Pasqua

Mondragone (Ce). Seminario di studi su Victorine Le Dieu

DSC07165.JPG150120132147.jpgDSC07159.JPG150120132139.jpgSi svolgerà giovedì 16 maggio 2013, per l’intera giornata, un seminario di studi sulla figura e l’opera della serva di Dio Victorine Le Dieu, Fondatrice delle Suore di Gesù Redentore, che a Mondragone hanno una rinomata ed affermata struttura finalizzata all’accoglienza e all’ospitalità. E, infatti, presso la Stella Maris di Mondragone a pochi metri dal mare che giovedì prossimo si svolgerà questo importante convegno nell’anno della fede, voluto espressamente dalle suore della comunità e dall’assistente spirituale, padre Antonio Rungi, che sarà il moderatore del seminario di Studi. Importanti personalità del mondo ecclesiastico nazionale e locale prenderanno parte al seminario di studi. L’aspetto storico del tempo in cui visse ed operò Victorine Le Dieu verrà trattato, nella mattinata del 16 maggio 2013, dal passionista, Giuseppe Comparelli, uno studioso ed esperto dell’Ottocento. L’aspetto teologico e carismatico della figura della Serva di Dio Victorine Le Dieu verrà trattato, nella mattinata di giovedì prossimo, dall’arcivescovo di Potenza, mons. Agostino Superbo, già assistente nazionale dell’Azione Cattolica e Vice-presidente per l’Italia Meridionale della Conferenza Episcopale Italiana (Cei). La presenza delle suore a Mondragone, le loro attività svolte e che continuano a svolgere veranno presentate da due comunicazioni nel pomeriggio, curate rispettivamente dal frate francescano, padre Berardo Buonanno, autore di numerose pubblicazioni di carattere storico e religioso su Mondragone e dal vicario foraneo, don Roberto Guttoriello. La giornata verrà aperta dal saluto del vicario episcopale per la vita consacrata della Diocesi di Sessa Aurunca, don Paolo Marotta e sarà conclusa con la celebrazione eucaristica, presieduta dal Vescovo di Sessa Aurunca, alle ore 19.00, nella Chiesa delle Suore della Stella Maris. Il seminario di studio è aperto a tutti, specialmente ai fedeli laici e a quanti vogliono sviluppare un approfondimento della loro fede sull’esempio della Serva di Dio, Victorine Le Dieu, avviata verso la beatificazione. Il seminario di studi promosso dalla comunità delle Suore di Gesù Redentore ha un significato particolare, in quanto l’Istituto fondato da Victorine Le Dieu celebra quest’anno i suoi 150 anni di riconoscimento dell’opera, approvata il 15 gennaio 1863 da Pio IX. L’Istituto che fina dalla sua nascita e nel corso degli anni si è incentrato soprattutto nel curare le ferite del corpo e dello spirito, specialmente dei bambini e dei sofferenti, oggi è presente in varie parti d’Italia e del mondo, continuando con rinnovato vigore l’opera della fondatrice. Al seminario di studio è attesa anche la nuova madre generale delle Suore di Gesù Redentore, Marilena Russo, con i vertici della Congregazione, che ha la sua sede generale a Fonte Nuova in Roma. Lì sono conservati le spoglie mortali di Victorine Le Dieu, considerata da tutti nella chiesa del suo tempo e del nostro tempo una donna straordinaria oer generosità e sacrifio per servire la causa degli ultimi e dei sofferenti nella Francia post-rivoluzionaria e nell’Europa del periodo napoleonico e post-napoleonico. Dalla Francia all’Italia il suo cammino di carità, di fede e speranza mai si interruppe, forte come era della grazia e della potenza che le venivano da Cristo, unico Redentore del mondo, sotto la cui protezione aveva messo la sua opera e la sua missione nella Chiesa.

Il Seminario di studi parlerà di questa singolare donna francese in un anno speciale come quello della fede che la cristianità sta vivendo a cavallo di due pontificati: quello del Papa emerito, Benedetto XVI, che ha indetto questo anno in occasione dei 50 anni dell’inizio del Concilio Vaticano II e continuato con particolare fervore da nuovo pontefice, Papa Francesco, che ha ripreso le catechesi sull’anno della fede in occasione delle udienze generali del mercoledì, sempre più affollate da credenti e non in una Piazza san Pietro che incomincia ad essere stretta e limitata per accogliere tutti i pellegrini che giungono a Roma per vedere il Papa e celebrare l’anno della fede, nella sede di Pietro.

Capua (Ce). E’ mons. Visco il nuovo arcivescovo di Capua. Promosso dalla sede di Isernia-Venafro

Vescovo.jpgCAPUA (Ce). Nominato il nuovo arcivescovo della dell’arcidiocesi

di Antonio Rungi

E’ sua Eccellenza monsignor Salvatore Visco il nuovo arcivescovo dell’Arcidiocesi di Capua, successore di monsignor Bruno Schettino, morto recentemente e prematuramente, il 21 settembre 2012, per arresto cardiaco. Il Santo Padre, Papa Francesco, ha provveduto così a coprire la sede vacante, trasferendo monsignor Visco dalla sede di Isernia-Venafro, e promuovendolo all’arcidiocesi Capua. Monsignor Visco è il 160 vescovo di Capua. In un sentito messaggio alla Diocesi, monsignor Visco afferma di essere grato al Santo Padre per la scelta effettuata, ma si dice anche responsabilizzato di fronte alla missione che lo attende nella storica arcidiocesi di Capua. Un pensiero speciale nel messaggio al mons. Schettino, a mons. Lagnese, che sarà ordinato domani, e al Vescovo Strofaldi.Messaggio1.pdf

Monsignor Salvatore Visco è nato a Napoli il 28 luglio 1948. Ha compiuto gli studi ginnasiali e liceali nel Seminario minore di Pozzuoli e quelli filosofici e teologici presso il Seminario Maggiore di Napoli come alunno della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sezione S. Tommaso (Capodimonte). È stato ordinato sacerdote il 14 aprile 1973. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti uffici e ministeri: Vicario Parrocchiale di Maria SS. Desolata a Bagnoli (1973-1984); Docente di Religione presso la scuola pubblica (1974-1994); Parroco della Chiesa di Mater Domini (1985-1993); Direttore dell’Ufficio Liturgico Diocesano (1985-1994); Delegato vescovile per il Diaconato permanente e Responsabile diocesano per i Ministeri (1985-1995); Vicario Generale della diocesi di Pozzuoli e Decano del Capitolo della Chiesa Cattedrale di Pozzuoli (1994-2007). Eletto alla sede vescovile di Isernia-Venafro il 5 aprile 2007, ha ricevuto la consacrazione episcopale il 2 giugno successivo. Attualmente è Vice-Presidente della Conferenza Episcopale Abruzzese-Molisana. La Diocesi di Capua è una delle più antiche e prestigiose della Campania, risalendo la sua istituzioni alla prima metà del primo secolo. Vanta, infatti, origini apostoliche, trovandosi sulla strada maestra Appia. In passato è stata anche sede metropolitana. Degli 80 arcivescovi metropoliti, 19 sono stati cardinali, tra cui si ricorda la figura di San Roberto Bellarmino. La Diocesi di Isernia-Venafro è stata in passato suffraganea della metropolia di Capua. La Diocesi di Capua ha accolto con gioia la notizia e ringrazia il Santo Padre, Francesco, per aver provveduto in tempi molto stretti alla nomina del nuovo arcivescovo, che lascia la sua precedente sede dopo 5 anni di ministero episcopale nella Diocesi di Isernia-Venafro. Mons. Visco continuerà a reggere la diocesi di Isernia-Venafro come Amministratore Apostolico – con tutte le facoltà che secondo il Diritto competono ai vescovi diocesani – fino a che il Sommo Pontefice non avrà stabilito diversamente. “Mentre diciamo al Signore il nostro fervide grazie per averci donato Mons. Salvatore Visco come Padre e Pastore in questi anni – si legge nella nota della Curia di Isernia- accompagniamo l’Arcivescovo eletto con una fervente preghiera affinché possa svolgere indefessamente il ministero episcopale, anche nella nuova sede, all’insegna della verità e della carità secondo l’immutato motto del suo stemma episcopale: Dirige me Domine in Veritate tua. Gioiosi e commossi Lo affidiamo all’amorevole protezione della Beata Vergine Maria, Regina degli Apostoli e Madre della Chiesa, nonché dei Santi Protettori delle Chiese particolari di Isernia-Venafro e Capua”.

Vitulazio (Ce). Ordinazione episcopale di mons. Pietro Lagnese

mons-lagnese-392x320.jpgstemmaepiscopaleufficiale.jpgVitulazio (Ce). Domani ordinazione  episcopale di mons. Pietro Lagnese, nuovo vescovo di Ischia. Presiede il rito di consacrazione il Cardinale Sepe.

 

di Antonio Rungi

 

Sarà ordinato vescovo nella sua comunità parrocchiale a Vitulazio, dove per anni ha servito il popolo di Dio con grande generosità e dedizione. Dopodomani, 1 maggio 2013, don Pietro Lagnese, sacerdote dell’Arcidiocesi di Capua verrà ordinato vescovo per la preghiera e l’imposizione delle mani del cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo metropolita di Napoli. 

Saranno presenti tutti i vescovi della Campania e di altre regioni per questo fausto avvenimento, in programma alle ore 16,30 a Vitulazio, dpopdomani 1 maggio 2013, festa di San Giuseppe Lavoratore ed inizio del mese di maggio in onore della Madonna. Movimentata l’intera comunità cristiana dell’arcidiocesi di Capua e di Ischia, dove il Santo Padre, Benedetto XVI, prima della sua rinuncia, il 23 febbraio 2013, lo aveva nominato vescovo don Pietro Lagnese, in seguito alla rinuncia della guida pastorale della stessa diocesi da parte di mons.Filippo Strofaldi per motivi di salute.

Monsignor Lagnese ha scelto quale motto del suo stemma episcopale un versetto del vangelo “Duc in altum”, prendere il largo, in cui il novello Vescovo di una delle isole più belle del Golfo di Napoli e del mar Tirreno, vuole esprime il senso del camminare e di elevarsi sempre più verso mete di santità e di adesione a Cristo. L’espressione “Duc in altum” esprime, infatti, l’invito del Signore a scommettere su Dio e a credere nella potenza della Parola di Cristo che rende feconda l’azione della Chiesa. Come il pescatore di Galilea, essa è chiamata ogni giorno a dire al Suo Signore: “Sulla tua Parola getterò le reti” (Lc 5, 5), nella certezza che Colui che le chiede di fidarsi e di seguirlo renderà piena e abbondante la sua vita, desiderosa di contagiare tante altre persone perché si lascino “prendere” da Lui.

Dopo la straordinaria esperienza di guida della Diocesi di Ischia da parte di mons.Strofaldi, amato pastore, arriva mons. Lagnese, un sacerdote campano, ben noto nella conferenza episcopale per il suo costante impegno pastorale in vari settori. Lo attesta tutta la sua vita di persona e presbitero.

