Santuario della Civita

PREGHIERA PER GIULIA CECCHETTIN

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ITRI. IL TEOLOGO PASSIONISTA PADRE ANTONIO RUNGI HA COMPOSTO UNA SPECIALE PREGHIERA PER GIULIA CECCHETTIN

Una preghiera, tutta per Giulia Cecchettin e per la sua famiglia, ma anche per tutti coloro che sono rimasti impressionati da questo efferato delitto, è stata composta dal teologo passionista padre Antonio Rungi, delegato arcivescovile per la vita consacrata dalla diocesi di Gaeta e superiore della comunità passionista di Itri e del Santuario Mariano della Civita. E proprio ai piedi della Madonna della Civita, padre Rungi, nella mattinata di ieri, ha composto questa preghiera, che affida ai fedeli di tutta Italia non solo come strumento per non dimenticare, ma anche per riflettere e meditare. Ecco il testo dell’orazione composta da padre Rungi

Preghiera per Giulia Cecchettin
Dio della vita e della gioia, ci rivolgiamo a Te, in questo tempo di dolore e di afflizione per la tragica e assurda morte della nostra giovane Giulia, per chiedere conforto per la sua famiglia e per quanti in Italia sono dalla parte delle vittime e non dei carnefici.
Non possiamo crederci che giovani mani hanno interrotto il cammino di una ragazza piena di vita e carica di aspettative per il suo professionale avvenire.
Tu o Signore che tutto sai e puoi, ferma questa strage continua di donne uccise per un falso amore che non è corrispondente ai tuoi insegnamenti.
Tu Signore sai che non è solo questione di mente, ma soprattutto di cuore se uno uccide senza pietà e senza un minimo ripensamento e di pentimento.
Aiutaci o Dio di amore infinito a cambiare la nostra vita nella direzione giusta che porti a rispettare ogni tuo figlio, perché non incontri più mani caine ma solo gesti carini di persone che amano per tutta la vita.
Ti affidiamo questo nuovo Angelo del Paradiso dal nome di Giulia Cecchettin perché tu possa ricompensarla di tutti quei benefici di cui è stata privata in questa vita e alle famiglie colpite da questa tragedia vicinanza e affetto da tutte le persone rette e oneste. (Padre Antonio Rungi)
Amen

ITRI. FESTA DELLA CIVITA 2021 AL SANTUARIO. ORARI

MESSE CIVITA 2021

Aggiornato il programma e l’orario delle celebrazioni al Santuario della Civita

di Antonio Rungi

Vengono pubblicate ulteriori informazioni sulla festa della Madonna della Civita che si celebra in modo solenne al santuario a lei dedicato, di proprietà dell’Arcidiocesi di Gaeta, affidato ai passionisti di Itri Civita e Città, nei giorni 20 e 21 luglio 2021. Dopo la pandemia si riprende il cammino in presenza di sempre più numerosi fedeli, devoti e pellegrini che arrivano al santuario da ogni parte d’Italia e dall’estero, anche ora che si sono riaperte le frontiere innalzate dalla pandemia.

MESSE CIVITA 2021

FESTA DELLA DONNA 2021. SPECIALE ORAZIONE DEL TEOLOGO RUNGI

festa della donna 2021
P.Rungi (Teologo passionista). Nella festa della donna 2021. Una speciale preghiera per tutte le donne del mondo. No a violenze, abusi e soprusi.
In occasione dell’annuale festa civile della donna, che si ricorda l’8 marzo, padre Antonio Rungi, teologo passionista della comunità del santuario della Madonna della Civita, in Itri (Lt), delegato arcivescovile per la vita consacrata della Diocesi di Gaeta, ha scritto un’articolata preghiera a sostegno delle donne di tutto il mondo.
L’orazione assume un particolare significato in quest’anno 2021 segnato ancora dalla pandemia. Padre Rungi fa riferimento nel suo testo alle varie problematiche attinenti alle donne di tutto il mondo: violenza, soprusi, abusi, mancanza di cibo, di lavoro, istruzione preoccupazione per il loro futuro e di quello dei lori figli e delle loro famiglie.
Padre Rungi apprezza lo stile di vita delle donne per quelle che sono e fanno e per il coraggio che dimostrano in tutte le circostanze.
Una forte denuncia arriva dal teologo passionista in merito a quanti fanno del male alle donne e restano impuniti. Persone che vanno condannate in quanto “senza amore e senza onore” che tante volte pensano di difendere rispetto ad una cultura atavica di possesso della donna a loro piacimento.
“Nessun Ciano -scrive padre Rungi – possa continuare a circolare impunemente sulla faccia della terra, specialmente se distrugge la vita di donne oneste e rette”.
Sempre nell’orazione rivolta al Signore, attraverso il modello perfetto di ogni donna, da un punto di vista cattolico; che è la Beata Vergine Maria, padre Rungi chiede a Maria che sia il baluardo e la difesa contro “le tempeste dell’odio e della violenza che si scatena in questi soggetti malati nella mente e nel cuore”, che poi uccidono ed abusano delle donne in qualsiasi età.
Sempre nella preghiera il sacerdote chiede al Signore che si superare quella cultura di ieri e di oggi che non sa “coniugare al femminile” i sostantivi della vita.
Ecco il testo competo dell’orazione che padre Rungi ha pubblicato e ha diffuso sui sociali “nella speranza -scrive – che possa essere un piccolo contributo non solo di preghiera, ma anche di riflessione e di impegno in questo giorno ricordevole dedicato alle donne definite dal teologo passionista “straordinarie persone che stanno segnando nel silenzio, nella santità, nella generosità, nel sacrifico quotidiano e nell’amore verso i propri cari la storia di questa umanità”. E a conclusione dell’orazione non poteva mancare il riferimento alle donne sante della Chiesa cattolica, molto venerate tra le donne cristiane.
Preghiera per la festa della donna 2021
di padre Antonio Rungi
Ci rivolgiamo a Te
Signore della tenerezza
e della bontà infinta,
in questo giorno di festa
per le donne di tutta la terra,
perché tu dia conforto, gioia e speranza
a queste straordinarie persone,
che stanno segnando,
nel silenzio, nella santità,
nella generosità, nel sacrificio quotidiano
e nell’amore verso i propri cari,
la storia di questa umanità.
In un tempo difficile
come questo segnato dalla pandemia,
molte donne soffrono
per i ben noti motivi
della mancanza del cibo,
del lavoro, della salute
e soprattutto per il futuro dei loro figli
e delle loro famiglie.
Signore Gesù accogli le preghiere
di tutte le donne del mondo,
di quelle che credono in Te
e di quelle che, per varie ragioni,
professano altre fedi e religioni.
Per tutte, Signore, abbi uno sguardo
d’amore e di accoglienza
di ogni legittima loro attesa e desiderio.
Allontana da questo mondo
ogni forma di offesa, violenza,
sopruso ed abuso verso le donne
di qualsiasi razza, nazione, cultura e religione.
Nessun Caino possa
continuare a circolare impunemente
sulla faccia della terra, specialmente
se distrugge la vita di donne rette ed oneste,
che hanno un cuore buono,
incapaci come sono di fare del male
ai propri carnefici e uccisori.
Maria, la Donna perfetta
che tu hai scelto
come Madre tenera e prediletta,
sia lo scudo sicuro per ogni donna della Terra,
e il baluardo certo contro le tempeste
dell’odio e della violenza
che si scatena, diabolicamente,
nel cuore di soggetti malati,
nel cuore e nella mente,
perché sono senza amore e senza onore.
Signore,
per intercessione di tutte le donne sante,
che hanno segnato la storia della cattolicità,
libera il mondo dal flagello della violenza contro le donne
e dall’abuso di ogni genere verso di loro,
siano esse in tenera età , o avanti negli anni
oppure avanzate per sapienza ed esperienza
nella vita, non facile da coniugare al femminile
sia nei tempi passati che quelli odierni. Amen.

