Racconti

MONDRAGONE. RITIRO SPIRITUALE DELLE SUORE DI GESU’ REDENTORE

Foto-0342.jpgSi ritroveranno insieme, giovedì 25 aprile 2013, festa di San Marco, per un ritiro spirituale particolare, nella casa di spiritualità e di accoglienza della Stella Maris di Mondragone, le Suore di Gesù Redentore della Campania e del Lazio Sud, insieme ai laici che fanno riferimento al carisma di fondazione della Serva di Dio Victorine Le Dieu, di adorazione, riparazione e riconciliazione. Tema dell’incontro che vedrà riunite diverse comunità delle Suore di Gesù Redentore è “La fede e la speranza nella vita di Victorine Le Dieu”. La giornata di studio e di spiritualità si svolgerà con una duplice meditazione sul tema, dettate dall’assistente spirituale delle Suore, padre Antonio Rungi, religioso passionista e teologo morale, con vari momenti di preghiera, con la celebrazione eucaristica e con lo svolgimento della pratica della Via Lucis, sulle 14 stazioni riguardanti il mistero della risurrezione di Cristo. Le Suore di Gesù Redentore, celebrano in tutto il mondo i 150 anni di riconoscimento del loro istituto, approvato formalmente da Pio IX il 15 gennaio 1863 e tra le comunità più antiche in cui si continua l’opera di Victorine Le Dieu è la Stella Maris di Mondragone, con 70 anni di storia, durante i quali l’istituto è stato convitto, scuola e casa famiglia per accogliere i bambini in disagio sociale. In tale istituto sono passati oltre 5.000 bambini educati ai sani principi morali e spirituali e accolti con amorevolezza e tenerezza dalle Suore che in 70 anni di attività apostolica hanno curato l’infanzia abbandonata secondo gli insegnamenti della fondatrice, Victorine Le Dieu. Da cinque anni la casa religiosa svolge un importante ruolo nel campo della spiritualità e dell’accoglienza dei gruppi parrocchiali, convegno e seminari di studi. Il prossimo appuntamento in tale direzione è in programma per il 16 maggio 2013, con la partecipazione dell’Arcivescovo di Potenza, monsignor Agostino Superbo e del Vescovo della Diocesi di Sessa Aurunca, monsignor Antonio Napoletano, con altri interventi sulla figura della fondatrice delle Suore di Gesù Redentore, da un punto di vista storico, spirituale, pastorale e teologico.

Calvi Risorta. Il raduno annuale degli ex-alunni dei passionisti

calvi123-600x250.jpgCalvi Risorta (Ce). Annuale raduno degli ex-alunni passionisti

 

di Antonio Rungi

 

Il 25 aprile 2013 si svolgerà come ogni anno il periodico incontro tra tutti gli ex-alunni che hanno frequentato la scuola apostolica dei padri passionisti, a Calvi Risorta, in provincia di Caserta, dall’inizio del secolo XX alla fine dello stesso secolo, quando fu chiusa definitivamente questa struttura di formazione dei futuri religiosi e sacerdoti per mancanza di vocazione. Si tratta del 23 raduno annuale, tanti quanti conta gli anni dell’associazione degli ex-allievi dei passionisti.

Nella scuola apostolica di Calvi Risorta, in quasi 100 anni di attività sono transitati migliaia di ragazzi e giovani, diversi dei quali sono approdati al sacerdozio o alla vita consacrata, oppure hanno lasciato per motivi personali ed ora vivono nella società con famiglia a carico, impegnati in tanti settori.

Tutti gli ex-alunni sono riuniti in un’associazione, riconosciuta, e che organizza vari momenti di preghiera e di incontri formativi, tra i quali eccelle quello del 25 aprile, quando quasi tutti gli ex-allievi dei passionisti raggiungono Calvi Risorta per una giornata di preghiera e di riflessione.

Quest’anno, nell’anno della fede, si è voluto dare maggiore risalto al dialogo interreligioso ed interculturale, per meglio rispondere in Italia e altrove alle varie richieste di formazione del laicato cattolico attraverso la parola della Croce, che è stato il motivo centrale della vita del fondatore dei Passionisti, che è San Paolo della Croce.

Il nutrito programma della giornata è stato predisposto dal presidente dell’associazione, professore Antonio Romano e dal consiglio direttivo e dall’assistente spirituale padre Ludovico Izzo.

Vari gli interventi previsti durante la mattinata, che si concluderà con la concelebrazione eucaristica, presieduta dal Consultore generale dei Passionisti, padre Giuseppe Adobati Carrara, ricordando un importante traguardo di vita sacerdotale, dei 60 anni di presbiterato, dei padri Renato Santilli e Carmine Flaminio, missionari passionisti di lungo corso. Sarà un momento per pregare il Signore perché mandi santi sacerdoti, religiosi e laici alla sua chiesa, in un tempo di crisi vocazionali in Occidente.

Tutta la manifestazione si svolge nel grande convento dei passionisti di Calvi Risorta, una volta seminario diocesano della Diocesi di Teano-Calvi, oggi guidata dal giovane vescovo, monsignor Arturo Aiello.

 

IL PROGRAMMA DETTAGLIATO DELLA GIORNATA

Ore 9,15 – Arrivi degli ex alunni passionisti e della BANDA MUSICALE dell’I. C. “Cales”.

Ore 9,45 – OMAGGIO DELL’ASEAP AI CADUTI IN GUERRA: partecipano le Associazioni, le Autorità militari, civili, scolastiche e religiose. Saluto del SINDACO prof. ANTONIO Caparco e riflessione del Rev. P. AMEDEO De Francesco, Superiore Passionista. Foto di gruppo. Rientro, in corteo, nel Cappellone della Scuola Apostolica.

Ore 10,45- Saluto e comunicazioni del Rev p. LUDOVICO Izzo, assistente spirituale Aseap.

Ore 11,00- CULTURE A CONFRONTO: il Rev. P. BERNARD MAYELE, passionista congolese, interagisce con gli alunni. Interventi degli studenti. Presenta e modera l’incontro il dirigente scolastico dott. ANDREA Izzo.

Ore 11,30 -INTERVALLO MUSICALE della Schola Cantorum “Cales”, diretta dal M° prof. Raffaele Di Iorio, che dirige anche i canti liturgici della Santa Messa Solenne.

Ore 11,45 -CONCORSO SCOLASTICO (significato, modalità e partecipazione): intervento della dott.ssa ASSUNTA ADRIANA ROVIELLO, dirigente scolastico dell’ I. C. “Cales”.

Ore 12,00 –VITA AL SEMINARIO: il M.Rev.do P. ENZO DEL BROCCO, Superiore Provinciale Passionista, premia i vincitori del concorso scolastico.

Ore 12,30-SOLENNE CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA: 60° di Sacerdozio dei PP. Renato Santillo e Carmine Flaminio, 40° di p. Amedeo De Francesco e 1° Anniversario di Matrimonio del socio Pasquale Belluccio . PRESIEDE E TIENE l’OMELIA il Rev.mo Padre GIUSEPPE ADOBATI CARRARA, Consultore Generale della Congregazione dei Passionisti. – Saluto ufficiale del prof. ANTONIO Romano, presidente Aseap. – Intervento conclusivo del Rev.mo P. Enzo Del Brocco, Superiore Provinciale. Pomeriggio libero per scambio di esperienze o per eventuali visite alla tomba di P. Bartolomeo e/o alla piccola Lourdes.

MEDITAZIONE DI PADRE RUNGI ALLE SUORE ANCELLE DEL SACRO CUORE

SUORE ANCELLE DEL SACRO CUORE – FRATTAMAGGIORE (NA)

INCONTRO DI SPIRITUALITA’ – 18 APRILE 2013

 

LA FEDE FORTE E GENEROSA DI CATERINA VOLPICELLI

 

DI PADRE ANTONIO RUNGI – PASSIONISTA 

 

DAL MOTU PROPRIO “PORTA FIDEI” DI BENEDETTO XVI, NN 6-7

 

6. Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti: con la loro stessa esistenza nel mondo i cristiani sono infatti chiamati a far risplendere la Parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato. Proprio il Concilio, nella Costituzione dogmatica Lumen gentium, affermava: “Mentre Cristo, «santo, innocente, senza macchia» (Eb 7,26), non conobbe il peccato (cfr 2Cor 5,21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo (cfr Eb 2,17), la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento. La Chiesa «prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio», annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cfr 1Cor 11,26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce” [11].

 

L’Anno della fede, in questa prospettiva, è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza l’Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante la remissione dei peccati (cfr  At 5,31). Per l’apostolo Paolo, questo Amore introduce l’uomo ad una nuova vita: “Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una nuova vita” (Rm 6,4). Grazie alla fede, questa vita nuova plasma tutta l’esistenza umana sulla radicale novità della risurrezione. Nella misura della sua libera disponibilità, i pensieri e gli affetti, la mentalità e il comportamento dell’uomo vengono lentamente purificati e trasformati, in un cammino mai compiutamente terminato in questa vita. La “fede che si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6) diventa un nuovo criterio di intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo (cfr Rm 12,2; Col 3,9-10; Ef 4,20-29; 2Cor  5,17).

 

DALL’OMELIA DI PAPA BENEDETTO PER LA CANONIZZAZIONE DI CATERINA VOLPICELLI.

 

Testimone dell’amore divino fu anche santa Caterina Volpicelli, che si sforzò di “ essere di Cristo, per portare a Cristo” quanti ebbe ad incontrare nella Napoli di fine Ottocento, in un tempo di crisi spirituale e sociale. Anche per lei il segreto fu l’Eucaristia. Alle sue prime collaboratrici raccomandava di coltivare una intensa vita spirituale nella preghiera e, soprattutto, il contatto vitale con Gesù eucaristico. E’ questa anche oggi la condizione per proseguire l’opera e la missione da lei iniziate e lasciate in eredità alle “Ancelle del Sacro Cuore”. Per essere autentiche educatrici della fede, desiderose di trasmettere alle nuove generazioni i valori della cultura cristiana, è indispensabile, come amava ripetere, liberare Dio dalle prigioni in cui lo hanno confinato gli uomini. Solo infatti nel Cuore di Cristo l’umanità può trovare la sua ‘stabile dimora”. Santa Caterina mostra alle sue figlie spirituali e a tutti noi, il cammino esigente di una conversione che cambi in radice il cuore, e si traduca in azioni coerenti con il Vangelo. E’ possibile così porre le basi per costruire una società aperta alla giustizia e alla solidarietà, superando quello squilibrio economico e culturale che continua a sussistere in gran parte del nostro pianeta.

