SESSA AURUNCA

Mondragone (Ce). Sabato 1 giugno, la consacrazione della nuova chiesa di San Giustino Martire

chiesasangiustino.jpgSarà consacrata, sabato 1 giugno 2013, alle ore 20.00, la nuova chiesa parrocchiale, dedicata a San Giustino Martire, in Località Levagnole, alla periferia nord di Mondragone, in provincia di Caserta, nella Diocesi di Sessa Aurunca.

E sarà  monsignor Antonio Napoletano, Vescovo di Sessa Aurunca a consacrare il nuovo luogo di culto e il nuovo complesso delle opere parrocchiali annesso alla Chiesa. Si tratta di un’opera rilevante da un punto di vista architettonico e soprattutto pastorale e spirituale.

La parrocchia San Giustino Martire, istituita da monsignor Vittorio Maria Costantini, di v.m. negli anni 70, in seguito alla donazione alla Diocesi  di un terreno da parte del Signor Giustino Pascale, e dalla riduzione dell’area della parrocchia San Giuseppe Artigiano dei Passionisti, istituita nel 1964, fu pensata per dare una struttura operativa pastorale ad una zona turistica di Mondragone, particolarmente rinomata e in fase di sviluppo.

In questa zona, infatti sorgeva, l’antica Sinope e Sinuessa, antenate dell’attuale città di Mondragone, con le sue celebri terme sulfuree, particolarmente adatte per la cura della sterilità e della pelle.

Negli anni settanta iniziò, infatti, il boom turistico ed anche la zona nord di Mondragone incominciò ad organizzarsi in tale direzione, con ville, servizi vari, lidi, camping, hotels, ristoranti, strutture di accoglienza.

Mancava solo la chiesa parrocchiale, soprattutto per l’estate quando la popolazione in loco raggiungeva oltre 10.000 abitanti temporanei, con centri turistici come Baia Azzurra e il Parco Le Vagnole Mare.

Una prima struttura per accogliere i fedeli ed ivi avviare l’attività parrocchiale fu eretta durante l’episcopato di monsignor Raffaele Nogaro e primo parroco ufficiale della parrocchia operativa fu padre Francesco Romano, dei padri passionisti della comunità di San Giuseppe Artigiano, dalla quale dipendeva la parrocchia.

Con il contributo della Diocesi, dei fedeli e delle maestranze fu eretta la struttura della Chiesa e della sagrestia e ricavato, avanti alla chiesa temporanea, uno spazio adatto alle esigenze ricreative e associativa dei parrocchiali, specie per i bambini.

Negli anni ottanta fu istituita la festa di San Giustino martire ed avviate le prime manifestazioni esterne religiose in onore del Santo con la predicazione del triduo e della processione, con la festa esterna e con la sagra.

Per oltre 25 anni la parrocchia ha funzionato con questa minima struttura di culto. Era evidente la necessità di realizzare una vera chiesa, completa con tutte le opere parrocchiali, secondo il progetto iniziale, che fu avviato e poi sospeso per mancanza di fondi e per altri problemi.

Infatti nei primi interventi realizzati si riuscì, durante l’episcopato di mons. Costantini, a costruire solo la piattaforma in cemento armato, dove poter poi alzare l’opera. I soldi infatti furono spesi per consolidare le fondamenta, in una zona acquitrinosa e soggetta, durante, l’inverno a facili  alluvioni.

Molto interessamento all’erigenda chiesa parrocchiale San Giustino fu manifestato da monsignor Agostino Superbo, durante il suo breve periodo di episcopato alla guida della Diocesi sessana.

La parrocchia per 30 anni è stata guidata pastoralmente dai passionisti di Mondragone, in particolare da una figura esemplare per disponibilità apostolica e spiritualità, che fu padre Emilio Vicini.

A lui fu associato come impegno pastorale, padre Antonio Rungi, sempre della comunità dei passionisti di Mondragone.

Con l’aiuto delle Suore della Stella Maris, con i gruppi parrocchiali di San Giuseppe si assicuravano tutte le funzioni religiose soprattutto nelle solennità e sempre con grande partecipazione del popolo di Dio, che stabilmente dimorava in zona.

La parrocchia con 600 fedeli in totale, quando fu istituita, è cresciuta numericamente nel tempo, per i maggiori insediamenti abitativi che ci sono stati nel primo decennio del 2000, con la presenza di un’avviata Clinica ospedaliera, intitolata a Padre Pio, e con il Santuarietto del Belvedere, luogo storico della devozione mariana dedicata alla Madonna Incaldana, protettrice di Mondragone.

Molti sacerdoti hanno avuto sempre a cuore la chiesa di San Giustino: monsignor Giambattista Di Majo, mons. Riccardo Luberto, padre Sebastiano Cerrone, padre Emilio Vicini, padre Antonio Rungi, padre Francesco Romano, padre Amedeo De Francesco, padre Carmine Satriano.

Da un quinquennio a seguire pastoralmente la parrocchia San Giustino sono stati i sacerdoti diocesani: Don Roberto, don Oscar e ultimamente don Angelo  e  don Roberto congiuntemente.

La nuova chiesa è stata realizzata per diretto interessamento del Vescovo, monsignor Antonio Napoletano, che ha portato a termine, nel suo lungo servizio pastorale alla Diocesi di Sessa Aurunca, due importanti chiese alla periferia di Mondragone: quella di San Gaetano da Thiene, in Località Pescopagano, e quella di San Giustino Martire in Località Levagnole.

Dopo 40 anni di attesa, la piccola comunità parrocchiale stabilmente residente nella zona avrà la sua chiesa e le opere parrocchiali. Potranno così celebrarsi tutti i sacramenti della vita cristiana, a partire dal battesimo, con un fonte battesimale, l’eucaristia, con un altare degno del mistero che si celebra, ai matrimoni, spesso dirottati altrove, alle celebrazioni più significative a livello personale, familiare e comunitario.

La presenza sul posto anche del parroco e sacerdote sicuramente favorirà la crescita spirituale, sociale e umana del vasto territorio parrocchiale, che si presenta dispersivo e poco adatto alla vita sociale.

La parrocchia e le opere parrocchiali saranno il punto di riferimento per questa comunità che dal primo giugno in poi potrà contare sulla nuova chiesa e sulle opere parrocchiali come strumento per formare la vera chiesa spirituale, come si legge nel manifesto che annuncia questo fausto e storico avvenimento per l’intera Diocesi di Sessa Aurunca e per Mondragone in particolare: “Sulla roccia è costruito l’edificio, nello Spirito è custodita la comunità”.

 

Antonio Rungi

Mondragone (Ce). Seminario di studi su Victorine Le Dieu

DSC07165.JPG150120132147.jpgDSC07159.JPG150120132139.jpgSi svolgerà giovedì 16 maggio 2013, per l’intera giornata, un seminario di studi sulla figura e l’opera della serva di Dio Victorine Le Dieu, Fondatrice delle Suore di Gesù Redentore, che a Mondragone hanno una rinomata ed affermata struttura finalizzata all’accoglienza e all’ospitalità. E, infatti, presso la Stella Maris di Mondragone a pochi metri dal mare che giovedì prossimo si svolgerà questo importante convegno nell’anno della fede, voluto espressamente dalle suore della comunità e dall’assistente spirituale, padre Antonio Rungi, che sarà il moderatore del seminario di Studi. Importanti personalità del mondo ecclesiastico nazionale e locale prenderanno parte al seminario di studi. L’aspetto storico del tempo in cui visse ed operò Victorine Le Dieu verrà trattato, nella mattinata del 16 maggio 2013, dal passionista, Giuseppe Comparelli, uno studioso ed esperto dell’Ottocento. L’aspetto teologico e carismatico della figura della Serva di Dio Victorine Le Dieu verrà trattato, nella mattinata di giovedì prossimo, dall’arcivescovo di Potenza, mons. Agostino Superbo, già assistente nazionale dell’Azione Cattolica e Vice-presidente per l’Italia Meridionale della Conferenza Episcopale Italiana (Cei). La presenza delle suore a Mondragone, le loro attività svolte e che continuano a svolgere veranno presentate da due comunicazioni nel pomeriggio, curate rispettivamente dal frate francescano, padre Berardo Buonanno, autore di numerose pubblicazioni di carattere storico e religioso su Mondragone e dal vicario foraneo, don Roberto Guttoriello. La giornata verrà aperta dal saluto del vicario episcopale per la vita consacrata della Diocesi di Sessa Aurunca, don Paolo Marotta e sarà conclusa con la celebrazione eucaristica, presieduta dal Vescovo di Sessa Aurunca, alle ore 19.00, nella Chiesa delle Suore della Stella Maris. Il seminario di studio è aperto a tutti, specialmente ai fedeli laici e a quanti vogliono sviluppare un approfondimento della loro fede sull’esempio della Serva di Dio, Victorine Le Dieu, avviata verso la beatificazione. Il seminario di studi promosso dalla comunità delle Suore di Gesù Redentore ha un significato particolare, in quanto l’Istituto fondato da Victorine Le Dieu celebra quest’anno i suoi 150 anni di riconoscimento dell’opera, approvata il 15 gennaio 1863 da Pio IX. L’Istituto che fina dalla sua nascita e nel corso degli anni si è incentrato soprattutto nel curare le ferite del corpo e dello spirito, specialmente dei bambini e dei sofferenti, oggi è presente in varie parti d’Italia e del mondo, continuando con rinnovato vigore l’opera della fondatrice. Al seminario di studio è attesa anche la nuova madre generale delle Suore di Gesù Redentore, Marilena Russo, con i vertici della Congregazione, che ha la sua sede generale a Fonte Nuova in Roma. Lì sono conservati le spoglie mortali di Victorine Le Dieu, considerata da tutti nella chiesa del suo tempo e del nostro tempo una donna straordinaria oer generosità e sacrifio per servire la causa degli ultimi e dei sofferenti nella Francia post-rivoluzionaria e nell’Europa del periodo napoleonico e post-napoleonico. Dalla Francia all’Italia il suo cammino di carità, di fede e speranza mai si interruppe, forte come era della grazia e della potenza che le venivano da Cristo, unico Redentore del mondo, sotto la cui protezione aveva messo la sua opera e la sua missione nella Chiesa.

Il Seminario di studi parlerà di questa singolare donna francese in un anno speciale come quello della fede che la cristianità sta vivendo a cavallo di due pontificati: quello del Papa emerito, Benedetto XVI, che ha indetto questo anno in occasione dei 50 anni dell’inizio del Concilio Vaticano II e continuato con particolare fervore da nuovo pontefice, Papa Francesco, che ha ripreso le catechesi sull’anno della fede in occasione delle udienze generali del mercoledì, sempre più affollate da credenti e non in una Piazza san Pietro che incomincia ad essere stretta e limitata per accogliere tutti i pellegrini che giungono a Roma per vedere il Papa e celebrare l’anno della fede, nella sede di Pietro.

Ritiro spirituale alla Stella Maris di Mondragone- Le due meditazioni

RITIRO SPIRITUALE – SUORE GESU’ REDENTORE

MONDRAGONE – GIOVEDI’ 25 APRILE 2013

PRIMA MEDITAZIONE: MATTINO

<<FEDE E SPERANZA: UN CAMMINO DI FEDELTA’>>

di padre Antonio Rungi, passionista

 

1.Introduzione

 

Questo è il settimo incontro di spiritualità in questo anno della fede che è a metà percorso. Il tema che abbiamo indicato e scelto per questo nostro ritiro spirituale è “Fede e speranza: un cammino di fedeltà”.

Nel giorno in cui celebriamo la festa di San Marco Evangelista siamo chiamati anche noi a rivitalizzare la fede e la speranza alla luce della parola di Dio che ci sostiene nel nostro cammino di credenti e di anime consacrate.