P.RUNGI. IL COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DELLA XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

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DOMENICA XXVIII DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

DOMENICA 13 OTTOBRE 2019

Alzati e va, la tua fede ti ha salvato

Commento di padre Antonio Rungi

La liturgia della parola di Dio di questa XXVIII domenica del tempo ordinario ci offre l’occasione di riflettere in modo più circostanziato sul tema della fede.

Siamo nella scia dei testi del Vangelo di Luca di queste ultime domeniche, che ripropongono con cadenza settimanale il discorso sul credere e della potenza della fede, come è nel caso del Vangelo di oggi che ci presenta il racconto della guarigione di dieci lebbrosi, di cui solo uno torna indietro, dopo essere stato guarito per ringraziare il Signore.

E questo brano chiude proprio con l’invito di Gesù, al lebbroso guarito, quello che ha cambiato totalmente vita, di alzarsi e andare, perché la forte e convinta fede in Gesù lo aveva guarito, ma soprattutto lo aveva salvato.

Infatti, questo brano del Vangelo di Luca pone i nostri passi dentro la terza tappa del cammino che Gesù sta compiendo verso Gerusalemme; la meta ormai è vicina e il maestro chiama con ancora maggior intensità i suoi discepoli, cioè noi, a seguirlo, fino ad entrare con Lui nella città santa, nel mistero della salvezza, dell’amore.

La prima annotazione che Luca fa su Gesù è che Egli in cammino e attraversa la Samaria e la Galilea; si avvicina piano a Gerusalemme. Nel suo andare verso Gerusalemme Egli non lascia nulla di non visitato, di non toccato dal suo sguardo d’amore e di misericordia.

Continuando nella lettura del Vangelo ci viene detto che Gesù entra in un villaggio, che non ha nome e qui incontra i dieci lebbrosi, uomini malati, già intaccati dalla morte, esclusi e lontani, emarginati e disprezzati.

Tali lebbrosi Gli chiedono la guarigione. Egli accoglie subito la loro preghiera, che è un grido straziante del loro cuore e li invita ad andare a Gerusalemme e a presentarsi ai sacerdoti nel tempio. E mentre essi andavano, furono purificati. Li invita quindi a raggiungere il cuore della Città santa, il tempio, i sacerdoti. Li invita al ritorno alla casa del Padre.

E non appena ha inizio questo storico viaggio verso Gerusalemme, i dieci lebbrosi vengono risanati, vengono purificati.

A questo punto succede una cosa che Gesù fa osservare. Uno solo di loro torna indietro per rendere grazie a Gesù e per giunta fa osservare che quello che è tornato indietro è un samaritano, uno che non apparteneva al popolo eletto. A conferma che la salvezza che egli è venuto a portare è per tutti, anche per i lontani, gli stranieri. Nessuno è escluso dall’amore del Padre, che salva grazie alla fede.

Il racconto del brano del vangelo si chiude con due verbi che esprimono cammino di conversione e di rinnovamento interiore: alzarsi ed andare, ovvero risorgere. Solo la fede può farsi risorgere da una condizione di malattia dell’anima e solo la fede spinge a camminare nella vita, nonostante le difficoltà e le croci di ogni genere.

Ce lo ricorda la prima lettura di questa domenica tratta dal secondo libro dei Re, nella quale è raccontata la guarigione di Naaman il Siro, anche lui affetto da lebbra. Una volta purificato tornò dal profeta Eliseo professando la sua fede con queste parole: «Ecco, ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele”.

Di conseguenza abbandonò ogni forma di idolatria, e si mise a servire il vero ed unico Dio, rivelato a Mosè sul monte Sinai.

Anche qui riscontriamo una forte intenzione di cambiare stile di vita religiosa e quindi di attuare una vera conversione spirituale, che tende verso la manifestazione del culto divino autentico, come quello del popolo d’Israele.

La capacità di testimoniare la fede in Cristo, che ci viene dalla docilità allo Spirito Santo ci viene richiamata, poi, dall’apostolo Paolo nel breve brano della sua seconda lettera all’amico e vescovo Timoteo. In essa Paolo, maestro e compagno di viaggi, non turistici, ma apostolici e missionari,  ricorda a Timoteo che per Gesù Cristo si deve fare ogni cosa, avere il coraggio dell’annuncio, affrontare le prove della vita, subire anche le catene e lo stesso martirio, come egli stesso, sta sperimentando in quel momento.

I limiti umani, la restrizione della libertà personale, come avviene per un detenuto, nella cui condizione si trova Paolo in quel momento, essendo stato imprigionato, a causa del Vangelo, non deve incatenare la Parola di Dio, che viaggia e cammina anche tra le sbarre di un carcere o di un luogo di detenzione forzata. Infatti, lui sopporta ogni cosa “per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna”.

E poi va nel cuore delle verità di fede essenziali per la dottrina cristiana: “Se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo”. In opposizione a questo dialogo di intesa e d’amore con il Salvatore, c’è il rinnegamento, l’infedeltà che portano evidentemente la persona religiosa ad allontanarsi da Dio e a vivere senza Dio, come se Dio non esistesse.

Questo comportamento non ci aiuterà ad essere nella grazia e nell’amicizia con Cristo e quindi di sperare nella salvezza eterna.

Si tratta di un forte monito per ricordare a ciascuno di noi che la fede va vissuta, testimonianza con coraggio fino alla morte.

Naaman, il lebbroso del vangelo che torna indietro a ringraziare, Timoteo sono personaggi citati nella parola di Dio di questa Domenica, insieme al profeta Eliseo e all’Apostolo Paolo che vanno nell’unica direzione possibile, quella che dà salvezza e sicurezza, e cioè la direzione di Cristo.

Possiamo, a conclusione di queste riflessioni e considerazioni, elevare la nostra mente a Dio con la preghiera della colletta di questa domenica: “O Dio, fonte della vita temporale ed eterna, fa’ che nessuno di noi ti cerchi solo per la salute del corpo: ogni fratello in questo giorno santo torni a renderti gloria per il dono della fede, e la Chiesa intera sia testimone della salvezza che tu operi continuamente in Cristo tuo Figlio”. Amen.

P.RUNGI. RELAZIONE AL CONVEGNO “PIO IX SUL SANTUARIO DELLA CIVITA”

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ITRI – DOMENICA 7 LUGLIO 2019

CHIESA SANTA MARIA MAGGIORE 

CONVEGNO “PIO IX SUL SANTUARIO DELLA CIVITA”

RELAZIONE DI PADRE ANTONIO RUNGI 

Era il 10 febbraio 1849, verso le 9.00 del mattino, esattamente 170 anni fa, in questa chiesa, quando arrivò da Gaeta Papa Pio IX, accolto dal suono delle campane e dalla banda musicale, accompagnato dal vescovo del tempo, monsignor Luigi Maria Parisio, napoletano, ed accolto da Re Ferdinando II, dalle autorità, dal clero e da numeroso e festante popolo di Itri.