Mons. Pietro Lagnese, quarto di sei figli, nasce a Vitulazio (Caserta) il 9 settembre 1961 da Giovanni e Maria Grazia Tartaglione. È battezzato nello stesso giorno dall’allora parroco don Francesco Gravina. Nella sua casa, insieme ad una profonda rettitudine morale, sperimenta i valori della dedizione alla famiglia ed un forte senso di laboriosità e di sacrificio; qui riceve pure la sua prima educazione alla fede. Attraverso l’assidua partecipazione alla vita della comunità parrocchiale, cresce in lui un forte senso di appartenenza ecclesiale che si concretizzerà in un’esperienza di servizio all’interno dell’azione cattolica parrocchiale e in una feconda vita di preghiera.

 Il desiderio di consacrarsi al Signore nel ministero presbiterale, già vivo negli anni della fanciullezza, si fa più forte nella prima adolescenza con l’arrivo in parrocchia del giovane sacerdote don Carlo Iadicicco. Negli ultimi anni di scuola superiore, essendo parroco il sacerdote don Enrico Lanna, matura con maggiore consapevolezza la sua scelta vocazionale. Al termine del quarto anno di liceo, durante un campo diocesano di Azione Cattolica, manifesta la sua intenzione all’arcivescovo S. E. Mons. Luigi Diligenza, da poco arrivato in diocesi. Da quel momento comincia un dialogo proficuo con il Pastore della Chiesa di Capua che sempre di più assume il volto di un vero padre nella fede. Nel 1979 consegue la maturità nel Liceo Scientifico di Capua.

 

Nel settembre 1980 entra nel Seminario Maggiore Arcivescovile di Napoli “Cardinale Alessio Ascalesi” dove è accolto dall’allora rettore Mons. Agostino Vallini. Compie i suoi studi presso la Pontificia Facoltà Teologica della Italia Meridionale, Sezione San Tommaso, dove consegue il Baccalaureato in Sacra Teologia e la Licenza in Teologia Pastorale con una Tesi sui giovani e la direzione spirituale. 

 Per l’imposizione delle mani di Mons. Luigi Diligenza è ordinato Diacono il 21 settembre 1985 e sacerdote il 1 maggio 1986. Assistente spirituale del Movimento Apostolico Ciechi, inizia il suo ministero pastorale nella Parrocchia di Vitulazio il 13 ottobre 1986 ove per ventisette anni svolge ininterrottamente il servizio di parroco.  L’impegno per la formazione della comunità cristiana caratterizza i primi anni del suo ministero di Parroco. La riorganizzazione della Catechesi e della Liturgia e la nascita dell’Oratorio che raccoglie i ragazzi e i giovani in un cammino sistematico che ha il suo sbocco nel servizio alla comunità, delinea il volto della Parrocchia di Vitulazio.  In parrocchia, accanto all’opera di evangelizzazione degli adulti, si sviluppa una particolare sensibilità ai poveri e ai loro bisogni. In questo solco nel 1992 nasce un’esperienza particolarmente significativa per la vita di tante famiglie: per dare una risposta concreta al dilagare della piaga della droga, dà vita, insieme ad alcuni amici casertani, al Centro di recupero per i tossicodipendenti “Il Timone” e ad una intensa collaborazione con diverse comunità terapeutiche presenti in Italia.  Nel 1997, dopo aver portato a termine l’opera di restauro integrale dell’edificio della chiesa parrocchiale, dà inizio, con il forte coinvolgimento della comunità vitulatina, alla costruzione del Centro Parrocchiale S. Maria dell’Agnena, i cui lavori si concludono il 22 giugno del 2002 con l’inaugurazione di S. E. Mons. Bruno Schettino, Arcivescovo di Capua dal 1997. Divenuto un vero punto di riferimento sia pastorale che culturale, il Centro, negli anni, è andato sempre più caratterizzandosi non solo quale luogo di formazione della comunità locale e di altre realtà ecclesiali, ma anche come strumento indispensabile e segno tangibile per una parrocchia desiderosa di essere famiglia di famiglie, casa e scuola di comunione in mezzo alla gente.  Nel gennaio del 2004, in collaborazione con la Superiora Generale della Congregazione delle Suore Ancelle dell’Immacolata, Madre Maria Serruto, dà vita ad una casa di pronta accoglienza per i più poveri tra i poveri con cui condividere la vita e il pane. Da allora la comunità fa esperienza della Provvidenza che puntualmente accompagna la Casa stimolando una feconda collaborazione tra suore e laici per un’esperienza di servizio rivelatasi preziosissima per la crescita della comunità parrocchiale: nasce così la Casa della Carità “Madre Teresa di Calcutta”. Dal 1988 al 1994 è scelto quale Direttore del Centro Diocesano Vocazioni e Rettore del Seminario Arcivescovile di Capua, entra così a far parte del Consiglio Presbiterale Diocesano. Nel 1989 S. E. Mons. Luigi Diligenza lo nomina Segretario Generale del 31° Sinodo della Chiesa di Capua, affidandogli il coordinamento sia della fase preparatoria che di quella celebrativa, che si conclude nel giugno del 1993. L’esperienza sinodale sarà per il Segretario l’occasione per una forte maturazione ecclesiale. Il coinvolgimento di tutte le realtà parrocchiali e diocesane offre, infatti, l’opportunità di ripercorrere l’itinerario della Chiesa a partire dall’evento conciliare, di fare sintesi del cammino intrapreso e tracciare le linee di quello futuro. “In Comunione per Servire”, documento conclusivo di S. E. Mons. Luigi Diligenza, sarà il frutto maturo del lavoro sinodale.  Per due quinquenni è nominato da S. E. Mons. Bruno Schettino membro del Collegio dei Consultori.  Dal 2001 fino al 2010 assume l’incarico nell’Ufficio Diocesano di Pastorale Familiare, prima come Assistente spirituale e poi come Direttore Responsabile. L’1 marzo 2005 S. E. Mons. Schettino lo nomina primo presidente della “Fondazione Centro Famiglia”, Consultorio familiare d’ispirazione cristiana dell’Arcidiocesi di Capua. Nel 2003 è nominato dalla Conferenza Episcopale della Campania Incaricato Regionale per il Settore Pastorale per la Famiglia e la Vita e, in tale veste, nel 2006 partecipa, a Verona, al IV Convegno delle Chiese che sono in Italia. Conclude il mandato nel giugno 2010. In quello stesso anno, su invito di Sua Eminenza il Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo di Napoli, e con la benedizione dell’Arcivescovo di Capua, assume l’ufficio di padre spirituale nel Seminario Maggiore Arcivescovile “Cardinale Alessio Ascalesi” di Capodimonte. Nel giugno 2012 è eletto dal Consiglio Presbiterale Diocesano Delegato Diocesano nella Commissione Regionale Presbiterale. Dal 1 maggio 2013 sarà il nuovo vescovo di Ischia consacrato ed inviato a questa amata chiesa locale, una delle più antiche e prestigiose della Regione ecclesiastica campana.

Di don Pietro Lagnese, scrivono i maggiori esponenti delle Acli della Provincia di Caserta: “Le Acli vogliono manifestare tutto l’amore filiale di cui sono capaci ad un Pastore e ad un uomo che ha caratterizzato, con la preghiera e con l’azione, una miriade di iniziative inconfondibili  di servizio e di promozione per tutta la sua comunità. La Croce del III millennio, ubicata nel Centro parrocchiale, alta 33 metri, resta , per tutti i fedeli che ne hanno apprezzato l’azione ed il carisma, il simbolo perenne di una testimonianza di fratellanza impareggiabile, in una terra ricca di problemi economici e sociali particolarmente acuti”.

 

MONDRAGONE. RITIRO SPIRITUALE DELLE SUORE DI GESU’ REDENTORE

Foto-0342.jpgSi ritroveranno insieme, giovedì 25 aprile 2013, festa di San Marco, per un ritiro spirituale particolare, nella casa di spiritualità e di accoglienza della Stella Maris di Mondragone, le Suore di Gesù Redentore della Campania e del Lazio Sud, insieme ai laici che fanno riferimento al carisma di fondazione della Serva di Dio Victorine Le Dieu, di adorazione, riparazione e riconciliazione. Tema dell’incontro che vedrà riunite diverse comunità delle Suore di Gesù Redentore è “La fede e la speranza nella vita di Victorine Le Dieu”. La giornata di studio e di spiritualità si svolgerà con una duplice meditazione sul tema, dettate dall’assistente spirituale delle Suore, padre Antonio Rungi, religioso passionista e teologo morale, con vari momenti di preghiera, con la celebrazione eucaristica e con lo svolgimento della pratica della Via Lucis, sulle 14 stazioni riguardanti il mistero della risurrezione di Cristo. Le Suore di Gesù Redentore, celebrano in tutto il mondo i 150 anni di riconoscimento del loro istituto, approvato formalmente da Pio IX il 15 gennaio 1863 e tra le comunità più antiche in cui si continua l’opera di Victorine Le Dieu è la Stella Maris di Mondragone, con 70 anni di storia, durante i quali l’istituto è stato convitto, scuola e casa famiglia per accogliere i bambini in disagio sociale. In tale istituto sono passati oltre 5.000 bambini educati ai sani principi morali e spirituali e accolti con amorevolezza e tenerezza dalle Suore che in 70 anni di attività apostolica hanno curato l’infanzia abbandonata secondo gli insegnamenti della fondatrice, Victorine Le Dieu. Da cinque anni la casa religiosa svolge un importante ruolo nel campo della spiritualità e dell’accoglienza dei gruppi parrocchiali, convegno e seminari di studi. Il prossimo appuntamento in tale direzione è in programma per il 16 maggio 2013, con la partecipazione dell’Arcivescovo di Potenza, monsignor Agostino Superbo e del Vescovo della Diocesi di Sessa Aurunca, monsignor Antonio Napoletano, con altri interventi sulla figura della fondatrice delle Suore di Gesù Redentore, da un punto di vista storico, spirituale, pastorale e teologico.

La teologia della Croce di Papa Francesco Bergoglio

La teologia della Croce di Papa Francesco

 

di padre Antonio Rungi, passionista

 

Fin dai suoi primi interventi magisteriali, dal 13 marzo scorso, esattamente un mese fa, Papa Francesco, Jorge Mario Bergoglio, religioso della Compagnia di Gesù (Gesuiti) ha sottolineato l’importanza del mistero della Croce di Cristo e soprattutto del Cristo Crocifisso. Si tratta di un magistero sulla teologia della Croce o della Sapienza della Croce che è opportuno analizzare nella sua profondità dottrinale, ma anche pastorale e soprattutto ascetica.