 

LA FEDE FORTE E CORAGGIOSA DI CATERINA VOLPICELLI: VITA ED OPERE

 

1.   UNA FEDE SACRAMENTALE

2.   UNA FEDE ADORANTE

3.   UNA FEDE DI AUTENTICA CARITA’

4.   UNA FORTE FORTE NELLA TRIBOLAZIONE E NELLA PROVA

5.   UNA FEDE CORAGGIOSA NEL TESTIMONIARE L’AMORE DI DIO E DEI FRATELLI.

6.   UNA FEDE CHE PASSA ATTRAVERSO LA CROCE E LA SOFFERENZA

7.   UNA FEDE EUCARISTICA

8.   UNA FEDE MARIANA

9.   UNA FEDE DI INCENTRATA SUL CUORE AMABILISSIMO DI GESU’

10.               UNA FEDE PASQUALE

 

ALCUNI PENSIERI DI CATERINA VOLPICELLI SULLA FEDE

 

“Dobbiamo vivere di fede, perché tutto ciò che avviene è disposto da Dio per confermarci nel suo amore.

 

“La gioia è l’atto più bello della fede, speranza e amore nella vita di ogni cristiano”

 

“Oh che gran dono di Dio è la fede! Come co solleva e rende felici anche in questa valle di lacrime.

 

“Accendetevi di fede e sarete forti nella debolezza, allegri nella tristezza, sani nell’infermità”.

 

“Cerchiamo insieme il volto sorridente di Dio, gustiamo il suo amore e la sua tenerezza”.

 

“Dilatiamo il cuore e crediamo nell’amore di Dio per noi, con illimitata fiducia nella sua bontà”.

 

“Ascoltate sempre la parola di Dio con fede ed umiltà, senza badare a chi ve l’annuncia”.

 

“Rivestitevi di fede, offrite a Gesù le cadute e pregatelo di rialzarvi e preservarvi”.

 

Nasce a Napoli il 21 gennaio 1839, da una famiglia dell’alta borghesia. Educata in casa, secondo i sani valori della tradizione del Meridione d’Italia, passa poi a completare la sua formazione nel Real Collegio

di s. Marcellino, avendo così un alto grado di cultura, cosa non comune per una donna del suo .tempo.

Desiderando di poter raggiungere “l’intima unione con Dio” entra a 20 anni nel Monastero delle Adoratrici Perpetue, ma deve lasciare dopo sei mesi per la salute cagionevole, il beato Ludovico da Casoria “amico dell’anima sua” glielo aveva predetto ripetendogli: “Il Cuore di Gesù, o Caterina, questa è l’opera tua”.

Nel 1864 viene a conoscenza dell’esistenza dell’Associazione ‘Apostolato della Preghiera’ e qui la sua vita ha una svolta decisiva.

Scrive al padre Enrico Ramière, che incontrerà anche personalmente e da lui riceverà tutte le notizie riguardo la nascente Associazione, di cui avrà il diploma di zelatrice (il primo a Napoli), ne diventerà il vero Centro per l’espandersi del Movimento.

Le prime zelatrici saranno anche le prime compagne di Caterina nell’apostolato e nella fondazione dell’Istituto delle Ancelle del Sacro Cuore.

Napoli è la patria di s. Tommaso e di s. Alfonso, i teologi dell’Eucaristia, che hanno segnato la pietà popolare e nel cui solco si colloca anche l’amore di Caterina Volpicelli per il ss. Sacramento. E’ l’Eucaristia la sorgente del suo convinto servizio alla Chiesa, articolato in un apostolato vario ed ispiratore di una famiglia religiosa. Considera la Chiesa il Corpo Mistico di Cristo e venera i Pastori con devozione filiale e eroica umiltà, accettando da loro ogni sorta di prova che richiedono.

Dalla sua casa partirà il beato Bartolo Longo, guarito in salute, convertito alla fede cattolica, diventato anch’esso zelatore dell’Apostolato della Preghiera, per cominciare la grande opera del Santuario di Pompei.

Lasciata la casa paterna, fissa la sua dimora e la sede delle sue opere in Largo Petrone alla Salute ove in seguito, auspice il cardinale arcivescovo Sisto Riario Sforza, per la presenza di gesuiti insigni, di P. Ludovico, per la predicazione quasi ininterrotta di esercizi spirituali, diventerà un vivissimo Centro di spiritualità.

Dietro l’invito del cardinale, Caterina fonda l’Istituto delle Ancelle del s. Cuore che contrariamente agli Ordini religiosi femminili dell’epoca, dediti soprattutto alla contemplazione e alle opere assistenziali, sorge per l’apostolato e la santificazione delle anime. Non c’è un abito religioso, l’Istituto ha tre rami, uno religioso e due laicali, lo studio della teologia, il servizio della Chiesa sono tutte specifiche che anticipano quasi un secolo prima le novità del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Il 14 maggio 1884, il nuovo arcivescovo di Napoli Guglielmo Sanfelice consacra il Santuario dedicato al Sacro Cuore eretto in adiacenza alla Casa Madre.

Il 21 novembre 1891 si celebra a Napoli il 1° Congresso Eucaristico Nazionale, alla Volpicelli e alle sue figlie viene dato l’incarico dell’organizzazione delle Adorazioni in Cattedrale, la preparazione alla confessione e Comunione generale, la gestione degli arredi sacri.

Il 28 dicembre 1894, Caterina Volpicelli, muore a soli 55 anni, a Napoli.

All’alba del III millennio, il papa Giovanni Paolo II, la proclama beata in Piazza s. Pietro il 29 aprile 2001, avverandosi così l’auspicio del suo primo biografo M. Jetti “Napoli abbia presto, al pari delle fortunate città di Alessandria, Siena, Genova e Bologna, la sua santa Caterina”.

E’ stata canonizzata a Roma da papa Benedetto XVI il 26 Aprile 2009.

 

Mondragone (Ce). Festa della Madonna Incaldana 2013

smi.jpgS%20Maria%20Incaldana.jpgMondragone (Ce) Festa Maria SS. Incaldana 2013

 

di Antonio Rungi

 

Sono in corso a Mondragone i solenni festeggiamenti in onore della Madonna Incaldana, protettrice della città. Iniziati domenica di Pasqua, alle ore 20.00, con la “discesa della Madonna” dalla Cappella laterale, dove viene conservata la sacra e prodigiosa immagine, nella basilica minore cittadina, dedicata alla Vergine Maria, all’altare maggiore, ove troneggia ed è esposta al culto, i festeggiamenti sono vissuti soprattutto come un momento di verifica del proprio cammino di fede. Mondragone con oltre 30.000 abitanti e 8 parrocchie, di cui due alla periferia Sud e Nord del territorio, è una della città della provincia di Caserta con maggior numero di abitanti, che d’estate raggiunge anche le 100.000 presenze, con i suoi 15 Km di spiaggia e strutture turistiche. La festa della protettrice è un momento di verifica e progettazione non solo della vita religiosa del popolo, ma anche delle attività. Anche in quest’anno 2013 si sono ridotte le spese per la festa patronale, in considerazione della grave crisi economica che attraversa l’Italia e anche questa area, dove il problema della disoccupazione giovanile è un fatto endemico, come pure la mancanza di imprenditoria locale. La sofferenza a livello economico e sociale è grande, tanto che la gioventù deve necessariamente trasferirsi altrove per trovare lavoro. Naturale quindi che la festa è celebrata nel segno della speranza  e della rinascita spirituale, morale, sociale ed economica del territorio. Ieri lunedì in Albis, uno de momenti più belli e rilevanti, con il tradizionale corteo storico del trasferimento della Madonna Incaldana dal luogo del rinvenimento del Quadro, in località Belvedere o Incaldana, fino alla basilica Minore. Circa 5,00 Km di percorso per rivivere nei simboli quanto accadde secoli fa, quando, secondo la tradizione, la Madonna avrebbe scelto di indirizzarsi verso Mondragone, dopo che un contadino aveva caricato il quadro su un carro tirato da buoi. Il corteo iniziato alle 17.00 si è concluso alle 19.00 con la messa celebrata nel Santuario. Oggi, festa patronale,  Martedì 2 aprile, questo il programma religioso: Ore 7:00 –  8:00 –  9:00 Sante Messe; Ore 10:45 Solenne Celebrazione, presieduta dal Vescovo di Sessa Aurunca, monsignor Antonio Napoletano e concelebrata da tutti i sacerdoti della Forania di Mondragone; Ore 16:00 Accoglienza del pellegrinaggio delle Parrocchie Falciano, Casanova e Carinola; Ore 19:00 S. Messa. I festeggiamenti continuano anche domani, Mercoledì 3 aprile 2013, con il seguente programma religioso: Ore 7:00 –  8:00 Sante Messe; Ore 9:00 S. Messa con Prime Comunioni; 11:00 S. Messa e Amministrazione del Sacramento della Cresima a diversi giovani della città. Sarà il Vescovo di Sessa a presiedere il rito solenne; Ore 19:00 S.Messa. Le celebrazioni continueranno per l’intera settimana e settimana e si concluderanno domenica in Albis, quando l’immagine della Madonna verrà riportata nella sua cappella laterale. Il giorno 4 aprile 2013, giovedì, si celebra la giornata della vita consacrata ai piedi della Madonna Incaldana. Sarà padre Antonio Rungi, missionario passionista e predicatore dei ritiri mensili delle Suore della Diocesi di Sessa Aurunca, nonché assistente spirituale delle Suore di Gesù Redentore della Stella Maris, a presiedere la solenne eucaristia che si terrà alle ore 18,30. Saranno le suore di Mondragone ad animare la liturgia con la preghiera e il servizio liturgico.

