o qualsiasi altra cosa che si intende fare per dire (perché dire fa molte volte più male che fare) che non si condivide quella idea, quel personaggio, quella religione, quel modo di operare, pur nel rispetto delle leggi e delle tradizioni degli altri. Dissentire non significa essere irriverenti ed irritanti. Entro nel merito di questa mia riflessione. La nuova generazione che è nata dopo i tragici eventi del terrorismo di Parigi è la cosiddetta generazione di “Charlie”, riferendosi al giornale satirico francese attaccato dai terroristi islamici al punto tale da fare una strage. Questi uomini armati fino ai denti ed armati da persone più potenti di loro hanno confuso anche loro e chi sono stati i mandanti della strage di fare giustizia con le armi, sbagliando di grosso. Il terrorismo va sempre condannato da qualsiasi parte esso venga. Perciò su un piano morale non possiamo mai, assolutamente mai, approvare cose del genere che mirano ad uccidere e sono finalizzate a creare terrore tra persone libere, che hanno diritto di vivere e non di essere uccise. In questo mondo della babele globale bisogna perciò essere attenti a cosa si scrive e come si scrive. Mi riferisco al giornale satirico Charlie Hebdo che dopo i recenti fatti drammatici è uscito continuando sullo stile della satira e dell’offesa contro tutti. E non parliamo soltanto dell’Islam, parliamo d tutte le religioni, di tutte le massime autorità anche religiose del mondo. Non penso che sia libertà di stampa prendere in giro ed offendere persone e religioni. Se molti sono indifferenti al discorso, magari ci godono pure se si prende in giro la fede cristiana, le tradizioni cattoliche, se si bestemmia in pubblico, nei media, se si attacca impunemente il Papa, i Vescovi, i sacerdoti, i fedeli laici, tutto sembra che vada nella normalità, facendo passare questo come libertà di stampa, pensiero ed altro, per tolleranza. Per carità di Dio, non vogliamo ritornare ai tempi della cosiddetta “Santa Inquisizione” , che tutto era, tranne che santa o del mettere all’indice ogni cosa ed espressione che contrastava la Bibbia, il pensiero e la morale della chiesa cattolica, ma si chiede semplicemente il rispetto della fede altrui, di chi ha altra fede, o non è per nulla credente, è agnostico, ateo o non si è mai posto il problema dell’esistenza di Dio. Rispettare il pensiero, la fede, la religione degli altri è il primo fondamentale passo della libertà. E siccome la Francia ha fatto una rivoluzione ed il Terrore è stato coniato in questo Paese, proprio per conquistare diritti fondamentali quali la libertà, l’uguaglianza e la fraternità, perché oggi questi valori si vogliono garantire solo ad una o più rivista laicista, dissacrante e irritante come Charlie Hebdo. Non tutti ci sentiamo della pseudo generazione, nata da pochi giorni, di “Charlie”, noi vogliamo continuare ad essere la generazione di “Gesù Cristo”, che parla di pace, di rispetto, di amore, di tolleranza, di perdono, di riconciliazione, di fraternità, giustizia, libertà da duemila anni. I terroristi del tempo di Cristo lo mandarono a morire sulla Croce, proprio perché parlava d’amore, di verità, di giustizia e di pace. Egli non ha ucciso, non ha preso le armi per sterminare bambini, donne e uomini, ma ha parlato e portato la pace, ha sanato le ferite ed ha guarito i malati, ha risuscitato i morti. I terroristi di oggi ammazzano e alla fine si fanno ammazzare, ma portando avanti un progetto di morte, contro ogni logica di un mondo che pensa e vuole vivere in pace, nella giustizia, nel rispetto dei diritti fondamentali di ogni persona. Questo mondo lo devono costruire tutte le culture e tutte le religioni.
Noi non ci identifichiamo nella generazione di chi, per una presunta libertà di pensiero, di azione e di stampa, diventa irriverente ed irritante. Noi siamo della generazione della vera libertà di pensiero che esprime le proprie idee ed agisce per il bene e mai per il male e per fare del male. Noi siamo della generazione di chi per amore della verità va incontro anche al martirio, come ci hanno testimoniato e ci testimonia la vita di tanti martiri cristiani. Hanno subito la morte per professare la fede, senza prendere le armi, senza massacrare nessuno, ma lasciandosi trucidare, seviziare per riaffermare la fede in Gesù Cristo. Lezioni di storia e di vita che non dovremmo mai dimenticare, soprattutto oggi in una babele globale qual è la nostra società liquida e senza consistenza di alcun genere.
E allora andiamo alla questione principale del nostro discettare. Cosa significa essere irriverenti ed irritanti? La risposta la troviamo nel numero post-tragedia della Rivista Charlie Hebdo, uscita in diverse lingue, con 5 milioni di copie tutte vendute, per avere una copia-cimelio che tra qualche giorno verrà bruciata come tante riviste che si leggono, fanno notizia e poi si buttano via. Restano nella memoria i tanti morti uccisi in questi giorni a Parigi, tutti indistintamente, ma restano le immagini della morte dei redattori di questo giornale satirico che, per prudenza, opportunità, rispetto verso quelle vittime e in considerazione del clima generale, poteva e doveva essere più prudente nel numero post-tragedia uscito l’altro ieri. Invece oltre che essere irriverenti, perché ce ne è per tutti, in questo modo si diventa irritanti. E si diventa tali quando si pensa che, in nome della satira, si possa fare e dire tutto. In quale cultura si comprende oggi la satira? E’ un genere letterario e comunicativo scomparso a livello globale. Forse in qualche teatro c’è forse qualche comico che usa questo strumento per far passare pensieri ed idee non solo proprie, ma quelle di un gruppo di pensiero o di potere. Penso a tutte le volte che i cattolici vengono attaccati nelle pratiche, nei culti, nelle tradizioni, nelle devozioni, nelle loro verità di fede e nessuno si ribella, ma tutti, i veri cattolici, pregano per la pace e per la fraternità universale e perdonano, come Cristo ha perdonato dalla croce, perché non sanno quello che dicono e fanno. Anche in questo mondo esistono gli integralisti che fanno male con le parole, con gli scritti e con altri mezzi subdoli, ma mai si sognano di imbracciare un’arma ed uccidere. E qui è segno di maturità, di equilibrio. Il pensiero si, la comunicazione pure, ma mai alimentare il terrorismo di nessun tipo, né quello reale, né quello ideologico, né quello psicologico, ma dare spazio alla libertà, al dialogo, a tutte le voci, senza contrastarsi, in quanto la diversità non è mai una perdita, ma un guadagno.
Ecco volendo arrivare alla conclusione di queste mie considerazione sottolinerei questi due aggettivi che ho scelto per argomentare su una questione di grande attualità che è quella della libertà di pensiero e di stampa di cui si è parlato in questi giorni: irriverente e irritante.
Irriverènte (ant. irreverènte) aggettivo [dal latino irrevĕrens –entis o revĕrens -entis, participio presesente di revereri «riverire»]. – Che vien meno alla riverenza dovuta: ragazzacci irriverenti verso le persone anziane. Più spesso riferito agli atti, indicando non solo la mancanza di riverenza, ma talora l’intenzione cosciente di insultare: tenere in chiesa un contegno irriverente; frasi, allusioni, parole, maniere irriverenti. Avverbio: irriverenteménte, in modo irriverente: comportarsi irriverentemente.
Irritante aggettivo [participio presente di irritare 1. a) Che irrita, che stizzisce: tenere un contegno, fare una osservazione, parlare in tono irritante; parole, frasi, maniere irritante; un rumore sordo e irritante. Anche riferito a persona: è irritante con le sue continue insinuazioni, o con quel suo fare sdolcinato e servile. b) letteralmente: Che aizza, che pungola: “Ed irritante il morso Accresce impeto al corso [del cavallo]” (Foscolo). 2. Di qualsiasi agente chimico o meccanico che provoca infiammazione: sostanza, medicamento irritante (anche come sostantivo maschile: evitare gli irritanti); stimoli che hanno azione i. su qualche parte dell’organismo.