La formazione teologica di Papa Bergoglio è una formazione tipicamente gesuita e come tale, nella spiritualità di Sant’Ignazio di Lojola, ha a cuore il mistero del redentore. La società di Gesù, la compagnia di Gesù non è solo un’istituzione religiosa di grande supporto al papato di ogni tempo, ma una realtà profondamente spirituale, nella chiesa e oltre i suoi confini, che ci fa toccare con mano, come San Tommaso Apostolo, quanti sia fondamentale l’approccio spirituale, biblico, teologico e pastorale per comprendere il mistero della redenzione del genere umano che fissa lo sguardo su due momenti importantissimi della vita di Cristo: la passione-morte in Croce e la sua Risurrezione.

Papa Francesco si ferma come il suo padre fondatore, Ignazio di Lojola, prima sul calvario o lungo la via del Calvario e poi davanti al mistero del sepolcro vuoto, che è il segnale evidente che Cristo è vincitore della morte e soprattutto di ogni morte che non considera Gesù Cristo come unico, vero salvatore del mondo. Rispondendo al saluto augurale del Preposito generale dei Gesuiti, per l’elezione al soglio pontificio di Papa Francesco, il Santo Padre scrive: “La ringrazio di cuore per questo segno di stima e vicinanza, che ricambio con piacere, chiedendo al Signore che illumini e accompagni tutti i Gesuiti affinché, fedeli al carisma ricevuto e sulle orme dei santi del nostro amato Ordine, possano essere, con l’azione pastorale ma soprattutto con la testimonianza di una vita interamente consacrata al servizio della Chiesa, Sposa di Cristo, lievito evangelico nel mondo, alla ricerca incessante della gloria di Dio e del bene delle anime” (1). Rispondendo al messaggio dell’Arcivescovo di Canterbury, Papa Francesco così scrive: “Il ministero pastorale è una chiamata a camminare nella fedeltà al Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo”(2).

Tanti i richiami fatti al mistero della morte in Croce di Gesù, sia nelle omelie, che nei discorsi, nelle udienze generali, nelle preghiera dell’Angelus e del Regina coeli, negli incontri ufficiali, nei messaggi e nelle lettere. Possiamo già indicare una linea di sviluppo della teologia della croce, secondo Papa Bergoglio.

Parto da due testi molto espliciti e specifici relativi alla Passione di Cristo. Il Video-messaggio per l’ostensione virtuale della Sacra Sindone e il discorso a conclusione della Via Crucis al Colosseo. Scrive Papa Francesco: “L’Uomo della Sindone ci invita a contemplare Gesù di Nazaret. Questa immagine – impressa nel telo – parla al nostro cuore e ci spinge a salire il Monte del Calvario, a guardare al legno della Croce, a immergerci nel silenzio eloquente dell’amore. Lasciamoci dunque raggiungere da questo sguardo, che non cerca i nostri occhi ma il nostro cuore. Ascoltiamo ciò che vuole dirci, nel silenzio, oltrepassando la stessa morte. Attraverso la sacra Sindone ci giunge la Parola unica ed ultima di Dio: l’Amore fatto uomo, incarnato nella nostra storia; l’Amore misericordioso di Dio che ha preso su di sé tutto il male del mondo per liberarci dal suo dominio. Questo Volto sfigurato assomiglia a tanti volti di uomini e donne feriti da una vita non rispettosa della loro dignità, da guerre e violenze che colpiscono i più deboli.

Nella sua breve riflessione a conclusione della Via Crucis al Colosseo, Papa Bergoglio riporta l’attenzione di tutti i presenti il mistero della sofferenza e morte di Gesù: “In questa notte deve rimanere una sola parola, che è la Croce stessa. La Croce di Gesù è la Parola con cui Dio ha risposto al male del mondo. A volte ci sembra che Dio non risponda al male, che rimanga in silenzio. In realtà Dio ha parlato, ha risposto, e la sua risposta è la Croce di Cristo: una Parola che è amore, misericordia, perdono. E’ anche giudizio: Dio ci giudica amandoci. Ricordiamo questo: Dio ci giudica amandoci. Se accolgo il suo amore sono salvato, se lo rifiuto sono condannato, non da Lui, ma da me stesso, perché Dio non condanna, Lui solo ama e salva. La parola della Croce è anche la risposta dei cristiani al male che continua ad agire in noi e intorno a noi. I cristiani devono rispondere al male con il bene, prendendo su di sé la Croce, come Gesù… Allora continuiamo questa Via Crucis nella vita di tutti i giorni. Camminiamo insieme sulla via della Croce, camminiamo portando nel cuore questa Parola di amore e di perdono. Camminiamo aspettando la Risurrezione di Gesù, che ci ama tanto. E’ tutto amore”.

Nell’udienza al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Papa Francesco, il 22 marzo scorso, precisava anche il motivo della scelta del nome del Povero d’Assisi, dicendo senza mezze misure che la sua povertà e la sua vicinanza alla sofferenza umana che lo aveva convinto immediatamente per optare per questo nome, ma anche il tema della pace e della fraternità, che trovano la loro sorgente in Gesù Cristo e nel suo sacrificio sulla Croce: “Uno dei primi è l’amore che Francesco aveva per i poveri. Quanti poveri ci sono ancora nel mondo! E quanta sofferenza incontrano queste persone! Sull’esempio di Francesco d’Assisi, la Chiesa ha sempre cercato di avere cura, di custodire, in ogni angolo della Terra, chi soffre per l’indigenza e penso che in molti dei vostri Paesi possiate constatare la generosa opera di quei cristiani che si adoperano per aiutare i malati, gli orfani, i senzatetto e tutti coloro che sono emarginati, e che così lavorano per edificare società più umane e più giuste.  Ma c’è anche un’altra povertà! È la povertà spirituale dei nostri giorni, che riguarda gravemente anche i Paesi considerati più ricchi”.

Significativo è il discorso di Papa Francesco sul tema della croce, all’incontro con i rappresentanti delle chiese e delle comunità ecclesiali e delle altre religioni, tenuto il 20 marzo 2013. Egli scrive: L’anno della fede è “una sorta di pellegrinaggio verso ciò che per ogni cristiano rappresenta l’essenziale: il rapporto personale e trasformante con Gesù Cristo, Figlio di Dio, morto e risorto per la nostra salvezza. Proprio nel desiderio di annunciare questo tesoro perennemente valido della fede agli uomini del nostro tempo, risiede il cuore del messaggio conciliare… Noi possiamo fare molto per il bene di chi è più povero, di chi è debole e di chi soffre, per favorire la giustizia, per promuovere la riconciliazione, per costruire la pace.

Non dimentica, Papa Francesco, il tema del dolore, della croce, quando si rivolge ai giornalisti, durante l’udienza particolare concessa a loro, il 16 marzo 2013.

Gli eventi ecclesiali non sono certamente più complicati di quelli politici o economici! Essi però hanno una caratteristica di fondo particolare: rispondono a una logica che non è principalmente quella delle categorie, per così dire, mondane, e proprio per questo non è facile interpretarli e comunicarli ad un pubblico vasto e variegato. La Chiesa, infatti, pur essendo certamente anche un’istituzione umana, storica, con tutto quello che comporta, non ha una natura politica, ma essenzialmente spirituale: è il Popolo di Dio, il Santo Popolo di Dio, che cammina verso l’incontro con Gesù Cristo. Soltanto ponendosi in questa prospettiva si può rendere pienamente ragione di quanto la Chiesa Cattolica opera. Cristo è il Pastore della Chiesa, ma la sua presenza nella storia passa attraverso la libertà degli uomini: tra di essi uno viene scelto per servire come suo Vicario, Successore dell’Apostolo Pietro, ma Cristo è il centro, non il Successore di Pietro: Cristo. Cristo è il centro. Cristo è il riferimento fondamentale, il cuore della Chiesa. Senza di Lui, Pietro e la Chiesa non esisterebbero né avrebbero ragion d’essere”

Papa Bergoglio nel riportare quanto è avvenuto nel conclave, pone la sua attenzione sul discorso dei poveri. La croce è amore per i poveri e scelta di povertà nella chiesa: “Nell’elezione, io avevo accanto a me l’arcivescovo emerito di San Paolo e anche prefetto emerito della Congregazione per il Clero, il cardinale Claudio Hummes: un grande amico, un grande amico! Quando la cosa diveniva un po’ pericolosa, lui mi confortava. E quando i voti sono saliti a due terzi, viene l’applauso consueto, perché è stato eletto il Papa. E lui mi abbracciò, mi baciò e mi disse: “Non dimenticarti dei poveri!”. E quella parola è entrata qui: i poveri, i poveri. Poi, subito, in relazione ai poveri ho pensato a Francesco d’Assisi. Poi, ho pensato alle guerre, mentre lo scrutinio proseguiva, fino a tutti i voti. E Francesco è l’uomo della pace. E così, è venuto il nome, nel mio cuore: Francesco d’Assisi. E’ per me l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato; in questo momento anche noi abbiamo con il creato una relazione non tanto buona, no? E’ l’uomo che ci dà questo spirito di pace, l’uomo povero … Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”.

Se qualche accenno diretto o indiretto al tematica della croce lo troviamo nei documenti fin qui citati, nel discorso del Santo Padre Francesco, a tutti i Cardinali, in occasione della sua elezione a Romano Pontefice, è più preciso sul rapporto tra croce e gioia: “Non cediamo mai al pessimismo, a quell’amarezza che il diavolo ci offre ogni giorno; non cediamo al pessimismo e allo scoraggiamento: abbiamo la ferma certezza che lo Spirito Santo dona alla Chiesa, con il suo soffio possente, il coraggio di perseverare e anche di cercare nuovi metodi di evangelizzazione, per portare il Vangelo fino agli estremi confini della terra (cfr At 1,8). La verità cristiana è attraente e persuasiva perché risponde al bisogno profondo dell’esistenza umana, annunciando in maniera convincente che Cristo è l’unico Salvatore di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Questo annuncio resta valido oggi come lo fu all’inizio del cristianesimo, quando si operò la prima grande espansione missionaria del Vangelo.

Così pure un richiamo indiretto lo troviamo nel primo saluto del Santo Padre, a qualche ora dalla sua elezione, parlando dalla loggia delle benedizioni ed impartendo la benedizioni Urbi et Orbi a tutti i fedeli presenti in Piazza San Pietro il giorno 13 marzo 2013 vero le 21.00 di sera e a quanti avevano seguito la sua elezioni per televisione e con altri mezzi di comunicazione moderna, dove la croce è intesa come cammino di Chiesa, come comunione e fratellanza:  “E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza.

Il magistero di Papa Francesco sul mistero della passione e morte in croce di Gesù si evidenzia in modo teologicamente e biblicamente supportato nelle varie omelie che finora ha tenuto il Papa in occasione di varie celebrazioni.