L’origine storica della devozione della Vergine, venerata con il titolo di “Incaldana” si perde nella notte dei secoli; rompe il silenzio della storia la tradizione e la testimonianza tramandata da generazioni e generazioni di devoti al Maria Ss. Incaldana. Molti studiosi autorevoli hanno vagliato la corrispondenza dei fatti narrati, accogliendo i tratti significativi delle vicende di questa Sacra Icona. Essa risale al 1300, quando i monaci benedettini posero la loro dimora alle pendici del monte Petrino. Sicuramente qualcuno di questi valenti monaci, dediti alla preghiera e alla contemplazione, impresse sul legno i li-neamenti della bella e mistica icona bizantina. Il nome della immagine, molto venerata in tutto l’ Ager Falernus, fu, in un primo momento, “La Prodigiosa”, poi “Madonna del Belvedere”, per la posizione incantevole in cui si trovava il convento e la chiesetta; con il tempo invece prevalse l’appellativo Madonna Incaldana, con riferimento a quel luogo, ricco di acque termali, note per le cure dermatologiche e l’estetica al tempo delle matrone romane. La tavola preziosa con l’effige della Vergine fu conservata al convento del Belvedere sin dopo la prima decade del 1600, quando per paura di altre incursioni barbariche fu solennemente portata nel centro fortificato di Mondragone e precisamente nella Chiesa Madre e Collegiata di S. Giovanni Battista (dove ancora oggi è custodita), venendo nello stesso tempo dichiarata protettrice della città. Un episodio leggendario sembra essere connesso al trasloco: l’Icona della Vergine venne posta su un carro tirato da due giovenchi, senza guida, per la contesa invocata dai paesi limitrofi. A seguito di tale evento il popolo pensò che si trattasse di un segno con il quale la Madonna aveva voluto indicare il tempio dove avrebbe preferito dimorare. Gli eventi prodigiosi che si sono susseguiti nel corso dei secoli sono tantissimi e che hanno testimoniato l’indulgenza della Madonna nei confronti di questo popolo. Tra i tanti meritano un cenno particolare la peste del 1656, che coinvolse molti paesi del Mezzogiorno d’Italia, ma che non sfiorò neanche Mondragone, le piogge del 1791 (dopo settimane di pioggia , uno sparuto raggio di sole si irradiò sulla cappella della Madonna, e subitaneamente tornò il sereno consentendo ai contadini di ritornare al loro lavoro nei campi) e l’incendio appiccato dai turchi al tempio durante il quale il quadro rimase illeso.  I mondragonesi sono molto grati a questa Madonna è per questo che ogni anno, nel giorno del Lunedì dell’Angelo, viene riproposta la storica processione con un corteo in costume d’epoca tra canti, preghiere, applausi, invocazioni di fedeli e di pellegrini, che dal Belvedere scendono lungo la via Appia (attuale strada comunale Santa Maria Incaldana) per giungere al Santuario. Il Santuario, alla presenza di S. Em.za Baggio, è stato elevato a Basilica minore nell’aprile del 1990.

La Madonna, rappresentata seduta su di un trono ornato, con il braccio destro cinge il bambino benedicente. La tavola è impreziosita da una cornice decorata da motivi a voluta ai lati, due putti posti in alto reggono una corona mentre in basso è un motivo a conchiglia con fiori. Ai lati della Madonna c’è un’iscrizione: MP. OY (MATER DEI). Ed è a Maria Madre di Dio che è dedicata la festa della Protettrice di Mondragone, che va sotto il titolo di Incaldana e che è una immagine di origine bizantina, risalente al tempo dell’iconoclastia.

 

Riflessione. Le periferie dell’esistenza umana

21dc0e6578352908781f32ea8db1cfbd.jpgLa periferia dell’esistenza

 

di Antonio Rungi

 

Il Santo Padre, Papa Francesco, in questi giorni di inizio del suo ministero petrino, spesso nei suoi interventi, discorsi, omelie, riflessioni, annotazioni, aggiunte fa riferimento al tema della periferia dell’esistenza umana e sociale entro la quale il cattolico deve operare e muoversi per agire da cristiano, per annunciare il vangelo, per ridare speranza alla gente, povera, indifesa, umiliata, emarginata di ogni parte del mondo.

Tutti conosciamo le periferie dei piccoli o grandi centri della nostra Italia, della nostra Europa e del resto del mondo. Le megalopoli hanno creato ed alimentato le varie periferie geografiche e di conseguenza hanno determinato strutturalmente le più significative e drammatiche periferie dove vivono gli uomini che non contano nella società, dove il criterio fondamentale per valutare la sua dignità è il denaro, il successo, la bellezza, la salute, la ricchezza, l’efficienza. Il misero, il drogato, il povero, il carcerato, il solitario, il barbone, il senza casa, il divorziato e separato, l’offeso, l’umiliato, il violentato non trovano posto nella vita di questa società, sempre più distratta dall’effimero e dal passeggero e meno concentrata sui grandi ideali della vita e della dignità di ogni essere umano.

Dall’enciclopedia delle Scienze sociali della Treccani, traggo alcune considerazioni e riflessioni per approfondire il tema e capirne di più, anche per inquadrare teoricamente e pastoralmente la problematica alla luce del Magistero di Papa Francesco.

Al centro delle parole del Pontefice la Settimana Santa, iniziata con la Domenica delle Palme lo scorso 24 marzo, c’è la necessità di uscire da noi stessi, dai nostri recinti ed andare verso gli altri, verso le periferie dell’esistenza. Come dire bisogna avere il coraggio di osare, di affrontare il mondo con tutti i suoi drammi e problemi, senza paura, ma con il coraggio e la forza dell’amore che viene dal Signore.

“È necessario uscire da se stessi — ha detto il Papa — e da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione di chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte dell’azione creativa di Dio. Non dobbiamo accontentarci di restare nel recinto delle novantanove pecore, dobbiamo ‘uscire’, cercare con Lui la pecorella smarrita, quella più lontana”.

“Dio — ha aggiunto —  non ha aspettato che andassimo da Lui, ma è Lui che si è mosso verso di noi, senza calcoli, senza misure. E Gesù non ha casa, perché la sua casa è la gente”.

Un appello, quindi, ad uscire e andare verso quelle “periferie dell’esistenza” che Bergoglio più volte ha ricordato in questi giorni.

Capiamo bene questa nuova categoria teologica, sociologica, umanitaria che Papa Bergoglio ci sta proponendo ripetutamente ai cristiani di oggi.

 

A partire dai primi anni sessanta i due concetti correlativi di ‘centro’ e ‘periferia’ sono stati ampiamente utilizzati nell’analisi politica. Tuttavia, mentre il loro rapporto è stato interpretato in molti modi, la loro applicazione allo studio della politica non è stata esente da critiche. Sono stati espressi dubbi sulla loro sottigliezza concettuale e sul loro valore esplicativo. Il più delle volte, comunque, tali critiche hanno poggiato su un’interpretazione troppo strettamente geografica di centro e periferia, mentre centro e periferia non sono solo concetti spaziali: essi costituiscono un paradigma che denota gli elementi geografici di differenziazione sociale e di divergenza politica, cioè le origini e le basi territoriali di raggruppamenti politici, i cui interessi possono anche essere economici e/o culturali. In altre parole, non si può sostenere semplicemente che le diverse convinzioni politiche e i diversi comportamenti politici, riscontrabili in territori differenti, dipendano da caratteristiche intrinseche di unità puramente spaziali e a queste siano circoscritte. Il territorio in quanto tale è un concetto politicamente neutro; diventa politicamente significativo in virtù dell’interpretazione e del valore attribuitigli dalla gente, e di conseguenza diventa “un concetto creato dalla gente che organizza lo spazio per i propri scopi”.

Il paradigma centro-periferia riguarda quindi il grado di distanza sia geografica che sociale dall’asse centrale di una società e può riferirsi tanto al territorio quanto ai gruppi sociali. La distanza può essere psicologica oltre che fisica, e può così ingenerare, nella periferia, sentimenti di dipendenza verso quei luoghi/gruppi che diffondono i valori e le norme dominanti della società, e viceversa sentimenti di superiorità tra coloro che vivono al centro.

Sono vari i tipi di periferia a carattere sociali che si analizzano nelle scienze umane. Il tipo di periferia più ovvio è la periferia esterna, che è in genere geograficamente lontana dal centro ed è esposta all’influenza di un solo centro. In Europa periferie di questo tipo si trovano generalmente ai margini del continente e tendono a essere arretrate economicamente, meno vitali o non sviluppate affatto.

Diametralmente opposte alle periferie esterne sono le periferie interfaccia. Si tratta di territori marginali che si trovano in mezzo a due o più centri dominanti appartenenti a Stati diversi. Anche se sono collegate in qualche modo con tutti i centri limitrofi, queste periferie non sono mai pienamente integrate in nessuno di essi.

Si possono individuare altri due tipi di periferie: i centri falliti e le periferie enclaves. I centri falliti sono territori  che in passato praticarono l’imperialismo temporale costruendo proprie strutture centrali, ma che successivamente dovettero cedere di fronte a più efficaci iniziative di annessione promosse da altri centri. Nella fase imperialistica i centri falliti hanno creato un’infrastruttura istituzionale a sostegno della propria legittimità e della propria identità. Nella misura in cui elementi di questa infrastruttura sono sopravvissuti all’annessione, possono contribuire a conservare i confini tra periferia e centro.

Le periferie enclavi, infine, a prescindere dalle loro caratteristiche specifiche, hanno in comune di essere completamente circondate dalla cultura dominante. Dato questo accerchiamento geografico, le enclavi sono sottoposte alla pressione costante delle istituzioni centrali e la loro capacità di sopravvivere è probabilmente minore di quella degli altri tipi di periferia.

Quattro tipologie, quindi, di periferie: esterna, interfaccia, i centri falliti, le enclave.

Tali tipologie sociologiche ci rimandano indirettamente a quattro tipologie di periferie umane e pastorali. La periferia esterna, quella che non interessa o la si vede marginalmente in un progetto pastorale e di vicinanza alle persone in difficoltà. La periferia interfaccia, in cui l’impegno pastorale è più diretto ed immediato e gli operatori pastorali interagiscono con l’ambiente e lo migliorano con il loro umile servizio, disinteressato. I centri falliti, in cui tutte le iniziative di carattere pastorale sono stati posti in essere, ma non hanno raggiunto l’obiettivo proposto ed individuato. Tanti i fallimenti da questo punto di vista, soprattutto perché non sempre il progetto pastorale è seguito ed accompagnato bene. Infine, le enclavi, una sorte di zone felici e produttive a livello pastorali e spirituali che sono chiuse in se stesse e pur funzionali non contribuiscono al bene complessivo dell’area. Penso alle poche parrocchie efficienti e operative che restano isole felici in certe realtà metropolitane ove la povertà e la miseria morale e spirituale è enorme e alla quale non si riesce a far fronte.

A tal proposito, scrive don Luigi Ciotti, il prete che ha fatto delle periferie dell’esistenza umana, segnata dalla droga, dalla violenza, dall’ingiustizie il suo fondamentale impegno apostolico anche attraverso la sua associazione “Libera”:  “L’invito di Papa Francesco ad «annunciare il Vangelo nelle periferie» è un’esortazione profetica. Nelle sue parole la «periferia» è un luogo al tempo stesso geografico e spirituale. Così come ci sono le periferie urbane, luoghi di esclusione e di povertà, c’è una periferia dell’anima che va abitata con la prossimità, con l’accoglienza, con una solidarietà che abbia come fine la giustizia sociale, il riconoscimento della centralità e della dignità di ogni persona. È per questo che l’esortazione del Papa ha un carattere profetico e, in senso lato, politico. Una Chiesa che abbia a cuore il destino di tutta l’umanità non può sottrarsi alla provocazione e alla «convocazione» delle periferie. Deve saper trasformare spazi abbandonati in luoghi di opportunità, di una convivenza fondata sul rispetto dei diritti e della dignità di ciascuno. L’attenzione del Papa per i poveri, più che per la dottrina, il suo presentarsi semplice e dimesso, il suo rifiuto di ogni ostentazione e di ogni lusso fanno bene sperare in un forte impegno in questa direzione. Non possiamo infatti costruire speranza se non partendo da chi dalla speranza è stato escluso, dai tanti disperati che affollano la faccia di questa terra. Sono i poveri a offrirci le coordinate sociali, etiche, politiche, economiche del nostro impegno. È a partire da loro che possiamo sperare di nuovo. Perché la speranza o è di tutti o non è speranza.

