Pandemia
P.RUNGI. LA DOMENICA DELLA PAROLA DI DIO – 23 GENNAIO 2022
III Domenica del Tempo Ordinario – Anno C
Domenica 23 gennaio 2022
Una Parola, quella di Dio, che deve trasformare la vita
Commento di padre Antonio Rungi
Si celebra oggi la terza Domenica del Tempo Ordinario dell’anno liturgico denominata da qualche anno da Papa Francesco come la domenica della Parola di Dio.
Il motivo di questa indicazione sta nel fatto che noi, come cristiani e cattolici, dobbiamo partire dalla parola di Dio nella nostra esperienza spirituale, umana, sociale. La parola di Dio, infatti, accompagna il cammino di ognuno di noi verso l’incontro quotidiano e soprattutto festivo con il Signore, in particolare nella celebrazione eucaristica, ma anche nella liturgia della parola che si può svolgere benissimo anche al di fuori della Santa Messa.
Non a caso è proprio la parola di Dio che guida la nostra riflessione ogni domenica. E dal Vangelo che partiamo in questa nostra riflessione domenicale.
L’evangelista Luca si mette a scrivere, in quanto molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a loro circa l’operato di Gesù Cristo. Avvenimenti così come furono trasmessi da coloro che ne furono i testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della parola. Volendo ampliare tali conoscenze, Luca decide di fare ricerche più accurate su ogni circostanza che fin dagli inizi riguardavano Gesù e di scriverne, poi, un resoconto ordinato, indirizzando il tutto al suo amico Teofilo. Tale scritto doveva servire a lui in modo da potersi rendere conto della solidità degli insegnamenti che aveva ricevuto.
In poche parole nell’introdurre il suo Vangelo, San Luca fa riferimento a quello che è stata la trasmissione orale di quanto Gesù ha fatto nel corso della sua vita, alla presenza dei suoi discepoli, che furono i testimoni oculari.
Dopo questa introduzione, saltando il racconto della nascita di Giovanni Battista e di Gesù, il testo del vangelo di oggi passa direttamente al capitolo quarto, nel quale è raccontato quello che Gesù faceva lungo il suo peregrinare in Galilea e soprattutto nella sinagoga di Nazareth. A man mano che Gesù camminava e catechizzava, con la potenza dello Spirito Santo che era su di Lui, la sua fama cresceva dovunque. Per cui era conosciutissimo, era un personaggio pubblico ed un maestro accreditato, al punto tale che molti ne tessevano le sue lodi. In altre parole apprezzavano quello che egli trasmetteva attraverso l’insegnamento che offriva nelle sinagoghe.
Dopo varie stazioni sinagogali arriva al suo paese di residenza e cioè a Nazareth dove come dice l’evangelista Luca “era cresciuto e secondo il solito, come era prassi per tutti gli ebrei, il sabato egli entrò nella Sinagoga e si alzò a leggere. Appena egli si alzò in piedi per la lettura, gli fu dato il rotolo del profeta Isaia. Tale rotolo non fu scelto da lui, come fa notare san Luca.
Il primo gesto che fece Gesù fu quello di aprire il rotolo. Nell’aprirlo si trovò di fronte al brano dove c’era scritto “lo spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annunzio a proclamare per i prigionieri la liberazione e ridare ai ciechi la vista, come pure a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore”. Gesù si trova, quindi, di fronte al testo della proclamazione dell’anno giubilare e come ben sappiamo l’anno giubilare era si celebrava ogni 50 anni.
Durante quest’anno si facevano tale cose per la propria purificazione e conversione, a partire dalla restituzione di tutto ciò che era in debito verso gli altri. Si praticava, poi, il digiuno, la penitenza, ma si faceva anche festa.
Gesù è qui indicato come annunciatore della liberazione, al punto tale che Egli, una volta letto il rotolo di Isaia e consegnatolo all’inserviente, si andò a sedere al suo posto. “Nella Sinagoga, scrive Luca – che gli occhi di tutti erano fissi su di lui” per vedere cosa facesse. Gesù come tutti quanti si mette a meditare sulla parola proclamata, non scappa via, non fugge, ma resta lì. Gesù vedendo che era al centro dell’attenzione prese di nuovo la parola e ed affermò con coraggio ed autorità: “Oggi si è compiuta questa scrittura che voi avete ascoltato con i vostri orecchi”.