Parto in questa sintesi del suo pensiero passiologico dalla prima omelia tenuta durante la messa, celebrata con tutti i cardinali, all’indomani della sua elezione a Romano Pontefice, il giorno 14 marzo 2013. In questa catechesi e meditazione sulla Passione di Cristo, Papa Bergoglio ci dona il programma di come metterci alla sequela di Cristo e come imitarne il suo comportamento: “Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore. Io vorrei che tutti, dopo questi giorni di grazia, abbiamo il coraggio, proprio il coraggio, di camminare in presenza del Signore, con la Croce del Signore; di edificare la Chiesa sul sangue del Signore, che è versato sulla Croce; e di confessare l’unica gloria: Cristo Crocifisso. E così la Chiesa andrà avanti.  Camminare, edificare, confessare Gesù Cristo Crocifisso”. Così sia.

Nella domenica delle Palme, domenica della Passione, con la solenne liturgia della benedizione delle Palme, in Piazza San Pietro, il giorno 24 marzo, Papa Francesco, ritorna sul tema della croce. Ecco la sua attenta riflessione, che diventa motivo di meditazione sul mistero della croce e del Crocifisso: “Gesù ha risvegliato nel cuore tante speranze soprattutto tra la gente umile, semplice, povera, dimenticata, quella che non conta agli occhi del mondo. Lui ha saputo comprendere le miserie umane, ha mostrato il volto di misericordia di Dio e si è chinato per guarire il corpo e l’anima. Questo è Gesù. Questo è il suo cuore che guarda tutti noi, che guarda le nostre malattie, i nostri peccati. E’ grande l’amore di Gesù. E così entra in Gerusalemme con questo amore, e guarda tutti noi. E’ una scena bella: piena di luce – la luce dell’amore di Gesù, quello del suo cuore – di gioia, di festa…Non siate mai uomini e donne tristi: un cristiano non può mai esserlo! Non lasciatevi prendere mai dallo scoraggiamento! La nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma nasce dall’aver incontrato una Persona: Gesù, che è in mezzo a noi; nasce dal sapere che con Lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili, anche quando il cammino della vita si scontra con problemi e ostacoli che sembrano insormontabili, e ce ne sono tanti! E in questo momento viene il nemico, viene il diavolo, mascherato da angelo tante volte, e insidiosamente ci dice la sua parola. Non ascoltatelo! Seguiamo Gesù! Noi accompagniamo, seguiamo Gesù, ma soprattutto sappiamo che Lui ci accompagna e ci carica sulle sue spalle: qui sta la nostra gioia, la speranza che dobbiamo portare in questo nostro mondo. E, per favore, non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate rubare la speranza! Quella che ci dà Gesù…Gesù non entra nella Città Santa per ricevere gli onori riservati ai re terreni, a chi ha potere, a chi domina; entra per essere flagellato, insultato e oltraggiato, come preannuncia Isaia nella Prima Lettura (cfr Is 50,6); entra per ricevere una corona di spine, un bastone, un mantello di porpora, la sua regalità sarà oggetto di derisione; entra per salire il Calvario carico di un legno. E allora ecco la seconda parola: Croce. Gesù entra a Gerusalemme per morire sulla Croce. Ed è proprio qui che splende il suo essere Re secondo Dio: il suo trono regale è il legno della Croce! … Perché la Croce? Perché Gesù prende su di sé il male, la sporcizia, il peccato del mondo, anche il nostro peccato, di tutti noi, e lo lava, lo lava con il suo sangue, con la misericordia, con l’amore di Dio. Guardiamoci intorno: quante ferite il male infligge all’umanità! Guerre, violenze, conflitti economici che colpiscono chi è più debole, sete di denaro, che poi nessuno può portare con sé, deve lasciarlo. Mia nonna diceva a noi bambini: il sudario non ha tasche. Amore al denaro, potere, corruzione, divisioni, crimini contro la vita umana e contro il creato! E anche – ciascuno di noi lo sa e lo conosce – i nostri peccati personali: le mancanze di amore e di rispetto verso Dio, verso il prossimo e verso l’intera creazione. E Gesù sulla croce sente tutto il peso del male e con la forza dell’amore di Dio lo vince, lo sconfigge nella sua risurrezione. Questo è il bene che Gesù fa a tutti noi sul trono della Croce. La croce di Cristo abbracciata con amore mai porta alla tristezza, ma alla gioia, alla gioia di essere salvati e di fare un pochettino quello che ha fatto Lui quel giorno della sua morte…Con Cristo il cuore non invecchia mai! Però tutti noi lo sappiamo e voi lo sapete bene che il Re che seguiamo e che ci accompagna è molto speciale: è un Re che ama fino alla croce e che ci insegna a servire, ad amare. E voi non avete vergogna della sua Croce! Anzi, la abbracciate, perché avete capito che è nel dono di sé, nel dono di sé, nell’uscire da se stessi, che si ha la vera gioia e che con l’amore di Dio Lui ha vinto il male. Voi portate la Croce pellegrina attraverso tutti i continenti, per le strade del mondo! La portate rispondendo all’invito di Gesù «Andate e fate discepoli tutti i popoli» (cfr Mt 28,19), che è il tema della Giornata della Gioventù di quest’anno. La portate per dire a tutti che sulla croce Gesù ha abbattuto il muro dell’inimicizia, che separa gli uomini e i popoli, e ha portato la riconciliazione e la pace”.

Non mancano riferimenti puntuali alla croce, al dolore nelle altre omelie che finora ha pronunciato Papa Francesco, come quella della Domenica in Albis: “Vorrei sottolineare un altro elemento: la pazienza di Dio deve trovare in noi il coraggio di ritornare a Lui, qualunque errore, qualunque peccato ci sia nella nostra vita. Gesù invita Tommaso a mettere la mano nelle sue piaghe delle mani e dei piedi e nella ferita del costato. Anche noi possiamo entrare nelle piaghe di Gesù, possiamo toccarlo realmente; e questo accade ogni volta che riceviamo con fede i Sacramenti… É proprio nelle ferite di Gesù che noi siamo sicuri, lì si manifesta l’amore immenso del suo cuore.  Questo è importante: il coraggio di affidarmi alla misericordia di Gesù, di confidare nella sua pazienza, di rifugiarmi sempre nelle ferite del suo amore. Forse qualcuno di noi può pensare: il mio peccato è così grande, la mia lontananza da Dio è come quella del figlio minore della parabola, la mia incredulità è come quella di Tommaso; non ho il coraggio di tornare, di pensare che Dio possa accogliermi e che stia aspettando proprio me. Ma Dio aspetta proprio te, ti chiede solo il coraggio di andare a Lui…Gesù è diventato nudo per noi, si è caricato della vergogna di Adamo, della nudità del suo peccato per lavare il nostro peccato: dalle sue piaghe siamo stati guariti. Ricordatevi quello di san Paolo: di che cosa mi vanterò se non della mia debolezza, della mia povertà? Proprio nel sentire il mio peccato, nel guardare il mio peccato io posso vedere e incontrare la misericordia di Dio, il suo amore e andare da Lui per ricevere il perdono…Nella mia vita personale ho visto tante volte il volto misericordioso di Dio, la sua pazienza; ho visto anche in tante persone il coraggio di entrare nelle piaghe di Gesù dicendogli: Signore sono qui, accetta la mia povertà, nascondi nelle tue piaghe il mio peccato, lavalo col tuo sangue. E ho sempre visto che Dio l’ha fatto, ha accolto, consolato, lavato, amato” (3).

Diversi gli accenni del Santo Padre al mistero della morte di Cristo, nell’omelia tenuta durante la veglia pasquale, sabato santo, 30 marzo 2013, in Basilica: Le donne “avevano seguito Gesù, l’avevano ascoltato, si erano sentite comprese nella loro dignità e lo avevano accompagnato fino alla fine, sul Calvario, e al momento della deposizione dalla croce. Possiamo immaginare i loro sentimenti mentre vanno alla tomba: una certa tristezza, il dolore perché Gesù le aveva lasciate, era morto, la sua vicenda era terminata. Ora si ritornava alla vita di prima. Però nelle donne continuava l’amore, ed è l’amore verso Gesù che le aveva spinte a recarsi al sepolcro… Non chiudiamoci alla novità che Dio vuole portare nella nostra vita! Siamo spesso stanchi, delusi, tristi, sentiamo il peso dei nostri peccati, pensiamo di non farcela. Non chiudiamoci in noi stessi, non perdiamo la fiducia, non rassegniamoci mai: non ci sono situazioni che Dio non possa cambiare, non c’è peccato che non possa perdonare se ci apriamo a Lui…Nulla rimane più come prima, non solo nella vita di quelle donne, ma anche nella nostra vita e nella nostra storia dell’umanità. Gesù non è un morto, è risorto, è il Vivente! Non è semplicemente tornato in vita, ma è la vita stessa, perché è il Figlio di Dio, che è il Vivente (cfr Nm 14,21-28; Dt 5,26; Gs 3,10). Gesù non è più nel passato, ma vive nel presente ed è proiettato verso il futuro, Gesù è l’«oggi» eterno di Dio. Così la novità di Dio si presenta davanti agli occhi delle donne, dei discepoli, di tutti noi: la vittoria sul peccato, sul male, sulla morte, su tutto ciò che opprime la vita e le dà un volto meno umano. E questo è un messaggio rivolto a me, a te, cara sorella, a te caro fratello. Quante volte abbiamo bisogno che l’Amore ci dica: perché cercate tra i morti colui che è vivo? I problemi, le preoccupazioni di tutti i giorni tendono a farci chiudere in noi stessi, nella tristezza, nell’amarezza… e lì sta la morte. Non cerchiamo lì Colui che è vivo!.. Accetta allora che Gesù Risorto entri nella tua vita, accoglilo come amico, con fiducia: Lui è la vita! Se fino ad ora sei stato lontano da Lui, fa’ un piccolo passo: ti accoglierà a braccia aperte. Se sei indifferente, accetta di rischiare: non sarai deluso. Se ti sembra difficile seguirlo, non avere paura, affidati a Lui, stai sicuro che Lui ti è vicino, è con te e ti darà la pace che cerchi e la forza per vivere come Lui vuole… Fare memoria di quello che Dio ha fatto e fa per me, per noi, fare memoria del cammino percorso; e questo spalanca il cuore alla speranza per il futuro. Impariamo a fare memoria di quello che Dio ha fatto nella nostra vita!