A ricevere la prima benedizione fu lo stesso Ferdinando II, che attese il Papa all’ingresso della Chiesa dell’Annunziata con il secchiello dell’acqua santa in mano.

Poi i vari atti di ossequio, secondo l’usanza del tempo, l’ingresso in Chiesa per la preghiera e la benedizione eucaristica, impartita a tutti i fedeli. Dopo di che il trasferimento al Santuario della Civita.

Noi oggi, qui, siamo per riflettere insieme sul significato, il valore storico, pastorale, teologico di questa vista e si è scelto come titolo di questo convegno “Papa Pio IX sul santuario della Civita”. Giusta affermazione, ma dire santuario della Civita era ed è come dire Itri e arcidiocesi di Gaeta, per la Madonna della Civita è la protettrice di Itri, ma anche di tutta la nostra Chiesa locale.

Non senza un motivo, inizio questo mio intervento con il riportare le parole testuali di Giovanni Paolo II, in visita all’arcidiocesi di Gaeta, 30 anni fa, il Domenica 25 giugno 1989, nella storica ricorrenza dei 140 anni della venuta di Papa Pio IX, oggi Beato, al Santuario della Civita. Non c’è due senza tre e cioè dopo Papa Pio IX e Papa Giovanni Paolo II attendiamo l’arrivo di Papa Francesco prima che si concluda questo anno ricordevole dei 170 anni di Pio IX alla Civita e di 30 anni di Giovanni Paolo II a Gaeta, alla Civita e a Formia.

1.Giovanni Paolo II disse al suo arrivo a Gaeta, nella prima mattinaa:  “Qui trovò rifugio, 140 anni fa, il mio venerato predecessore Pio IX, esule da Roma per le note vicende risorgimentali. In questa città egli emanò l’enciclica Ubi Primum che segnò il passo decisivo verso la definizione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria, avvenuta poi a Roma qualche anno dopo, l’8 dicembre 1854.

A ragione, dunque, il vostro Arcivescovo, monsignor Vincenzo Maria Farano nel rivolgermi l’invito a venire tra voi, chiama Gaeta la “città dell’Immacolata”.

2.Dopo un’ora circa al Santuario della Civita, Papa Giovanni Paolo II, con grande semplice di animo disse: “Sono venuto su questo Sacro Monte per venerare la Vergine santissima nel suo santuario della Civita, così famoso e così ricco di significato per voi, che negli occhi di Maria e nel suo volto materno cercate conforto alle sofferenze fisiche e morali. Seguendo le orme del mio predecessore Pio IX, a centoquarant’anni dalla sua visita, ho desiderato salire quassù anch’io, iniziando questa giornata, dedicata pienamente all’arcidiocesi di Gaeta, proprio da voi, membra sofferenti del Corpo Mistico della Chiesa. Eccomi, dunque, ai piedi di Maria, salute degli infermi e aiuto di tutti i cristiani. Carissimi fratelli e sorelle, ci troviamo qui, presso questo caro santuario, anima della vostra devozione a Maria. Ebbene, nel portare la vostra croce quotidiana, sappiate guardare alla Vergine santa, ed ispirarvi al suo atteggiamento di totale adesione all’opera di grazia del Signore.

3.Successivamente, alle ore 12,00 a Formia allo Stadio del Coni, prima dell’Angelus disse: “Sono lieto di recitare questa preghiera mariana nella cara arcidiocesi di Gaeta, che vanta una profonda fede e devozione verso Maria santissima.

Gaeta, infatti, è chiamata “città dell’Immacolata”. È stata la culla, potremmo dire, del dogma dell’Immacolata Concezione della beata Vergine Maria, perché qui il mio venerato predecessore, Pio IX, andò confermandosi nella definitiva decisione della proclamazione di quel dogma.

Da Gaeta il 2 febbraio 1849 emanò l’Enciclica Ubi Primum, con la quale chiedeva a tutti gli Arcivescovi e Vescovi della Chiesa di esprimere il proprio parere in merito. So con quanto amore vengono custoditi i ricordi di questo evento…Mi sono recato stamane al santuario della Madonna della Civita, in Itri, ove la santa immagine della Vergine è meta di tanti pellegrinaggi, e ivi ho incontrato gli ammalati. Da secoli folle di fedeli trovano conforto e sempre nuove ispirazioni di vita cristiana davanti alla Vergine, raffigurata nell’atto di offrire Cristo Gesù al mondo.

Tre forti affermazioni del Sommo Pontefice, di valore storico e spirituale, a conferma di quanto già era ormai assodato da tempo che il Santuario della Civita è il tempio mariano più antico al mondo, dedicato all’Immacolata.

 La prima consacrazione del Santuario, infatti, risale al lunedì di Pentecoste nel giugno 1491. Fu monsignor Francesco Patrizi (1461-1494), uomo di molta pietà e scienza, vescovo di Gaeta, a consacrare il luogo di culto, dedicato già da tempo alla Santa ed Immacolata Vergine Maria, dove i fedeli venivano a pregare la Santa Madre di Dio.

Il vescovo appoggiò il desiderio del popolo e dei fedeli di Itri che volevano una chiesa più grande e più bella. A lavoro concluso, con grande solennità, la consacrò in quel memorabile lunedì di Pentecoste del 1491, dedicandola ufficialmente alla “Santa e Immacolata Vergine Maria”.

Monsignor Patrizi, nella bolla vescovile, datata il 20 giugno, sottolinea con entusiasmo l’importanza della Chiesa della Civita, quale luogo di grande pietà e devozione da molti anni.

Tralasciamo la leggenda circa l’arrivo della Madonna al Monte Civita, ci fermiamo sul dato storico, quello che a noi interessa, maggiormente in questa sede.

Partiamo dal quadro, perché da lì nasce tutto il culto e la devozione.

Il quadro di fattura certamente orientale, bizantina, raggiunse probabilmente Gaeta portato da alcuni monaci basiliani che, fuggiti dall’oriente, andavano verso qualche convento del Lazio, nel periodo prima del mille, durante il tempo della lotta iconoclasta.

Il quadro fu lasciato ai monaci del monastero di San Giovanni in Figline, sorto al tempo di san Benedetto, alle falde del Monte Civita, che lo esposero su Monte Civita. Il monastero faceva parte dei possedimenti avuti in donazione dai duchi di Gaeta.

Tutto questo a conferma di quanto era profondo il legame tra Gaeta e Itri circa la devozione alla Madonna della Civita, la quale unisce e non divide i suoi figli, perché Maria porta a Gesù, che è centro di unione e di comunione.

Esiste un documento del 1036 non molto citato e che pure riguarda il sacello della Civita da sistemare ed assegnato ai monachi di Figline.

Un documento storico importante al riguardo, risalente al 1147, ricorda la consistente donazione fatta da un giudice notaio di Itri e da sua moglie, per restaurare la chiesetta della Madonna della Civita, già ivi esistente. Lo stesso documento riporta il nome dell’abate di san Giovanni in Figline, che si chiamava Riccardo e la notizia che la chiesetta era affidata in custodia ad un certo Fra Bartolomeo.