Allora, attenendosi soltanto al significato terminologico, vorrei richiamare all’attenzione di chi parla, scrive, disegna, di dire le cose, ma sempre nel rispetto della persona e della fede degli altri. Chi sono io a dover mettere in ridicolo una verità di fede di qualsiasi religione, soprattutto se consolidata nel tempo ed espressione di una cultura? Su questi argomenti ci sono i teologi e gli esperti, ci sono i capi religiosi, i luoghi dove discutere e affrontare i problemi in una visione globale del mondo. Certo il cristianesimo di oggi non è quello stesso, sul un piano comportamentale ed organizzativo, rispetto ai primi secoli, e così è anche per l’Islamismo, l’Ebraismo, il Buddismo. Le religioni si evolvono con il tempo nelle forme espositive, nell’aprirsi al nuovo. Ci vuole tempo e pazienza e non è con la satira, con gli attacchi gratuiti che si fanno progredire le religioni. E se non progrediscono le religioni e le fedi, non progredisce la società, soprattutto in quelle nazioni che si identificano con la religione stessa e lo stato si professa confessionale e non laico. Ecco criterio fondamentale è il rispetto di tutti senza irritare nessun, perché poi, non tutti si tengono le battute, le offese, ma qualcuno reagisce, anche in modo sproporzionato ad attacchi. Alla fine la religione diventa strumentale per essere satirici e per essere terroristi. In fondo, agli uni e agli altri non interessa la vera fede, la vera religione che parla sempre di pace e non di guerra, interessa solo fare opinione, imporre le proprie idee con la forza della penna o con la forza delle armi. Entrambi sono strumenti di morte, soprattutto le seconde, sorte proprie per portare e fare guerra ed uccidere. Ma le prime non sono meno offensive e distruttive, ben sapendo che le parole possono uccidere più delle armi stesse.
Essere irriverenti e soprattutto essere irritanti ed arroganti non porta alla pace mondiale, ma alla babele totale. E nella confusione delle lingue e dei comportamenti alla fine crolla tutto il sistema del mondo globalizzato, in cui viviamo. Bisogna continuare a scrivere e garantire la libertà di pensiero e di stampa, ma nel rispetto di tutti e con l’equilibrio che è dovuto rivolgendosi ad una società multiculturale e interdipendente soprattutto da Internet. Con una semplice espressione, non comunicata in modo corretto, si possono innescare meccanismi distruttivi che passano per la rete e che poi diventano azioni terroristiche nei confronti di questo o quell’altro giornale o rivista. I giornalisti devono essere equilibrati , rispettosi e umili, perché il quarto potere che hanno nelle loro mani, quella della penna, anzi del computer, della rete, deve fare i conti con i nuovi silenziosi e pericolosi poteri che superano i confini reali delle nazioni e che si identificano con gli stati terroristici globali, organizzati su scala mondiale, mediante le nuove forme di comunicazione. Potrei concludere con una costatazione di fatto: mentre a Parigi si fa satira contro le religioni, in altri luoghi si organizzano le stragi.
Non prestiamo il fianco a simili azioni, ma combattiamo il terrorismo con le forze della giustizia, della pace, della lealtà, dell’onestà, del rispetto, della tolleranza, della libertà, della democrazia, dell’umiltà secondo la logica del vangelo della pace e della gioia che è stato annunciato da Cristo e che Papa Francesco sta rilanciando nel mondo con la sua azione pastorale ed apostolica.