Andando a ritroso nel suo parlare della croce di Cristo, significativi riferimenti troviamo nell’omelia dettata durante la messa del crisma, Giovedì santo, 28 marzo 2013, alla presenza dei cardinali, vescovi e soprattutto per i sacerdoti:  “Il buon sacerdote si riconosce da come viene unto il suo popolo; questa è una prova chiara. Quando la nostra gente viene unta con olio di gioia lo si nota: per esempio, quando esce dalla Messa con il volto di chi ha ricevuto una buona notizia. La nostra gente gradisce il Vangelo predicato con l’unzione, gradisce quando il Vangelo che predichiamo giunge alla sua vita quotidiana, quando scende come l’olio di Aronne fino ai bordi della realtà, quando illumina le situazioni limite, “le periferie” dove il popolo fedele è più esposto all’invasione di quanti vogliono saccheggiare la sua fede. La gente ci ringrazia perché sente che abbiamo pregato con le realtà della sua vita di ogni giorno, le sue pene e le sue gioie, le sue angustie e le sue speranze. E quando sente che il profumo dell’Unto, di Cristo, giunge attraverso di noi, è incoraggiata ad affidarci tutto quello che desidera arrivi al Signore: “preghi per me, padre, perché ho questo problema”, “mi benedica, padre”, “preghi per me”, sono il segno che l’unzione è arrivata all’orlo del mantello, perché viene trasformata in supplica, supplica del Popolo di Dio. Quando siamo in questa relazione con Dio e con il suo Popolo e la grazia passa attraverso di noi, allora siamo sacerdoti, mediatori tra Dio e gli uomini. ..Il sacerdote che esce poco da sé, che unge poco – non dico “niente” perché, grazie a Dio, la gente ci ruba l’unzione – si perde il meglio del nostro popolo, quello che è capace di attivare la parte più profonda del suo cuore presbiterale. Chi non esce da sé, invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore. Tutti conosciamo la differenza: l’intermediario e il gestore “hanno già la loro paga” e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore, non ricevono un ringraziamento affettuoso, che nasce dal cuore. Da qui deriva precisamente l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere tristi, preti tristi, e trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con “l’odore delle pecore” – questo io vi chiedo: siate pastori con “l’odore delle pecore”, che si senta quello -; invece di essere pastori in mezzo al proprio gregge e pescatori di uomini.

Altri riferimenti troviamo sul tema della croce nell’omelia, pronunciata durante la santa messa per l’imposizione del pallio e la consegna dell’anello del pescatore, in occasione dell’ inizio del ministero petrino, coinciso con la solennità di San Giuseppe, sposo castissimo della Beata Vergine Maria e Patrono della chiesa universale, il 19 marzo 2013.

“Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, Giuseppe accompagna con premura e tutto l’amore ogni momento. E’ accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù. Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!.

Il dolore, la croce, Papa Bergoglio la vede anche nelle vicende tristi della storia di ieri e di oggi: “In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna. Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!”.

Facendo riferimento alla sua persona, Papa Francesco ha detto: Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe, celebriamo l’inizio del ministero del nuovo Vescovo di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche un potere. Certo, Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere si tratta? Alla triplice domanda di Gesù a Pietro sull’amore, segue il triplice invito: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, chi è straniero, nudo, malato, in carcere (cfr Mt 25,31-46). Solo chi serve con amore sa custodire!”. E qui il tema della Croce si evidenzia in tutta la sua portata di servizio, fino al martirio di se stesso come Gesù Crocifisso.

Un accenno ai questi temi di teologia della croce, troviamo poi, anche nel testo dell’omelia, pronunciata durante la messa nella parrocchia di Sant’Anna in Vaticano, il 17 marzo 2013, nella quinta domenica del tempo quaresimale: “Per me, lo dico umilmente, è il messaggio più forte del Signore: la misericordia. Ma Lui stesso l’ha detto: Io non sono venuto per i giusti; i giusti si giustificano da soli.Io sono venuto per i peccatori (cfr Mc 2,17)…Non è facile affidarsi alla misericordia di Dio, perché quello è un abisso incomprensibile. Ma dobbiamo farlo! Torniamo al Signore. Il Signore mai si stanca di perdonare: mai! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono. E chiediamo la grazia di non stancarci di chiedere perdono, perché Lui mai si stanca di perdonare. Chiediamo questa grazia.

Le tematiche di carattere passiologico vengono accennate anche nelle diverse meditazioni prima della recita dell’Angelus e del Regina coeli delle domeniche e feste. Molto significative sono le parole dette da Papa Francesco al Regina coeli della domenica in Albis, intiotolata dal Beato Giovanni Paolo II alla Divina Misericordia: “In ogni tempo e in ogni luogo sono beati coloro che, attraverso la Parola di Dio, proclamata nella Chiesa e testimoniata dai cristiani, credono che Gesù Cristo è l’amore di Dio incarnato, la Misericordia incarnata. E questo vale per ciascuno di noi! Agli Apostoli Gesù donò, insieme con la sua pace, lo Spirito Santo, perché potessero diffondere nel mondo il perdono dei peccati, quel perdono che solo Dio può dare, e che è costato il Sangue del Figlio (cfr Gv 20,21-23). La Chiesa è mandata da Cristo risorto a trasmettere agli uomini la remissione dei peccati, e così far crescere il Regno dell’amore, seminare la pace nei cuori, perché si affermi anche nelle relazioni, nelle società, nelle istituzioni. E lo Spirito di Cristo Risorto scaccia la paura dal cuore degli Apostoli e li spinge ad uscire dal Cenacolo per portare il Vangelo. Abbiamo anche noi più coraggio di testimoniare la fede nel Cristo Risorto! Non dobbiamo avere paura di essere cristiani e di vivere da cristiani! Noi dobbiamo avere questo coraggio, di andare e annunciare Cristo Risorto, perché Lui è la nostra pace, Lui ha fatto la pace, con il suo amore, con il suo perdono, con il suo sangue, con la sua misericordia”.

Nel Regina coeli del Lunedì dell’Angelo, il 1 aprile 2013, Papa Francesco fa risaltare l’importanza della risurrezione di Gesù, come momento culminante del piano della redenzione dell’uomo: “Cristo ha vinto il male in modo pieno e definitivo, ma spetta a noi, agli uomini di ogni tempo, accogliere questa vittoria nella nostra vita e nelle realtà concrete della storia e della società”. Non dimentica il Papa, l’importanza del duplice sacramento del battesimo e dell’eucaristia: “E’ vero, il Battesimo che ci fa figli di Dio, l’Eucaristia che ci unisce a Cristo, devono diventare vita, tradursi cioè in atteggiamenti, comportamenti, gesti, scelte. La grazia contenuta nei Sacramenti pasquali è un potenziale di rinnovamento enorme per l’esistenza personale, per la vita delle famiglie, per le relazioni sociali. Ma tutto passa attraverso il cuore umano: se io mi lascio raggiungere dalla grazia di Cristo risorto, se le permetto di cambiarmi in quel mio aspetto che non è buono, che può far male a me e agli altri, io permetto alla vittoria di Cristo di affermarsi nella mia vita, di allargare la sua azione benefica. Questo è il potere della grazia! Senza la grazia non possiamo nulla. Senza la grazia non possiamo nulla! E con la grazia del Battesimo e della Comunione eucaristica posso diventare strumento della misericordia di Dio, di quella bella misericordia di Dio”.

Nel mistero della croce entra anche il mistero della Vergine Maria. Nelle parole dette dal Papa, prima della preghiera dell’Angelus, nella domenica delle Palme, troviamo questo riferimento importante alla Madonna Addolorata e alle sofferenze della Madre del Signore: “Invochiamo l’intercessione della Vergine Maria affinché ci accompagni nella Settimana Santa. Lei, che seguì con fede il suo Figlio fino al Calvario, ci aiuti a camminare dietro a Lui, portando con serenità e amore la sua Croce, per giungere alla gioia della Pasqua. La Vergine Addolorata sostenga specialmente chi sta vivendo situazioni più difficili”.

Al primo Angelus da Vescovo di Roma e da Romano Pontefice, Papa Francesco, il 17 marzo parla della misericordia di Dio: “In questa quinta domenica di Quaresima, il Vangelo ci presenta l’episodio della donna adultera (cfr Gv 8,1-11), che Gesù salva dalla condanna a morte. Colpisce l’atteggiamento di Gesù: non sentiamo parole di disprezzo, non sentiamo parole di condanna, ma soltanto parole di amore, di misericordia, che invitano alla conversione. “Neanche io ti condanno: va e d’ora in poi non peccare più!” (v. 11). Eh!, fratelli e sorelle, il volto di Dio è quello di un padre misericordioso, che sempre ha pazienza. Avete pensato voi alla pazienza di Dio, la pazienza che lui ha con ciascuno di noi? Quella è la sua misericordia. Sempre ha pazienza, pazienza con noi, ci comprende, ci attende, non si stanca di perdonarci se sappiamo tornare a lui con il cuore contrito. “Grande è la misericordia del Signore”, dice il Salmo…Un po’ di misericordia rende il mondo meno freddo e più giusto. Abbiamo bisogno di capire bene questa misericordia di Dio, questo Padre misericordioso che ha tanta pazienza”.

Nell’udienza generale del 10 aprile, Papa Francesco parla di Dio Padre e ritorna sul tema della speranza cristiana, che nasce dalla morte e risurrezione di Gesù: “Oggi vorrei riflettere sulla sua portata salvifica. Che cosa significa per la nostra vita la Risurrezione? E perché senza di essa è vana la nostra fede? La nostra fede si fonda sulla Morte e Risurrezione di Cristo, proprio come una casa poggia sulle fondamenta: se cedono queste, crolla tutta la casa. Sulla croce, Gesù ha offerto se stesso prendendo su di sé i nostri peccati e scendendo nell’abisso della morte, e nella Risurrezione li vince, li toglie e ci apre la strada per rinascere a una vita nuova”. Sviluppa poi una riflessione sul valore del battesimo che ci pone nella condizione di figli adottivi di Dio: “ Questa relazione filiale con Dio non è come un tesoro che conserviamo in un angolo della nostra vita, ma deve crescere, dev’essere alimentata ogni giorno con l’ascolto della Parola di Dio, la preghiera, la partecipazione ai Sacramenti, specialmente della Penitenza e dell’Eucaristia, e la carità. Noi possiamo vivere da figli! E questa è la nostra dignità – noi abbiamo la dignità di figli -. Comportarci come veri figli! Questo vuol dire che ogni giorno dobbiamo lasciare che Cristo ci trasformi e ci renda come Lui; vuol dire cercare di vivere da cristiani, cercare di seguirlo, anche se vediamo i nostri limiti e le nostre debolezze. La tentazione di lasciare Dio da parte per mettere al centro noi stessi è sempre alle porte e l’esperienza del peccato ferisce la nostra vita cristiana, il nostro essere figli di Dio… Dobbiamo avere noi per primi ben ferma questa speranza e dobbiamo esserne un segno visibile, chiaro, luminoso per tutti. Il Signore Risorto è la speranza che non viene mai meno, che non delude (cfr Rm 5,5). La speranza non delude. Quella del Signore! Quante volte nella nostra vita le speranze svaniscono, quante volte le attese che portiamo nel cuore non si realizzano! La speranza di noi cristiani è forte, sicura, solida in questa terra, dove Dio ci ha chiamati a camminare, ed è aperta all’eternità, perché fondata su Dio, che è sempre fedele. Non dobbiamo dimenticare: Dio  sempre è fedele; Dio sempre è fedele con noi. Essere risorti con Cristo mediante il Battesimo, con il dono della fede, per un’eredità che non si corrompe, ci porti a cercare maggiormente le cose di Dio, a pensare di più a Lui, a pregarlo di più. Essere cristiani non si riduce a seguire dei comandi, ma vuol dire essere in Cristo, pensare come Lui, agire come Lui, amare come Lui; è lasciare che Lui prenda possesso della nostra vita e la cambi, la trasformi, la liberi dalle tenebre del male e del peccato. ..Mostriamo la gioia di essere figli di Dio, la libertà che ci dona il vivere in Cristo, che è la vera libertà, quella che ci salva dalla schiavitù del male, del peccato, della morte! Guardiamo alla Patria celeste, avremo una nuova luce e forza anche nel nostro impegno e nelle nostre fatiche quotidiane. E’ un servizio prezioso che dobbiamo dare a questo nostro mondo, che spesso non riesce più a sollevare lo sguardo verso l’alto, non riesce più a sollevare lo sguardo verso Dio”.