La fede significa essere fedeli a Dio, perché Dio è fedele all’uomo fino a dare la vita, in Cristo, per la salvezza dell’uomo. La speranza da parte sua è anche fedeltà e certezza di una promessa che si compirà e si realizzerà, perché Dio non può ingannare, né di fatto inganna.

La fedeltà è un valore importantissimo a tutti i livelli: da quello prettamente teologico e spirituale a quello morale e comportamentale. Da quello attinente allo stato della vita consacrata a quello della vita coniugale. Ma quale fedeltà viviamo?

Il santo Padre Benedetto XVI in un suo discorso ha fatto l’elogio della fedeltà. Egli sottolinea come oggi più che mai c’è bisogno di questo valore che la società attuale ha smarrito. Viene esaltata molto l’attitudine al cambiamento, la flessibilità per motivi economici e organizzativi anche legittimi. Ma – continua il Papa – la qualità di una relazione umana si vede dalla fedeltà! La Sacra Scrittura ci mostra che Dio è fedele (cf Benedetto XVI, 25 giugno 2011).

 

2.La Fede-speranza

 

         Nell’A.T. la Fede appare come la risposta dell’uomo a Javhè, Dio dell’Alleanza, il Dio che si rivela fedele nei suoi interventi storici salvifici, nella sua Parola e promessa; soltanto da Javhè viene quella Salvezza che l’uomo riceve nella Fede.

Tutti i testi biblici: o presuppongono la Fede religiosa in Javhè , ho tendono a suscitarla, confermarla, approfondirla. Solo nell’atteggiamento di Fede si può cogliere l’intima comunione tra  Javhè e l’uomo, i due attori della storia salvifica.

        Javhè è un Dio verso l’uomo, con fedeltà-misericordia

        L’uomo è un uomo da Dio e verso Dio.

Nella Fede questa relazione-comunione con Dio, da Lui offerta per sua graziosa iniziativa, viene riconosciuta, afferrata, accolta. La Fede implica trovare sicurezza sulle questioni decisive della vita.

La Fede importa obbligazione ad un determinato modo di vivere, in fedele obbedienza al Dio della Fede.

L’atto di Fede viene espresso prevalentemente mediante la forma verbale <poggiarsi su, appoggiarsi a, rendersi saldi appoggiandosi sulla saldezza di un altro>.

Aver Fede in Javhè , significa poggiarsi su Dio, la sua Parola. L’uomo, il debole diventa forte appoggiandosi su Dio, il Forte; sottolinea il rapporto personale dell’uomo a Dio, cioè l’atteggiamento di fiducia e d’abbandono a Lui.

Credere a Dio, allora vuol dire prendere sul serio e veramente Dio come Dio.

Per esplicitare meglio l’atteggiamento  di Fede,  accogliamo il suggerimento del Card. Martini «La fede è un bene così grande che è più facile spiegarla con esempi che con parole”.

Essa è l’atteggiamento di Abramo che risponde “eccomi” al Signore che lo chiama per metterlo ala prova (Gen 22,1). E’ l’atteggiamento di Mosè che risponde “eccomi” a colui che lo chiama dal roveto ardente (Es 3,4). E’ l’atteggiamento di Samuele che dice “Eccomi” al Dio che lo chiama nella notte (Sam 3,4.10) »

Esaminiamo più in particolare questi casi significativi: l’AT incomincia a parlare di fede riferendosi al modello di Abramo, Gen 12, 4 “Allora Abramo partì come gli aveva ordinato il Signore…”; 15, 6: “Abramo credette al Signore[che gli assicurava una discendenza], che glielo accreditò come giustizia”; 22, 18: “Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce”.

Conosciamo le circostanze della fede di Abramo: Dio si manifesta al nomade Abramo (la sua famiglia non sembra monoteista: cf Giosuè 24, 2-3; Giuditta 5, 6-9) chiedendogli di lasciare il suo paese, patria, la casa di suo padre, e mettersi in marcia verso un paese ignoto, una terra promessa; Abramo dà fiducia alla Parola  divina, ubbidisce, crede nel suo adempimento.

Credendo a Dio, Abramo prese l’atteggiamento giusto, quello che si confà all’uomo davanti a Dio, alla sua Parola; credette che niente è impossibile a Dio (Gen 18,14). Se la storia della salvezza incomincia con Abramo, già la “preistoria teologica dell’umanità” (Gen 1-11) descrive comportamenti esemplari di Fede: Abele, Henoch, Noè; anzi la storia teologica dell’uomo richiedeva sin dal suo inizio un atto di Fede-obbedienza: ob-audio = dare ascolto a, ubbidire.

Il comportamento disastroso di Adamo fu invece il non-ascoltare, disobbedire (Rom 5,19).

La storia dell’Alleanza conosce un suo momento decisivo nella Fede di Mosè (Es 3-4), il suo rendersi disponibile al dialogo con Javhè, il suo fidarsi ed obbedire; anche il popolo credette a Javhè , accettò come reale la manifestazione di Javhè a Mosè, si fidò della sua promessa e ubbidì iniziando l’esodo, attraversando il Mar rosso. Si mise in cammino verso la terra promessa, accogliendo la rivelazione del Sinai, divenendo il Popolo sacerdotale, il popolo che inizia ad avere il senso del Vero Dio, lo dimostra con l’osservanza dei comandamenti. Durante la marcia nel deserto, rifiutarono più volte di fidarsi di Dio, dimenticarono le opere salvifiche già realizzate, si ribellarono: per questo caddero nel deserto, senza raggiungere la terra promessa.

Anche il passaggio delicato tra la struttura tribale, dei Giudici di Israele, a quella del Regno è realizzata dall’obbedienza esemplare del giovane Samuele, al servizio e scuola di Eli nel tempio di Silo.

Tutta la storia del Popolo dell’alleanza è segnata dall’obbedienza della Fede e dalla ribellione; ricordiamo l’invito di Isaia (7,9) al re Achaz, durante l’assedio del 730 a.C.: 7, 7-9: “Se non avrete Fede, non starete saldi” cioè: “Se non vi appoggerete a Javhè, non avrete alcun sostegno”. Così pure Is 26,16: “Chi se ne fida, non vacillerà”; Is 10,20: “In quei giorni il resto di Israele, …i superstiti… si appoggiarono sul Signore, sul Santo di Israele, con lealtà”.

Notiamo come l’aspetto fiduciale della Fede, il fidarsi del Signore, tende ad identificarsi con la terminologia della speranza: sentirsi sicuri della fedeltà di chi promette, confidare, trovare riparo,  perseverare con pazienza.

Si tratta di novità: nel paganesimo è sconosciuta la speranza religiosa. Si può trovare la stessa terminologia di attesa, fiducia, manca la persona divina che entri nella storia dell’uomo, ogni uomo, tutti gli uomini, prometta comunione con sé, i beni corrispondenti. Israele è frutto della promessa di Javhè, Dio dell’Alleanza, e Signore, creatore di tutto, capace di realizzare ciò che promette.

Troviamo espressioni significative, per es: “Tu sei la mia speranza” del Sal. 70 (71), 5;  “Tu speranza di Israele” di Ger 14, 8 sono proprie della religiosità ebraica.

Determinante per la conservazione della genuina speranza è stata la lotta dei grandi Profeti contro i falsi miraggi di salvezza, fatti di alleanze politiche, di comportamenti pagani.

In tante lotte e pericoli Israele è sempre stato invitato a riporre ogni sua speranza in Javhè : “Da Lui la mia speranza”: Sal 61 (62), 6.

         Quando il futuro sembra chiudersi, Osea, Geremia ed Ezechiele annunciano la prospettiva di un nuovo inizio: Os 2; Ger 31, 31-34; Ez 36-37: la nuova alleanza.

         Data la fedeltà di Dio, l’uomo non sarà deluso dall’attesa suscitata dalla sua parola di promessa. Alla ferma fiducia nell’attesa della salvezza, si accompagna la sottomissione al sovrano governo di Javhè . La speranza diviene un’attesa carica di tensione, serena, attiva, con forza rinnovata:

         “Quanti sperano in Javhè riacquistano forza, crescono loro ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi” (Is 40, 31).

         La speranza si esprime in una perseveranza virile e coraggiosa: “Spera nel Signore, sii forte, si rinfranchi il tuo cuore, spera nel Signore” (Sal 26 (27), 14).

Osservata questa stretta connessione tra la fede e la speranza, possiamo porci la domanda: la fede vetero-testamentaria è solo “fiduciale” o, insieme, anche “confessionale”?

Non è solo fiduciale, perché ci si fida, riconoscendo i titoli, le qualità divine cui è dovuta fiducia, per es. Is 43,10-11: “Voi siete i miei testimoni… perché mi conosciate e crediate in me e comprendiate che Io Sono. Prima di me non fu formato alcun Dio, né dopo ce ne sarà: Io, Io sono il Signore, e fuori di me non c’è salvatore”.

Viene posto in risalto nella confessione di Fede che Javhè è l’unico Dio, soltanto Lui ha salvato con opere continue, soltanto in Lui si può avere fiducia.

Specialmente i libri sapienziali sviluppano la conoscenza-confessione di Javhè , del suo progetto di salvezza; la Parola Verità, oltre l’aspetto più arcaico di fedeltà, assume il significato proprio di svelamento, rivelazione del Dio santo, Creatore sapiente, Salvatore; questa Verità si manifesta nel suo sapiente progetto di vita per l’uomo, il suo Mistero che svela e realizza nella storia (Sap. 7, 22-26).

         La fede include infatti l’idea di verità, di stabilità, di fondamento inconcusso, di terreno solido, come pure i significati di fedeltà, di confidenza, di avere fiducia, di attenersi a qualcosa, di credere in qualche cosa. La fede in Dio assume allora l’aspetto d’un mantenersi uniti a Dio, tramite cui l’uomo acquista un solido appoggio per la sua vita.

         La fede ci viene così descritta come una presa di posizione, come un fiducioso piantarsi sul terreno della parola di Dio.

L’atteggiamento assunto dalla fede cristiana si esprime nella particella “amen”, in cui si intrecciano i seguenti significati: fiducia, abbandono, fedeltà, stabilità, inamovibilità, fermezza, verità. Vuol dire che ciò su cui l’uomo in definitive intende reggersi trovando un senso alla sua esistenza, può essere unicamente la verità stessa. Soltanto la verità, infatti, costituisce la base portante adeguata al solido stare dell’uomo. L’atto di fede cristiano include quindi sostanzialmente la convinzione che il fondamento significativo, il “logos” sul quale ci collochiamo, è proprio in quanto senso del reale la stessa verità. Un senso che se non fosse al contempo anche verità, sarebbe un non senso. L’amalgama inseparabile formato da senso, fondamento, verità, che si esprime tanto nel termine ebraico “amen” quanto in quello di “logos”, abbozza contemporaneamente un completo quadro del mondo.»

 

3.La speranza nel Nuovo Testamento: Vangeli

 

Cristo Gesù annuncia il Regno di Dio, che con Lui si affaccia nella storia dell’uomo: «Il tempo è compiuto, ed il Regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). Porta i segni dell’arrivo  del Regno di Dio, con il perdono dei peccati, guarigioni degli spiriti oppressi, guarigione dei corpi.

     Il Regno di Dio si riassume in Cristo stesso, che sulla Croce ha vissuto l’abbandono fiducioso al Padre, portando con misericordia il peso di tutta la miseria umana, atto di abbandono assoluto, filiale nell’amore e potenza del Padre, ricevendo la grazia della piena comunione di vita con Dio nella risurrezione, da offrire a tutti gli uomini (Eb 6,11s. 19s. 10,19-24; 12,1-3). La Morte–Risurrezione di Gesù è evento compimento, ephapax, realizzato una volta sola per la salvezza di tutti, in tutti i tempi e luoghi; porta già i suoi frutti di iniziale risurrezione, vita nuova in fede e carità, nei tempi della Chiesa, nell’attesa della pienezza che realizzerà il Crocifisso-risorto nel suo avvento glorioso, Risurrezione dei corpi in terra nuova e cieli nuovi.