Gesù a ben ragione si identifica con il Messia, come il liberatore, come colui che era atteso da secoli dal popolo eletto e che in quel momento può dirsi realizzato. Non è arroganza, né superbia la sua, né tantomeno megalomania, ma è semplicemente è una comunicazione della sua vera identità di Messia a chi aveva sviluppato in se stesso una fede in Gesù. Si tratta di un’altra epifania di Cristo come Salvatore.
Gesù, quindi con questo commento non fa altro che confermare che ormai il passato è alle spalle e con lui inizia la storia della salvezza che verrà portata a compimento nella sua morte, risurrezione e ascensione al cielo.
Con la Pentecoste lo Spirito Santo sarà inviato sugli apostoli i quali continueranno l’opera di Cristo stesso mediante l’impegno missionario, finalizzato alla diffusione del messaggio cristiano in ogni angolo della terra.
Oggi, possiamo ben dire che a distanza di 2022 anni dalla venuta di Gesù sulla terra, la chiesa da lui istituita è impegnata proprio in quest’opera di evangelizzazione, nonostante le difficoltà dovute alla pandemia, ma anche ad altri problemi del mondo attuale.
Molti cristiani per questo motivo si sono allontanati dalla partecipazione alla messa festiva e quindi non ascoltando più dal vivo la parola di Dio. Di conseguenza si inaridiscono spiritualmente, in quanto la parola di Dio è alimento per la nostra vita interiore.
Come recuperare l’attenzione verso la parola del Signore? Cosa dobbiamo fare sull’esempio di Cristo?
Dobbiamo impegnarci nell’ascolto della parola e nella proclamazione di essa con l’essere missionari e testimoni di speranza, di gioia, di pace di solidarietà ovunque ci troviamo.
Dobbiamo essere pure noi portatori di speranza e portare il lieto annuncio ai poveri, proclamare la libertà da ogni forma di schiavitù e non soltanto dalla prigionia fisica che limita la libertà personale in seguito a reati commessi. Dobbiamo ridare la vista ai ciechi, nel senso che non avendo potere di fare miracoli, possiamo pregare e intercedere per tutti coloro che sono nel e nelle varie necessità. Dobbiamo fare ogni sforzo per dare la possibilità ad ogni essere umano di fare esperienza di vera liberazione, che non è soltanto la libertà nel fare ciò che ci piace, senza alcun limite morale, ma è capacità di aiutare i fratelli a distaccarsi da tutto ciò che li rende schiavi, soprattutto del peccato, che pone sotto il dominio di satana e prigionieri del male.
In questo ambito di riflessione teologica e biblica ci aiuta il testo della seconda lettura di questa domenica, tratto dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi, nella quale leggiamo testualmente: “Come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito”. Bisogna convergere nell’unità del corpo mistico di Cristo che è la chiesa, che non è una pia intenzione o un desiderio del cuore, ma uno stile di vita che produce di fatto effetti comunionali e non divisionali. Nell’ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani questo messaggio va accolto con la disponibilità di tutti i cristiani a fare un cammino di comunione intorno a Cristo e alla sua parola. E per raggiungere questo scopo ci può essere di aiuto quello che leggiamo oggi nella prima lettura della parola di Dio in cui è spiegata la liturgia della proclamazione dei testi sacri al tempo di Neemia. Ascoltare la parola è fare frutti di vita, pace, gioia e comunione. Faccio nostro tale invito nel giorno dedicato al Signore, la Domenica: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete! Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza». Quando la parola di Dio prende il cuore suscita sentimenti di bontà, tenerezza, conversione e perché no, anche di pentimento e di rinascita interiore. Non a caso nel libro di Neemia oggi leggiamo che tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge. Magari la parola di Dio muovesse il nostro cuore al pianto, a pentimento e al perdono fraterno e reciproco. I cristiani tutti, con le varie esplicitazioni, dovrebbero dopo tanti secoli di divisioni chiedersi perdono e intorno a Cristo ricostruire la Chiesa nell’unità e nella pace. Speriamo che questo posso avvenire nei prossimi anni o decenni.