Nell’udienza generale del 3 aprile, Papa Francesco ritorna sul tema della risurrezione di Gesù e riprende le catechesi sull’anno delle fede, partendo proprio dall’accettazione incondizionata del mistero centrale della nostra fede: la passione, morte e risurrezione del Signore:  “All’alba, le donne si recano al sepolcro per ungere il corpo di Gesù, e trovano il primo segno: la tomba vuota (cfr Mc 16,1). Segue poi l’incontro con un Messaggero di Dio che annuncia: Gesù di Nazaret, il Crocifisso, non è qui, è risorto (cfr vv. 5-6). Le donne sono spinte dall’amore e sanno accogliere questo annuncio con fede: credono, e subito lo trasmettono, non lo tengono per sé, lo trasmettono. La gioia di sapere che Gesù è vivo, la speranza che riempie il cuore, non si possono contenere. Questo dovrebbe avvenire anche nella nostra vita. Sentiamo la gioia di essere cristiani! Noi crediamo in un Risorto che ha vinto il male e la morte! Abbiamo il coraggio di “uscire” per portare questa gioia e questa luce in tutti i luoghi della nostra vita! La Risurrezione di Cristo è la nostra più grande certezza; è il tesoro più prezioso! Come non condividere con gli altri questo tesoro, questa certezza? Non è soltanto per noi, è per trasmetterla, per darla agli altri, condividerla con gli altri. E’ proprio la nostra testimonianza.

Gesù si rende presente in modo nuovo: è il Crocifisso, ma il suo corpo è glorioso; non è tornato alla vita terrena, bensì in una condizione nuova. All’inizio non lo riconoscono, e solo attraverso le sue parole e i suoi gesti gli occhi si aprono: l’incontro con il Risorto trasforma, dà una nuova forza alla fede, un fondamento incrollabile. Anche per noi ci sono tanti segni in cui il Risorto si fa riconoscere: la Sacra Scrittura, l’Eucaristia, gli altri Sacramenti, la carità, quei gesti di amore che portano un raggio del Risorto. Lasciamoci illuminare dalla Risurrezione di Cristo, lasciamoci trasformare dalla sua forza, perché anche attraverso di noi nel mondo i segni di morte lascino il posto ai segni di vita. Ho visto che ci sono tanti giovani nella piazza. Eccoli! A voi dico: portate avanti questa certezza: il Signore è vivo e cammina a fianco a noi nella vita. Questa è la vostra missione! Portate avanti questa speranza. Siate ancorati a questa speranza: questa àncora che è nel cielo; tenete forte la corda, siate ancorati e portate avanti la speranza. Voi, testimoni di Gesù, portate avanti la testimonianza che Gesù è vivo e questo ci darà speranza, darà speranza a questo mondo un po’ invecchiato per le guerre, per il male, per il peccato. Avanti giovani!”.

Nell’udienza generale della domenica delle Palme, Papa Francesco, presenta il significato dell’intera settimana santa, che è soprattutto la settimana della Passione: “Con la Domenica delle Palme abbiamo iniziato questa Settimana – centro di tutto l’Anno Liturgico – in cui accompagniamo Gesù nella sua Passione, Morte e Risurrezione. Ma che cosa può voler dire vivere la Settimana Santa per noi? Che cosa significa seguire Gesù nel suo cammino sul Calvario verso la Croce e la Risurrezione? Nella sua missione terrena, Gesù ha percorso le strade della Terra Santa; ha chiamato dodici persone semplici perché rimanessero con Lui, condividessero il suo cammino e continuassero la sua missione; le ha scelte tra il popolo pieno di fede nelle promesse di Dio. Ha parlato a tutti, senza distinzione, ai grandi e agli umili, al giovane ricco e alla povera vedova, ai potenti e ai deboli; ha portato la misericordia e il perdono di Dio; ha guarito, consolato, compreso; ha dato speranza; ha portato a tutti la presenza di Dio che si interessa di ogni uomo e ogni donna, come fa un buon padre e una buona madre verso ciascuno dei suoi figli. Dio non ha aspettato che andassimo da Lui, ma è Lui che si è mosso verso di noi, senza calcoli, senza misure. Dio è così: Lui fa sempre il primo passo, Lui si muove verso di noi. Gesù ha vissuto le realtà quotidiane della gente più comune: si è commosso davanti alla folla che sembrava un gregge senza pastore; ha pianto davanti alla sofferenza di Marta e Maria per la morte del fratello Lazzaro; ha chiamato un pubblicano come suo discepolo; ha subito anche il tradimento di un amico. In Lui Dio ci ha dato la certezza che è con noi, in mezzo a noi. «Le volpi – ha detto Lui, Gesù – le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8,20). Gesù non ha casa perché la sua casa è la gente, siamo noi, la sua missione è aprire a tutti le porte di Dio, essere la presenza di amore di Dio.  Nella Settimana Santa noi viviamo il vertice di questo cammino, di questo disegno di amore che percorre tutta la storia dei rapporti tra Dio e l’umanità. Gesù entra in Gerusalemme per compiere l’ultimo passo, in cui riassume tutta la sua esistenza: si dona totalmente, non tiene nulla per sé, neppure la vita. Nell’Ultima Cena, con i suoi amici, condivide il pane e distribuisce il calice “per noi”. Il Figlio di Dio si offre a noi, consegna nelle nostre mani il suo Corpo e il suo Sangue per essere sempre con noi, per abitare in mezzo a noi. E nell’Orto degli Ulivi, come nel processo davanti a Pilato, non oppone resistenza, si dona; è il Servo sofferente preannunciato da Isaia che spoglia se stesso fino alla morte (cfr Is 53,12). Gesù non vive questo amore che conduce al sacrificio in modo passivo o come un destino fatale; certo non nasconde il suo profondo turbamento umano di fronte alla morte violenta, ma si affida con piena fiducia al Padre. Gesù si è consegnato volontariamente alla morte per corrispondere all’amore di Dio Padre, in perfetta unione con la sua volontà, per dimostrare il suo amore per noi. Sulla croce Gesù «mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). Ciascuno di noi può dire: Mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. Ciascuno può dire questo “per me”.

Che cosa significa tutto questo per noi? Significa che questa è anche la mia, la tua, la nostra strada. Vivere la Settimana Santa seguendo Gesù non solo con la commozione del cuore; vivere la Settimana Santa seguendo Gesù vuol dire imparare ad uscire da noi stessi – come dicevo domenica scorsa – per andare incontro agli altri, per andare verso le periferie dell’esistenza, muoverci noi per primi verso i nostri fratelli e le nostre sorelle, soprattutto quelli più lontani, quelli che sono dimenticati, quelli che hanno più bisogno di comprensione, di consolazione, di aiuto. C’è tanto bisogno di portare la presenza viva di Gesù misericordioso e ricco di amore!

Vivere la Settimana Santa è entrare sempre più nella logica di Dio, nella logica della Croce, che non è prima di tutto quella del dolore e della morte, ma quella dell’amore e del dono di sé che porta vita. E’ entrare nella logica del Vangelo. Seguire, accompagnare Cristo, rimanere con Lui esige un “uscire”, uscire. Uscire da se stessi, da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione di chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte dell’azione creativa di Dio. Dio è uscito da se stesso per venire in mezzo a noi, ha posto la sua tenda tra noi per portarci la sua misericordia che salva e dona speranza. Anche noi, se vogliamo seguirlo e rimanere con Lui, non dobbiamo accontentarci di restare nel recinto delle novantanove pecore, dobbiamo “uscire”, cercare con Lui la pecorella smarrita, quella più lontana. Ricordate bene: uscire da noi, come Gesù, come Dio è uscito da se stesso in Gesù e Gesù è uscito da se stesso per tutti noi.

Qualcuno potrebbe dirmi: “Ma, padre, non ho tempo”, “ho tante cose da fare”, “è difficile”, “che cosa posso fare io con le mie poche forze, anche con il mio peccato, con tante cose? Spesso ci accontentiamo di qualche preghiera, di una Messa domenicale distratta e non costante, di qualche gesto di carità, ma non abbiamo questo coraggio di “uscire” per portare Cristo. Siamo un po’ come san Pietro. Non appena Gesù parla di passione, morte e risurrezione, di dono di sé, di amore verso tutti, l’Apostolo lo prende in disparte e lo rimprovera. Quello che dice Gesù sconvolge i suoi piani, appare inaccettabile, mette in difficoltà le sicurezze che si era costruito, la sua idea di Messia. E Gesù guarda i discepoli e rivolge a Pietro forse una delle parole più dure dei Vangeli: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,33). Dio pensa sempre con misericordia: non dimenticate questo. Dio pensa sempre con misericordia: è il Padre misericordioso! Dio pensa come il padre che attende il ritorno del figlio e gli va incontro, lo vede venire quando è ancora lontano… Questo che significa? Che tutti i giorni andava a vedere se il figlio tornava a casa: questo è il nostro Padre misericordioso. E’ il segno che lo aspettava di cuore nella terrazza della sua casa. Dio pensa come il samaritano che non passa vicino al malcapitato commiserandolo o guardando dall’altra parte, ma soccorrendolo senza chiedere nulla in cambio; senza chiedere se era ebreo, se era pagano, se era samaritano, se era ricco, se era povero: non domanda niente. Non domanda queste cose, non chiede nulla. Va in suo aiuto: così è Dio. Dio pensa come il pastore che dona la sua vita per difendere e salvare le pecore.

La Settimana Santa è un tempo di grazia che il Signore ci dona per aprire le porte del nostro cuore, della nostra vita, delle nostre parrocchie – che pena tante parrocchie chiuse! – dei movimenti, delle associazioni, ed “uscire” incontro agli altri, farci noi vicini per portare la luce e la gioia della nostra fede. Uscire sempre! E questo con amore e con la tenerezza di Dio, nel rispetto e nella pazienza, sapendo che noi mettiamo le nostre mani, i nostri piedi, il nostro cuore, ma poi è Dio che li guida e rende feconda ogni nostra azione”.