    La fede in Cristo richiede un atteggiamento d’attesa vigilante, attiva e paziente, di cui ci parlano i Sinottici, come Matteo nei cap. 24-25: il discorso escatologico del manifestarsi glorioso del Signore Gesù, l’attesa delle vergini savie e stolte, la parabola dei talenti, il giudizio finale. Giovanni parla di questa attesa propria dei tempi della Chiesa, nei discorsi dell’ultima Cena, nella finale del cap. 21. Ma tutto il libro dell’Apocalisse è scritto per sostenere il cammino travagliato della Chiesa, nella certezza che la sua Liturgia terrena è per identità quella celeste (1,10-4,1), che si svolge intorno al trono-altare di Dio e dell’Agnello immolato e glorioso, nell’attesa ardente del discendere dal Cielo della Gerusalemme celeste, la cui luce è direttamente quella di Dio e dell’Agnello: «il Signore Dio e l’Agnello sono il suo tempio [….] la Gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello» (21,22s), nell’invocazione: «vieni Signore Gesù» (22,20).

    Atti, Paolo, Pietro ed Ebrei, 1 Gv 3,3, esprimono quest’atteggiamento di vigilanza, d’attesa fiduciosa, fedele ed operosa, riprendendo la terminologia vetero-testamentaria della speranza.

    

4.La speranza in S. Paolo

 

         Con la Croce-risurrezione di Gesù, sorge la speranza cristiana, fondata sull’evento salvifico definitivo già compiuto, e che insieme porterà tutti i suoi frutti nel manifestarsi glorioso del Signore. La speranza non conosce limiti, perché fondata nell’evento della Morte-Risurrezione di Gesù, vittoria su ogni male, esodo perfetto di comunione salvifica al Padre nello Spirito Santo.

    In Cristo tutte le promesse di Dio sono diventate sì, egli è l’Amen assoluto di Dio (cf 2 Cor 1, 20). Il Cristiano, a differenza del pagano, è colui che ha speranza, anche di fronte alla morte (1Ts 4, 13). Osserva Benedetto XVI  nella SpS, n 3: «Gli Efesini, prima dell’incontro con Cristo erano senza speranza, perché erano “senza Dio nel mondo” (2,12). Giungere a conoscere Dio – il vero Dio questo significa ricevere speranza». Continua la SpS n 4: «Ciò che Gesù, egli stesso morto in croce aveva portato, era qualcosa di totalmente diverso: l’incontro col Signore di tutti i Signori, l’incontro col Dio vivente, e così l’incontro con una speranza che era più forte  delle sofferenze, della schiavitù e che per questo trasformava dal di dentro la vita ed il mondo [….] Gli uomini che, secondo il loro stato civile, si rapportavano tra loro come padroni e schiavi, in quanto membri dell’unica Chiesa sono diventati tra loro fratelli e sorelle – così i cristiani si chiamavano a vicenda. In virtù del Battesimo erano stati rigenerati,  si erano abbeverati dello stesso Spirito, e ricevevano insieme, uno accanto all’altro, il Corpo del Signore. Anche se le strutture esterne rimanevano le stesse, questo cambiava la società dal di dentro.»

     I pagani erano senza speranza, perché senza Dio; la religione mitica aveva perso credibilità con lo sviluppo della ragione greca, si era sclerotizzata in riti ripetuti  senza convinzione solo in vista di una finalità politica. Il Divino veniva riconosciuto nelle forze di un cosmo-dio, che rendeva l’uomo schiavo dei suoi determinismi, ma non era un Dio che  si potesse pregare, un Dio che si prende cura dell’uomo, di ogni uomo.   Questo si è realizzato in Cristo Gesù, nella sua Croce risurrezione, che già ora offre nello Spirito Santo i suoi doni (grazia, giustificazione, virtù…..) nell’attesa di pienamente immergere l’uomo nella Gloria della sua Risurrezione.

         “Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti se uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.” ( Rm 8, 24 s).

         Tale speranza è fondata sull’amore manifestato nella Pasqua di Cristo:

         “Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci darà ogni cosa insieme con Lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi? Proprio come sta scritto:

<Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello>.

Ma in tutte queste cose siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati ,né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore.” (Rm 8, 31-39).

 

         Quest’amore è stato inoltre infuso nei cuori per lo Spirito Santo (cf Rm 5,1-5). Esso è il dono escatologico del Risorto, che suscita nel credente la fiducia filiale, fa balbettare il nome di “Abba, Padre” (Rm 8, 15; Gal 4, 5-7). Mediante lo Spirito l’uomo riceve la comunione di vita con Cristo, come anticipazione della partecipazione futura alla Gloria piena del Risorto .

         Giustificazione nella fede vuol dire salvezza nella speranza, perché la presenza dello Spirito Santo è nel credente garanzia della risurrezione futura, come dono vitale, già concesso, della carità:

         “Giustificati dunque per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo; per suo mezzo abbiamo anche ottenuto mediante la fede, di accedere a questa grazia nella quale ci troviamo, e ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio.

         E non soltanto questo: noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata, e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.” (Rm 5, 1-5).

         Cosa spera il credente?: la salvezza (1Ts 5, 8), la risurrezione del corpo (1Cor 15), la Gloria (Col 1, 27), la visione di Dio e la somiglianza con Lui (1Gv 3, 2): in una sola parola, la Vita eterna. (Gv 6,54; 20, 31)

    

5.Conclusione

        

Leggiamo in Ef 4, 1-6: “Vi esorto dunque io, prigioniero del Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo Spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione.”

         L’unità della Chiesa, che proviene dall’unico Dio, mediante l’unico Signore Gesù Cristo, nell’unico Spirito, si esprime nella professione della stessa fede, si realizza nel vincolo dell’amore fraterno (vivendo secondo la verità nella carità: Ef 4, 15), concretamente in una sola, comune speranza, quella della nostra vocazione.  Cioè per l’unità della Chiesa risulta necessario che ciascuno speri per sé e tutti, che tutti abbiamo la comune speranza della salvezza.

         La speranza cristiana, per tutti, appartiene alla stessa unità della Chiesa; ed ha lo stesso fondamento Trinitario e sacramentale come l’unità stessa della Chiesa. Siamo uniti da una stessa speranza, in forza della quale camminiamo con pazienza, in mezzo alle prove, verso gli stessi beni promessi.

         Siamo invitati da Ebrei 10, 23 a mantenere “senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso”.

         La comune speranza è quindi oggetto di pubblica professione, inoltre il cristiano deve essere pronto a “rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1 Pt 3, 15).

         Risulta essenziale alla vita della comunità che ciascuno non speri solo per se stesso, ma che la speranza, andando al di là del mio futuro esclusivo di salvezza, sappia estendersi a tutti. Questa estensione a tutti è strettamente connessa con il comandamento della carità, che pur conoscendo gradualità (fratelli nella fede, famiglia, amici) deve essere esteso anche agli stessi nemici (cf Lc 6, 27).

         Questo amore-speranza universale risulta fondato in ultima istanza sulla redenzione di Cristo, che viene offerta a tutti:

         “Dio nostro salvatore[…] vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità: uno solo infatti è Dio ed uno solo è il mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù che ha dato se stesso in riscatto per tutti.” ( 1Tm 2, 4-5).

         Su questo fondamento Paolo invita il discepolo vescovo a fare preghiere, domande, suppliche, ringraziamenti per tutti gli uomini (1 Tm 2, 1s). L’impegno ascetico-pastorale, la fatica e il combattimento spirituale che comporta, risulta fondato “perché abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente, che è salvatore di tutti gli uomini, ma soprattutto di quelli che credono.” (4,10).

         “E’ apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, in attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.” ( Tt 2, 11-13). »(SpS n 14).

         La stessa ampiezza di universale salvezza è inculcata anche in Colossesi ed Efesini, ove si contempla il progetto di Dio, che in Cristo viene offerto a tutti: Cristo primogenito, primizia, principio, pienezza, capo; l’umanità partecipa solidalmente al destino glorioso di Cristo, che include in sé tutta l’umanità.  Si inaugura l’era della salvezza piena e definitiva, che discende, risanandole, sino alle infette radici adamiche (Rm 5,12-21). Cristo è in realtà disceso negli <inferi>.

         Anche la 2 Pt 3, 9 ammonisce: “Il Signore non ritarda nell’adempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca,  ma che tutti abbiano modo di pentirsi”.

         Questa offerta di salvezza a tutti, per cui dobbiamo sperare di tutti, richiede in ciascuno l’accoglienza personale; la storia della salvezza è sempre un dramma di libertà responsabile:

         “Non chiunque mi dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.” (Mt 7, 21).

“In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli [….] Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo, taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco, zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno” (Mt 18, 3-8).

 

 

 

 

SECONDA MEDITAZIONE: POMERIGGIO

<<FEDE E SPERANZA: UN CAMMINO DI FEDELTA’>>

di padre Antonio Rungi, passionista

 

Questa seconda meditazione della giornata di ritiro, sarà dedicata al tema della speranza nella vita di Madre Victorine Le Dieu. Come tutti  santi che hanno una fede grande e una carità operosa, così anche per la fondatrice delle Suore di Gesù Redentore, la speranza cristiana non manca, né è priva di quei riferimenti biblici e teologici su cui è stata alimentata con la preghiera nel corso della sua intera esistenza. Victorine Le Dieu è stata una donna grande attese e speranza, di grande fiducia ed abbandono alla volontà del Signore. Tutto quello che ha chiesto il Signore le ha concesso, dopo il superamento di tante difficoltà ed ostacoli da parte di tutti.

In questa prospettiva di donna di speranza, fortemente ancorata ad una fede incrollabile su Dio e sul mistero dell’umana redenzione, centro della sua spiritualità e del suo carisma, Victorine è un esempio per tutti: laici, soprattutto madre di famiglia e donne di qualsiasi ambiente culturale; per religiose che spesso non hanno grandi attese e speranze nella vita; per sacerdoti, frequentemente chiusi in una visione pessimistica della vita e della società. Lei parla il linguggio della speranza che intendo sottolineare in questa mia riflessione pomeridiana.

La speranza è intimamente e strettamente congiunta con la fede (Ebr 11,1). «Infatti ciò che forma l’oggetto della fede, la potenza di Dio che in Cristo opera la salvezza del mondo, è nello stesso tempo il motivo della nostra speranza; chi si incammina nella fede non può far a meno della speranza (Tt 1,1)» (F.X. Durrwell). I battezzati sono dei credenti e sono degli uomini che sperano in Cristo (1 Cor 15,18).

La speranza per Victorine, come per tutti i cristiani, ma in grado superiore all’agire comune, sgorga dalla sua fede intensa e gli dà coraggio nei suoi ardimenti, nelle sue imprese e nelle sue prove. Alle sue figlie oppresse dalle fatiche raccomanda di alzare gli occhi al cielo e ringraziare sempre il buon Dio, essendo di passaggio in questa terra e diretti verso la gloria del cielo. Ecco un suo tipico modo di pensare e di ragionare. La sua mente non si fissa nel passato, non si chiude nell’attimo presente, si protende, come per istinto, verso le realtà ultime. Tutte le umiliazioni subite soprattutto nell’abito ecclesiastico non smontano nel suo cuore la capacità di guardare avanti e soprattutto di andare avanti, senza mai fermarsi. La sua vita quotidiana evidenzia questo dinamismo interiore, improntato alla speranza, che non si ferma davanti ai problemi di tutti i giorni, ma anche davanti a quelli più seri e consistenti. Passare da una città all’altra per seguire il padre e lasciare le sue abitudini, le sue amicizie.