Dopo aver illustrato brevemente la storia del santuario, con Pio IX, saliamo con lui, idealmente al Santuario della Civita e ricostruiamo storicamente e spiritualmente quell’ascesa al Colle della Civita, per ascoltare la voce di Maria.

Partiamo da Gaeta, dal quel 2 febbraio 1849, quando Pio IX, fuggito da Roma per i noti moti rivoluzionari del 1848, in questa città firmò l’Enciclica Ubi primum nella quale egli stesso affermava:

“Abbiamo perciò pensato, Venerabili Fratelli, di scrivervi la presente Lettera per spronare la vostra esimia pietà e il vostro zelo pastorale, e per inculcarvi con ogni premura di volere, secondo il vostro prudente giudizio, indire e tenere pubbliche preghiere nelle vostre diocesi, onde il clementissimo Padre di ogni lume si degni di illuminarci con la luce del suo divino Spirito, perché in una cosa di tanta importanza possiamo prendere quella deliberazione che più risponda alla maggior gloria del suo Nome, alla lode della beatissima Vergine ed all’utilità della Chiesa militante. Desideriamo inoltre ardentemente che, con la maggiore sollecitudine possibile, vogliate farci conoscere quale sia la devozione che anima il vostro clero e il vostro popolo cristiano verso la Concezione della Vergine Immacolata, e con quale intensità mostri di volere che la questione sia definita dalla Sede Apostolica; ma soprattutto, Venerabili Fratelli, amiamo sapere quale sia in questa materia il vostro pensiero ed il vostro desiderio.

E poiché abbiamo già permesso al clero romano che, invece di quelle contenute nel comune Breviario, possa recitare le speciali ore canoniche in onore della Concezione della beatissima Vergine, recentemente composte e pubblicate, con la presente Lettera concediamo anche a voi, Venerabili Fratelli, se ciò sarà di vostro gradimento, che tutto il clero delle vostre diocesi possa recitare lecitamente e validamente le stesse ore canoniche della Concezione della santissima Vergine in uso presso il clero romano, senza che dobbiate perciò domandare il permesso a Noi o alla sacra Congregazione dei Riti. 

Non dubitiamo affatto, Venerabili Fratelli, che per la vostra particolare pietà verso la santissima Vergine Maria sarete lieti di corrispondere con ogni premura ed ogni zelo a questi Nostri desideri, e che vi affretterete ad inviarci le opportune risposte, che vi abbiamo chiesto.

In considerazione di tanti elementi di carattere storico e spirituale, si può dire che il Papa aveva espresso il desiderio di conoscere questo luogo mariano dedicato all’Immacolata.

Per cui, la visita al Santuario della Civita non fu improvvisata, ma organizzata nei dettagli.

Dopo la sosta ad Itri, di cui ho parlato prima, il Papa, con lo stesso Ferdinando II, il seguito delle autorità e dei dignitari, fatto salire su un cavallo bianco, condotto da un itrano che aveva in mano le briglia, si diresse alla volta del santuario, insieme a numerosi fedeli, cantando le litanie della Madonna.

Il Papa si commuoveva al canto di essere per lo stile musicale itrano, che alcuni anziani hanno conservato.

Arrivò verso mezzogiorno al Santuario. Qui c’erano ad accoglierlo il Cardinale Ferretti, altri vescovi di Sessa Aurunca, di Terracina -Priverno.

La foto ricordo immortala questo momento.

Il percorso fatto da Pio IX è lo stesso di quello di oggi che viene fatto per salire a piedi al santuario e cioè da Raino fino alla cima del monte Civita.

La strada regionale Civita-Farnese già esisteva, ciò che mancava era il tratto finale che dal bivio della Civita-Farnese porta al Santuario, che fu realizzato nel 1858. Arrivato al santuario il Papa si raccolse in preghiera davanti all’immagine, poi celebrò la messa, dopo di ciò fece una breve colazione, un breve riposo pomeridiano e si incamminò sulla via del ritorno ad Itri, nel primo pomeriggio.

Giunto in città sostò presso il monastero delle Benedettine. Un episodio simpatico quando il Papa fu accolto dalle Benedettine ad Itri, all’imbrunire a San Martino, alle falde della collina. Le monache aprirono la clausura ed accolsero il Papa con le candele in mano, come le vergini sagge ed eseguirono il canto del Magnificat.

Ci fu dopo anche un momento di relax nel monastero. Si racconta che ad un certo punto, Re Ferdinando disse una frase: “Mi raccomando facciamo le persone educate” indicando la tavola dei dolci preparati dalle monache.

Le monache di Itri avevano la particolarità di saper preparare i dolci, che erano conosciuti ed apprezzati in tutta la zona. Erano conosciuti come i dolci delle monache di San Martino di Itri. E come tutte le cose anche la visita di Papa Pio IX si concluse in dolcezza…“dulcis in fundo”. 

Dopo la visita di Papa Pio IX al Santuario della Civita si rafforzò in lui l’idea della proclamazione del dogma dell’immacolata, che era in fieri da diversi secoli.

Il primo ad affrontare apertamente la questione fu Sant’Agostino, nel V secolo, il quale, contro i pelagiani, sosteneva che la Madonna è stata preservata da peccato originale per una grazia speciale, concessa a lei quale Madre di Dio. In poche parole è un singolare privilegio in vista dei meriti di Cristo e della Redenzione.

Successivamente fu il Concilio di Basilea (1438-39), che pose fine a continue dispute tra favorevoli e contrari al dogma fu  strenuamente difeso da Giovanni de Contreras, detto il Segovia.

Nel 1483 Sisto IV proibiva sotto pena di scomunica ai sostenitori dell’una sentenza di tacciar di eresia i sostenitori dell’altra.

Il concilio di Trento (17 giugno 1546) confermò le disposizioni di Sisto IV, dichiarando inoltre “non essere nelle intenzioni del concilio di comprendere nel decreto relativo al peccato originale la beata e immacolata Vergine Maria, madre di Dio”.

Altri secoli d’attesa, ma intanto il culto e la devozione alla Madonna Immacolata cresceva in tutta la Chiesa cattolica, né è prova il fatto che nel 1491 già il nostro santuario è dedicato ufficialmente a questo titolo mariano.

La proclamazione del dogma 

Come arrivò a tale decisione dottrinale? Lo spiega lo stesso pontefice nella Bolla “Ineffabilis Deus”, dell’8 dicembre 1854 in cui è proclamato ufficialmente il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria.

Essendo quindi fermamente convinti nel Signore che fossero maturati i tempi per definire l’Immacolata Concezione della santissima Vergine Maria Madre di Dio, che la Sacra Scrittura, la veneranda Tradizione, il costante sentimento della Chiesa, il singolare consenso dei Vescovi e dei fedeli, gli atti memorabili e le Costituzioni dei Nostri Predecessori mirabilmente illustrano e spiegano; dopo aver soppesato con cura ogni cosa e aver innalzato a Dio incessanti e fervide preghiere; ritenemmo che non si potesse più in alcun modo indugiare a ratificare e a definire, con il Nostro supremo giudizio, l’Immacolata Concezione della Vergine, e così soddisfare le sacrosante richieste del mondo cattolico, appagare la Nostra devozione verso la santissima Vergine e, nello stesso tempo, glorificare sempre più in Lei il suo Figlio Unigenito, il Signore Nostro Gesù Cristo, perché ogni tributo di onore reso alla Madre ridonda sul Figlio. 