La riflessione di padre Antonio Rungi sull’attuale situazione della pandemia
LA RIFLESSIONE DI PADRE RUNGI PER L’EPIFANIA 2022
Epifania del Signore
6 Gennaio 2022
L’arrivo dei Magi alla grotta di Betlemme
Commento di padre Antonio Rungi
Oggi ricordiamo nella liturgia l’arrivo dei Magi a Betlemme e come viene menzionato nel vangelo di Matteo della messa del giorno dell’Epifania “alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo».
Chi erano i magi? Tutti abbiamo da piccoli avuto la spiegazione di questi personaggi biblici che non erano altro che sacerdoti orientali, osservatori delle costellazioni, dei veri scienziati e scrutatori dei cieli, che sono classificati come astronomi e filosofi Appartenenti alla casta sacerdotale persiana erano sapienti venuti dall’Oriente.” I Re Magi, venivano – come alcune fonti storiche accreditate ci attestano – dalla Persia. Altrettanto certo vi è un legame molto stretto fra le due culture e religioni: l’ebraismo e lo zoroastrismo. Tra l’altro, va ricordato che all’epoca era presente in Persia una forte comunità ebraica, derivante dalla Diaspora Babilonese.
D’altra parte non possiamo dimenticare che la lingua più parlata in Palestina, a seguito proprio della diaspora e del rientro di un folto numero di ebrei (396 a.C), era l’aramaico, lingua di origine persiana, parlata dallo stesso Gesù.
In merito a questi misteriosi personaggi, abbiamo una testimonianza d’eccezione, quella del navigatore ed esploratore Marco Polo che nel 1270 viaggiando nella zona della Persia relazionava in merito a tale fatto: “In Persia c’è una città che si chiama Saba, dalla quale partirono i tre Re che andarono ad adorare Dio quando nacque. In questa città sono seppelliti i tre Magi in una bella sepoltura, e sono rimasti ancora tutti interi, con barba e con i capelli. Uno si chiamava Beltasar, l’altro Gaspar, il terzo Melquior. Marco Polo domandò più volte agli abitanti di quella città di quei tre re: nessuno gli seppe dire nulla, se non che erano seppelliti lì da molto tempo”.
Sempre relativamente ai Magi, è ricordato che nel XII secolo, dopo la guerra condotta da Federico Barbarossa contro il comune di Milano, il cancelliere imperiale Rainaldo di Dassel decise di sottrarre alla città lombarda il suo tesoro più prezioso: i corpi santi dei tre Magi. Le spoglie mortali erano conservate in un sarcofago nella basilica di Sant’Eustorgio e l’arcivescovo li fece trasferire nella cattedrale di Colonia, dove tuttora si trovano.
I corpi dei Magi erano giunti a Milano nel lontano 345, quando Sant’Eustorgio li portò con sé da Costantinopoli. Solo nel 1903 vi ritornarono, anche se non “completamente”. Furono restituite le reliquie di due fibule, una tibia e una vertebra. Queste sono collocate accanto alla loro presunta tomba, posta nel transetto della basilica romanica di Sant’Eustorgio, e più precisamente nella cosiddetta “cappella dei Magi”.
Per risalire ai nomi dei Re Magi, bisogna ricorrere a uno dei vangeli apocrifi, quello dell’Infanzia Armeno, che ci dice: “I re magi erano tre fratelli: il primo Melkon, regnava sui persiani, il secondo, Balthasar, regnava sugli indiani, e il terzo, Gaspar, possedeva il paese degli arabi. Essendosi uniti insieme per ordine di Dio, arrivarono nel momento in cui la vergine diveniva madre”.
Sempre nel Vangelo apocrififo detto Arabo dell’Infanzia, si legge testualmente: “Dei Magi vennero a Gerusalemme, come aveva predetto Zaratustra, portando con sé dei doni”.
Tra l’altro, bisogna dire che i loro nomi non sono casuali: Melchiorre sarebbe il più anziano e il suo nome stesso deriverebbe da Melech, che significa Re; Baldassarre deriverebbe da Balthazar, mitico re babilonese, quasi a suggerire la sua regione di provenienza; Gaspare, per i greci Galgalath, significa signore di Saba.
Culture che s’intrecciano, biografie che si uniscono, tutte nella contemplazione di Gesù Bambino.