Scrive nel suo diario spirituale: “Ma perché affliggermi? Perderò l’amicizia, questo bene così prezioso che consola le anime? No, il sento nel mio cuore che si accresce di metà e che l’assenza ancora ne raddoppia le fiamme. Ah, guai al cuore freddo, che sopporta senza dolore la partenza di un amico, o la sua perdita sicura… Perché, per chi sa sentire o comprendere la pena, doloroso ricordo è ancora una felicità”. Sempre su questo tema, in una nota autobiografica, dichiara senza peli sulla lingua: “Mezzo secolo quasi di prove delicate, dolorose e anche terribili, oltre a crudeli delusioni mi hanno dato una larga esperienza e hanno rafforzato le mie convinzioni”.

La sua speranza è aperta alla possibilità di avere anche un buon numero di persone che seguiranno lei, ma soprattutto il Signore, artefice primo della sua opera: “Se a Lui piacerà –scrive – si troveranno anime che mi seguiranno in questa vita, perché ce ne sono di quelle che, come me, hanno subito lunghe prove nel mondo. Poi quando giungerà per esse un’era di calma e di libertà e quando, nel chiedere asilo in qualche porto religioso ne saranno tenute lontane dai principi severi di una regola ormai vecchia”.

Senza anelito verso l’eterno non c’è speranza. Il pensiero del paradiso, motivo di speranza, è una dominante della sua vita, dei suoi scritti biografici. Scrive infatti sul tema della formazione alla vita cristiana dei ragazzi: “Bisogna che i ragazzi ci siamo debitori della vita eterna più che della vita del corpo e dell’intelligenza e che ci dimostriamo vere madri con le cure e con gli esempi, che non ci stanchiamo in questo lavoro delicato e faticoso”. Ed aggiunge: “la menzogna e la vanità hanno viziato l’aria che questi poveri esseri respirano fin dalla culla. Solo la carità divina può preservarli o strapparli dalla corruzione”.

La speranza, pur conoscendo il “già” della salvezza, non trascura il “non ancora”; non ignora i rischi e le difficoltà, che incontra l’uomo decaduto incline al male, che vive e fa la storia; gli infonde perciò la certezza soprannaturale della presenza e dell’aiuto onnipotente del Risorto e del suo Spirito. L’intelligenza della fede, che porta Victorine ad aprirsi con lucidità sul male del mondo da curare e prevenire e sulle immense possibilità di bene da far crescere, stimolava potentemente il dinamismo della sua speranza e lo lanciava all’azione.  Tutto da Dio e da Cristo, «nostra speranza» (1Tim 1,1), nostro Salvatore.

La speranza è un atteggiamento onnipresente nella vita di Victorine, quanto la fede e la carità. La speranza è l’attesa dei beni futuri, lo slancio verso il possesso di Dio, la certezza del Dio «davanti a sé»; e, inseparabilmente, la confidenza illimitata nella potenza soccorritrice del Padre, di Gesù. È la voce di coraggio dello Spirito Santo, che la lancia in imprese ardimentose, inedite, non esenti da rischi. La Scrittura insegna che la speranza, anche se alata, non va esente da oscurità e tentazioni, non è sempre trionfante; comporta lotta, combattimento, prova. Anche da questo punto di vista Victorine si rivela grande nella speranza, perché capace di «sperare contro ogni speranza» e di tentare l’umanamente impossibile confidando nella forza di Dio.

Ormai 50enne, scriveva ad una sua amica, che voleva sapere di lei e che  Victorine non vedeva da moltissimi anni, e alla quale parlava della sua trasformazione fisica, frutto degli anni che erano passati, ma sottolineava un aspetto importante della sua vita interiore: “Del mio spirito il vigore è estremo, lo stesso fuoco brilla ancora nei miei occhi. Il mio cuore, ardente della più nobile fiamma, non ha perduto il minimo ricordo e nei suoi desideri, senza tregua, ancora l’anima mia aspira al giorno che non deve finire. Nel camminare tenendo di mira il mio desiderio come tutto è lungo… quando spesso fa buio… quanti dolori hanno disseminato la mia vita! A volte anche si indebolisce la mia speranza… il mio cuore si sprofonda e poi si rialza. S’, la felicità fuggendo dice addio, io mi consolo, e la strada giunge al termine credendo che infine si trova tutto in Dio”

 

Ripeteva spesso: «Posso tutto in Colui che mi conforta» (Fil 4,13). La frase di S. Paolo: «Le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili con la gloria futura che dovrà essere rivelata in noi» (Rm 8,18) è un suo motivo ricorrente. Ripetiamo ancora che la sua speranza era ferma e incrollabile, perché ancorata al “già” della Pasqua del Signore, della Pentecoste, della realtà della Chiesa, dei sacramenti, delle primizie dello Spirito Santo, che ci sono date in germe, ragione non ultima della sua instancabile attività.

 

Tra i frutti più belli della speranza nella vita di Victorine ricordiamo: la “gioia” prorompente, insita nella certezza del “già” della fede; la “pazienza” inalterabile nelle prove, legata alle esigenze del “non ancora”; la sua sensibilità pedagogica, nella quale hanno grande parte la fiducia nelle risorse positive della personalità giovanile, la magnanimità, l’avvedutezza, la santa furbizia, virtù tipiche di chi crede e spera fermamente che il suo futuro «non delude».

 

In una parola come in cento, quando esortava le sue figlie spirituali più vicine spiritualmente e pastoralmente a lei a «lavorare con speranza», Victorine le invitava a guardare al paradiso per il quale siamo fatti; a confidare nell’aiuto onnipotente del Padre celeste e di Maria; ma, nello stesso tempo, ad impegnarsi a fondo per combattere i germi del male che infestano il mondo, e a sviluppare, ottimisticamente, quelli del bene, per costruire un avvenire migliore per la Chiesa ed il mondo. Questo significava per lei «lavorare con speranza».

Molto importanti le sue ultime parole dette prima di morire. Il suo testamento spirituale lo troviamo sintetizzate in parole di perdono, speranza, fiducia totale nella misericordia di Dio: “Io perdono tutti quelli che mi hanno fatto del male e perdono di cuore le vostre debolezze. Vi raccomando i bambini, amateli, curateli. Io non vi abbandonerò, veglierò su di voi e vi avviserò di ogni cosa. Siate sicure che l’opera crescerà. Quello che non ho potuto fare per voi su questa terra, lo faò nel cielo. Vi raccomando la pace, la gravità religiosa, l’umiltà, la semplicità, la verità. Non piangete, io sarò sempre vicino a voi. Vi ringrazio di quello che avete fatto per me. Vedete? Come il tempo passa. Oh come sono contenta di morire!”. Era il 26 ottobre 1884 quando la speranza di conquistare la vita eterna per Victorine, divenne la realtà, perché chiudeva gli occhi a questo mondo per aprirli nell’eternità con queste ultime meravigliose parole che disse prima di esalare l’ultimo respiro della sua vita: “Mio Dio vi amo con tutto il cuore, intendo e prometto di amarvi per tutta l’eternità. Mio Dio, non siate giudice ma salvatore”.

ITRI (LT). LA CELEBRAZIONE DELLA SETTIMANA SANTA DAI PASSIONISTI

SETTIMANASANTA2013.jpgPADRI PASSIONISTI

 CONVENTO DI ITRI-CITTA’ (LT)

 

FUNZIONI RELIGIOSE

DELLA SETTIMANA SANTA

ANNO 2013

 

DOMENICA DELLE PALME – 24 MARZO 2013

ORE 8.00: NEL PIAZZALE BENEDIZIONE DELLE PALME

PROCESSIONE E SANTA MESSA CON LETTURA DEL PASSIO

ORE 17.00: MESSA DELLA DOMENICA DELLE PALME

 

LUNEDI’ SANTO – 25 MARZO 2013

ORE 7,00 ROSARIO- ORE 7,30 MESSA FERIALE

 

MARTEDI’ SANTO  – 26 MARZO 2013

ORE 7,00 ROSARIO- ORE 7,30 MESSA FERIALE

 

MERCOLEDI’ SANTO – 27 MARZO 2013

ORE 7,00 ROSARIO- ORE 7,30 MESSA FERIALE

ORE 18,30: MESSA CRISMALE A GAETA CON IL VESCOVO

 

GIOVEDI’ SANTO – 28 MARZO 2013

ORE 9,00-12,00: CONFESSIONI

ORE 18.00: MESSA IN COENA DOMINI

ORE 20,00-24.00: ADORAZIONE EUCARISTICA

 

VENERDI’ SANTO – 29 MARZO 2013

ORE 9,00- 12,00: CONFESSIONI

ORE 17,00: COMMEMORAZIONE DELLA PASSIONE DI GESU’

 

SABATO SANTO – 30 MARZO 2013

ORE 9,00-12,00; 16,00-19,00: CONFESSIONI

ORE 20,00: VEGLIA PASQUALE

CELEBRAZIONE EUCARISTICA DELLA RISURREZIONE

 

DOMENICA DI PASQUA – 31 MARZO 2013

ORE 8.00: MESSA SOLENNE DI PASQUA

ORE 18.00: MESSA DI PASQUA

 

LUNEDI’ IN ALBIS – 1 APRILE 2013

ORE 7,00: SANTO ROSARIO- ORE 7,30: MESSA DELL’ANGELO

 

Mondragone (Ce). Quinto incontro degli ex-allievi della Stella Maris

VINCONTROEX-ALLIEVI-pag1frontespizio.jpgIn occasione dei 150 anni della nascita delle Suore di Gesù Redentore, istituto fondato dalla Serva di Dio, Victorine Le Dieu, la comunità della Stella Maris di Mondragone, in coincidenza con la solennità di San Giuseppe, ha organizzato per il 19 marzo 2013 il quinto incontro annuale degli ex-allievi della struttura di accoglienza. La Stella Maris negli anni 1955-2007 ha ospitato circa 5.000 bambini e ragazzi in disagio sociale o per altre necessità. Dopo la chiusura definitiva della Casa Famiglia, la Stella Maris continua a svolgere la sua azione sul territorio di Mondragone e della Campania con altra finalità: quella di centro di spiritualità e di casa di ospitalità aperta a tutti, specialmente ai gruppi giovanili e parrocchiali. Le cinque religiose che attualmente compongono la comunità assicurano il servizio spirituale e religioso a quanti fanno riferimento alla Stella Maris, specialmente nel periodo estivo. Per non dimenticare il passato e quanto ha realizzato la Stella Maris sul versante della formazione dei ragazzi, dei bambini e dei giovani, ogni anno in coincidenza con la festa del papà e della festa di San Giuseppe, patrono principale delle Suore di Gesù Redentore (una volta si chiamavano del Patrocinio San Giuseppe) organizzano questo incontro al quale partecipano doversi ex-allievi dell’Istituto, molti dei quali ormai avviati alla carriera, con famiglia e impegni vari nel campo sociale. Tra gli ex-allievi ed allieve della Stella Maris ci sono stati negli alcuni giovani che hanno intrapreso la strada del sacerdozio, mentre alcune delle ragazze la via della consacrazione religiosa.

L’incontro di questo anno è particolarmente sentito sia per la recente elezione del nuovo Papa, Francesco Bergoglio, e sia per il giubileo dei 150 anni di storia dell’Istituto, le cui solenni celebrazioni hanno avuto inizio ufficialmente il 15 gennaio 2013, in ricordo del riconoscimento dell’opera di Victorine Le Dieu avuto da Papa Pio IX il 15 gennaio 1863. Programma dell’incontro dell’incontro è stato allestito dalle religiose, dall’assistente spirituale della Stella Maris, padre Antonio Rungi, e dal presidente dell’associazione Aseasm (Associazione EX-allievi Stella Maris Mondragone):Ore 16.00 (Accoglienza);Ore 16,30 (Celebrazione dei Vespri -in cappella);Ore 17.00 (Proiezione video sulla vita di Victorine Le Dieu; Tavola Rotonda; Interventi degli Ex-allievi; Testimonianze, in sala Le Dieu);Ore 18.00 (Adorazione eucaristica in cappella); Ore 19.00 (Celebrazione eucaristica in cappella). La solenne eucaristia sarà presieduta da padre Antonio Rungi, assistente spirituale della Stella Maris dal 1978 a tuttoggi. Ore 20.00 (Festa insieme).