Perciò, dopo aver presentato senza interruzione, nell’umiltà e nel digiuno, le Nostre personali preghiere e quelle pubbliche della Chiesa, a Dio Padre per mezzo del suo Figlio, perché si degnasse di dirigere e di confermare la Nostra mente con la virtù dello Spirito Santo; dopo aver implorato l’assistenza dell’intera Corte celeste e dopo aver invocato con gemiti lo Spirito Paraclito; per sua divina ispirazione, ad onore della santa, ed indivisibile Trinità, a decoro e ornamento della Vergine Madre di Dio, ad esaltazione della Fede cattolica e ad incremento della Religione cristiana, con l’autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo, affermiamo e definiamo rivelata da Dio la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria fu preservata, per particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento, e ciò deve pertanto essere oggetto di fede certo ed immutabile per tutti i fedeli.

Quindi è verità di fede per la dottrina cattolica il privilegio, tutto proprio della Vergine Maria, “di essere stata, fin dal primo istante del suo concepimento, in vista dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, preservata immune da ogni macchia del peccato originale”.

Era l’8 dicembre 1854 quando Pio IX proclamò il dogma dell’Immacolata concezione con la bolla Ineffabilis Deus, tradotta in 400 lingue e dialetti.

Quattro anni dopo, nel 1858, l’11 febbraio, la Madonna apparendo a Lourdes a Santa Elisabetta Soubirous, nella grotta di Massabielle, si presentò con questo nome: Io sono l’Immacolata Concezione.

Da allora il culto si diffuse immediatamente in tutto il mondo, fu realizzato il primo obelisco in piazza del Gesù Nuovo a Napoli, dedicato alla Madonna Immacolata e successivamente quello di Piazza di Spagna a Roma. Congreghe, associazioni, istituzioni religiose, pubbliche e private, scuole, cappelle, chiese, parrocchie incominciarono ad intitolarsi all’Immacolata.

Il Concilio Vaticano II

E veniamo ai giorni nostri. Il Concilio Vaticano II ha confermato e meglio esplicitato il dogma dell’Immacolata concezione di Maria, in una delle costituzioni fondamentali della dottrina conciliare, che è la Lumen Gentiumn. 56:  “Nessuna meraviglia quindi se presso i santi Padri invalse l’uso di chiamare la madre di Dio la tutta santa e immune da ogni macchia di peccato, quasi plasmata dallo Spirito Santo e resa nuova creatura. Adornata fin dal primo istante della sua concezione dagli splendori di una santità del tutto singolare, la Vergine di Nazaret è salutata dall’angelo dell’annunciazione, che parla per ordine di Dio, quale « piena di grazia » (cfr. Lc 1,28) e al celeste messaggero essa risponde « Ecco l’ancella del Signore: si faccia in me secondo la tua parola» (Lc 1,38).

Il n.59, che conclude il capitolo VIII, intitolato “Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa”, riporta la formulazione del dogma così come proclamato da Pio IX: “La Vergine immacolata, preservata immune da ogni macchia di colpa originale finito il corso della sua vita terrena, fu assunta alla celeste gloria in anima e corpo e dal Signore esaltata quale regina dell’universo per essere così più pienamente conforme al figlio suo, Signore dei signori (cfr. Ap 19,16) e vincitore del peccato e della morte” (LG 59). 

Penso che un ruolo importante nella definizione e conclusione dell’iter per la proclamazione del dogma dell’Immacolata, ha avuto anche la permanenza di Pio IX a Gaeta in quegli anni difficili per la storia dello Stato Pontificio, ma soprattutto la sua visita al Santuario della Civita.

La Civita era, allora, il primo santuario dedicato alla Madonna Immacolata e fu anche il primo  e l’unico santuario in cui un Papa, oggi Beato, Pio IX, arrivò pellegrino ai piedi della Madre di Dio per chiedere lumi e sostegno spirituale nel proposito che aveva espresso, 8 giorni prima, con l’Enciclica Ubi primum.

Per cui, se giustamente Gaeta è la città dell’Immacolata, a maggior ragione possiamo affermare che l’intera arcidiocesi di Gaeta è consacrata all’Immacolata, in quanto il santuario della sua protettrice, quello della Civita, nel Comune di Itri, è il santuario di Maria, la Madre di Dio, che “fu preservata, per particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento”.

Mi piace concludere con quanto disse Paolo VI, oggi santo, a conclusione della terza sessione del Concilio Vaticano II, definendo il Cap.VIII Lumen Gentium,“un inno di lode a Maria”. E’ la prima volta – e il dirlo Ci riempie l’animo di profonda commozione – che un Concilio Ecumenico presenta una sintesi così vasta della dottrina cattolica circa il posto che Maria Santissima occupa nel mistero di Cristo e della Chiesa”.

Non a caso il Concilio Vaticano II fu chiuso l’8 dicembre 1965, solennità dell’Immacolata Concezione, un dogma che porta nel suo iter storico il nome di Gaeta, il nome di Itri e soprattutto il nome del Santuario della Civita.

Padre Antonio Rungi, passionista

Vicario episcopale per la vita consacrata dell’Arcidiocesi di Gaeta

GAETA. A TRENT’ANNI DELLA VISITA DI PAPA GIOVANNI PAOLO II ALL’ARCIDIOCESI DI GEAETA

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COMUNICATO STAMPA

GAETA. A TRENT’ANNI DALLA VISITA PASTORALE DI SAN GIOVANNI PAOLO II ALL’ARCIDIOCESI DI GAETA. VARIE INIZIATIVE PER RICORDARE LO STORICO AVVENIMENTO.

Ricorre, domani, 25 giugno 2019, il trentesimo anniversario della storica visita di Giovanni Paolo II, Papa e ora Santo, all’arcidiocesi di Gaeta. Era, infatti, domenica quel 25 giugno di 30 anni fa quando Papa Voityla arrivò a Gaeta, nella prima mattinata, per il saluto alla popolazione in piazza XIX Maggio, il successivo trasferimento in elicottero, al santuario della Civita per incontrare gli ammalati e poi il trasferimento alla stadio del Coni di Formia, per incontrare i giovani e per la preghiera dell’Angelus. Qui concludeva la prima parte della giornata. Nel pomeriggio, poi l’incontro a Gaeta in cattedrale con i sacerdoti, i religiosi, i seminaristi e i diaconi permanenti e a seguire l’incontro con i marittimi, al porto commerciale di Gaeta ed infine la solenne celebrazione della santa messa allo stadio di Gaeta, con la conclusione della visita ed i ringraziamenti.
La visita, richiesta dall’allora arcivescovo, monsignor Vincenzo Farano, fu organizzata dall’arcidiocesi di Gaeta in occasione dei 140 anni della presenza di Pio IX a Gaeta, esule da Roma, alla quale fece riferimento lo stesso Papa Giovanni Paolo II, durante la visita pastorale, affermando che fu “in questa città che Pio IX emanò l’enciclica Ubi Primum che segnò il passo decisivo verso la definizione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria, avvenuta poi a Roma qualche anno dopo, l’8 dicembre 1854”.