Ritornando al testo del Vangelo, quello riconosciuto e ispirato, scritto dall’evangelista Matteo che oggi accompagna la celebrazione della parola di Dio nella solennità dell’Epifania, sappiamo che questi tre saggi, sapienti appena giunti a Gerusalemme si rivolsero al Re Erode, il quale quello che aveva riferito della nascita del Re dei Giudei “restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo”. Venuto a conoscenza della nascita del suo successore e per lui usurpatore, si informò accuratamente. Gli studiosi della scrittura citavano i testi dei profeti che avevano da secoli annunciato il futuro Messia di Israele, indicando il villaggio della nascita di Lui: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta. Pur essendo una piccola realtà abitativa, circa 1000 abitanti al tempo di Gesù, essa viene esaltata dai profeti, per il fatto che proprio in essa inizierà una storia che cambierà le sorti dell’umanità: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele». Chiaro riferimento alla nascita di Gesù Bambino.
Il successivo intervento da parte di Erode il Grande, fu quello di chiedere, segretamente, ai Magi, il tempo preciso in cui avevano visto sorgere la stella che li conduceva a Betlemme. Per accertarsi della veridicità dell’informazione li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Una strana richiesta quella di Erode. Aveva tutto il potere e tutti gli strumenti di bloccare i Magi in Gerusalemme, accertarsi direttamente su quanto da essi avevano narrato, ed invece autorizza quel pellegrinaggio dei Magi verso Betlemme, che da Gerusalemme distava e dista circa 10 Km, percorribili oggi in mezz’ora di viaggio, mentre al tempo dei Magi con cammelli e dromedari ci voleva qualche oretta di viaggio in assoluta tranquillità.
Tutto questo racconto fa pensare chiaramente al mistero della manifestazione di Gesù Cristo a tutto il mondo, quale salvatore e redentore, senza esclusioni di persone, culture, religioni, razze e provenienze.
Non a caso si dice Pasqua-Epifania e in questo giorno nella liturgia si legge l’annuncio della Pasqua, che quest’anno 2022 si celebra domenica 17 aprile e indica la struttura temporale di tutto l’anno liturgico con le varie ricorrenze e celebrazioni più importanti per la cristianità.
Riornando al testo del Vangelo, i Magi avuto il permesso di circolare, il visto d’ingresso, con passaporto verbale della loro identità o forse anche con qualche documento scritto, partirono alla volta di Betlemme. “Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”.
Sta tutto in questo racconto la celebrazione dell’Epifania del Signore che chiaramente, al dà della storia, della leggenda, dice una cosa molto importante ai credenti e cristiani di oggi e di sempre.
La parola “Epifania”, dal greco antico, ἐπιφαίνω, epifàino (“mi rendo manifesto”), significa, infatti, “mostrare”, e come verbo riflessivo significa “mostrarsi”.
Per noi cristiani è la solennità che vede protagonisti – oltre, ovviamente la Sacra Famiglia – i Re Magi, questi misteriosi “personaggi”, venuti dall’Oriente.
E’ il solo Vangelo di Matteo a raccontarci di questo evento messianico. Questo, si limita a parlare di “alcuni” Magi, senza precisarne il numero.
Gli unici “numeri” citati sono quelli in riferimento ai doni per il Bambino Gesù: oro, incenso e mirra.
Leggiamo infatti nel vangelo dell’Epifania che “nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo».
Se vogliamo sintetizzare in poche parole la festa di oggi, il suo significato religioso, spirituale e soteriologico, lo possiamo trovare nella preghiera della colletta della messa di questo giorno, nella quale preghiera con queste parole: “O Dio, che in questo giorno, con la guida della stella, hai rivelato alle genti il tuo Figlio unigenito, conduci benigno anche noi, che già ti abbiamo conosciuto per la fede, a contemplare la bellezza della tua gloria”.
L’Epifania è contemplazione di Cristo Salvatore, mediante la fede; è testimonianza di Cristo mediante l’amore, espresso dai doni dei Magi; è speranza nella salvezza finale che per tutti si realizzerà a conclusione del nostro pellegrinaggio terreno.