ITRI (LT). LA CELEBRAZIONE DELLA SETTIMANA SANTA DAI PASSIONISTI

SETTIMANASANTA2013.jpgPADRI PASSIONISTI

 CONVENTO DI ITRI-CITTA’ (LT)

 

FUNZIONI RELIGIOSE

DELLA SETTIMANA SANTA

ANNO 2013

 

DOMENICA DELLE PALME – 24 MARZO 2013

ORE 8.00: NEL PIAZZALE BENEDIZIONE DELLE PALME

PROCESSIONE E SANTA MESSA CON LETTURA DEL PASSIO

ORE 17.00: MESSA DELLA DOMENICA DELLE PALME

 

LUNEDI’ SANTO – 25 MARZO 2013

ORE 7,00 ROSARIO- ORE 7,30 MESSA FERIALE

 

MARTEDI’ SANTO  – 26 MARZO 2013

ORE 7,00 ROSARIO- ORE 7,30 MESSA FERIALE

 

MERCOLEDI’ SANTO – 27 MARZO 2013

ORE 7,00 ROSARIO- ORE 7,30 MESSA FERIALE

ORE 18,30: MESSA CRISMALE A GAETA CON IL VESCOVO

 

GIOVEDI’ SANTO – 28 MARZO 2013

ORE 9,00-12,00: CONFESSIONI

ORE 18.00: MESSA IN COENA DOMINI

ORE 20,00-24.00: ADORAZIONE EUCARISTICA

 

VENERDI’ SANTO – 29 MARZO 2013

ORE 9,00- 12,00: CONFESSIONI

ORE 17,00: COMMEMORAZIONE DELLA PASSIONE DI GESU’

 

SABATO SANTO – 30 MARZO 2013

ORE 9,00-12,00; 16,00-19,00: CONFESSIONI

ORE 20,00: VEGLIA PASQUALE

CELEBRAZIONE EUCARISTICA DELLA RISURREZIONE

 

DOMENICA DI PASQUA – 31 MARZO 2013

ORE 8.00: MESSA SOLENNE DI PASQUA

ORE 18.00: MESSA DI PASQUA

 

LUNEDI’ IN ALBIS – 1 APRILE 2013

ORE 7,00: SANTO ROSARIO- ORE 7,30: MESSA DELL’ANGELO

 

L’ultimo racconto di padre Antonio Rungi

Francesco ed Antonio

 

Francesco ed Antonio erano due carissimi amici, che si frequentavano fin dall’infanzia, facendo lo stesso percorso di studio e vivendo praticamente insieme buona parte della loro giornata.

Un giorno Francesco fu chiamato ad un importante compito, al quale non poteva sotttrarsi, in quanto la sorte era caduta proprio su di lui. Di fronte a tale nuova situazione Francesco non fece altro che abbandonarsi alla volontà di Dio e ai disegni di Dio.

Antonio, invece, restò nel suo paese e continuò a fare quello che aveva fatto fino a pochi mesi prima.

Per Francesco, dopo i solenni festeggiamenti avuti in occasione della sua promozione, incominciarono giorni difficili, in quanto l’azienda che gli aveva lasciato in eredità il nonno, non andava per nulla bene.

Era stato messo al quel posto importante per dare una svolta a tutto il sistema di produzione e per far si che l’azienda si risollevasse dalla crisi in cui versava, potesse produrre di più e soprattutto farsi conoscere di più.

Francesco che giovane non era, nonostante i suoi limiti e la malferma salute, provò in tutti i modi per riportare in auge l’azienda familiare, che era un marchio depositato e tutta la conoscevano nel vasto mondo della comunicazione multimediale e globalizzata.

Antonio, rimasto nel suo paese d’origine, si informava sistematicamente sul comportamento di Francesco e quando sapeva delle belle notizie sul suo conto era talmente felice che gioiva per tutto il gruppo; quando invece le cose non andavano nel verso giusto, Antonio, con il suo modo di fare convincente, lo risollevava dalla sua prostrazione e dal suo abbattimento. Gli dava, per internet e per telefono, continui e adeguati consigli per meglio far produrre l’azienda, lui che era stato un coltivatore diretto molto attento ed aveva curato con speciale attenzione la vigna del suo nonno paterno.

Questa amicizia aumentò di consistenza, quando Antonio, lasciando il suo paese, chiese di essere ospitato nella casa di Francesco, dove abitava ormai da tempo. Francesco accolse con gioia l’amico Antonio ed anzi data la sapienza, la prudenza, la saggezza e l’equilibrio che sempre avevano caratterizzato il suo comportamento, lo fece suo consigliere personale sui temi più scottanti della gestione aziendale. Cosicché Francesco ed Antonio poterono ritrovare la sintonia e la sinergia tra loro, dando buoni frutti per l’azienda del nonno di Francesco, rimasta quasi a secco. Questa amicizia e stretta collaborazione tra Francesco ed Antonio, non fu vista di buon occhio dagli impiegati della fabbrica, i quali fecero in modo, attraverso dicerie e calunnie, di fare allontanare Antonio da Francesco. Costui che non vedeva più da tempo il suo fidato amico, chiese del perché all’amico di quell’autonomo e inspiegabile allontanamento dalla casa e dalla collaborazione con Francesco. Gli fu risposto che non fu colpa sua, ma di quanti suoi collaboratori avevano infangato il buon nome dell’azienda che non riusciva a riprendere, nonostante che vicino ad essa c’erano tante persone ben disposte a fare ogni cosa perché l’azienda di famiglia potesse risorgere dalle ceneri della distruzione del passato, per colpa evidente di inetti operai di quella fabbrica.

Alla fine il rapporto di amicizia tra i due grandi e vecchi amici si incrinò per l’inserimento di nuovi operai nell’azienda di famiglia, la quale invece di migliorare andò a peggiorare, in quanto nessuno produceva davvero e quel poco che produceva restava in giacenza e senza essere venduto.

Francesco ed Antonio allora vista la loro incapacità passarono il testimone ad altri più bravi di loro. L’azienda dovette attendere diversi anni prima di riprendere completamente e fruttuosamente la sua attività e riacquistare la sua credibilità.

In preghiera per 24 ore per l’elezione del nuovo Papa

cardinali20.jpgP.Rungi. Ventiquattro ore di preghiera per l’elezione del nuovo Pontefice

E’ inziata alle ore 19.00 di questa sera la giornata di preghiera “24 Ore Pro erigendo Romano Pontifice” promossa su Facebook e Twitter da padre Antonio Rungi, in attesa della elezione del nuovo papa. A tutti fruitori di Fb padre Rungi ha chiesto di pregare a turno liberamente fino a quando, domani sera, alle ore 19.00 è prevista la prima fumata per l’elezione del nuovo Papa. “Tutti ci auguriamo che possa essere bianca -scrive nel suo profilo di Fb padre Rungi – e che i cardinali abbiano raggiunto già un’intesa su chi eleggere per portare avanti il peso non leggero della barca di Pietro, in questo momento storico difficile, ma anche carico di attesa, che riguarda la chiesa con l’elezione del nuovo pontefice”. Già dai primi minuti di lancio della iniziativa, padre Antonio Rungi ha ricevuto vasta adesione da parte dei credenti che usano internet anche per uno scambio di intenzioni di preghiera e di sostegno spirituale reciproco. Qualora domani sera non ci sarà il nuovo Papa, l’iniziativa continuerà in modo ininterrotto fino alla proclamazione dell’Habemes Papam che non dovrebbe arrivare molto tardi, è quando si augura il mondo cattolico in questo momento importante per la Chiesa. “La nostra preghiera è anche per il Papa emerito, Benedetto XVI, che sicuramente in queste ore di vigilia sarà particolarmente impegnato nella preghiera personale, perché si giunga ad un’intesa ed unione all’interno del collegio cardinalizio”. Il sacerdote ha anche composto una preghiera per l’elezione del nuovo pontefice, che quanti aderiscono all’iniziativa recitano personalmente o in gruppo ogni 15 minuti in successione temporale, senza soluzione di continuità. Una speciale catena di preghiera per arrivare al fatidico “Habemus Papam” già forse tra 24 ore esatte.

Ecco il testo dell’orazione:

Signore, che doni la tua grazia  a quanti confidano in Te, 

ti preghiamo umilmente, 

donaci quanto prima il nuovo Romano Pontefice. 

 

Dona al nuovo pastore universale della chiesa, 

una lunga e salutare vita apostolica, 

per il bene del popolo di Dio e dell’intera umanità. 

 

Nel costante servizio alla verità, alla vita,  

alla giustizia e alla pace universale, 

fa che ogni sua parola, proclamata nel Tuo nome, 

possa raggiungere il cuore di quanti credono, 

e di quanti non credono,  

di quanti sono artefici delle sorti delle nazioni  

e di quanti sono operatori di violenza di ogni genere. 

 

Non permettere, Signore della vita e della storia, 

che il nuovo successore di Pietro,  

in questo inizio del suo ministero petrino, 

soffra a causa della poca fede nella chiesa e nel mondo, 

della scarsa carità non vissuta dai piccoli e dai grandi, 

dell’assenza della speranza che più non alberga 

nel cuore del genere umano. 

 

In questa tappa importantissima  

della storia della chiesa e dell’umanità 

dona al nuovo Papa la serenità, la pace, 

il sorriso e la gioia di vivere da uomo di Dio,  

quale pastore universale della chiesa santa e peccatrice, 

sparsa su tutta la terra e in cammino verso i pascoli eterni. 

 

Conservalo nelle energie fisiche, umane e spirituali,  

perché possa svolgere al meglio 

il suo alto magistero in mezzo all’umanità, 

segnata da tanti dubbi, incertezze e smarrimenti, 

perché la sua parola, pronunciata nel Tuo nome, Dio di verità, 

ne possa illuminare la strada e indicarne la direzione finale. 

 

Dona, o Signore, al Nuovo Papa,  

che portiamo già nel nostro cuore 

e già vogliamo bene profondamente, 

la tua santa benedizione dal cielo,  

e per intercessione della Vergine benedetta, 

concedi a lui il vigore spirituale 

per far camminare secondo il tuo cuore 

l’immenso popolo cristiano tra le vicende del mondo. 

 

Possa il suo cuore e la sua mente,  

di sapiente ed oculato Maestro e Pastore, 

godere di una lunga e serena vita, 

come semplice e umile dispensatore della Parola del Signore. 