Per ricordare questo fausto avvenimento del trentesimo anniversario della visita di Giovanni Paolo II a Gaeta, sono state avviate, varie iniziative tra Gaeta, Itri e Formia, dove il Papa sostò in quella domenica del 25 giugno di 30 anni fa. In mattinata, domani, a Itri, alle ore 7,30 nella Chiesa dei Passionisti sarà celebrata una messa di ringraziamento, presieduta da padre Antonio Rungi, delegato arcivescovile dell’arcidiocesi di Gaeta per la vita consacrata, da padre Giuseppe Comparelli, superiore provinciale del tempo e da padre Cherubino De Feo, membro della comunità passionista del Santuario della Civita, così ppure nel corso della giornata e dei giorni successivi sono previste altre celebrazioni in varie parti. Di particolare importanza assume il convegno sul tema “Pio IX sul Santuario della Civita”, organizzato dall’Associazione di Volontariato Maria SS. Della Civita, e che si svolgerà domenica 7 luglio 2019, alle ore 18,30 nella Chiesa Santa Maria Maggiore in Itri, durante il quale sarà ricordata anche la visita pastorale di Giovanni Paolo II a Gaeta, a distanza di 30 anni.
Il convegno sarà aperto da padre Antonio Rungi, passionista,  con una sua relazione e sarà concluso dall’arcivescovo di Gaeta, monsignor Luigi Vari. Interverranno Enzo Romeo, vaticanista del Tg2, Maria Rosaria Omaggio, attrice; Gianni Letta, direttore emerito de Il Tempo. Modererà i lavori, Orazio La Rocca, giornalista originario di Itri.

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P.RUNGI. QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA- 31 MARZO 2019

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QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA

DOMENICA 31 MARZO 2019

CON L’ UMILTA’ DEL CUORE CHIEDIAMO PERDONO E RICOMINCIAMO

Commento di padre Antonio Rungi

Con la quarta domenica di Quaresima, detta della letizia entriamo nel vivo del cammino di conversione verso l’annuale Pasqua di morte e risurrezione di Cristo, ma anche della nostra risurrezione spirituale in Cristo, mediante la gioia di ritornare al Lui con tutto il cuore, pentiti, come il figliol prodigo del Vangelo di questa domenica. Si tratta di un cammino spirituale ed interiore al quale nessuno di noi può sottrarsi. Ci obbliga il nostro essere battezzati e il nostro essere consacrati alla passione, morte e risurrezione di Cristo.

Questo cammino, spero, che ognuno di voi l’abbia intrapreso da tempo. Siccome i avvicina la Pasqua 2019, se questo cammino di ritorno non è neppure iniziato, sia questo il momento favorevole per farlo, in quanto Dio ci attende a braccia aperte, fin quando non ritorniamo a Lui, come ci ricorda sant’Agostino, in una delle sue più celebri aforismi: O Signore, il mio cuore è inquieto, finché non riposa in Te”. Facciamo riposare questo nostro travagliato, agitato ed afflitto cuore nella bontà e nella tenerezza di Dio, che si fa misericordia e si fa dono per tutti noi, peccatori sinceramente pentiti e riconoscenti a Dio. Prendiamo ad esempio il pentimento del figlio prodigo che ritorna al Padre e chiede di essere nuovamente accolto nel suo cuore e nella sua casa, cioè nella sua misericordia e nella sua chiesa.

Il figliol prodigo che va via dalla casa del Padre è il peccatore che esce dalla comunione con Dio e rompe ogni legame con il Signore, in attesa del ripensamento e del ritorno.

Dio non si stanca di aspettare, fino all’ultimo istante questo ritorno al piena comunione con lui nella grazia nell’amicizia.

E lui ci attende non solo sull’uscio della chiesa, per dargli il perdono qui su questa terra, mediante il sacramento della confessione; ma lo attende sull’ingresso del paradiso, per donargli la felicità senza fine. E’ tempo di ritorno e non possiamo più attendere per convertirci tutti a Dio,

Sta a noi entrare in questo cammino di ritorno a Dio da celebrare continuamente con una forte comunione di grazia e in grazia con Lui.

Il modo per farlo è mettersi nella condizione di quel che realmente siamo: peccatori e perciò bisognosi di perdono e di misericordia di Dio.

Non illudiamo noi stessi e gli altri: siamo tutti peccatori e perciò stesso abbiamo bisogno del suo perdono.

Quel Padre attende con pazienza, ma spera sempre che il ritorno inizi davvero e lo fa scrutando l’orizzonte della storia e del mondo, scrutando l’orizzonte del nostro cuore, spesso privo di quel rosso di sera, che fa ben sperare per l’alba e l’inizio di un nuovo giorno pieno di sole e di grazia del Signore.

Facciamo nostre le parole del figlio pentito: “Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre”.

Ci vogliamo rialzare dalla nostra debolezza interiore, frutto di una mancato assorbimento dei nutrienti essenziali alla vita dello spirito, che sono la preghiera, la penitenza e la carità sincera.

Non bisogna crogiolarsi nei peccati; anzi bisogna riemergere da essi prima che sia troppo tardi, prima che si abbia toccato il fondo del disastro morale più grave.

Non dobbiamo attendere i tempi del figliol prodigo per rinsavire dalle nostre condotte non buone e immorali, oltre che malvagie. Sia ricorrente questa preghiera del cuore, che ci sprona alla conversione: “O Padre, che per mezzo del tuo Figlio operi mirabilmente la nostra redenzione, concedi al popolo cristiano di affrettarsi con fede viva e generoso impegno verso la Pasqua ormai vicina”.

E non diciamo mai, e poi mai: io sono senza peccato. Che peccato faccio o posso fare? Non dimentichiamo che nessuno di noi è senza peccato e come tali non possiamo giudicare gli altri o scagliare la pietra della condanna che uccide anche i sinceramente pentiti.

Nel cammino verso la Pasqua, ci incoraggi quanto scrive Giosuè nel suo Libro, in merito al popolo eletto: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto». La celebrazione della Pasqua a

Gàlgala al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico fu motivo per andare avanti nel cammino dell’esodo. Infatti, il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, àzzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno. E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell’anno mangiarono i frutti della terra di Canaan”. Dio premia sempre la buona volontà di ogni uomo della terra. D’altra parte nel brano della seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi, ci vengono ricordati alcuni concetti teologici di base: se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove. Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Siamo, dunque, ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Noi siamo i portavoce  di Dio, i trombettieri dell’Altissimo, i maestri di musica divina che fanno cantare perfettamente i coristi di quanti credono in Dio. Facciamo sì che questa gioia di vivere e testimoniare il vangelo arrivi attraverso di noi ai nostri fratelli vicini e lontani.

 

LA PREGHIERA A SAN PAOLO DELLA CROCE SCRITTA DAL TEOLOGO RUNGI

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Preghiera a San Paolo della Croce
Composta da padre Antonio Rungi

O ardente apostolo di Gesù Crocifisso,
ci rivolgiamo a te, o San Paolo della Croce, 
fondatore dei Passionisti,
perché dall’Amore Crocifisso,
per il Quale hai vissuto tutta la tua vita,
otteniamo pace, misericordia e perdono.

Dal cielo, dove contempli in eterno
il tuo Amore messo in Croce,
volgi lo sguardo alla tua famiglia religiosa,
perché possa continuare a vivere
il carisma della Passione,
con l’entusiasmo e la gioia di sempre
e di offrire la propria vita alla causa del vangelo.