Come i Magi dall’Oriente, ognuno di noi deve uscire dalle presunte sicurezze e certezze, come ci ha fatto capire la pandemia, per incamminarci sulla strada di Dio, condotti come i Re Magi da una stella sicura e certa che mai scomparirà, anche se siamo in pieno giorno o immersi nelle notti più buie della nostra esistenza, fatta di sofferenza e peccati. E questa stella cometa si chiama Cristo. Incontrarlo davvero nel profondo del nostro cuore è la vera salvezza terrena ed eterna per ciascuno di noi e per il mondo intero, che brancola ancora oggi nel buio e non solo a causa della pandemia, ma per altri e più gravi problemi che allontano l’umanità da Dio e dal vero ed eterno Paradiso.
P.RUNGI. TEMPO DI AVVENTO, TEMPO PER VACCINARSI. LE BEATITUDINI DEGLI ITALIANI IN TEMPO DI PANDEMIA
ITRI (LT). Le beatitudini degli italiani in tempo di pandemia
Tempo di Avvento, tempo per vaccinarsi
In occasione dell’inizio dell’Avvento, padre Antonio Rungi, teologo passionista, rivolge a tutti gli italiani un caloroso appello a tradurre in vita concreta il vangelo della carità e della solidarietà, come quello che si ascolta in preparazione all’annuale solennità del Santo Natale. Tempo di Avvento, quindi tempo per vaccinarsi in tutti i sensi.
Si tratta di una riflessione su alcuni temi di grande attualità che il teologo passionista della comunità di Itri-Santuario della Civita proporne in questo tempo di pandemia. Sono dieci le beatitudini che il sacerdote indica come cammino sinodale e natalizio dei cittadini italiani in questo difficile momento della storia dell’Italia e del mondo.
1.Beato quell’italiano che prende a cuore le sorti dei suoi connazionali e sente il dovere di vaccinarsi, per il bene di se stesso e degli altri.
2.Beato quell’italiano che difende il lavoro proprio e quello altrui non ponendo ostacoli alla prevenzione e cura della salute per contrastare qualsiasi chiusura.
3.Beato quell’italiano attento alla voce della scienza, della medicina e della politica, se veramente libera, che mette in pratica tutti i consigli sanitari.
4.Beato quell’italiano che non discute sul se e sul ma, ma comprende e si adegua alle esigenze della nazione italiana.
5.Beato quell’italiano che ha a cuore di salvare fede, tradizioni e relazioni umane e sociali in occasione del Natale 2021 e per i prossimi 100 anni.
6.Beato quell’italiano che governa, amministra e svolge ruoli ed uffici di valenza sociale in modo saggio, oculato, rispettoso delle leggi e della dignità di ogni persona umana.
7.Beati tutti quegli italiani che dall’inizio della pandemia hanno preso seriamente a cuore la salute ed il bene dei cittadini usando tutti gli accorgimenti necessari per difendere i più deboli e fragili da questo virus mortale.
8.Beati noi tutti italiani di questo splendido Paese, benedetto da Dio, protetto dal cielo e curato con materna cura da Maria, Madre di Dio, salute degli infermi e nostra ausiliatrice in questo tempo di pandemia.
9.Beati tutti gli italiani che in questo Natale 2021 si vaccineranno o completeranno il ciclo vaccinale, perché con questo atto di rispetto ed amore permetteranno a tutti gli altri di festeggiare un Natale sereno in famiglia, tra gli amici, senza paura di contrarre il Covid.
10.Beati tutti quelli che verranno insultati, umiliati, maltrattati, perché difendono il dovere di vaccinarsi, che non è una verità di fede, ma è un dato scientifico, quello del Coronavirus, dal quale ci libereremo se saremo uniti ed assumiamo gli stessi atteggiamenti e comportamenti di persone buone e civili, rispettosi della propria ed altrui salute.
APPELLO DEL TEOLOGO RUNGI. IL 26 APRILE ALLE 12 UN MINUTO DI SILENZIO PER TUTTE LE VITTIME DEL COVID-19
ITRI (LT). IL PASSIONISTA, PADRE ANTONIO RUNGI, PER IL 26 APRILE 2021, A MEZZOGIORNO PROPONE UN MINUTO DI SILENZIO E PREGHIERA PER TUTTI I MORTI DI COVID-19