Amen.

Padre Antonio Rungi, passionista

L’ultimo racconto di padre Antonio Rungi

Il medico divenuto frate

 

Fin dalla sua più tenera età pensava di diventare medico e di curare soprattutto i bambini. Lui piccolo che pensava da grande per i piccoli. La storia personale lo portò a raggiungere il suo sogno di diventare effettivamente medico e di specializzarsi in pediatria. Il suo riferimento costante nella professione medica era San Giuseppe Moscati, i Santi Cosma e Damiano e soprattutto San Ciro, lui che era della zona napoletana. Aveva le loro immagini dovunque e soprattutto nel camice da dottore, quando andava a fare le operazioni e doveva intervenire sui bambini che già, piccolissimi, erano soggetti a grandi sofferenze fisiche. La sofferenza fa sempre male in chi la sperimenta e a chi la vede emergere nel fisico e nella psiche degli altri. Ma di fronte alla sofferenza dei bambini c’è solo un grande vuoto razionale per capire il perché e fino a ché.

Gennarino, si era laureato prestissimo e con il massimo dei voti, tanto che il primario di pediatria di uno dei più importanti ospedali del Meridione gli aveva dato fiducia piena. Ogni mattina passava a far visita ai bambini, e per lui, pur essendo giovanissimo, appena 30 anni, erano tutti suoi figli e li curava con amore e passione, che solo un medico dai profondi principi morali e religiosi poteva fare. In quell’ospedale lavorò quasi 10 anni, poi con le varie riforme si trovò in suprannumero e nonostante la bravura e la capacità, dovette lasciare il posto a qualcuno dei medici più giovani, vincitore di concorso.

Cosa fare di fronte a questo nuovo scenario professionale? Semplice. Da piccolo aveva l’idea di farsi frate per fare il medico e il missionario. Non si era sposato, aveva dedicato tutta la sua vita alla causa della medicina pediatrica. Fu quella l’occasione buona per chiedere di entrare in uno degli ordini ed istituti missionari più noti e presenti nel mondo, soprattutto in quei luoghi dove c’era maggiore bisogno di medici ed ambulatori. Chiese ed ottenne di entrare a far parte come aggregato alla famiglia religiosa per essere inviato in terra di missione. I suoi superiori maggiori lo accontentarono. C’era da aprire una missione nel cuore dell’Africa e lui senza proferire parola disse semplicemente “sono pronto ad andare” per stare vicino e curare i tanti bambini di quella giovane nazione del continente nero che da poco era uscita fuori dalla guerra civile con distruzione di ogni genere.

Gennarino partì alla volta della terra d’Africa, dove improntò con le offerte dei fedeli il primo ambulatorio pediatrico, ma anche per curare i grandi, soprattutto le madri che dovevano allattarre e far crescere sani quei bambini dei veri scheletri umani.

La nuova missione non sorse intorno alla chiesa e alle opere parrocchiali, ma intorno all’ambulatorio pediatrico. Era solo Gennarino con qualche altro volontario e qualche suora della stessa famiglia religiosa a portare avanti il centro umanitario, investendo tutti i suoi beni.

Un giorno mentre stava a pregare davanti all’immagine di Gesù Crocifisso, sentì forte nella sua mente l’invito a farsi servo per amore e donarsi totalmente al Signore con la consacrazione alla vita religiosa e sacerdotale.

Espresse questo suo desiderio al Ministro provinciale dell’Ordine che prese in seria considerazione la richiesta del maturo medico e ora consacrato laico.

Iniziò per Gennarino un tempo di discernimento. Essendo già laureato ed avendo frequentato anche il Magistero delle Scienze religiose quando aveva ultimato la laurea in medicina, l’accesso alla vita consacrata e sacerdotale era favorita dai precedenti studi e soprattutto dalla sua esperienza di vita vicino alla sofferenza, soprattutto dei più piccoli. Passarono solo appena tre anni da quella richiesta e Gennarino vestì l’abito religioso facendo la professione dei voti, inziando contemporaneamente la formazione teologica e il cammino verso il sacerdozio. Con le varie dispense che si ottennero, Gennarino poté diventare prete in cinque anni dalla richiesta. A 50 anni si era realizzato il suo sogno di essere sacerdote, missionario, medico e per di più nell’Africa che portava nel suo cuore. La felicità di questa scelta per il Signore e per i fratelli più bisognosi durò poco. Cinque anni appena di sacerdozio e Gennarino per un’infezione inspiegabile mori all’età di 55 anni. Nel suo testamento spirituale aveva scritto in precedenza: “Il mio paradiso è qui e qui voglio morire e restare, dove il Signore mi ha chiamato a vivere più profondamente la mia vocazione alla santità”.

Da allora sono passati parecchi anni e la tomba del medico, divenuto frate, è l’altare della gioia e della speranza di quella missione in terra d’Africa, divenuta nel tempo un centro poliambulatoriale e una missione con vari sacerdoti, diverse suore e tanti laici volontari, molti dei quali i giovani medici spinti dal desiderio di servire Dio nei fratelli sofferenti, lontano dagli interessi materiali e successo professionale del mondo occidentale.

I racconti più recenti di padre Antonio Rungi

La croce del porto

Per la gente del porto era la croce dei giovani. Quella croce, altra circa 20 metri, sul modello dei tralicci che oggi si usano per i ripetitori Tv o dei telefonini, era stata collocata al centro della piazza del porto di una piccola isola del mare nostrum. Alla sera, specialmente d’estate, si radunavano intorno ad essa centinaia di giovani per discutere, per mangiare una pizza, per giocare e qualcuno anche purtroppo per drogarsi. Un giorno capitò una tragedia, che fece discutere il paese intero e pose la quastione se continuare o meno a tenere quella croce in mezzo al piazzale del porto turistico della città. Infatti, durante una delle bravate che i giovani usano fare per mettersi in mostra, una notte un giovane arrampicandosi su quella croce di tubi innocenti cadde a terra e morì. Aveva battuto violentemente la testa sul basamento in cemento armato, del scondo scalino, che era a tre gradini quadrangolari ed aveva un preciso significato teologico, indicando così la Santissima Trinità ; come la Divinità nella sua interezza era presente nel mistero della salvezza, nel momento in cui Gesù Cristo moriva per la salvezza del mondo in quell’unico storico venerdì di passione e morte.

Il primo gradino, quello più grande, che si ergeva da terra era dedicato al Padre, il secondo, più stretto, era dedicato al Gesù Cristo, il terzo più piccolo ancora era dedicato allo Spirito Santo. I nomi della Trinità erano stati scritti e incisi nel cemento armato con cui era stato realizzato il piedistallo della croce del porto. Quando nella notte arrivarono i carabinieri è costatare il decesso del giovane e soprattutto la folla che aveva saputo la notizia e si era raccolta numerosa intorno alla croce del porto, tutti notarono dove aveva battuto la testa e morto il giovane ragazzo, che faceva uso di droga: sul secondo scalino. Le riflessioni e le considerazione al riguardo si moltiplicarono all’istante e nei giorni successivi.

In quell’isola il giovane viveva con i nonni paterni, dal momento che il papà era un marittimo e praticamente non c’era mai su quell’isola; la madre aveva preso un forte esaurimento nervoso e veniva curata sul continente presso una struttura per malati mentali. I due nonni erano piuttosto anziani e controllavo poco l’unico nipote che avevano e non comprendevano affatto se il giovane facesse uso di sostanze stupefacenti. Certo notavano che in casa mancavano frequentemente dei soldi e che lo stesso Nico, questo il nome del giovane, chiedeva continuamente denari per motivi di studio, frequentando un istituto superiore in una scuola vicina al suo paese d’origine.

Quella morte violenta e tragica lasciò nella popolazione locale un terribile dubbio: forse quella croce era una tentazione per i giovani e quindi era meglio che venisse abbattuta e rimossa.

Una sottoscrizione partì in tal senso tra alcuni cittadini che da sempre avevano visto di malocchio la presenza di questo simbolo di culto della fede cattolica.

La sottoscrizione raggiunse un buon numero di adesioni e pertanto venne discussa in un consiglio comunale aperto al pubblico. Il sindaco e i consiglieri discutevano sulla questione e tra loro non c’era accordo, come in tutte le cose politiche. Ad un certo punto il sindaco chiese ai cittadini presenti se qualcuno volesse intervenire e parlare a nome dei cittadini, di quelli che non avevano firmato la sottoscrizione. Mentre calò il silenzio su tutta l’assemblea, tra i presenti una piccola mano si alzò per chiedere la parola. Era un bambino delle scuole elementari del paese che pure durante il giorno insieme ai compagni di classe ed ai suoi amici si trovavano insieme presso la Croce del porto per giocare e parlare, perché quello era l’unico ritrovo dei giovani della città. Il ragazzo con grande coraggio disse esattamente le cose come stavano: “Non è colpa della croce, ma è colpa nostra se ci comportamo male e succedono fatti gravi”. Ed aggiunse: “Abbiamo fatto un sondaggio tra noi ragazzi e tutti siamo contrari alla rimozione della croce, perché per noi è una compagnia e soprattutto una protezione”. Espresse la solidarietà ai nonni del ragazzo morto, perché neppure in quella circostanza di lutto, i due genitori si erano fatti vivi, e chiesero che venisse respinta la petizione popolare e che la croce continuasse a restare li.

Dopo tale intervento ce ne furono altri cento del genere, tanto che il consiglio comunale iniziato alle tre del pomeriggio continuò senza soluzione di sosta, fino alle tre di notte. Dopo aver ascoltato i vari interventi dei cittadini, il sindaco mise a votazione la questione: votare o meno l’abbatimento della croce del porto. Tutti i consiglieri furono contrari e la demolizione non passò. Al contrario si decise di fare della croce del porto un momumento alla memoria del giovane morto. E da quel giorno non si chiamò più la croce dei giovani, ma la croce di Nicola.

Un ultimo providenziale prrovedimento del consiglio comunale per evitare che ci fossero altri incidenti. La croce fu messa in sicurezza, ricordando essa uno storico evento per quella città, di 100 anni prima, alla cui memoria era stata eretta dall’amministrazione del tempo.  

Si reallizzò una inferriata protettiva di tutta il basamento della croce in modo che i ragazzi non potessero salirvi sopra. L’inferriata veniva aperta due volte l’anno: nell’anniversario della morte del ragazzo morto e in Venerdì Santo, quando la Via Cruci si fermava alla Croce del porto per la XII stazione, in cui si ricorda la morte in croce di nostro Signore. Ed ogni anno in quella circostanza tutti ricordavano nella preghiera il giovane morto ai piedi della croce sul secondo gradino dedicato al Figlio di Dio.