L’Alfabeto dei verbi della felicità, scritto da padre Rungi

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Ho sintetizzato in 24 verbi la felicità in senso umano, sociale e religioso. Si tratta di un percorso personale e sociale sull’esperienza della felicità che ognuno può e deve poter fare nella vita terrena in attesa, per chi crede della felicità definitiva ed eterna del santo paradiso. 

Ecco i verbi che ho selezionato e poi spiegato, contestualizzandoli alla tematica, tratti dal vocabolario italiano ed inglese. 

A= Amare sinceramente Dio, la vita, le persone e l’intera creazione. 

B= Benedire ogni persona, cosa e situazione, ringraziando Dio che ci mantiene in vita. 

C= Credere nella potenza dell’amore, del perdono, della fede e della ragione. 

D= Donare con il cuore e generosamente soprattutto a chi si trova nel bisogno vero. 

E= Entrare nel cuore e nella mente della gente per capire le loro esigenze e provvedere a loro nei limiti delle proprie possibilità e responsabilità. Esaminarsi se stiamo agendo bene nei loro riguardi. 

F= Fidarsi sempre delle persone, fino a prova contraria. 

G= Gioire con chi è nella gioia e far gioire chi è nel dolore. 

H= Hear (inglese), sentire e ascoltare chi necessita di parlare e comunicare. 

I= Incoraggiare chi è demotivato e depresso per motivi di vario genere. 

J= Jump (inglese), saltare di gioia per il successo e l’affermazione degli altri, senza gelosia ed invidia alcuna. 