Nel messaggio Urbi et orbi per il giorno di Pasqua, Papa Francesco, nelle sue parole esprime il linguaggio della risurrezione e della vita per le singole persone e per l’intera umanità. La croce aperta alla risurrezione, diventa la risurrezione, che include la passione. Una passione per la vita e per la gioia di vivere. Una passione ad alimentare la speranza e la vera gioia: “Che grande gioia per me potervi dare questo annuncio: Cristo è risorto! Vorrei che giungesse in ogni casa, in ogni famiglia, specialmente dove c’è più sofferenza, negli ospedali, nelle carceri… Soprattutto vorrei che giungesse a tutti i cuori, perché è lì che Dio vuole seminare questa Buona Notizia: Gesù è risorto, c’è la speranza per te, non sei più sotto il dominio del peccato, del male! Ha vinto l’amore, ha vinto la misericordia! Sempre vince la misericordia di Dio! Anche noi, come le donne discepole di Gesù, che andarono al sepolcro e lo trovarono vuoto, possiamo domandarci che senso abbia questo avvenimento (cfr  Lc 24,4). Che cosa significa che Gesù è risorto? Significa che l’amore di Dio è più forte del male e della stessa morte; significa che l’amore di Dio può trasformare la nostra vita, far fiorire quelle zone di deserto che ci sono nel nostro cuore. E questo può farlo l’amore di Dio! Questo stesso amore per cui il Figlio di Dio si è fatto uomo ed è andato fino in fondo nella via dell’umiltà e del dono di sé, fino agli inferi, all’abisso della separazione da Dio, questo stesso amore misericordioso ha inondato di luce il corpo morto di Gesù, lo ha trasfigurato, lo ha fatto passare nella vita eterna. Gesù non è tornato alla vita di prima, alla vita terrena, ma è entrato nella vita gloriosa di Dio e ci è entrato con la nostra umanità, ci ha aperto ad un futuro di speranza. Ecco che cos’è la Pasqua: è l’esodo, il passaggio dell’uomo dalla schiavitù del peccato, del male alla libertà dell’amore, del bene. Perché Dio è vita, solo vita, e la sua gloria siamo noi: l’uomo vivente.  Cristo è morto e risorto una volta per sempre e per tutti, ma la forza della Risurrezione, questo passaggio dalla schiavitù del male alla libertà del bene, deve attuarsi in ogni tempo, negli spazi concreti della nostra esistenza, nella nostra vita di ogni giorno. Quanti deserti, anche oggi, l’essere umano deve attraversare! Soprattutto il deserto che c’è dentro di lui, quando manca l’amore di Dio e per il prossimo, quando manca la consapevolezza di essere custode di tutto ciò che il Creatore ci ha donato e ci dona. Ma la misericordia di Dio può far fiorire anche la terra più arida, può ridare vita alle ossa inaridite (cfr Ez 37,1-14). Allora, ecco l’invito che rivolgo a tutti: accogliamo la grazia della Risurrezione di Cristo! Lasciamoci rinnovare dalla misericordia di Dio, lasciamoci amare da Gesù, lasciamo che la potenza del suo amore trasformi anche la nostra vita; e diventiamo strumenti di questa misericordia, canali attraverso i quali Dio possa irrigare la terra, custodire tutto il creato e far fiorire la giustizia e la pace. E così domandiamo a Gesù risorto, che trasforma la morte in vita, di mutare l’odio in amore, la vendetta in perdono, la guerra in pace. Sì, Cristo è la nostra pace e attraverso di Lui imploriamo pace per il mondo intero.

 

In conclusione, Papa Francesco, fin dalle sue parole è andato al centro della dottrina cattolica e al mistero centrale della nostra fede: quello della morte e risurrezione del Signore. Certo, il fatto, che sia stato eletto nel periodo di quaresima e prossimo alla Settimana Santa e al tempo pasquale, ha permesso a Papa Bergoglio di incentrare, per necessità di cosa e del tempo liturgico, il suo magistero ordinario sulla passione, morte e risurrezione del Signore. E da tutti i testi finora esaminati possiamo ben dire che egli ama i temi cristologici e passiologici in particolare, perché li rapporta con la vita quotidiana, dove la sofferenza è visibile in tanti volti di esseri umani che portano con dignità la loro croce e completano con la loro sofferenza ciò che manca alla passione di Gesù. Papa Francesco è un religioso gesuita, ma io lo ritengo nello spirito, nell’azione pastorale, nell’insegnamento finora espresso un “papa passionista”, nel senso che oltre ad esprime un grande amore verso Gesù Crocifisso e la Vergine Addolorata, vive, anche oggi come Romano Pontefice, vicino alle sofferenze degli uomini e donne del nostro tempo, facendo toccare con mano che quello che dice è prima di tutto vissuto e testimoniato con la sua vita di povertà, distacco dai beni della terra, di semplicità, essenzialità, di amore preferenziale, come Cristo, verso gli ultimi e bisognosi della terra, senza escludere nessuno dalla sua azione pastorale che ha un respiro mondiale, essendo lui il Pontefice massimo, colui che deve creare ponti per far passare il gregge e portarlo tutto unito nel recinto di Gesù Cristo Buon Pastore e unico salvatore dell’umanità.

 

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NOTE

 

(1).LETTERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO  AL PREPOSITO GENERALE DELLA COMPAGNIA DI GESÙ,  PADRE ADOLFO NICOLÁS PACHÓN.

(2).MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO ALL’ARCIVESCOVO DI CANTERBURY JUSTIN WELBY  IN OCCASIONE DELLA CERIMONIA DI INTRONIZZAZIONE  [21 MARZO 2013]

(3).CAPPELLA PAPALE PER L’INSEDIAMENTO,  DEL VESCOVO DI ROMA SULLA CATHEDRA ROMANA, OMELIA DEL  SANTO PADRE FRANCESCO.

 

 

Mondragone (Ce). Festa della Madonna Incaldana 2013

smi.jpgS%20Maria%20Incaldana.jpgMondragone (Ce) Festa Maria SS. Incaldana 2013

 

di Antonio Rungi

 

Sono in corso a Mondragone i solenni festeggiamenti in onore della Madonna Incaldana, protettrice della città. Iniziati domenica di Pasqua, alle ore 20.00, con la “discesa della Madonna” dalla Cappella laterale, dove viene conservata la sacra e prodigiosa immagine, nella basilica minore cittadina, dedicata alla Vergine Maria, all’altare maggiore, ove troneggia ed è esposta al culto, i festeggiamenti sono vissuti soprattutto come un momento di verifica del proprio cammino di fede. Mondragone con oltre 30.000 abitanti e 8 parrocchie, di cui due alla periferia Sud e Nord del territorio, è una della città della provincia di Caserta con maggior numero di abitanti, che d’estate raggiunge anche le 100.000 presenze, con i suoi 15 Km di spiaggia e strutture turistiche. La festa della protettrice è un momento di verifica e progettazione non solo della vita religiosa del popolo, ma anche delle attività. Anche in quest’anno 2013 si sono ridotte le spese per la festa patronale, in considerazione della grave crisi economica che attraversa l’Italia e anche questa area, dove il problema della disoccupazione giovanile è un fatto endemico, come pure la mancanza di imprenditoria locale. La sofferenza a livello economico e sociale è grande, tanto che la gioventù deve necessariamente trasferirsi altrove per trovare lavoro. Naturale quindi che la festa è celebrata nel segno della speranza  e della rinascita spirituale, morale, sociale ed economica del territorio. Ieri lunedì in Albis, uno de momenti più belli e rilevanti, con il tradizionale corteo storico del trasferimento della Madonna Incaldana dal luogo del rinvenimento del Quadro, in località Belvedere o Incaldana, fino alla basilica Minore. Circa 5,00 Km di percorso per rivivere nei simboli quanto accadde secoli fa, quando, secondo la tradizione, la Madonna avrebbe scelto di indirizzarsi verso Mondragone, dopo che un contadino aveva caricato il quadro su un carro tirato da buoi. Il corteo iniziato alle 17.00 si è concluso alle 19.00 con la messa celebrata nel Santuario. Oggi, festa patronale,  Martedì 2 aprile, questo il programma religioso: Ore 7:00 –  8:00 –  9:00 Sante Messe; Ore 10:45 Solenne Celebrazione, presieduta dal Vescovo di Sessa Aurunca, monsignor Antonio Napoletano e concelebrata da tutti i sacerdoti della Forania di Mondragone; Ore 16:00 Accoglienza del pellegrinaggio delle Parrocchie Falciano, Casanova e Carinola; Ore 19:00 S. Messa. I festeggiamenti continuano anche domani, Mercoledì 3 aprile 2013, con il seguente programma religioso: Ore 7:00 –  8:00 Sante Messe; Ore 9:00 S. Messa con Prime Comunioni; 11:00 S. Messa e Amministrazione del Sacramento della Cresima a diversi giovani della città. Sarà il Vescovo di Sessa a presiedere il rito solenne; Ore 19:00 S.Messa. Le celebrazioni continueranno per l’intera settimana e settimana e si concluderanno domenica in Albis, quando l’immagine della Madonna verrà riportata nella sua cappella laterale. Il giorno 4 aprile 2013, giovedì, si celebra la giornata della vita consacrata ai piedi della Madonna Incaldana. Sarà padre Antonio Rungi, missionario passionista e predicatore dei ritiri mensili delle Suore della Diocesi di Sessa Aurunca, nonché assistente spirituale delle Suore di Gesù Redentore della Stella Maris, a presiedere la solenne eucaristia che si terrà alle ore 18,30. Saranno le suore di Mondragone ad animare la liturgia con la preghiera e il servizio liturgico.