Ritiro spirituale – Suore Diocesi di Sessa Aurunca

RITIRO SPIRITUALE MENSILE

SUORE DELLA DIOCESI DI SESSA AURUNCA

CARINOLA –DOMENICA 24 FEBBRAIO 2013

 

LA VITA CONSACRATA UN CAMMINO DI LUCE

E DI TRASFIGURAZIONE

 

Negli ultimi anni del XX secolo si è avvertita la necessità di descrivere più accuratamente l’identità dei vari stati di vita nella Chiesa: “in questi ultimi anni si è avvertita la necessità di esplicitare meglio l’identità dei vari stati di vita, la loro vocazione e la loro missione specifica nella Chiesa” (VC 4b). La risposta a tale necessità è avvenuta mediante il lavoro di tre Sinodi, i cui frutti sono stati raccolti da Giovanni Paolo II in tre Esortazioni postsinodali. Il 30 dicembre 1988 venne pubblicata l’Esortazione postsinodale sui laici “Christifideles laici”. Il 25 marzo 1992 apparve l’Esortazione postsinodale sulla formazione dei sacerdoti “Pastores dabo vobis”. Il 25 marzo 1996 è stata firmata l’Esortazione postsinodale sulle persone consacrate “Vita consecrata”. Consapevole dei deplorevoli attacchi all’identità della vita consacrata, mossi a volte persino mediante l’uso di frasi del Concilio, nell’ultima Esortazione il Papa ha voluto soprattutto illustrare la peculiare e positiva identità della vita consacrata nella Chiesa. Le riflessioni del Papa infatti si incentrano sull’identità biblica e teologica della vita consacrata.

Nel suo luminoso testo, il Papa non prende un atteggiamento di rottura con il passato. Segue, invece, una linea di continuità e di sviluppo. Segue una linea di continuità, perché presenta una identità in armonia con il Magistero del Concilio. Il Papa dichiara esplicitamente che, tanto nelle sue catechesi sistematiche sulla vita consacrata, tenute durante e dopo il Sinodo, come nella sua Esortazione, il Concilio “è stato luminoso punto di riferimento” (VC 13d). Segue anche una linea di sviluppo, perché esplicita meglio gli elementi positivi dell’identità della vita consacrata e perché intende offrire, con piena consapevolezza, una interpretazione autentica dei testi del Concilio. Ad esempio, il Papa ripropone (cfr VC 29b) l’affermazione del Concilio, secondo la quale la professione dei consigli evangelici appartiene indiscutibilmente alla vita e alla santità della Chiesa (cfr LG 44) e, respingendo le false interpretazioni, la spiega con autorità in questo modo: “Questo significa che la vita consacrata, presente fin dagli inizi, non potrà mai mancare alla Chiesa come un suo elemento irrinunciabile e qualificante, in quanto espressivo della sua stessa natura” (VC 29b).

Nella sua lettera “Novo Millennio ineunte” (6 gennaio 2001), il Papa invita i religiosi e le religiose a coltivare con cura i valori positivi della loro “speciale consacrazione” (NMI 46), attuando con rinnovato slancio il programma di “ripartire da Cristo” (NMI 29), supremo consacrato e missionario del Padre.

 

1. I più importanti documenti con cui confrontarsi

 

1) Orientamenti della costituzione dogmatica “Lumen gentium” (1964).

2) Orientamenti del decreto “Perfectae caritatis”(1965).

3) Orientamenti del motu proprio “Ecclesiae Sanctae” (1966).

4) Orientamenti dell’istruzione “Renovationis causam” (1969).

5) Orientamenti del nuovo “Messale Romano” (1970).

6) Orientamenti del “Rito della professione religiosa” (1970).

7) Orientamenti dell’Esortazione “Evangelica testificatio” (1971).

8) Orientamenti dell’Esortazione “Evangelii nuntiandi”.(1975).

9) Orientamenti del documento “Mutuae relationes” (1978).

10) Orientamenti di Giovanni Paolo II nei primi anni del suo pontificato (1978-1980).

11) Orientamenti del documento “Religiosi e Promozione umana” (1980).

12) Orientamenti del documento “Dimensione contemplativa della vita religiosa” (1980).

13) Orientamenti del documento sulla pastorale delle vocazioni (1982).

14) Orientamenti del nuovo “Codice di Diritto Canonico” (1983).

15) Orientamenti dell’istruzione “Elementi essenziali” (1983).

16) Orientamenti dell.’Esortazione “Redemptionis donum” (1984).

17) Orientamenti del messaggio di Giovanni Paolo II ai Religiosi e alle Religiose del Brasile (1986).

18) Orientamenti di Giovanni Paolo II nel discorso all’USMI (1988)

19) Orientamenti della lettera a tutte le persone consacrate (1988)

20) Orientamenti dell’istruzione “Potissimum institutioni” (1990).

21) Orientamenti della lettera di Giovanni Paolo Il ai Religiosi e alle Religiose dell’America Latina (1990).

22) Orientamenti dell’Enciclica “Redemptoris missio” (1990).

23) Orientamenti del documento sulla pastorale delle vocazioni (1992).

24) Orientamenti del nuovo “Catechismo della Chiesa Cattolica” (1992).

25) Orientamenti dell’istruzione “La vita fraterna in comunità” (1994).

26) Orientamenti di Giovanni Paolo II delle catechesi in occasione del Sinodo sulla vita consacrata (1994-1995).

27) Orientamenti dell’Esortazione “Vita consecrata” (1996).

28) Orientamenti del messaggio di Giovanni Paolo II per la celebrazione della Giornata della vita consacrata (1997).

29) Orientamenti dell’istruzione “La collaborazione inter-Istituti per la formazione” (1998).

30) Orientamenti di Giovanni Paolo II nel Giubileo della vita consacrata (2000).

31) Orientamenti della lettera “Novo millennio ineunte” (2001).

 

 

 

2. Vita di speciale configurazione a Cristo

 

La vita consacrata deve essere innanzitutto una presenza viva di Cristo nel mondo: “Veramente la vita consacrata costituisce memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù come Verbo incarnato” (n. 22c). Questa è la nota più caratteristica, sia tra i cristiani sia tra i non cristiani: “Le persone consacrate, infatti, hanno il compito di rendere presente anche tra i non cristiani (cfr LG 46; EN 69) il Cristo casto, povero, obbediente, orante e missionario” (n. 77).

Nella linea dell’inizio del capitolo VI della costituzione “Lumen gentium”, ma con una esplicitazione trinitaria, dobbiamo affermare: “La vita consacrata, profondamente radicata negli esempi e negli insegnamenti di Cristo Signore, è un dono di Dio Padre alla sua Chiesa per mezzo dello Spirito. Con la professione dei consigli evangelici i tratti caratteristici di Gesù – vergine, povero ed obbediente – acquistano una tipica e permanente “visibilità” in mezzo al mondo” (n. 1a). Per illustrare il rapporto biblico e teologico esistente tra la vita consacrata e la vita di Cristo, l’Esortazione predilige il linguaggio diretto e positivo, presente anche nei testi del Concilio: “La vita consacrata (…) rappresenta nella Chiesa (…) la forma di vita che Gesù supremo consacrato e missionario del Padre per il suo Regno, ha abbracciato” (n. 22a). Nella vita consacrata si abbraccia la proposta di una esistenza “cristiforme” (n. 14b), che richiede “l’adesione conformativa a Cristo dell’intera esistenza” (n. 16b). L’aspirazione della persona consacrata “è di immedesimarsi con Lui, assumendone i sentimenti e la forma di vita” – (n. 18b), con “il desiderio esplicito di totale conformazione a Lui” (n. 18c). Il supremo desiderio dei religiosi e delle religiose deve essere quindi quello di diventare “persone cristiformi” (n. 19b). Questa identità biblica e teologica determina la natura della formazione, che deve avere la configurazione a Cristo come il suo obiettivo centrale: “Dal momento che il fine della vita consacrata consiste nella configurazione al Signore Gesù e alla sua oblazione, è soprattutto a questo che deve mirare la formazione. Si tratta di un itinerario di progressiva assimilazione dei sentimenti di Cristo verso il Padre” (n. 65b). Volendo, tuttavia, sottolineare che non intende negare agli altri cristiani l’elemento di una comune, battesimale e fondamentale configurazione a Cristo, l’Esortazione usa alle volte il linguaggio caratterizzante della formula “più”, presente anche nei testi del Concilio: la vita consacrata “più fedelmente imita” (n. 22a) la forma di vita di Gesù, e ne è “una conformazione più compiutamente espressa e realizzata” (n. 30a). Sempre per lo stesso motivo, l’Esortazione, come il Concilio, indica che quella della vita consacrata è una “speciale conformazione a Cristo” (n. 3ld). Questa caratteristica della speciale configurazione a Cristo si riferisce tanto alla figura biblica di Cristo come “supremo consacrato (…) del Padre” (n. 22a), quanto alla sua figura di “Apostolo del Padre” (n. 9b) o “supremo missionario del Padre” (n. 22a). Perciò il senso biblico e teologico della “nuova e speciale consacrazione” (nn. 30t; 3ld) e della “speciale missione” (n. 17a) delle persone consacrate è una caratteristica soprattutto cristologica.

 

3. Vita di speciale comunione di amore col Padre

 

Il religioso e la religiosa sono legati alla Trinità non solo a causa della grazia santificante e dei doni ricevuti nel battesimo, ma anche a motivo della “grazia della vocazione” (n. 64b). Essi, infatti, ricevono una “grazia di (…) speciale comunione di amore con Cristo” (n. 15c), che è anche grazia di speciale comunione di amore col Padre. All’origine della “speciale grazia di intimità” (n. 16a), con cui Cristo chiama alcune persone alla vita di speciale sequela, “sta sempre l’iniziativa del Padre” (n. 14b), “sorgente dell’amore” (n. 111b),”che attrae a sé (cfr Gv 6, 44) una sua creatura con uno speciale amore e in vista di una speciale missione” (n. 17a). “L’esperienza di questo amore gratuito di Dio è a tal punto intima e forte che la persona consacrata avverte di dover rispondere con la dedizione incondizionata della sua vita, consacrando tutto, presente e futuro, nelle sue mani” (n. 17a). Per questo la vita consacrata “è annuncio di ciò che il Padre compie con il suo amore, la sua bontà, la sua bellezza” (n.

20a).

La vita consacrata ha una “triplice relazione” (n. 36f), un “triplice orientamento: verso il Padre, innanzitutto” (n. 36e). Dato che la vita consacrata “realizza a titolo speciale quella confessio Trinitatis che caratterizza l’intera vita cristiana” (n. 2la), tale confessione deve essere rivolta verso il Padre, innanzitutto . La persona consacrata deve rendersi conto che Dio Padre è anche il suo più alto formatore, perché “Dio Padre (…) è il formatore per eccellenza di chi si consacra a Lui” (n. 66a; cfr nn.70fg). Il Padre è l’agente più determinante di tutta l’opera della formazione, l’agente divino che “plasma nel cuore dei giovani e delle giovani i sentimenti del Figlio” (n. 66a). Come Cristo, che durante tutta la sua esistenza terrena si lasciò formare dal Padre vivendo sempre “in atteggiamento di docilità al Padre” (n. 22b), le persone consacrate, “docili alla chiamata del Padre” (n. 1b), debbono ininterrottamente lasciarsi plasmare dallo stesso Padre.