Padre Santo
assisti quanti sono in cerca della verità,
della giustizia e della pace del cuore,
che possono raggiungere, nell’umiltà,
ai piedi della Croce di Gesù.

Benedici quanti operano
a servizio dei tanti crocifissi,
abbandonati nelle diverse nazioni del mondo,
senza alcun diritto riconosciuto
e offesi nella loro dignità di persone umane,
sempre più bisognose del buon samaritano.

A piedi della croce
e alla scuola di Maria Santissima Addolorata,
facci comprendere, o San Paolo,
cosa significa davvero amare Dio e i fratelli,
salendo con Gesù il Calvario della sofferenza,
dell’amore e della donazione.

Noi vogliamo essere, come te, Paolo della Croce,
figli della Passione, che portano nel cuore e sul petto,
i segni della morte e risurrezione del Signore,
capaci di trasformare questo mondo,
annunciando all’uomo dei nostri giorni
l’opera più stupenda dell’amore Dio,
che è la Passione di nostro Signore Gesù Cristo.
Amen.

*********************************************
A 150 anni dalla Canonizzazione
di San Paolo della Croce
1867—29 giugno—2017

P.RUNGI. IL COMMENTO ALLA XXVIII DOMENICA T.O- 15 OTTOBRE 2017

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XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
Domenica 15 ottobre 2017

Tutti siamo invitati alle nozze dell’amore di Dio nel tempo e nell’eternità.

Commento di padre Antonio Rungi

 

La parola di Dio di questa domenica XXVIII ci invita, nel Vangelo, a prendere parte alle nozze dell’Agnello, alle quali siamo tutti inviati, in modo degno, ben preparati, con le vesti spirituali ed interiori idonee, quelle che veramente contano per entrare a far parte di coloro che amano Dio e lo vogliono seguire sulla strada della carità. Possiamo ben dire che tutti siamo inviarti alle nozze dell’amore di Dio per l’umanità, intorno a quel banchetto che ha preparato il Signore per noi, rivolgendo il suo invito a determinate categorie di persone, quelle che più degli altri hanno bisogno di prenderne parte. La parabola del Vangelo di Matteo di questa domenica ci aiuta a comprende se siamo preparati o meno ad entrare nella sala delle nozze, dove Gesù ci aspetta per condividere con noi la sua festa, che è anche la nostra festa. Tale banchetto nuziale può indicare tante cose spirituali, ma a mio avviso ne indica una precisa, ed è il banchetto eucaristico, al quale possiamo partecipare se abbiamo quella veste nuziale che è la grazia santificante. Grazia che ha origine nel battesimo e che coltiviamo nel tempo vivendo una vita cristiana, soprattutto al livello sacramentale, degna di essere chiamata tale. L’immagine delle nozze che Gesù usa per presentare ai capi dei  sacerdoti e ai farisei la natura del suo regno è emblematica. Dio, il Re della parabola, organizza la festa nuziale per il suo figlio, Gesù Cristo, ed invita chi ha scelto di far partecipare a questo convito e succede che nessuno si presenta. Ci riprova una seconda volta e gli invitati non accolgono l’invito e, addirittura, ognuno va per la propria strada e cura i suoi affari. Alla fine visto la poca disponibilità degli invitati scelti, manda i suoi servi per le strade e invita tutta la gente a prendere parte al banchetto, buoni e cattivi e la sala si riempì. Vi entrano, quindi, tutti i degni e i meno degni, tanto è vero che “il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Si comprende questa dura decisione del Signore, il Re, di escludere dalla partecipazione al banchetto del regno, che è il banchetto dell’amore chi non ha la veste della purezza, della santità, dell’innocenza, della conversione. Il riferimento alla condanna eterna di chi non si converte all’amore di Dio è qui chiaro. La persona che entra senza l’abito nuziale, senza la veste distintiva dell’appartenenza a Dio non è solo il battesimo, ma il battesimo vissuto e concretizzato con una vita di fede, speranza e carità. La conclusione e il messaggio finale della parabola, diremo la morale della favola, è comunicata direttamente da Gesù che presenta questo racconto: “Molti sono chiamati, ma pochi eletti”. Per confermare che la salvezza eterna è rivolta a tutti, nessuno è escluso preventivamente dal banchetto eucaristico ed eterno, ma alcuni o molti si autoescludono perché non vivono nell’amore di Dio, non fanno comunione con i fratelli e vivono nell’odio più pieno, nell’egoismo più totale, concentrati sui beni materiali, sugli interessi e soddisfazioni terreni. Chi vive in questo modo non potrà mai capire pienamente, quanto scrive il profeta Isaia, nel brano della prima lettura di questa XXVIII domenica del tempo ordinario dell’anno liturgico. Uno dei testi, a mio avviso, tra i più belli, tra i più rasserenanti, tra i più significativi che aprono il cuore alla speranza in questo mondo e soprattutto nell’eternità: “Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra”. Un testo che ben conosciamo in quanto è inserito nella liturgia esequiale e soprattutto nella commemorazione annuale dei fedeli defunti, quando ricordiamo a noi stessi che siamo pellegrini sulla terra e che ci aspetta la nostra sorella morte, che non è l’ultima parola della vita dell’uomo. Infatti, il mistero della risurrezione di Gesù ci aiuta ad entrare nel mistero della nostra definitiva risurrezione finale. E anche se oggi soffriamo per la morte dei cari e se abbiamo paura e preoccupazione per la nostra sorte finale, ci serva di aiuto quello che abbiamo letto del profeta Isaia: “Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto”. Quante volte il nostro volte si è bagnato di lagrime per il dolore e la sofferenza personale, per la sofferenza che emerge da tante situazioni di questo mondo e soprattutto in occasione della perdita dei nostri cari? Non per consolarci, ma semplicemente per prendere atto della nostra vita che è fatta di gioie e di croci, penso che questa parola possa davvero aprire il nostro cuore alla speranza e alla serenità, quella che sarà piena nell’eternità. Ci aiuta in questo discorso il significativo brano della lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi, nel quale troviamo espressioni di conforto e di maturazione spirituale, difficilmente riscontrabile in altri santi: “Fratelli, so vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza”. Gesù è la sua forza spirituale interiore per affrontare ogni prova della sua vita, così difficile per tanti aspetti, ma pure vissuta totalmente a servizio del Vangelo. Perciò conclude con queste meravigliose espressioni: “Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni. Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù”. Sentire Dio come suo è davvero qualcosa di importante per Paolo e per tutti i cristiani. Quanti sentono Dio davvero come unica vera gioia, felicità e ricchezza della propria vita? C’è molto da chiedersi e domandare e con il salmo 22, possiamo dire, con sincerità del cuore e corrispondenza di vita: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Rinfranca l’anima mia. Mi guida per il giusto cammino a motivo del suo nome. Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza. Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici. Ungi di olio il mio capo; il mio calice trabocca. Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, abiterò ancora nella casa del Signore per lunghi giorni”. Impegno di vita per tutti noi cristiani è proprio questo inno di lode al Signore che abbiamo elevato con il salmo responsoriale e che completiamo con la colletta di questa domenica:  “O Padre, che inviti il mondo intero alle nozze del tuo Figlio, donaci la sapienza del tuo Spirito, perché possiamo testimoniare qual è la speranza della nostra chiamata, e nessun uomo abbia mai a rifiutare il banchetto della vita eterna  o a entrarvi senza l’abito nuziale. Amen.