K= Know (inglese), conoscere sempre più approfonditamente il mondo, perché la conoscenza porta alla vera gioia. 

L= Lodare Dio per quello che ci dona e gli altri per quello che sono e fanno. 

M= Meritare ciò che si è costruito onestamente nella vita, con i propri sacrifici. 

N= Nobilitare le situazioni con un agire sensibile, umano e rispettoso degli altri. 

O= Operare per il bene proprio e altrui. 

P= Pensare bene ed agire di conseguenza. 

Q= Quietarsi dopo un contrasto o una tempesta mentale o umorale. 

R= Restituire ogni cosa avuta in prestito, senza abusare della bontà altrui. 

S= Sorridere alla vita anche quando è difficile farlo per tanti motivi. Con il sorriso sulle labbra e la spada nel cuore si va avanti nella vita. 

T= Temere giustamente il giudizio di Dio e degli altri se agiamo male. 

U= Unire sempre, per non essere motivo di divisione nelle famiglie, nel lavoro e in altre situazioni della vita. 

V= Vivere la vita così ogni giorno, come ce la dona Dio e come noi la riusciamo a costruire. 

W= Win (inglese), vincere l’odio con l’amore, la guerra con la pace, l’ingiustizia con la solidarietà. 

Z= Zampillare di gioia ogni volta che riusciamo a portare a termine un progetto di  vera ed autentica felicità per noi stessi e per gli altri. Rendere felici se stessi e gli altri è un dovere morale per ogni uomo e soprattutto per ogni cristiano.

Padre Antonio Rungi, passionista

Santuario della Civita

17 settembre 2014

 

 

 

La domenica del Buon Pastore. Omelia di padre Antonio Rungi

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Quarta domenica di Pasqua – 11 maggio 2014

Gesù, pastore e custode delle nostre anime

di padre Antonio Rungi

La quarta domenica di Pasqua è chiamata del buon pastore e tutta la liturgia di questa giornata è incentrata sul tema di Gesù Buon Pastore, al quale tutti coloro che hanno responsabilità nella Chiesa, dal Papa ai vescovi, ai sacerdoti e a tutti gli altri ministeri e servizi pastorali della chiesa universale o locale, si devono necessariamente ispirare. Oggi siamo invitati a pregare particolarmente per le vocazioni alla vita sacerdotale, religiosa e missionaria. Dobbiamo avere a cuore questa preghiera, perché il Signore faccia dono alla sua Chiesa di tanti santi e zelanti sacerdoti e religiosi.

Il vero buon pastore, secondo quando ci dice Gesù stesso opera in modo che il gregge sia unito, viva in pace, stia tranquillo nel recinto della comunità dei credenti, senza scandali e violenze, senza ingiustizia e sfruttamento del ruolo e della missione che il Signore ha affidato attraverso l’ordine sacerdotale, nei triplice grado di diacono, sacerdote e vescovo o di altri ministeri collaterali o di supporto alla pastorale delle comunità parrocchiali. E allora analizziamole queste caratteristiche che il buon pastore deve avere. Prima caratteristica, il buon pastore entra per la porta, e questa porta è Cristo. Chi si presenta ai fedeli con altri scopi o a titolo personale, è un brigante e un ladro. Si ruba la primazia di Dio nella vita del popolo santo, che deve essere curato nel nome di Cristo. Seconda caratteristica è che “egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce”. Chiama, porta fuori e le precede. Tutto questo è il buon pastore che conosce ogni sua pecora e di fronte alle difficoltà non si allontana dal gregge, ma lo porta amorevolmente verso pascoli più sicuri e rasserenanti. Perché il pastore è essenzialmente la guida e il primo di tutti che deve andare nella direzione giusta. Non può delegare ad altri il suo compito di guida morale, spirituale e umana.

Terza caratteristica del buon pastore non può essere assolutamente estraneo al gregge. Egli si identifica nel gregge, anzi è il primo tra tutti quelli che credono e si affidano a Dio nel loro itinerario di fede e di crescita spirituale.