La vocazione alla vita religiosa è una “chiamata del Padre” (n. 1b), “un’iniziativa tutta del Padre” (n. 17b). La rivelazione (cfr Gv 17, 11) presenta il Padre come “Padre Santo” (n. 111b) e ci fa “scoprire nell’iniziativa del Padre, fonte di ogni santità, la sorgente originaria della vita consacrata” (n. 22a). Il Padre è “prima origine e scopo supremo della vita consacrata” (n. 2le). Perciò alle decisive domande “da dove vieni?” e “dove vai?”, il religioso e la religiosa possono rispondere: “A Patre ad Patrem” (n.17t), “dal Padre al Padre”, cioè dalla “sublime bellezza di Dio Padre” (n.16d) alla gloriosa “casa del Padre” (n. 52b).

 

4. Vita di speciale comunione di amore con lo Spirito Santo

 

La persona consacrata ha un peculiare rapporto con la Trinità (cfr nn. 14b; 16d; 2la). Come abbiamo detto, la persona consacrata riceve una “grazia di (… ) speciale comunione di amore con Cristo” (n. 15c), che è necessariamente anche grazia di speciale comunione di amore col Padre (cfr n. 17a). Il doveroso rispetto dell’armonia trinitaria, ci. obbliga a pensare che tale grazia è anche grazia di speciale comunione di amore con lo Spirito Santo.

Ogni cristiano riceve dallo “Spirito Santo e santificante” (n. 95b) la grazia sacramentale e i doni del battesimo. Il religioso e la religiosa, tuttavia, ricevono dallo stesso Spirito uno specifico dono: “A questa chiamata corrisponde, peraltro, uno specifico dono dello Spirito Santo, affinché la persona consacrata possa rispondere alla sua vocazione e alla sua missione” (n. 30c).

Si tratta di “un particolare dono dello Spirito, che apre a nuove possibilità e frutti di santità e di apostolato” (n. 30d). Ai religiosi e alle religiose, quindi, viene offerto un peculiare dono, che ha la forza di trasformarli in “persone cristiformi” (n. 19b): “Una tale esistenza “cristiforme”, proposta a tanti battezzati lungo la storia, è possibile solo sulla base di una peculiare vocazione e in forza di un peculiare dono dello Spirito” (n. 14b). In questo modo la speciale sequela di Cristo ha anche “una connotazione essenzialmente (… ) pneumatologica” (n. 14b).

I religiosi e le religiose debbono coltivare “in modo particolarmente vivo” (n. 14b) insieme all’orientamento “verso il Padre” (n. 36c) e all’orientamento “verso il Figlio” (n. 36d), l’ “orientamento verso lo Spirito Santo” (n. 36e). Mai si può dimenticare che “la chiamata alla vita consacrata è in intima relazione con l’opera dello Spirito Santo” (n. 19b): “E’ lo Spirito che suscita il desiderio di una risposta piena; è Lui che guida la crescita di tale desiderio (…); è Lui che forma e plasma l’animo dei chiamati, configurandoli a Cristo casto, povero e obbediente e spingendoli a far propria la sua missione” (n. 19b). Alimentando “la fedeltà allo Spirito Santo” (n. 62g), coltivando con speciale cura la “vita nello Spirito” (n. 71b), i religiosi e le religiose saranno veramente fedeli alla “propria identità” (n. 71b) e raggiungeranno “una serenità profonda” (n. 71b). Lo Spirito farà gustare loro la sua “amicizia” (n. 111d), le riempirà della sua “gioia” (n. 111d) e del suo “conforto” (n.111d), e le renderà “specchio della bellezza divina” (n. 111d).

 

5. Vita di speciale configurazione alla Vergine Maria

 

Il mistero della vita religiosa, visto alla luce della vita evangelica della Vergine Maria, acquista un nuovo splendore. In effetti, come conferma l’Esortazione, Maria “è esempio sublime di perfetta consacrazione, nella piena appartenenza e totale dedizione a Dio” (n. 28b). Perciò “la vita consacrata guarda a Lei come a modello sublime di consacrazione al Padre, di unione col Figlio e di docilità allo Spirito, nella consapevolezza che aderire “al genere di vita verginale e povera” (LG 46) di Cristo significa far proprio anche il genere di vita di Maria” (n. 28c). Tutte le persone consacrate sono chiamate a coltivare con maggiore chiaroveggenza il valore mariano della loro vita spirituale: la presenza di Maria ha “un’importanza fondamentale sia per la vita

spirituale di ogni singola anima consacrata, sia per la consistenza, l’unità, il progresso di tutta la comunità” (n. 28a). Maria è modello di vita consacrata: “pronta nell’obbedienza, coraggiosa nella povertà, accogliente nella verginità feconda” (n. 112c). Maria è maestra nel pregare (cfr n. 34b), nel “proclamare le meraviglie” (n. 112b) del Signore, nel “portare Gesù” (n. 112b) e nell’unione al Cristo sofferente (cfr n. 23c).

L’Esortazione invita esplicitamente a fare un approfondimento biblico sulla dimensione mariana della vita consacrata, meditando assiduamente “le parole e gli esempi (… ) della Vergine Maria” (n. 94a). “Ogni missione inizia con lo stesso atteggiamento espresso da Maria nell’annunciazione: ‘Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto’ (Lc 1, 38)” (n. 18d). La comunione della persona consacrata con la Vergine Maria è una speciale comunione di amore: “Nella Vergine la persona consacrata incontra (… ) una Madre a titolo del tutto speciale” (n. 28d). Alla “speciale tenerezza materna” (n. 28d) di Maria, la persona consacrata risponde “amandola e imitandola con la radicalità propria della sua vocazione” (n. 28d).

Sessa Aurunca. Nove secoli di storia della cattedrale.

sessa%20aurunca.jpgNel mese di giugno 2013 il Duomo di Sessa Aurunca, la chiesa madre della Diocesi, la cattedrale dedicata ai Santi Pietro e Paolo compie nove secoli di storia. La costruzione, infatti, fu iniziata  900 anni fa, da probabili maestranze di scuola Casauriense nel 1113 riutilizzando in parte materiali provenienti da antichi edifici d’epoca romana, e consacrata nel 1183. Per ricordare questo storico avvenimento, il Vescovo, monsignor Antonio Napoletano e l’intera comunità diocesana di Sessa Aurunca, ha approntato un articolato programma spirituale e culturale, per dare risalto all’evento, che si connota come un fatto di fede, nell’Anno della fede. Già dal 2 marzo prossimo, sabato infatti, giungeranno in pellegrinaggio alla Cattedrale di Sessa Aurunca i fedeli delle quattro foranie della Diocesi, accompagnati dai parroci. E così per tutti i sabati della Quaresima. I fedeli sosterranno in preghiera nella Chiesa cattedrale, ove si terrà una lectio divina ed una specifica celebrazione, presieduta dal vescovo. Quattro le foranie della Diocesi: Carinola, Cellole, Mondragone e Sessa Aurunca. Il pellegrinaggio inizia con la forania di Carinola e a seguire tutte le altre. I  festeggiamenti per i nove secoli di storia si svolgeranno in occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo, il 29 giugno 2013, ma prima e dopo Pasqua si volgeranno una serie di incontri di formazione per comprendere il significato teologico e pastorale della consacrazione della chiesa cattedrale di una diocesi. Quella di Sessa Aurunca è una cattedrale con una particolare storia e configurazione. L’aspetto esterno attuale fu raggiunto nella prima metà del XIII secolo con l’aggiunta del portico e del finestrone posto nella parte alta della facciata. L’interno invece, eliminato il soffitto a capriate già nel Duecento, rimase romanico fino a metà del Settecento quando il vescovo Francesco Caracciolo d’Altamura decise di ammodernarlo secondo i gusti e lo stile dell’epoca, ossia il barocco. Costituisce senza dubbio il più bel monumento della zona aurunca per eleganza di linee ed accuratezza di decorazioni esterne ed interne. La Cattedrale sorge su un’area ove vi era un tempio pagano o cristiano. La facciata è a tre portali – con numerosi fregi a rilievo rappresentanti fatti della storia sacra . Sotto il porticato si aprono i tre portali di accesso alla chiesa decorati con architravi ed elementi marmorei di spoglio. La pianta è a croce latina, a tre navate divise da colonne di diversi materiali.. Anche l’interno è a tre portali, e le navate poggiano su 18 colonne con capitelli di stile corinzio.  La Cripta è ricavata nell’area centrale della Cattedrale con una elegante struttura a volte poggiante su venti colonne di origine romana. Il pavimento della Cripta è a mosaico. Di notevole valore artistico è il “candelabro” per il cero pasquale ed il “pergamo” la cui struttura rettangolare si sostiene su sei colonnine alla cui base vi sono altrettanti leoncini marmorei. Tutto il Pergamo è decorato riccamente, allo stesso modo il candelabro. Nella Cappella del Corpus Domini è posta la bellissima tela della “Comunione degli Apostoli”, ed è oggetto di importanti studi e ricerche. Pregevole è il pavimento musivo del XII secolo nella navata centrale. Di grande valore artistico sono inoltre il candelabro per il cero pasquale ed il pulpito, opere del XIII secolo del maestro Peregrino da Sessa. Il candelabro ha base scolpita con figure a rilievo e inserti di mosaico; il pulpito decorato da mosaico e bassorilievi è a struttura rettangolare, sorretta da sei colonnine che poggiano su leoni di marmo. Nella cappella del Sacramento, da ammirare è la Comunione degli Apostoli di Luca Giordano.

Padre Antonio Rungi cp

MONDRAGONE. RITIRO SPIRITUALE QUARESIMALE

 RITIROFEBBRAIO2013.jpg“Non voglio che la carità La carità che nasce dalla fede”, è una delle espressioni che ha scritto la Serva di Dio Victorine le Dieu, fondatrice delle Suore di Gesù Redentore, che a Mondragone hanno una loro storica presenza alla Colonia permanente della Stella Maris. Domani 21 febbraio 2013 si svolgerà in questa struttura di accoglienza e di spiritualità il quinto incontro di spiritualità nell’anno della fede e in preparazione alla Pasqua 2013. Si tratta del primo ritiro di questa Quaresima 2013 che assume uno speciale significato sia per la ricorrenza dei 150 anni della nascita delle Suore di Gesù Redentore e sia per la rinuncia del Papa, Benedetto XVI, al ministero petrino. Il tema che padre Antonio Rungi, missionario passionista e teologo morale presenterà nella giornata di ritiro sarà: “La  fragilità della nostra fede. L’esperienza della Serva di Dio Madre Victorine Le Dieu”. Il ritiro spirituale aperto a tutti (sacerdoti, religiosi e laici) è così programmato: Ore 9.00: Accoglienza; Ore 9,25: celebrazione delle lodi (in cappella); Ore 10,00: Prima meditazione dettata da padre Rungi, sulla fragilità della nostra fede (in sala Le Dieu); Ore 11,00: Pausa (in silenzio); Ore 11,15: Adorazione eucaristica e confessioni (in cappella); Ore 12,00: celebrazione eucaristica, presieduta da padre Rungi  (in cappella); Ore 13,00: Pranzo; Ore 14,00: Deserto (passeggio solitario nel giardino); Ore 15.00: Via crucis (in giardino se il tempo e’ buono), su testi di Papa Ratzinger; Ore 16,00: Seconda meditazione dettata da padre Rungi sull’esperienza di fede vissuta dalla Serva di Dio (in sala Le Dieu); Ore 17.00: celebrazione dei Vepri (in sala Le Dieu), Ore 17,30: saluti.