Con Cristo morto in croce, tutti dobbiamo fare i conti. Bisogna battere la testa con questa pietra angolare per capire il vero senso della vita umana.

 L’edicola della Vergine Maria

Aveva almeno 300 anni di vita e di storia ed era sistemata in un posto centrale dell’antico borgo mediovale del paese.

Da lì passava praticamente tutta la gente, ogni mattina, dai più piccoli ai più grandi e per tutti quella piccola edicola della Beata Vergine Maria con bambino era un buon auspicio per la giornata.

C’era chi si faceva la croce e sostava un attimo a pregare e poi con la mano a toccare quelle bellissime piastrelle di maiolica che costituivano il mosaico della Madonnina, dolce e tenerissima con Gesù bambino tra le sue braccia, nell’atto di donargli il latte materno.

Altri facevano un semplice gesto del capo in segno di riverenza e saluto e gli anziani invece si toglievano il cappello ed abbassavano la testa in senso di rispetto. Era una liturgia mattutina e diurna, un insieme di lodi e vespri, un vero rito soprattutto di mattutino che lasciavano nel cuore di chi osservava da vicino o da lontano il segno dell’amore verso la Madre del Signore.

Un amore sincero ed un rispetto totale espresso anche attraverso il culto delle immagini sacre.

Una mattina di primavera, quell’icona non c’era più nella sua cappellinna. Era stata portava via da mano sacrileghe, che con mestiere ed esperienza avevano rimosse tutte le piastrelle con componevano la bellissima immagine della Madonna con Bambino.

In quel posto erano impegnati da mesi per lavori pubblici operai che nel loro linguaggio corrente non facevano nulla se non facevano scappare una bestemmia contro Madonna e il Padre Eterno. Anche davanti alla bellissima immagine della Vergine Santa non avevano ritegno di bestemmiare.

Restavano impressionati i bambini che vedevano ogni giorno quello sperpetuo contro la Madonna, i giovani che per quanti si dice comunque sono rispettosi della fede propria ed altrui ed hanno una grande venerazione per la Madre di nostro Signore, gli anziani che per loro quella immagine era familiare e cara e quando la si toccava con la bestemmia scattava in loro un forte risentimento a chi offendeva la religione e il culto delle immagini.

Tra i tanti operai c’erano vari che non credevano affatto o erano di altre sette e confessioni che non ammettono il culto alle immagine sacre. Si pensò subito in paese che potesse essere qualcuno di loro a portare via una immagine della Vergine Santa così bella ed espressiva. Perché si pensava che un cattolico vero oltre a non rubare nulla agli altri, non ruba particolarmente le immagini sacre, perché commette un reato, ma anche un peccato grave.

Sta di fatto che in quella cappellina l’immagine della Madonna con Bambino non tornò più. Ma la cappellina non poteva restare assolutamente così, vuota.

E allora la popolazione di organizzò e fece fare un copia esatta della stessa immagine della Madonna con Bambino e con lo stesso materiale in maiolicato. Il mosaico fu ricomposto anche perché tutti avevano l’immagine della loro Madonnina impressa sulle figurine o sui telefonini. Molti l’avevano messa come immagine di apertura del loro telefono cellulare, in modo che il pensiero fosse costantemente rivolta alla Madre di Dio ogni volta che questo squillava.

Il legame con quella immagine era profondo e solo chi era stato allevato al culto della Vergine Santa e a venerarla con sincerità poteva comprendere il vuoto che aveva lasciato nel loro cuore di ciascuno di loro, chi aveva portato via la loro Madonnina.

Si pregò a lungo per le mani sacrileghe, affinché ritornasse l’immagine originale; ma passarono anni e tutto rimase tale e quale.

La copia che era stata sistemata allo stesso posto, e questo aveva fatto  dimenticare in parte il gravissimo fatto, ma non eliminarlo del tutto dalla coscienza di quel popolo particolarmente devoto della loro Madonna, tanto da dedicare a lei la festa più importante del paese.

Un giorno per puro caso, un operatore ecologico andò a rovistare in mezzo ai detriti di una casa abbandonata e che era ceduta durante una forte scossa di terremoto. Praticamente di quella casa e di quella famiglia non era rimasta pietra su pietra e  ossa su ossa.

Tra le macerie trovò l’immagine spezzettata, come carta, della sua Madonna, senza poterla ricuperarla in toto, in quanto era stata praticamente annientata.

Si cercò anche di rimetterla a posto, ma non fu possibile.

I pochi pezzetti di maiolica di quell’immagine non potevano assolutamente ricostruire tutta la Madonnina, perché mancava la parte più importante: Gesù Bambino.

Una mamma senza il suo figlio, pensò il netturbino, è una vita senza amore e un amore con grande dolore. Ed un figlio senza la madre è una vita dimezzata e senza significato. Maria è Gesù in un inscindibile rapporto di amore e di redenzione, erano il chiaro messaggio a quanti la veneravano in quell’immagine dell’unità e dell’armonia familiare.

Rimettere la Madonna al suo posto, senza Gesù bambino, non sembrò giusto e allora si pensò bene a continuare a venerare la copia della sacra immagine nella sua completezza iconografica.

Perché così era stata realizzata dall’inizio e così doveva giustamente ritornare dopo il sacrilego gesto del trafugamento  fatto da mani indegne di toccare un’immagine sacra, cara a tutta la comunità, anche a chi credente non era.

I piccoli frammenti di quella immagine sacra, con oltre 300 anni di storia da raccontare, furono conservati nel museo della città, a perenne memoria di una vicenda di offesa al culto cattolico delle immagini, che solo una persona arrabbiata con Dio e il mondo intero poteva aver compiuto in una delle notti più oscure della sua vita di buio.

Sarà stata una circostanza, una casualità, ma quella casa in cui fu portata la Madonnina rubata non ci fu mai pace a quanto si seppe dopo il ritrovamento e quella famiglia finì con i suoi componenti sotto le macerie di un terremoto, distruggendo ogni cosa e lasciando visibile solo un pezzetto di paradiso: il doce viso della Madonnina.

  

Il barbone della stazione

 In tre mesi era cambiata radicamente la sua vita. Il fallimento dell’azienda di famiglia di cui era il direttore generale e soprattutto il fallimento del suo matrimonio con Angela, di cui era profondamente innamorato. Due figli piccoli, Luca e Matteo, di 7 e 5 anni, rispettivamente. Dopo il fallimento di entrambi le cose, dovette lasciare casa e paese, per trasferirsi altrove. Il giudice aveva pure stabilito il mantenimento dei figli e della moglie, rimasti senza nulla, anche con la casa ipotecata, ma con il permesso di abitarci. Stefano che provò a trovare lavoro altrove, dopo aver dato lavoro a tutti, non trovò nulla da nessuna parte. Aveva nel suo cuore il desiderio di non far mancare nulla alla sua famiglia. Cosa fare, di fronte alla chiusura totale di prospettive? Trovò una soluzione poco onorevole e non auspicabile per nessuno, anche se rispettabilissima, di fronte ad altre più difficili e problematiche decisioni. Decise di fare il barbone presso la stazione di una grande metropoli del nord. Ogni mattina, di buon ora si alzava e praticamente si travestiva per non farsi riconoscere, dal momento che era una persona in vista, noto ed un volto familiare. Parrucca, vestiti stracciati, barba incolta, una maschera di uomo per nulla riconoscibile, neppure ai più scaltri detective. Appenna arrivato alla stazione si posizionava all’inizio del binario ove arrivavano i pendolari. Evitava i binari della Freccia Rossa e degli Intercity sui quali viaggiavano i ricchi. Il motivo era semplice da capirsi: sono i poveri che aiutano altri poveri, mentre i ricchi difficilmente lo fanno. D’altra parte anche forte della conoscenza del vangelo, lui cattolico convinto, Stefano sapeva benissimo, una volta caduto in disgrazia, su quale versante operare per vivere la sua nuova sfida. La giornata praticamente trascorreva alla stazione a chiedere l’elemosina. Rientrava alla sera con l’ultimo treno delle 18,00, quando le fabbriche e i negozi chiudevano e, terminati i turni, gli operai ed i pendolari facevano ritorno a casa. Aveva per spostarsi un vecchio motorino che aveva fatto aggiustare e con il quale viaggiava senza neppure essere assicurato. Appena arrivava a casa si metteva in ordine, in quel bugigattolo che aveva avuto in prestito da un vecchio amico che abitava lontano e fuori l’Italia. Si era adattato alla meno peggio in quel monolocale a qualche km dalla sua vecchia e bellissima casa di proprietà, ove continuavano a vivere la moglie e i due figli. Ogni giornata riusciva a fare con la raccolta dai 30 ai 40 euro. Tolto qualche panino per lui e lo stretto necessario, il resto lo metteva da parte per dare l’assegno familiare alla moglie ed ai figli per non far mancare loro ciò di cui avevano bisogno. Anche i bambini avevano dovuto ridimensionare le aspettative, dopo che la madre e i parenti avevano detto esattamente come stavano le cose. Stefano soffriva per la mancanza della moglie, ma soprattutto dei suoi due piccoli angeli, una vera tempesta di gioia e felicità quando le cose andavano bene. Ora erano tristi, non tanto per le cose che mancavano, ma perché non potevano vedere il padre. Il tribunale dei minori aveva revocato al genitore la patria potestà, per incapcità di guidare la famiglia. Una sofferenza immensa, un colpo al cuore di questo ex-dirigente e imprenditore dell’Italia bene. Prima di scendere alla stazione, divenuta il luogo del suo lavoro, passava davanti casa per cercare di vedere i suoi bambini. Non gli riusciva mai, perché gli orari non confacevano. Egli doveva arrivare di buon mattino al capofila dei treni dei pendolari perché doveva racimolare qualcosa  per loro. E così succedeva. Nella postazione fissa che aveva preso, ormai la gente che passava di buon mattino o durante la giornata lasciava sempre qualcosa nel cestino che portava con sé e dove i viaggatori lasciano cadere qualche piccolo o più una più consistente mometina. Qualcuno di loro si era riproposto di fare la prima azione buona della giornata lasciando 1 euro al giorno a Stefano, l’ex-industriale, che ora viveva sotto mentite spoglie. Un giorno, ricorda bene il barbone della stazione, fu di quelli che ti restano per sempre nella memoria. Come sempre stava all’inizio del binario per chiedere l’elemosina. Ad un certo momento tra la folla dei pendolari, che correvano fuori della stazione, vede arrivare una giovane signora con un bambino tenuto per mano. A man mano che si avvicinava riconobbe che era la sua moglie e il primo dei suoi figli, che erano vestiti abbastanza bene. Erano scesi in città dal paese per un controllo medico per il bambino. Quando furono a pochi metri e la signora fece finta di non vedere, Luca, il primo figlio di Stefano, disse con candore alla mamma. “Mamma diamo qualcosa a questo signor, vedi in quale condizione si trova?”. La mamma trasse dal suo borsello 1 euro e lo passò a Luca per posarlo nel cestino del barbone. A quel punto guardando negli occhi quel signore, disse spontaneamente. “Papà. Ma tu sei il mio papa?”. “Ti sbagli” replicò Sfefano. Anche Angela aveva capito che sotto quelle mentite spoglie c’era suo marito. Strattonò Luca dicendogli che si era confuso e che doveva camminare altrimenti si faceva tardi per arrivare all’ospedale. Ma il bambino insisteva, che era suo padre. Appena si furono allontanati, Stefano si alzò dalla postazione dell’elemosina e corse nel bagno della stazione e incominciò a piangere senza fermarsi più. Quel giorno smise di chiedere l’elemosina e preso il motorino, ritornò a casa per non farsi vedere in quello stato dalla moglie e dal figlio. Nella sua mente risuonava la voce del bambino che più si allontanava e più chiamava: papà. Uno choc emotivo di quelli che ti segnano la vita. Da quel giorno, Stefano non scese più alla stazione per chiedere soldi e l’elemosina, per una questione di dignità per la sua famiglia. Ormai la moglie lo sapeva come racimolava il poco necessario per mantenerli a tutte e tre. Il giorno seguente Angela, dopo aver accompagnati i bambini a scuola, si recò da Stefano per chiarire la cosa. Entrambi convennero che non poteva andare avanti così e propose a Stefano suo marito di andare a lavorare con il padre di lei in campagna, a fare il contadino, pur di salvare la dignità sua, quella dei bambini e della sua famiglia. Stefano accettò e la giornata lavorativa che pecepiva di 50 euro al giorno con i contributi permise alla famiglia di vivere meglio e a Stefano di non fare una vita da mendicante della stazione per il bene della sua famiglia, ormai perduta ed in parte ritorovata. Angela, infatti, non volle che Stefano ritornasse a casa, ma permise di vedere i bambini e fece in modo che il tribunale revocasse, attraverso il suo legale, il dispositivo sulla patria potestà e sul frequentare i bambini. Un piccolo passo in avanti Stefano lo aveva fatto ed era più sereno, pur ammettendo i tanti errori gestionali che aveva fatto quando era dirigente dell’azienda familiare e faceva sprechi di ogni genere. Investimenti sbagliati, acquisti di auto, amava il lusso, la bella vita, le ferie all’estero, giocare, divertirsi perché i soldì erano tanti. Ma la crisi era arrivata anche per la sua azienda e l’aveva travolto buttandolo sul lastrico e coinvolgendo in questa cattiva gestione tutta la sua parentela e i vari dipendenti. Aveva imparato la lezione, ma dovette lavorare per anni per uscire dall’emergenza. I figli una volta diventati maggiorenni frequentarono regolarmente il papà, mentre Angela decise di rimanere sola e farsi una vita nel campo della professione, essendo ormai un architetto ben avviato.