COMMENTO ALLA SOLENNITA’ DELL’IMMACOLATA 2016

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SOLENNITA’ DELL’IMMACOLATA – 8 DICEMBRE 2016

TUTTA BELLA SEI MARIA, MADRE DELLA PUREZZA E DELLA TENEREZZA

Commento di padre Antonio Rungi

Tutta bella sei Maria, macchia di peccato non è assolutamente in te, per un singolare privilegio che il Signore ha riservato a te, umile ancella, in vista della nascita del Redentore. Proprio perché sei senza peccato originale e lontana da ogni altro peccato, tu per noi sei la madre della purezza e della tenerezza ed oggi, solennità del tuo immacolato concepimento, noi ringraziamo il Signore per questo privilegio che il cielo ti ha donato, per Gesù, per te e per tutti noi.

L’antica antifona che caratterizza la solennità dell’Immacolata concezione, come Maria la Tutta bella, è un forte invito a riflettere oggi sul dogma dell’Immacolata, proclamato da Pio IX nel 1854 e trarre da esso una forte spinta a rinnovarsi nella vita e a cercare di essere sempre più purificati nell’anima e nel modo di comportarci. Scrive Papa Francesco: “La festa dell’Immacolata Concezione esprime la grandezza dell’amore di Dio. Egli non solo è Colui che perdona il peccato, ma in Maria giunge fino a prevenire la colpa originaria, che ogni uomo porta con sé entrando in questo mondo. E’ l’amore di Dio che previene, che anticipa e che salva. L’inizio della storia di peccato nel giardino dell’Eden si risolve nel progetto di un amore che salva. Le parole della Genesi riportano all’esperienza quotidiana che scopriamo nella nostra esistenza personale. C’è sempre la tentazione della disobbedienza, che si esprime nel voler progettare la nostra vita indipendentemente dalla volontà di Dio. E’ questa l’inimicizia che attenta continuamente la vita degli uomini per contrapporli al disegno di Dio. Eppure, anche la storia del peccato è comprensibile solo alla luce dell’amore che perdona. Il peccato si capisce soltanto sotto questa luce. Se tutto rimanesse relegato al peccato saremmo i più disperati tra le creature, mentre la promessa della vittoria dell’amore di Cristo rinchiude tutto nella misericordia del Padre. La parola di Dio di questa solennità non lascia dubbi in proposito. La Vergine Immacolata è dinanzi a noi testimone privilegiata di questa promessa e del suo compimento”. Ed aggiunge: Nella festa dell’Immacolata, contemplando la nostra Madre tutta bella, riconosciamo anche il nostro destino più vero, la nostra vocazione più profonda: essere amati, essere trasformati dall’amore, essere trasformati dalla bellezza di Dio. Guardiamo lei, nostra Madre, e lasciamoci guardare da lei, perché è la nostra Madre e ci ama tanto; lasciamoci guardare da lei per imparare a essere più umili, e anche più coraggiosi nel seguire la Parola di Dio; per accogliere il tenero abbraccio del suo Figlio Gesù, un abbraccio che ci dà vita, speranza e pace”.

Nell’immacolato concepimento della Madonna, comprendiamo meglio quanto scrive san Paolo Apostolo nella sua lettera agli Efesìni, riguardo la nostra dignità di figli di Dio e quanto Dio ha fatto e continua a fare per noi. In un inno cristologico, tra i più belli scritti dall’Apostolo delle Genti, noi meditando attentamente su queste parole ci sentiamo benedetti, amati, indirizzati verso la gloria del cielo, dove abbiamo la nostra stabile e definitiva dimora, essendo eredi, mediante Gesù Cristo, del Paradiso.

Maria ci aiuta ad entrare nella logica della gloria e dell’onore, che passa attraverso la purificazione da ogni peccato, che può contaminare la nostra vita e rendere più difficile il possesso del paradiso.

Maria in tale regno di luce vi è entrata per i meriti di Gesù, essendo scelta quale Madre del Figlio di Dio, e vi è entrata anima e corpo con la sua assunzione al cielo. Pura da sempre, per sempre non poteva non essere la prima dei viventi di questa terra ad avere accesso diretto nel Regno del suo Figlio.

Ecco perché, oggi, la parola di Dio ci sprona a guardare a Maria come modello di ogni perfezionamento della propria vita nell’orizzonte di Dio. Lo possiamo comprendere tutto questo in ascolto del testo del vangelo di questa solennità che ci riporta al momento dell’Annunciazione.

Maria dubbiosa di come potesse nascere nel suo grembo il Figlio di Dio, dal momento che non conosceva uomo, alla fine si affida completamente a Dio, confida in Lui e si fida di Lui.

Il miracolo della vita, con il suo Fiat, avviene proprio in quell’istante. Maria entra con la sua piena adesione nel progetto di Dio di salvare l’umanità, dopo la caduta nel paradiso terrestre, dove un’altra donna, Eva, aveva, insieme ad Adamo contravvenuto alla legge divina, avviandosi così ad un destino di miseria morale e spirituale, dalla quale Gesù ci salverà, con la disponibilità di Maria ad accogliere nel suo grembo verginale, proprio il salvatore dell’umanità.

Con Papa Francesco, in questo giorno di luce, splendore, bellezza, purezza e tenerezza eleviamo al Signore, mediante la Tutta Bella, la Vergine santissima Immacolata, questa preghiera modificata per le nostre esigenze spirituali ed adattata a questa solennità dell’Immacolata 2016.

 

O Maria, Madre nostra,

oggi noi tutti siamo in festa per Te

e ti veneriamo come Immacolata,

preservata da sempre dal contagio del peccato.

 

Accogli l’omaggio che ti offriamo

a nome della Chiesa che è nel mondo intero.

 

Sapere che Tu, che sei nostra Madre,

sei totalmente libera dal peccato

ci dà grande conforto.

Sapere che su di te il male non ha potere,

ci riempie di speranza e di fortezza

nella lotta quotidiana che noi dobbiamo compiere

contro le minacce del maligno.

 

Ma in questa lotta non siamo soli, non siamo orfani,

perché Gesù, prima di morire sulla croce,

ci ha dato Te come Madre.

Noi dunque, pur essendo peccatori,

siamo tuoi figli, figli dell’Immacolata,

chiamati a quella santità che in Te risplende

per grazia di Dio fin dall’inizio.

 

Animati da questa speranza,

noi oggi invochiamo la tua materna protezione per noi,

per le nostre famiglie,

per le nostre Città, per il mondo intero.

 

La potenza dell’amore di Dio,

che ti ha preservata dal peccato originale,

per tua intercessione liberi l’umanità

da ogni schiavitù spirituale e materiale,

e faccia vincere, nei cuori e negli avvenimenti,

il disegno di salvezza di Dio.

 

Fa’ che anche in noi, tuoi figli, la grazia prevalga sull’orgoglio

e possiamo diventare misericordiosi

come è misericordioso il nostro Padre celeste.

 

In questo tempo che ci conduce

alla festa del Natale di Gesù 2016,

insegnaci ad andare controcorrente:

a spogliarci di noi stessi, ad abbassarci,

a donarci, ad ascoltare, a fare silenzio,

a decentrarci dal nostro egoismo,

per lasciare spazio alla bellezza di Dio,

riflessa soprattutto in Te, Vergine Madre

Madre della purezza e della tenerezza. Amen.