 

A seguire il corso di formazione spirituale sono diversi laici di Mondragone e dintorni che da tre anni vengono accompagnati nel loro itinerario di fede da padre Antonio Rungi, passionista. Si tratta di persone giovani e meno giovani che fanno parte di un cammino spirituale avviato dal otto anni dalle Suore della Stella Maris, mediante i cenacoli di preghiera, la via crucis, il rosario settimanale, le varie celebrazioni in occasione di ricorrenze particolari per l’istituto e d’estate anche il rosario in spiaggia. Guidate dal loro assistente spirituale, padre Antonio Rungi, le Suore della Stella Maris rappresentano uno degli istituti più dinamici da un punto di vista spirituale e di iniziative varie in tutta la Diocesi di Sessa Aurunca. Le sei religiose che compongono attualmente la comunità della Stella Maris, guidate dalla responsabile, Suor Maria Paola Leone, sono molto impegnate nel campo spirituale, apostolico e pastorale. In occasione poi dei 150 anni della nascita del loro istituto, le Suore della Stella Maris stanno portando avanti un progetto pastorale di ampio respiro, compreso quello di un Recital sulla vita della loro fondatrice, Madre Victorine Le Dieu che verrà rappresentato a Maggio 2013. Comune pure le Suore stanno predisponendo un seminario di studi sulla figura della fondatrice, che si svolgerà alla Stella Maris nel mese di maggio.

 

 

 

 

 

Nocelleto di Carinola (Ce). Settimana eucaristica predicata da P.Rungi

DSC06003.JPGSarà padre Antonio Rungi, missionario passionista, da lunedì 18 a sabato 23 febbraio 2013 a predicare la settimana eucaristica nella chiesa parrocchiale di San Sisto, in Nocelleto di Carinola (Ce), parrocchia guidata da don Osvaldo Morelli. Padre Rungi detterà la meditazione durante la messa serotina delle ore 18.00 nella chiesa parrocchiale. La tradizione di dedicare durante la Quaresima una settimana al culto eucaristico fuori della messa, che vanno sotto il nome di Qurantore, parte da lontano e soprattutto nelle parrocchie del Sud si è consolidata con particolare solennità esteriore. Quest’anno poi la settimana assume uno speciale significato sia per l’anno della fede e sia per la notizia della rinuncia del Santo Padre, Benedetto XVI, al ministero petrino. Sarà una settimana di preghiera intensissima sia per riportare al centro della vita di ogni cristiano la santa messa e il sacramento dell’eucaristia e soprattutto per riflettere sul dono della fede, che deve essere a cuore per tutti noi credenti. Certamente in questi giorni pregheremo in modo speciale per il Santo Padre, Benedetto XVI, che come lui stesso ha annunciato, lascerà il ministero petrino il giorno 28 febbraio e parimenti davanti al santissimo sacramento pregheremo per il nuovo Papa. L’eucaristia o comunione è il sacramento dell’unità, della pace, della serenità. Possa il Signore donare serenità, pace e comunione a tutta la chiesa cattolica in questo momento storico di grande sofferenza, ma anche di grande attesa per quello che lo Spirito Santo opererà nella comunità ei credenti e specialmente nella gerarchia ecclesiastica con l’uscita di scena di Papa Benedetto XVI e l’arrivo del nuovo Pontefice al quale presteremo, come a tutti i Papi, filiale obbedienza e ci porremmo in ascolto del suo magistero e del suo insegnamento. In questi giorni eucaristici noi faremo sentire la nostra preghiera quasi fisicamente a Papa Benedetto, al quale va tutto il nostro infinito grazie per il servizio che ha svolto nella Chiesa come pastore universale e maestro di vita e di spiritualità.

CARINOLA. IL TESTO DELLA RIFLESSIONE DEL RITIRO MENSILE ALLE SUORE DELLA DIOCESI DI SESSA AURUNCA

RITIRO SPIRITUALE MENSILE

ALLE SUORE DELLA DIOCESI DI SESSA AURUINCA

CARINOLA -DOMENICA 27 GENNAIO 2013- ORE 9,30

LA VITA CONSACRATA NEI DOCUMENTI DEL VATICANO II

NELL’ANNO DELLA FEDE, LA RISCOPERTA DELLA VOCAZIONE

ALLA VITA RELIGIOSA

 

Quanto sono amabili le tue dimore,

Signore degli eserciti!

Beato chi abita la tua casa:

sempre canta le tue lodi!

Beato chi trova in te la sua forza

e decide nel suo cuore il santo viaggio.

Passando per la valle del pianto

la cambia in una sorgente,

anche la prima pioggia l’ammanta di benedizioni.

Cresce lungo il cammino il suo vigore,

finché compare davanti a Dio in Sion. (Salmo 83)

 

Ogni cambio epocale impone a persone e istituzioni di decidere l’avventura di un nuovo viaggio  verso il futuro. E’ capitato così in passato e capita anche oggi: il nostro tempo sfida la Chiesa e la vita consacrata a trovare in Dio la forza per decidere il santo viaggio. Questa sfida a noi religiosi ci viene anche da questo anno della fede, indetto da Papa Benedetto XVI, per risvegliare tutti i cattolici nella vita cristiana e per noi religiosi nella vita di totale consacrazione a Dio. A che punto sta questo cammino di risveglio dopo tre mesi dall’inizio dell’anno della fede. Risvegliare la proprio vocazione, qualora si fosse assopita o addormentata è dovere di ogni consacrato. E per risvegliare la vocazione è necessario ripartire dalla fede. Quanto più aumenta la fede, più aumenta in noi l’amore alla vocazione che il Signore ci ha donato. Si tratta di prendere oggettivamente coscienza che la vita consacrata a partire dal Concilio Vaticano II, dal quale ci separa mezzo secolo di storia, è in continua evoluzione e cambiamento.

Cambia il mondo, la società, cambia la chiesa, cambia la vita consacrata e cambia ogni singolo istituto religioso. Non possiamo restare fermi. Da qui il continuo aggiornamento e rinnovamento, in ascolto dei segni dei tempi.

 

DAL CONICILIO VATICANO IN POI

La sfida è venuta innanzitutto dal Concilio Vaticano II, che ha offerto il fondamento, l’orizzonte, le prospettive e le indicazioni di percorso per cogliere e interpretare i “segni dei tempi” e ha generato iniziative coraggiose e inedite di ripensamento e di progettazione dentro la Chiesa e di conseguenza anche dentro la vita consacrata.

 

Per quanto riguarda quest’ultima, il cammino percorso negli anni postconciliari ha portato alla revisione delle Costituzioni, alla nascita di nuove forme di vita consacrata, al ripensamento dell’impegno formativo, al confronto con la società e la cultura, ecc…, nell’alternarsi di momenti di crisi e di vitalità. Recentemente, sotto le stimolazioni del Sinodo sulla Vita Consacrata, il cammino avviato dal Concilio ha avuto un nuovo impulso non esente da problemi e difficoltà.

 

Domandiamoci: che cosa sta avvenendo nella vita consacrata femminile? Quali modelli di vita consacrata vengono proposti alle nuove generazioni di donne?

 

La domanda è impegnativa e vasta. Ma è giusto dare delle piste di riflessione e di indicazione al riguardo

 

Primo elemento da considerare

Le diverse forme di vita consacrata non sono mai sganciate dalla cultura nella quale nascono e crescono e il nostro tempo, complesso e in continuo cambiamento, non fa eccezione. La vita consacrata femminile porta dunque in sé il gaudio e il peso di una socio-cultura in fermento e dei problemi a essa connessi, compresi quelli relativi alla questione femminile.

 

Secondo elemento da considerare

Convivono oggi in Italia numerosi e più che centenari Istituti religiosi che stanno affrontando lo sforzo del ridimensionamento, piccoli Istituti di antica fondazione che si stanno lentamente spegnendo, nuove forme di vita consacrata che si stanno espandendo e vanno moltiplicandosi. L’Esortazione apostolica Vita consecrata ne presenta una tipologia significativa e rinvia alla molteplicità delle esperienze che essa racchiude. Nel n. 12, leggiamo testualmente: “La perenne giovinezza della Chiesa continua a manifestarsi anche oggi: negli ultimi decenni, dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, sono apparse nuove o rinnovate forme di vita consacrata. In molti casi si tratta di Istituti simili a quelli già esistenti, ma nati da nuovi impulsi spirituali ed apostolici. La loro vitalità deve essere vagliata dall’autorità della Chiesa, alla quale compete l’opportuno esame sia per saggiare l’autenticità della finalità ispiratrice sia per evitare l’eccessiva moltiplicazione di istituzioni tra loro analoghe, col conseguente rischio di una nociva frammentazione in gruppi troppo piccoli. In altri casi si tratta di esperienze originali, che sono alla ricerca di una propria identità nella Chiesa e attendono di essere ufficialmente riconosciute dalla Sede Apostolica, alla quale sola compete l’ultimo giudizio. Queste nuove forme di vita consacrata, che s’aggiungono alle antiche, testimoniano della costante attrattiva che la donazione totale al Signore, l’ideale della comunità apostolica, i carismi di fondazione continuano ad esercitare anche sulla presente generazione e sono pure segno della complementarietà dei doni dello Spirito Santo.  Lo Spirito, tuttavia, nella novità non si contraddice. Ne è prova il fatto che le nuove forme di vita consacrata non hanno soppiantato le precedenti. In così multiforme varietà s’è potuta conservare l’unità di fondo grazie alla medesima chiamata a seguire, nella ricerca della perfetta carità, Gesù vergine, povero e obbediente. Tale chiamata, come si trova in tutte le forme già esistenti, così è richiesta in quelle che si propongono come nuove” (VC, 12).

 

Il  “filo rosso” che lega queste esperienze e che trova le sue radici nella “memoria”, è la questione femminile a livello mondiale. Si tratta dello stretto legame esistente tra la vita consacrata femminile e la questione femminile, un legame di cui le consacrate vanno sempre più prendendo coscienza, tanto che si potrebbe affermare che proprio questa “presa di coscienza” è uno dei più importanti segni del  cambio epocale che stiamo vivendo.

Non solo, ma si può anche ipotizzare che questo legame diventerà sempre più stretto e significativo e contribuirà a modellare la vita consacrata femminile del terzo millennio. La religiosa di oggi, non è la stessa di ieri sotto vari aspetti. E’ un bene, è un male? Non lo sappiamo. La realtà è questa, i segni dei tempi sono questi e vanno letti ed interpretati alla luce del Vangelo e del Magistero della Chiesa.

 

1. Dirsi e pensarsi al femminile

 

Leggendo i rapporti o gli Atti dei Capitoli Generali, e altri opuscoli che circolano sulla vita consacrata femminile, emerge con chiarezza che le consacrate rileggono la propria identità e il proprio impegno missionario e apostolico con occhi e cuore di donna.

 

Nella semplicità dell’espressione e del linguaggio di questa rilettura si ritrovano le indicazioni del Magistero, soprattutto quelle di Giovanni Paolo II, assunte nell’ottica del carisma proprio dell’Istituto di appartenenza.

La Mulieris dignitatem, la Lettera alle donne, la Vita consecrata sono conosciute, apprezzate, fatte oggetto di riflessione, di discernimento, di progettazione e costituiscono il parametro per coniugare “femminilità” e “consacrazione femminile”, una coniugazione che per ogni consacrata passa attraverso la fedeltà creativa al carisma del proprio Istituto.

 

Quali allora le conseguenze e le implicanze di questa presa di coscienza?

 

Le consacrate riscoprono se stesse come donne, “osano dirsi e pensarsi al femminile” e contribuiscono così a dare un volto peculiare alla propria consacrazione e ad arricchire la riflessione e l’esperienza sulla dignità della donna in risposta all’invito del Sinodo sulla vita consacrata: “C’è motivo di sperare che da un più profondo riconoscimento della missione della donna, la vita consacrata femminile tragga una sempre maggior consapevolezza del proprio ruolo e un’accresciuta dedizione alla causa del regno di Dio” (VC 58).