 

 

La modella

 Da piccola sognava di diventare una delle modelle più belle e richieste, oltre che pagate del mondo. Non c’era dubbio. Era una bellissima ragazza. Tutto a posto per fare questo lavoro e magari anche per partecipare ad uno dei concorsi, quelli che si fanno per essere apprezzate e anche ben pagate. Il suo curriculum professionale si era svolto tutto regolare, aveva superato prove, aveva fatto provini, e si era sempre classificata tra le prime se non la prima in senso assoluto. In lei aumentava la stima e la personale autovalutazione arrivò alle stelle, tanto che nessuno si poteva più avvicinare per parlarle. Era una star almeno nella sua zona, anche se non ancora era decollata a livello nazionale e internazionale. In questo suo desiderio di realizzazione nel mondo della moda o dello spettacolo o della televisione era sostenuta dalla mamma che pure aveva sognato di fare lo stesso discorso, ma non le era stato permesso dai genitori, che la pensavano diversamente da lei. Non mancò anche il sostegno del padre, che pur di accontentare la figlia, con tanta sofferenza, vedeva sfilare la sua bambina, ormai donna, tra ali di uomini, molti dei quali cittadini del luogo. Gli apprezzamenti anche in dialetto locale non mancavano verso la figlia. Ed il padre nel silenzio doveva sopportare tutto, considerato che la figlia ormai si era esposta. Venne il giorno in cui ci furono le selezioni per un concorso importante e tra le aspiranti modelle c’era propria la sua figlia diletta. Doveva trasferirsi dal paese alla capitale per partecipare alle selezioni. La partenza dal paese fu in ritardo e qundi per arrivare in tempo con l’auto, guidata dal fidanzato della ragazza sulla quale c’erano leì e i due genitori, si correva a mille all’ora. Una corsa folle, senza rispettare limiti di velocità, facendo sorpassi azzardati, non considerando i rilevatori di velocità disseminati abbondanti lungo tutto il percorso. Nulla in quel momento era più importante: arrivare in tempo alla selezione, perché sarebbe stata un’ottima occasione per decollare nel campo della moda e dello spettacolo a livello internazionale ed avere un contratto lavorativo considerevole. Tutto bene fino alla periferia della città. I 300 Km di distanza il ragazzo l’aveva percorso in poco più di un’ora, alla media di 200 Km all’ora. Ma il dramma si sarebbe consumato a lì a poco, quando l’auto ad alta velocità in una curva sbandò e andò a sbattere davanti al muro. I sistemi di sicurezza dell’auto non causarono grossi traumi ai viaggianti,. Tutti gli airbag erano scattati e aveva protetti i quattro passeggeri da morte certa. La macchina distrutta e i viaggianti con vari escorazioni e ferite. Chi ebbe la peggio in questo terribile incidente fu proprio l’aspirante modella, che ebbe varie lesioni al viso e ferite più o meno profonde alle altre parti del corpo. Tutti i quattro furono portati in ospedalle per gli accertamenti e per le cure del caso. Tre poterono lasciare l’ospedale alla sera stessa, per la ragazza ci vollero diversi giorni per mettere a posto tutto il suo corpo e soprattutto la sua anima e la sua psiche. Il sogno di una vita si era infranto davanti ad un muro sull’autostrada. Ma da quella triste esperienza usci profondamente segnata, ma altrettanto matura per capire che la vita, vale più di una gara per modelle o di un posto di lavoro nel mondo dello spettacolo e della moda. La bellezza fisica non sempre gioca a favore di chi è in possesso di questo singolare dono di Dio, perché più importante è la bellezza del cuore e dell’anima che se ben curata e custodita ci accompagna per tutta la vita, mentre la bellezza esteriore si deturpa con il passare delle ore, dei giorni, dei mesi e degli anni. Da quel giorno Melissa non gareggiò più, si accontentò di trovare un onesto lavoro e sposarsi con il suo Giorgio, anch’ egli traumatizzato per il grave incidente. La più “suonata” di tutta la vicenda fu la madre di Melissa, che da quel giorno avvertiva un senso di colpa che portò con se fino alla tomba. Melissa ebbe tre bellissime bambine, anch’esse aspiranti miss. Ma come madre ormai forte della triste espienza non forzò la volontà delle sue figlie, né chiedeva di premere sull’acceleratore quando le ragazze viaggiano con i rispettivi fidanzati per partecipare ad un concorso di bellezza. Aveva il terrore che potesse succedere anche a loro, ciò che era successo a lei. Prevenire è meglio che curare si era detto nella sua mente di non più figlia, condizionata dalla madre, ma di madre che amava teneramente le sue figlie e non le esponeva a nessun pericolo né alllo sguardo indiscreto di tante persone che lavorano nel campo della moda e dello spettacolo.

 

Naim l’africano

 Era in quella scuola del Sud il primo bambino di colore che faceva ingresso nella scuola dell’obbligo ed aveva appena sei anni, come i tanti bambini italiani che in quell’anno facevano ingresso nella scuola elementare. Era originario del Benin ed è era un bambino bellissimo e simpaticissimo, sprigionava da tutti i suoi pori la voglia e la gioia di vivere. In quella prima classe della scuola elementare tutti gli altri erano bambini del posto, di colore bianco, e tra loro c’era un bambino dai capelli biondi e dagli occhi azzurri. Di quei bambini figli dei grandi signori delle aree del sud con l’aria della persona superiore. Vestiva benissimo, alla moda, aveva tutti i libri a posto, zaino firmato e tutto il resto di marca. Il bambino nero, pulitissimo, aveva pochissime cose con sé, l’essenziale per la scuola, ma era volenteroso nello studio. Comprendeva perfettamente e subito la lezione delle maestre, che insegnavano su quel modulo di classi elementari. In poche parole divenne subito il primo della classe, attirandosi, da un lato la benevolenza delle maestre, e dall’altra la gelosia del bambino biondo che poco riusciva negli studi. I dispetti quotidiani si rinnovavano ogni giorno e non solo in classe, ma anche durante l’orario del gioco all’aperto e durante la mensa. Qui scattava l’odio raziale del bambino bianco, che era stato mal educato dai genitori, perché essi non amavano per nulla i neri ed erano evidentemente persone per nulla tolleranti verso gli extracomuniari. Quel bambino biondo era cresciuto nell’odio razziale e quindi non vedeva di buon occhio la presenza dell’africano nella sua classe e per di più anche il primo in assoluto negli studi. Un giorno mentre giocavano negli spazi aperti della scuola, il bambino biondo cadde e si ruppe la gamba. Il primo a soccorrerlo fu l’africano che con parole di adulto cercava di incoraggiare e sostenere il bambino biondo nella sua sofferenza, in attesa che arrivassero i genitori e soprattutto l’autoambulanza per portarlo in ospedale. Senza farlo muovere, si accostò a lui e nel suo perfetto italiano che aveva appreso benissimo in pochi mesi, gli raccontava delle storie del suo paese d’origine, proprio quando i bambini cadevano e si facevano male e non potevano arrivare né dottore, né autoambulanza, ma solo la mamma o il padre quando c’erano ed erano capaci. A intervenire in quelle circostanze erano solo le suore missionarie o i sacerdoti missionari che in qualche modo cercavano di lenire il dolore dei piccoli e dei grandi con i pochi rimedi medici che avevano a disposizione. Di racconto in racconto, dopo quasi 10 minuti dall’incidente, arrivarono i due genitori del bambino biondo e trovano l’africano vicino al loro figlio. In un primo momento con la rabbia sul volto pensarono che fosse stato l’africano a far male al loro bambino. Il loro figlio capì dagli sguardi e nonostante il dolore che aveva in quel momento si fece avanti dicendo: “Mamma, papà, grazie a Naim sono qui a soffrire di meno. Lo ringrazio di cuore perché è stato un tesoro con me, mentre i miei compagni sono andati via per paura o per non darmi una mano”. I genitori del piccolo Alex, il bambino biondo, presero tra le braccia Naim, lo baciarono e lo ringraziarono per aver fatto compagnia al loro bambino. Nel frattempo arrivò l’autoambulanza e con tutti gli accorgimenti e la prudenza del caso il bambino fu portato in ospedale, curato ed ingessato. Dovette stare 40 giorni al letto e in casa. Ad andarlo a trovare tutti i giorni a fargli fare i compiti e a spiegare le lezioni ad Alex era Naim, l’africano, che nel colore della pelle del suo amico Alex non vedeva né il bianco, né il biondo dei capelli, né gli azzurri occhi del suo compagno, ma solo un suo caro amico al quale voleva bene. La lezione del piccolo Naim per lo stesso Alex e soprattutto per i suoi genitori fu efficace e da allora in poi, in quella famiglia il razzismo scomparve per sempre dai pensieri e dai comportamenti di quei nobili signori di un paese del Sud.