Di questo brano del vangelo è Gesù stesso a darne la spiegazione, sintetizzata in queste parole testuali:  «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

Di fronte alle continue critiche nei confronti dei sacerdoti, vescovi, soprattutto ai nostri giorni, sotto i riflettori dei media, è bene ricordare che ci sono tanti pastori santi, che vivono integralmente la loro consacrazione a Dio, con fedeltà assoluta, con abnegazione fino al martirio. Sacerdoti che muoiono per amore del popolo di Dio sono tantissimi anche oggi ed anche oggi abbiamo i martiri tra il clero. Certo non bisogna negare la fragilità di pochi sacerdoti che danno scandalo e commettono cose gravi: per loro vige quando viene detto dal Signore, che è Misericordia, meglio se non fossero mai nati, se hanno infangato la chiesa con i loro peccati e crimini, dai più lievi ai più gravi. Tali pastori, se sono ancora in circolazione, hanno bisogno di conversione e forse anche di profonda revisione della loro vita di ministri a vari titoli. E ciò non solo nell’ambito della vita sacerdotale, ma anche laicale.

Sul tema del buon pastore è anche incentrata la seconda lettura tratta dalla prima lettera di Pietro. Qui viene proposta l’immagine di Gesù come pastore e custode delle nostre anime. Egli è esempio di come si possano coniugare amore e passione, gioia e dolore, vita e morte per andare incontro al popolo santo di Dio. E ci ricorda che Cristo patì per noi, lasciandoci un esempio, perché ne seguiamo le orme. “Egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia”. Come vorremmo pastori capaci, come Gesù, di fare tutto questo, pur nei limiti della persona umana. Ed è sempre Pietro, il Pastore che guida la Chiesa di Cristo, scelto da Gesù direttamente ed affidato a lui le porte del regno dei cieli, al centro della prima lettura di oggi, tratta dagli Atti degli Apostoli, in cui il primo degli Apostoli predica con forza la conversione e il perdono dei peccati nel nome di Cristo Crocifisso. I presenti ai suoi discorsi, ci ricordano il brano, “si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?». La risposta di Pietro  non ammetteva indecisioni o ritardi: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo”. Ed altre parole molto toccanti e coinvolgenti da punto di vista umano e spirituale: «Salvatevi da questa generazione perversa!».

Si questa è la missione di ogni buon apostolo, pastore, missionario. Aiutare il popolo santo di Dio a salvarsi dal male e dalla perversione, corruzione che è presente nel mondo per opera del diavolo. Liberare l’uomo dalla terribile schiavitù di amare il male e non il bene, seguire la menzogna e non la verità, seguire l’io e se stessi e non Dio e la Chiesa. L’opera del buon pastore deve essere un’opera di risanamento morale, mediante l’annuncio della passione, morte e risurrezione di Cristo. Ma il buon pastore che non dà il buon esempio è meglio per lui non dire cose se poi non le mette in pratica. Papa Francesco nei suoi numerosi discorsi si questo tema ha sollecitato un impegno più ampio dei sacerdoti che devono sentire l’odore delle pecore, piuttosto che allontanarsi da esse e non curarle per nulla, impegnati come sono in cose futili e insignificanti per delle persone che hanno deciso liberamente d donarsi a Dio con tutto il cuore, la mente, le energie e per sempre.

Sia questa la nostra umile preghiera nel giorno in cui dobbiamo avere a cuore tutti i sacerdoti del mondo, tutti i seminaristi e quanti sono in cammino verso l’alta meta dell’ordinazione presbiterale: “Dio onnipotente e misericordioso, guidaci al possesso della gioia eterna, perché l’umile gregge dei tuoi fedeli giunga con sicurezza accanto a te, dove lo ha preceduto il Cristo, suo pastore”. Ed oggi che è la festa della mamma, preghiamo per tutte le mamme viventi e defunti di tutti i sacerdoti viventi e defunti. Amen.

 

Omelia di padre Antonio Rungi per la quarta domenica di Quaresima

CON IL CIECO NATO IN DIALOGO CON GESU’ ALLA PISCINA DI SILOE

di padre Antonio Rungi

 

La quarta domenica di Quaresima, domenica della gioia e della letizia evangelica, ci presenta uno dei miracoli più belli e significativi compiuti da Gesù e di cui ci parla il Vangelo di Giovanni: la guarigione del cieco nato, che viene operata da Gesù alla piscina di Siloe.