 

Tra donne laiche e consacrate si instaura un filo diretto di reciproca comprensione, di sostegno, di iniziative, che in alcune occasioni viene sottolineato in modo evidente nei vari ambienti. Oggi le suore sono sempre più immerse nel campo della pastorale parrocchiale a stretto gomito con i fedeli laici che collaborano in parrocchia, sia femminili che maschili. Una volta era uno scandalo vedere una suora inserita nel coro di una parrocchia, ecc. Oggi queste realtà miste, religiose laici, sono ricorrenti. Anzi gli istituti religiosi femminili fanno sempre più ricorso ai collaboratori laici. Niente di scandaloso, anzi tutto da valorizzare con la sapienza e la prudenza.

 

Negli istituti di vita consacrata sono in atto:

• l’approfondimento dell’identità femminile per una ricomprensione dell’umanità che canta e parla “a due voci” (maschile e femminile);

 

• l’approfondimento delle implicanze della reciprocità in tutti i suoi aspetti (reciprocità tra uomo e donna; tra donne, tra generazioni, tra razze e culture);

 

• l’impegno per una formazione culturale delle consacrate, soprattutto delle giovani, per poter partecipare attivamente all’elaborazione della cultura;

 

• il recupero della  contemplazione amorosa del Signore che è condizione imprescindibile per il servizio all’umanità.

 

I laici chiedono alle religiose:

 

di lavorare insieme per costruire nei fatti un’autentica cultura della vita;

 

l’impegno di rivalutare l’attività di cura e di educazione perché siano riconosciute e valorizzate nella società, a fare della maternità la misura della società, ad assumere il potere come servizio sull’esempio delle grandi donne che hanno fatto “bella” la vita consacrata senza lasciarsi innamorare del potere.

 

Ogni consacrata potrebbe documentare che in tante altre occasioni – nelle scuole, nelle parrocchie, negli ospedali, nelle famiglie, nei circoli culturali, nelle conversazioni informali – si rinnova la fecondità di questo incontro-confronto, non come esperienza episodica, ma come momento di amicizia e collaborazione.

Il ponte è gettato ed è percorribile nelle due direzioni. Lo percorre abitualmente anche Gesù.

Non si tratta di assumere nuovi ruoli nella Chiesa, magari sostituendo il parroco in tutto, quanto  piuttosto di dare spessore al valore testimoniante della vita consacrata femminile: l’amore per Cristo con cuore indiviso e la testimonianza della sua misericordia e tenerezza per tutti, con una predilezione per i più poveri e deboli.

Cito una delle sante più incisive del nostro tempo, la Beata Madre Teresa di Calcutta. Ella scrive: “La nostra vita come religiose, e soprattutto come donne, deve essere quella di aver sete con Gesù e di assumere su noi stesse la sete della nostra gente e di tutti quelli affidati alle nostre cure del cui amore Gesù stesso continua ad aver sete […]. Per essere in grado di divenire vere donne consacrate dobbiamo innamorarci sempre più di Gesù […]. Dobbiamo mettere l’amore al primo posto nella nostra vita”.

 

Questo amore vuol farsi testimonianza luminosa attraverso l’educazione, la carità, il servizio ai più poveri, l’animazione parrocchiale, il mondo della cultura. Sottolineo quest’ultima frontiera sempre più aperta, sempre più carica di significato e di fecondità, che vede le consacrate impegnate in uno sforzo di preparazione umana e spirituale, che mentre le costruisce come persone le abilita a operare con competenza e saggezza (quante consacrate insegnano oggi a livello universitario, fanno direzione spirituale, predicano esercizi spirituali, lavorano per le Conferenze episcopali, nei Consigli pastorali e in altri luoghi di grande responsabilità, sono su Internet, predicano, scrivono, sono una miniera e una ricchezza di spiritualità!).

 

Ci serva da monito a noi religiosi e a voi religiose in particolate, questa espressione: “Si può diventare estranei alla vita di Dio non solo per la durezza del cuore, ma anche per l’ignoranza”.

Mi ha colpito profondamente e mi ha convinta ancora di più che la strada dell’impegno culturale delle consacrate è oggi prioritaria per il futuro della vita consacrata stessa (anche se ovviamente non è l’unica).

In questo momento di cambio epocale è infatti importante possedere autentiche competenze che aiutino a “rendere ragione della speranza che è in noi” e a metterci in dialogo umile e sincero con il mondo della cultura, per collaborare fattivamente a costruire un mondo di pace nello spirito dell’invito che Giovanni Paolo II rivolse a tutte le donne nella Giornata mondiale della pace del 1995, sul tema “La donna: educatrice di pace”:  “Per educare alla pace, la donna deve innanzitutto coltivarla in se stessa. La pace interiore viene dal sapersi amati da Dio e dalla volontà di corrispondere al suo amore. La storia è ricca di mirabili esempi di donne che, sostenute da questa coscienza, hanno saputo affrontare con successo difficili situazioni di sfruttamento, di discriminazione, di violenza e di guerra”(n.5).

2. Impegnarsi sulle frontiere dell’essere e del coinvolgersi

 

Essere e coinvolgersi. Anche su queste frontiere si giocano passi importanti del cammino futuro della vita consacrata.

La frontiera dell’essere “donne” consacrate, innanzitutto. Si tratta del cammino del confronto con se stesse, con la propria realtà di donne – contemporaneamente ricche e povere di doni – che lavorano per conoscere nel profondo le proprie risorse di “persona umana donna”, che maturano consapevolmente la propria interiorità, che percorrono con costanza il cammino umile della propria verità.

In questa ottica, le consacrate fanno vedere che la loro scelta di vita, con ciò che significa e i compiti a cui rimanda, è una via originale per la piena realizzazione della donna. Non solo, ma è cooperazione feconda e intelligente  a quel riscatto della persona umana che è a fondamento della pace, della democrazia, dello sviluppo tra i popoli.

Nella società, soprattutto la nostra che va diventando sempre più multiculturale e multirazziale, infatti, è soltanto mettendo al centro la persona che si arriva a valorizzare la comunione tra singoli e popoli, al di sopra di ogni sistema o idea o ideologia; a scoprire il vero significato della relazione e ciò che l’altro – non più nemico o concorrente – può offrire; a sviluppare il paradigma di una casa comune e nel contempo plurale; a salvaguardare le istanze universalistiche di ogni espressione culturale in uno spirito aperto alle differenze e alla molteplicità.

A questa nostra società, le donne laiche e consacrate offrono il dono della propria dignità personale mediante la parola e la testimonianza di vita e le ricchezze connesse con la propria vocazione femminile. In essa portano il ricco patrimonio di esperienza accumulato da tante donne lungo la storia, troppo spesso carico di pesi che le hanno relegate ai margini del vivere sociale ed ecclesiale, e quei valori che contribuiscono a salvare l’umano: la coscienza del limite, l’accoglienza, l’attenzione, la cura, la compassione. Sono i valori legati a quel “genio materno” che nel Giubileo dell’Incarnazione del 2000 ha svelato, attraverso il volto di ogni donna e il suo operare sui diversi fronti del quotidiano, il volto della Bellissima, la dolce Madre del Signore.

 

Simone Weil ripeteva più volte a se stessa: “Non passare dinanzi a una cosa grande senza vederla”.  Non si può non vedere che le donne e le donne consacrate semplici e dotte, anziane e giovani, chiamate a ruoli di responsabilità o prostrate dalla malattia stanno interiorizzando un nuovo modello di maternità per consegnarlo alle generazioni future.

 

E’ un modello fondato:

• sulla relazionalità (che richiama il mistero di comunione/libertà tra madre e figlio);

• sul senso del limite (che richiama i periodi di fecondità/sterilità che vive ogni donna),

• sulla capacità di coniugare dolore e gioia (che richiama l’allegrezza di aver dato al mondo un figlio attraverso le doglie del parto).

 

Ogni persona umana è stata creata a  immagine di Dio, Trinità di Persone in comunione. Fa parte di questo ripensamento l’accento posto dalle consacrate sul nesso che intercorre tra la donna e il senso della vita, a lei tipicamente proprio, soprattutto nel tratto relazionale interpersonale che è il sigillo impresso dalla Trinità nella persona umana. Non solo, ma l’impegno a collaborare per costruire una nuova cultura, quella cultura che trova fecondità nel mistero della reciprocità che ci costruisce in quanto persone e ci è modello in ogni esperienza di vita, per il suo radicarsi nel mistero ineffabile della reciprocità delle Divine Persone.

Si tratta di risvolti che incidono su tutti gli aspetti della vita consacrata: dall’identità ai ruoli, alla vita comunitaria, ai voti, al rapporto tra donne e tra donne e uomini, alla convivenza intergenerazionale e multiculturale, all’esercizio dell’autorità, alla formazione.

I voti di castità, povertà, obbedienza, riscoperti e vissuti in quella chiave relazionale, che mette al primo posto l’amore per il Signore, sono una strada maestra per costruire questa società sana, a misura di persona umana.

 

L’obbedienza diventa “libertà liberata con l’ethos dell’amore”, capacità di decisione sana e autonoma, ecologia della mente, scuola di vita comune che fa a ciascuno il giusto spazio, coscienza del proprio limite che accoglie il dono dell’altro nella consapevolezza che ciascuno ha un talento da offrire e trafficare.

La povertà si fa sobrietà umanizzante, dipendenza responsabile dalla comunità secondo uno stile di vita adulta, ecologia della vita che porta ad accontentarsi del necessario, a condividere i bene materiali e spirituali, a lottare per vincere le strutture di peccato e di morte, a testimoniare la lotta contro lo spreco delle cose, della natura, dei pensieri, del linguaggio, dell’amore.

La castità, nella donazione totale a Cristo, diventa ecologia del cuore, lotta gioiosa e trasparente contro la prostituzione del corpo e dello spirito, maternità spirituale aperta a ricevere, a donare, a far crescere la vita.

 

La frontiera del “coinvolgersi”. E’ il cammino dell’immergersi nella concretezza dei problemi per acquistare la sapienza di prevenirli – quando è possibile – e di inventarne le risposte nel vivo dell’azione.

E’ il farsi carico dei problemi portando in essi tutto il peso della propria vita affettiva, intellettuale, volitiva incorporata in quella saggezza che è l’arte-virtù del giusto momento.

E’ il prendersi cura della vita e della morte, delle situazioni che richiedono rispetto e accoglienza delle differenze mosse da atteggiamenti dignitosi e sereni di compassione. “Prendersi cura”, vale a dire diventare sempre più consapevoli del dono che ciascuna può rappresentare per gli altri, per la gente, per il mondo… Prendersi cura dei poveri come Teresa di Calcutta, delle riforme come Teresa d’Avila, della  pace come Brigida di Svezia, dell’Amore come Teresa di Gesù Bambino, del Papa come Caterina da Siena, della verità come Teresa Benedetta della Croce, dell’educazione come Maria Mazzarello, del mondo della comunicazione sociale come Tecla Merlo.

 

“Essere”, “coinvolgersi” per trasformare la valle del pianto in una sorgente (Sl 83) esprimendo innanzitutto quello che è “il cuore” del “genio femminile”, la cifra dell’essere donna e donna consacrata: il genio del proprio rapporto con il Signore, fonte e ragione di ogni amore.

Quel genio che non deve mai spegnersi per condurre la vita consacrata “oltre la porta del terzo millennio”, iniziato da 13 anni, così che l’umile e coraggioso servizio di tutte coloro che hanno scelto il Signore possano essere non solo “seme nella terra”, ma “lampada sul moggio”. Oltre la Porta della fede, come ci ricorda Papa Benedetto nel Motu proprio per l’indizione dell’Anno della fede, attualmente in corso, e che a noi religiosi chiede il coraggio di osare di più per vivere coerentemente la nostra scelta di consacrazione a Dio, senza aver paura, ma solo avendo fiducia in Colui che tutto può.