 

Il pianto del ragazzo

 Era tutto solo nella chiesa della Madonna del Carmine e piangerva a dirotto, davanti al santissimo sacramento dell’altare. Da poco si era conclusa la celebrazione eucaristica, durante la quale il sacerdote, nell’omelia, aveva trattato temi importanti come l’unità della famiglia. Evidentemente il ragazzo era rimasto scosso dalle parole del predicatore e riviveva nel suo cuore il dramma dei genitori separati e rivedeva tutte le volte che tra loro due c’erano stati diverbi e come essi avevano segnato la sua psicologia. Nella chiesa vuota era rimasto il ragazzo e una suora. La quale si avvicina al giovane per chiedere: come mai piangesse. “Niente, sorella”, disse. “Voglio stare un altro poco qui davanti a Gesù, per chiedere lumi sul mio futuro”. La suora lascia il ragazzo a meditare davanti all’altare e continua a fare le sue cose, visto che alla chiesa del Carmine era annesso il monastero delle Carmelitane di vita attiva. A distanza di un’ora ritorna nella stessa chiesa per vedere se il ragazzo era ancora lì a pregare e a piangere. Con grande gioia, nota che non c’era più, era andato via. La suora si accingeva a chiudere la porta della chiesa, quando all’improvviso sopraggiunge novamente il ragazzo con le lacrime agli occhi e con un magone nel cuore.La suora sconcertata e preoccupata dello stato d’animo del ragazzo, pensando che potesse farsi del male, chiede aiuto al sacerdote che era ancora in sacrestia a svolgere il suo ministero di padre spirituale. “Padre correte –grida la suora – un giovane si sente male ed ha bisogno di voi”. Il sacerdote lascia quello che stava facendo, dice alla penitente che stava confessandosi di aspettare un attivo che sarebbe ritornato subito. Va in chiesa e si accosta al giovane che continua a piangere a dirotto. Lacrimoni cadono abbondanti dal viso del giovane.  

“Cosa ti è successo, ragazzo mio” chiede il sacerdote.  

“Nulla padre, ho bisogno di pregare, di stare davanti a Gesù Sacramentato”.  

Al che il sacerdote disse di rimanere li finquando voleva.  

Il giovane rimase ancora un’altra ora davanti al santissimo sacramento e poi usci di nuovo.  

Il sacerdote visto che non c’era più nessuno in chiesa, incominciò a chiudere la porta dell’ingresso, quando all’improvviso nuovamente arriva il ragazzo, che piange fortissimamente e chiede conforto al sacerdote.  

“Cosa è successo?”, domandò il prete.  

“Una cosa terribile”, padre, ho visto mia madre nella macchina di un altro uomo, che non è mio padre, che stava in atteggiamento affettuoso, per non dire altro, con questo uomo. E’ stato un colpo mortale per me. Sono corso in chiesa a pregare, perché non sapevo cosa fare in quel momento. Ho chiesto l’aiuto al Signore. Ho aspettato un’ora e sono uscito con la speranza che mia madre avesse salutato quell’uomo e fosse tornata a casa. Invece non era così. Ogni ora sono uscito, ma lei stava sempre lì. Anche in questo momento sta con quella persona. Se vuole, padre, può rendersi conto personalmente della cosa”.  

Al che il prete: “Ti credo figlio mio, non ho bisogno di verificare nulla. Questi fatti purtroppo capitano sempre più frequentemente ai nostri giorni. Non  ci dobbiamo rassegnare alla situazione che si è creata. Ma ti chiedo cosa possiamo fare?”. 

Il ragazzo, replicò subito al sacerdote. “Tanto per iniziare, non le faccia più insegnare il catechismo, visto che è una sua collaboratrice, padre. Quale messaggio di vita cristiana può dare ai ragazzi che si preparano alla cresima?”.  

Al che il sacerdote. “Non posso che darti ragione figlio mio. L’insegnamento della vita vale più di un anno di catechismo. Tua madre da domani in poi, se è vero quello che dici, non potrà più insegnare ai bambini e tantomeno essere credibile per quello che ti raccomanda di fare a te che sei suo figlio. Ma ti posso chiedere una cosa?, aggiunse il sacerdote. 

 “Certo”, rispose il ragazzo.  

“Quando rientrerai –disse il prete- a casa e vedrai tua madre, fa finta di nulla di quello che hai visto. Aspetta che sia lei a dirti la verità, dal momento che sei l’unico figlio e l’unica persona con cui vive ufficialmente, nascondendo agli occhi degli altri la sua vera condotta di vita”.  

Al che il ragazzo. “E se non dovesse dirmi nulla?”.  

Replicò il sacerdote: “Fai una cosa semplice, evangelica, vai da lei e con un grande gesto di amore e di tenerezza, dille: mamma solo un figlio può amare sinceramente la sua mamma e sola una mamma vera può amare davvero il suo figlio”.  

E chiedele: “Mi vuoi ancora bene?. Se ti dice di sì sappi che sta attraversando un momento difficile della sua vita e tu come figlio devi starle vicino per recuperarla all’amore e alla famiglia”.  

Al che il ragazzo: “Io devo stare vicino a mia madre? Ma deve essere lei ad essere vicino a me”.  

Al che il sacerdote disse al ragazzo: “Chi più capisce, più comprende e patisce. Tu hai capito ora che tua madre non è quella che tu pensavi. Lei ora ha bisogno di te, più che tu di lei. Perché tu hai Gesù e sei corso da Lui in questo momento di sconforto. Lei purtroppo è corsa in braccia di un altro uomo, pensando di aver risolto i suoi problemi interiori. Non è così. Lei sta più male di te ed ha bisogno del tuo amore per uscire fuori da questa situazione di immoralità. Fammi il piacere –disse il sacerdote – ora che esci dalla chiesa e vai a casa, fa come ti ho detto e domani passa a dirmi come è andata”.  

Il ragazzo tornò il giorno dopo dal sacerdote, tutto felice e contento, ringraziando il padre per i buoni consigli che gli aveva dato.  

La mamma in quella sera stessa aveva chiamato il suo amante ed aveva detto che era finito, in quanto era più importante l’educazione dei figli che soddisfare i propri istinti e che era disonesto a svolgere il ministero di catechista, vivendo in quella situazione di immoralità, avendo ancora un marito ed un figlio, non solo sulla carta, ma ancora nel cuore.  

La conversione era avvenuta, frutto anche di quella preghiera e del pianto di quel ragazzo, preoccupato di perdere l’amore della mamma e la sua famiglia per sempre.  

La signora non tornò a fare catechismo, anzi fu lei stessa a dire al prete che non se la sentiva e svuotò il sacco di tutta la situazione personale che si era portata avanti da anni, subito dopo la nascita di quel bambino, ormai ragazzo, che tanta preoccupazione ed ansia le procurava in quanto era l’unico vero bene della sua vita.  

L’errore commesso richiedeva una seria purificazione e il modo per attuarlo fu quello di lasciare la parrocchia, dove la notizia in parte era risaputa, e ritarsi a pregare e a frequentare altri ambienti religiosi, ove non era conosciuta e pertanto poteva continuare a vivere la sua esperienza di fede, dopo una sincera confessione fatta al santuario della Madonna del Carmine, ai cui piedi versò tante lacrime di pentimento e di purificazione.  

Maria ormai si era pentita e incominciava una nuova vita, portando la gioia e il sorriso nella sua famiglia. Fece in modo che anche il marito ritornasse a casa e si ricominciasse tutti e tre insieme l’avventura della vita coniugale e familiare, nella sincerità dei rapporti interpersonali.

 

Il falso cieco 

Un giorno, un uomo non vedente, non conosciuto da quella gente, stava seduto, (come tanti specie di domenica) sui gradini di una chiesa con un cappello ai suoi piedi ed un cartello recante la scritta: “Sono cieco, aiutatemi per favore”.  

Un signore che stava entarndo in chiesa si fermò a leggere il cartello e soprattutto a controllare quanto aveva finora racimolato. Notò che aveva solo pochi centesimi nel suo cappello. Si chinò e versò altre monete. Poi, senza chiedere il permesso a quell’uomo, prese il cartello, lo girò e scrisse un’altra frase: “Aiutatemi, perché ho una famiglia e non ce la faccio a vivere, sono senza lavoro”.  

Quello stesso pomeriggio il signore tornò dal finto non vedente e notò che il suo cappello era pieno di monete e banconote. 

Il miracolo della solidarietà e della carità si era rinnovato anche davanti a quella chiesa, dove di veri e finti chiechi si alternavano per chiedere l’elemosina ai fedeli che entravano ed uscivano dal luogo di culto. 

Il finto non vedente lo riconobbe e lo ringraziò per la scritta vera che aveva fissato sul cartello. Quel signore rispose: “No devi ringraziarmi di niente.  Ho solo scritto la verità, ben conoscendoti e sapendo le tue condizioni. Questa gente non ti conosce e non sanno chi sei. Ma non devi strumentalizzare coloro che davvero soffrono per la cecità”. Sorrise e andò via. 

Dire la verità, non vergognarsi della propria povertà, chiedere aiuto a chi può darlo è un atto di amore e rispetto verso di se e verso quanti dipendono dalle nostre sorti.  

Certo che non bisogna falsificare le carte o le condizioni di salute per ottenere un beneficio, sapendo di poter agire sulla sensibilità degli altri. 

I non vedenti veri sono in primo luogo ad essere nelle attenzioni delle persone sensibili, ma non bisogna sfruttare questa categoria di persone  per ottenere favori, quali pensioni ed altro, perché alla fine prima o poi i finti invalidi vengono scoperti.  

Ma al di là di questo è soprattutto la coscienza che dovrebbe mordere a chi non ha diritto ad una pensione di invalidità. Lo stesso chiedere l’elemosima fingendosi per cieco, offende la dignità, la sensibilità e la sofferenza di chi cieco è davvero.