Anche in questo testo vediamo Gesù in dialogo con una persona singola, che chiede aiuto e vuole essere guarito dalla sua cecità. Ha provato tante volte di immergersi in quell’acqua salutare, ma non avendo avuto aiuto da nessuno è rimasto sempre in dietro. Anche in questa domenica al centro del racconto c’è l’acqua che risana, che una persona che deve essere risanata, c’è una reale condizione di difficoltà, in cui questo possa avvenire, c’è soprattutto Gesù che viene incontro al cieco nato, lo guarisce e gli dona la fede, che è il miracolo più grande che avviene nel suo cuore. Il testo del Vangelo, nella sua forma completa, è più dettagliato e articolato nella esposizione dei fatti. Presenta molti aspetti, che necessitano di approfondimento per inquadrare il tutto nel cammino quaresimale che stiamo facendo. Un cammino di luce, conversione, cambiamento radicale della nostra vita, alla scuola di quel divino Maestro che è Gesù. Dopo la guarigione il cieco diventa il testimone della misericordia e della bontà di Dio tra gli uomini. Un testimone scomodo per quanti non credono in Gesù, ma un testimone attendibile per quelli che avevano fiducia nel Signore e confidavano nel suo potere di taumaturgo. Gesù, infatti, opera questa guarigione nel giorno di sabato,  durante il quale, secondo la legge, non si poteva neppure fare il bene, un’azione di aiuto e di sostegno alla sofferenza delle persone in difficoltà. Motivo questo per i nemici di Gesù di trovare un altro capo di imputazione per eliminarlo, data la popolarità che andava assumendo tra il popolo di Dio. Gesù si faceva strada a forza dell’amore e della misericordia, dell’accoglienza e della tenerezza ed attenzione, rispetto a quanti perdevano consenso, perché sepolcri imbiancati, la cuore apparente perfezione era solo un’osservanza esteriore della legge, ma erano privi di amore e di attenzione. Gesù ci insegna a volgere lo sguardo sulla sofferenza dei nostri fratelli, ad intervenire se è nelle nostre possibilità e capacità. A non restare assolutamente con le mani in mano e a guardare che gli altri si attivino per mettere in pratica la solidarietà, fatta di gesti concreti e di vera attenzione verso i fratelli. Certo, il testo del Vangelo ci fa riflettere su tante altre realtà teologiche, spirituali e pastorali, ma resta centrale il fatto che qui, ancora una volta, è Gesù che prende l’iniziativa e soccorre il cieco nato e lo risana per sempre nel fisico e nello spirito, perché riceve, per la prima volta, non solo la vista, ma anche la fede che è la vista sul cielo e sull’eternità. E’ come il belvedere delle nostre città e contrade, dove saliamo per goderci il panorama che si staglia davanti a noi nella sua bellezza ed immensità. E quello che sperimenta, dopo la guarigione, il cieco nato. Leggiamolo questo brano del Vangelo così bello: “In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».

Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.

Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».

Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».

Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.

Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».

In questa ottica di fede nuova che Gesù dona al cieco guarito, si comprende anche il brano di approfondimento teologico che è la seconda lettura di oggi e che è tratto dalla Lettera agli Efesini. Scrive l’Apostolo Paolo ai cristiani di Efeso: “Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente. Di quanto viene fatto in segreto da [coloro che disobbediscono a Dio] è vergognoso perfino parlare, mentre tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce: tutto quello che si manifesta è luce. Per questo è detto: «Svégliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà».

Essere nella luce, uscire dalle tenebre vuol dire assumere un comportamento morale adeguato a chi vive di fede e nella fede in Gesù. Da qui il monito esplicito di “non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente”. Non bisogna mai stare dalla parte del male e dei malvagi, di quanti fanno il male e per di piò lo coprono o lo giustificano. Chi vive nella fede sa benissimo dove sta il bene e dove sta il male, perché la fede porta alla luce e genera netta divisione con le tenebre del peccato. Ci ricorda l’Apostolo che “di quanto viene fatto in segreto da coloro che disobbediscono a Dio è vergognoso perfino parlare, mentre tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce”.

Nella vita, ci capita spesso di trovarci di fronte ai dei comportamenti di persone che sono gravi errori e nessuno le richiama al proprio dovere morale; mentre altre persone che non fanno assolutamente nulla sono giudicati e valutati severamente. La copertura sugli atti immorali di tante persone, in tutti gli ambienti, viene assicurata da amici, parenti, conoscenti, pensatori che legittimano tutti i comportamenti, anche quelli scandalosi facendo ricorso alla debolezza e fragilità umana. Ma la debolezza può diventare forza e la fragilità virtù. Dipende da noi uscire fuori da falsi convincimenti che non possiamo migliorarci. In realtà possiamo migliorarci e  come. Sta a noi poter rispondere ai continui appelli alla conversione, come ci ricorda il brano della prima lettura di oggi, tratto dal primo libro di Samuele. Il brano ci ricorda che il Signore guarda il cuore, va a fondo della persona, non si ferma in superficie , alle apparenze, perché in fondo in fondo, nel cuore di ogni uomo, fosse anche il più grande peccatore, c’è sempre un fiammella di speranza che alimenta tutto il resto e che sarà anche quel piccolo seme che farà germogliare il tutto.

Sia questa la nostra umile preghiera a conclusione della meditazione che la parola di Dio ci ha suggerito di fare su tre testi molti belli e sentiti: “O Padre, che per mezzo del tuo Figlio

operi mirabilmente la nostra redenzione, concedi al popolo cristiano di affrettarsi con fede viva e generoso impegno verso la Pasqua ormai vicina”.

Avanziamo in questo cammino quaresimale e a man mano che camminiamo nella luce, vedremo sempre più luce in Dio e nella nostra vita, chiarificandoci ciò che deve essere eliminato per arrivare alla Pasqua davvero riconciliati. Impariamo da Papa Francesco a capire l’urgenza di accostarci al sacramento della penitenza, confessando umilmente i nostri peccati ed iniziando una vita nuova, una vita di grazia, di luce e di amicizia con Dio, vivendo costantemente nella grazia e nella sua amicizia.

 

Omelia di padre Antonio Rungi per la terza domenica di Quaresima

TERZA DOMENIA DI QUARESIMA- 23 MARZO 2014 

CON LA SAMARITANA IN DIALOGO CON GESU’

di padre Antonio Rungi 

La terza domenica di Quaresima ci presenta uno dei brani evangeli più belli e significativi per concretizzare un percorso di vera conversione in questo tempo di preparazione alla Pasqua. E’ il brano del Vangelo di Giovanni su Gesù al pozzo di Giacobbe che dialoga con una donna della Samaria, alla quale chiede da beve. Il racconto è molto dettagliato e nei suoi minimi particolari ci fa capire l’importanza di Cristo nella vita di ognuno di Dio. Anche qui Gesù si rivela, agli occhi della donna, come il profeta, il messia. Un’altra teofania basata più sul dialogo che intercorre tra Gesù e la donna che da una voce esterna, come in altre circostanze, quali il Battesimo al Giordano o nella Trasfigurazione. Gesù che chiede un po’ da bere a questa donna, verso mezzogiorno, quando il sole è cocente e quando, praticamente non c’era nessuno ad attingere l’acqua, si trasforma, dopo il confronto con quella donna, di cui non si cita il nome, il Colui che dà la vera acqua, quella che dura per l’eternità. E’ l’acqua della grazia della conversione, della purificazione, della riconciliazione, della grazia. E’ l’acqua che simbolicamente rimanda a tanti eventi della vita del popolo eletto, da quella del diluvio, a quella Massa e Meriba, a quella del Giordano. L’acqua purificatrice che la chiesa usa nell’amministrare il battesimo ai piccoli e ai grandi. L’acqua che nelle celebrazioni esprime la benedizione di Dio sulle persone, cose ed attività. Dall’acqua che disseta, chiesta da Gesù a questa donna, all’acqua che estingue ogni sete di verità amore e giustizia che è Cristo stesso. Importante è sottolineare in questo brano del Vangelo il fatto che a questo pozzo di ritrovano Gesù e la donna soli. Il motivo è comprensibile: solo in un dialogo profondo, sincero, a tu a tu con il Signore, che la nostra anima sperimenta la gioia della misericordia. Gesù, infatti, dice in poche parole a questa donna tutta la sua vita, senza assolutamente condannarla, né allontanarla da Sé. Anzi quella particolare circostanza diventa un’opportunità per Lui, affinché questa donna, che aveva vissuto e viveva in peccato, potesse cambiare strada. La donna, dopo il colloquio-confessione di Gesù, da ascoltatrice, anche in parte sconcertata per quel singolare incontra, in un orario fuori del comune, tra due persone di varia cultura e nazione, e soprattutto tra un uomo e una donna, questa giovane samaritana diventa la prima testimone di Gesù nel suo ambiente. E’ lei infatti ad indicare in Gesù l’ipotetico messia attesa ed invitare i suoi concittadini ad incontrarsi con lui, a conoscerlo. E’ il cammino della fede e della speranza, che ci spinge ad andare incontro a Cristo e conoscerlo personalmente, dopo qualcuno ce lo ha indicato. Venite a vedere. E’ questo l’invito che anche oggi ci viene comunicato direttamente da quanti fanno esperienza di evangelizzazione, mossi da un spirito di fede. Il vedere, infatti, è il tipico verbo della fede. La donna samaritana ha visto, con gli occhi della fede e della conversione a Gesù, il Messia in lui e contestualmente ci invita ad aprire questi occhi per fare una vera conoscenza di Cristo. Non c’è possibilità di fare vera conoscenza di Cristo se non partendo da noi stessi, dalla nostra realtà personale, dalle nostre fragilità. Gesù evidenzia in questa donna il male, non per creare in lei in senso di colpa o farla sentire indegna della sua persona; al contrario sottolinea un dato di fatto, perché ella possa eliminare il peccato, il motivo di ostacolo che esiste tra Dio e l’uomo, quando c’è un peccato grave. Se non si rimuovono queste barriere, non possiamo attingere al pozzo della grazia di Dio e della nostra purificazione. Chiediamo anche noi come la samaritana, senza alcun fraintendimento o giochi di parole o scherzi, quella vera acqua che viene da Gesù e che ci dà la vera gioia del cuore, perché ci mette pace dentro e fuori di noi. Chiediamo la doppia grazia della fede e della speranza, per poi agire di conseguenza nell’amore e con amore. Come il popolo pellegrino verso la terra promessa, poniamoci dalla parte di coloro che hanno fiducia nel Signore e non dalla parte di chi si lamenta sempre di Dio, pensando che tutto dipenda da lui, dimenticandoci della nostra responsabilità personale. A tal proposito ci serva da insegnamento quanto leggiamo, oggi, nella prima lettura della liturgia della parola, tratto dal libro dell’Esodo, circa la mormorazione contro Dio e contro i rappresentanti di Dio, di allora, come di oggi: “In quei giorni, il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: «Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?». Allora Mosè gridò al Signore, dicendo: «Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!». Il Signore disse a Mosè: «Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani d’Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà». Mosè fece così, sotto gli occhi degli anziani d’Israele. E chiamò quel luogo Massa e Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?». Anche in questa situazione, Dio non ha fatto mancare il sostegno a Mosé e al popolo il necessario per continuare il suo viaggio di liberazione, mediante l’acqua che sgorgò abbondante dalla roccia dell’Oreb. Dio mantiene le sue promesse, anche se chiede qualche sacrificio e rinuncia da parte del popolo. Ecco ciò che spesso manca nella nostra vita di credenti, molto labili e indecisi nel credere, è questo abbandono totale nel Signore. Contiamo molto sulle nostre forze e possibilità e ci accorgiamo che siamo molto, ma molto deboli e fragili e senza l’aiuto di Dio non possiamo fare nulla. Ne è particolarmente convinto san Paolo Apostolo, il quale, nello scrivere ai cristiani di Roma, afferma con precisione teologica ed etica che “giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”. La speranza non delude, ci ricorda, ed è esattamente così. La speranza fondata in Cristo, no nelle cose del mondo, né nei sogni terreni ed umani che spesso coltiviamo al di fuori di ogni regola morale, come era capitata alla samaritana. La vera speranza è quella che parte dalla fede nel Redentore e Salvatore e che, mettendosi alla sua sequela, cambia la vita delle persone esclusivamente in bene e per il bene. Mi sembra riecheggiare in questo bravo, l’impegno profuso dalla chiesa e dagli uomini di buona volontà che lottano conto il male, le guerre, le ingiustizie, la fame, la mafia. Mi sembra riecheggiare la parola di Papa Francesco con il suo monito rivolto in questi giorni ai mafiosi: pentitevi e ritornate sulla retta via, perché se non lo fate vi attende solo i castigo di Dio per l’eternità. E allora, peccatori sì, ma corrotti no. Sia questa la nostra preghiera:  “Dio misericordioso, fonte di ogni bene,  tu ci hai proposto a rimedio del peccato il digiuno, la preghiera e le opere di carità fraterna;  guarda a noi che riconosciamo la nostra miseria  e, poiché ci opprime il peso delle nostre colpe,  ci sollevi la tua misericordia”. Amen.