L’origine storica della devozione della Vergine, venerata con il titolo di “Incaldana” si perde nella notte dei secoli; rompe il silenzio della storia la tradizione e la testimonianza tramandata da generazioni e generazioni di devoti al Maria Ss. Incaldana. Molti studiosi autorevoli hanno vagliato la corrispondenza dei fatti narrati, accogliendo i tratti significativi delle vicende di questa Sacra Icona. Essa risale al 1300, quando i monaci benedettini posero la loro dimora alle pendici del monte Petrino. Sicuramente qualcuno di questi valenti monaci, dediti alla preghiera e alla contemplazione, impresse sul legno i li-neamenti della bella e mistica icona bizantina. Il nome della immagine, molto venerata in tutto l’ Ager Falernus, fu, in un primo momento, “La Prodigiosa”, poi “Madonna del Belvedere”, per la posizione incantevole in cui si trovava il convento e la chiesetta; con il tempo invece prevalse l’appellativo Madonna Incaldana, con riferimento a quel luogo, ricco di acque termali, note per le cure dermatologiche e l’estetica al tempo delle matrone romane. La tavola preziosa con l’effige della Vergine fu conservata al convento del Belvedere sin dopo la prima decade del 1600, quando per paura di altre incursioni barbariche fu solennemente portata nel centro fortificato di Mondragone e precisamente nella Chiesa Madre e Collegiata di S. Giovanni Battista (dove ancora oggi è custodita), venendo nello stesso tempo dichiarata protettrice della città. Un episodio leggendario sembra essere connesso al trasloco: l’Icona della Vergine venne posta su un carro tirato da due giovenchi, senza guida, per la contesa invocata dai paesi limitrofi. A seguito di tale evento il popolo pensò che si trattasse di un segno con il quale la Madonna aveva voluto indicare il tempio dove avrebbe preferito dimorare. Gli eventi prodigiosi che si sono susseguiti nel corso dei secoli sono tantissimi e che hanno testimoniato l’indulgenza della Madonna nei confronti di questo popolo. Tra i tanti meritano un cenno particolare la peste del 1656, che coinvolse molti paesi del Mezzogiorno d’Italia, ma che non sfiorò neanche Mondragone, le piogge del 1791 (dopo settimane di pioggia , uno sparuto raggio di sole si irradiò sulla cappella della Madonna, e subitaneamente tornò il sereno consentendo ai contadini di ritornare al loro lavoro nei campi) e l’incendio appiccato dai turchi al tempio durante il quale il quadro rimase illeso.  I mondragonesi sono molto grati a questa Madonna è per questo che ogni anno, nel giorno del Lunedì dell’Angelo, viene riproposta la storica processione con un corteo in costume d’epoca tra canti, preghiere, applausi, invocazioni di fedeli e di pellegrini, che dal Belvedere scendono lungo la via Appia (attuale strada comunale Santa Maria Incaldana) per giungere al Santuario. Il Santuario, alla presenza di S. Em.za Baggio, è stato elevato a Basilica minore nell’aprile del 1990.

La Madonna, rappresentata seduta su di un trono ornato, con il braccio destro cinge il bambino benedicente. La tavola è impreziosita da una cornice decorata da motivi a voluta ai lati, due putti posti in alto reggono una corona mentre in basso è un motivo a conchiglia con fiori. Ai lati della Madonna c’è un’iscrizione: MP. OY (MATER DEI). Ed è a Maria Madre di Dio che è dedicata la festa della Protettrice di Mondragone, che va sotto il titolo di Incaldana e che è una immagine di origine bizantina, risalente al tempo dell’iconoclastia.

 

Riflessione. Le periferie dell’esistenza umana

21dc0e6578352908781f32ea8db1cfbd.jpgLa periferia dell’esistenza

 

di Antonio Rungi

 

Il Santo Padre, Papa Francesco, in questi giorni di inizio del suo ministero petrino, spesso nei suoi interventi, discorsi, omelie, riflessioni, annotazioni, aggiunte fa riferimento al tema della periferia dell’esistenza umana e sociale entro la quale il cattolico deve operare e muoversi per agire da cristiano, per annunciare il vangelo, per ridare speranza alla gente, povera, indifesa, umiliata, emarginata di ogni parte del mondo.

Tutti conosciamo le periferie dei piccoli o grandi centri della nostra Italia, della nostra Europa e del resto del mondo. Le megalopoli hanno creato ed alimentato le varie periferie geografiche e di conseguenza hanno determinato strutturalmente le più significative e drammatiche periferie dove vivono gli uomini che non contano nella società, dove il criterio fondamentale per valutare la sua dignità è il denaro, il successo, la bellezza, la salute, la ricchezza, l’efficienza. Il misero, il drogato, il povero, il carcerato, il solitario, il barbone, il senza casa, il divorziato e separato, l’offeso, l’umiliato, il violentato non trovano posto nella vita di questa società, sempre più distratta dall’effimero e dal passeggero e meno concentrata sui grandi ideali della vita e della dignità di ogni essere umano.

Dall’enciclopedia delle Scienze sociali della Treccani, traggo alcune considerazioni e riflessioni per approfondire il tema e capirne di più, anche per inquadrare teoricamente e pastoralmente la problematica alla luce del Magistero di Papa Francesco.

Al centro delle parole del Pontefice la Settimana Santa, iniziata con la Domenica delle Palme lo scorso 24 marzo, c’è la necessità di uscire da noi stessi, dai nostri recinti ed andare verso gli altri, verso le periferie dell’esistenza. Come dire bisogna avere il coraggio di osare, di affrontare il mondo con tutti i suoi drammi e problemi, senza paura, ma con il coraggio e la forza dell’amore che viene dal Signore.

“È necessario uscire da se stessi — ha detto il Papa — e da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione di chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte dell’azione creativa di Dio. Non dobbiamo accontentarci di restare nel recinto delle novantanove pecore, dobbiamo ‘uscire’, cercare con Lui la pecorella smarrita, quella più lontana”.

“Dio — ha aggiunto —  non ha aspettato che andassimo da Lui, ma è Lui che si è mosso verso di noi, senza calcoli, senza misure. E Gesù non ha casa, perché la sua casa è la gente”.

Un appello, quindi, ad uscire e andare verso quelle “periferie dell’esistenza” che Bergoglio più volte ha ricordato in questi giorni.

Capiamo bene questa nuova categoria teologica, sociologica, umanitaria che Papa Bergoglio ci sta proponendo ripetutamente ai cristiani di oggi.

 

A partire dai primi anni sessanta i due concetti correlativi di ‘centro’ e ‘periferia’ sono stati ampiamente utilizzati nell’analisi politica. Tuttavia, mentre il loro rapporto è stato interpretato in molti modi, la loro applicazione allo studio della politica non è stata esente da critiche. Sono stati espressi dubbi sulla loro sottigliezza concettuale e sul loro valore esplicativo. Il più delle volte, comunque, tali critiche hanno poggiato su un’interpretazione troppo strettamente geografica di centro e periferia, mentre centro e periferia non sono solo concetti spaziali: essi costituiscono un paradigma che denota gli elementi geografici di differenziazione sociale e di divergenza politica, cioè le origini e le basi territoriali di raggruppamenti politici, i cui interessi possono anche essere economici e/o culturali. In altre parole, non si può sostenere semplicemente che le diverse convinzioni politiche e i diversi comportamenti politici, riscontrabili in territori differenti, dipendano da caratteristiche intrinseche di unità puramente spaziali e a queste siano circoscritte. Il territorio in quanto tale è un concetto politicamente neutro; diventa politicamente significativo in virtù dell’interpretazione e del valore attribuitigli dalla gente, e di conseguenza diventa “un concetto creato dalla gente che organizza lo spazio per i propri scopi”.

Il paradigma centro-periferia riguarda quindi il grado di distanza sia geografica che sociale dall’asse centrale di una società e può riferirsi tanto al territorio quanto ai gruppi sociali. La distanza può essere psicologica oltre che fisica, e può così ingenerare, nella periferia, sentimenti di dipendenza verso quei luoghi/gruppi che diffondono i valori e le norme dominanti della società, e viceversa sentimenti di superiorità tra coloro che vivono al centro.

Sono vari i tipi di periferia a carattere sociali che si analizzano nelle scienze umane. Il tipo di periferia più ovvio è la periferia esterna, che è in genere geograficamente lontana dal centro ed è esposta all’influenza di un solo centro. In Europa periferie di questo tipo si trovano generalmente ai margini del continente e tendono a essere arretrate economicamente, meno vitali o non sviluppate affatto.

Diametralmente opposte alle periferie esterne sono le periferie interfaccia. Si tratta di territori marginali che si trovano in mezzo a due o più centri dominanti appartenenti a Stati diversi. Anche se sono collegate in qualche modo con tutti i centri limitrofi, queste periferie non sono mai pienamente integrate in nessuno di essi.

Si possono individuare altri due tipi di periferie: i centri falliti e le periferie enclaves. I centri falliti sono territori  che in passato praticarono l’imperialismo temporale costruendo proprie strutture centrali, ma che successivamente dovettero cedere di fronte a più efficaci iniziative di annessione promosse da altri centri. Nella fase imperialistica i centri falliti hanno creato un’infrastruttura istituzionale a sostegno della propria legittimità e della propria identità. Nella misura in cui elementi di questa infrastruttura sono sopravvissuti all’annessione, possono contribuire a conservare i confini tra periferia e centro.

Le periferie enclavi, infine, a prescindere dalle loro caratteristiche specifiche, hanno in comune di essere completamente circondate dalla cultura dominante. Dato questo accerchiamento geografico, le enclavi sono sottoposte alla pressione costante delle istituzioni centrali e la loro capacità di sopravvivere è probabilmente minore di quella degli altri tipi di periferia.

Quattro tipologie, quindi, di periferie: esterna, interfaccia, i centri falliti, le enclave.

Tali tipologie sociologiche ci rimandano indirettamente a quattro tipologie di periferie umane e pastorali. La periferia esterna, quella che non interessa o la si vede marginalmente in un progetto pastorale e di vicinanza alle persone in difficoltà. La periferia interfaccia, in cui l’impegno pastorale è più diretto ed immediato e gli operatori pastorali interagiscono con l’ambiente e lo migliorano con il loro umile servizio, disinteressato. I centri falliti, in cui tutte le iniziative di carattere pastorale sono stati posti in essere, ma non hanno raggiunto l’obiettivo proposto ed individuato. Tanti i fallimenti da questo punto di vista, soprattutto perché non sempre il progetto pastorale è seguito ed accompagnato bene. Infine, le enclavi, una sorte di zone felici e produttive a livello pastorali e spirituali che sono chiuse in se stesse e pur funzionali non contribuiscono al bene complessivo dell’area. Penso alle poche parrocchie efficienti e operative che restano isole felici in certe realtà metropolitane ove la povertà e la miseria morale e spirituale è enorme e alla quale non si riesce a far fronte.

A tal proposito, scrive don Luigi Ciotti, il prete che ha fatto delle periferie dell’esistenza umana, segnata dalla droga, dalla violenza, dall’ingiustizie il suo fondamentale impegno apostolico anche attraverso la sua associazione “Libera”:  “L’invito di Papa Francesco ad «annunciare il Vangelo nelle periferie» è un’esortazione profetica. Nelle sue parole la «periferia» è un luogo al tempo stesso geografico e spirituale. Così come ci sono le periferie urbane, luoghi di esclusione e di povertà, c’è una periferia dell’anima che va abitata con la prossimità, con l’accoglienza, con una solidarietà che abbia come fine la giustizia sociale, il riconoscimento della centralità e della dignità di ogni persona. È per questo che l’esortazione del Papa ha un carattere profetico e, in senso lato, politico. Una Chiesa che abbia a cuore il destino di tutta l’umanità non può sottrarsi alla provocazione e alla «convocazione» delle periferie. Deve saper trasformare spazi abbandonati in luoghi di opportunità, di una convivenza fondata sul rispetto dei diritti e della dignità di ciascuno. L’attenzione del Papa per i poveri, più che per la dottrina, il suo presentarsi semplice e dimesso, il suo rifiuto di ogni ostentazione e di ogni lusso fanno bene sperare in un forte impegno in questa direzione. Non possiamo infatti costruire speranza se non partendo da chi dalla speranza è stato escluso, dai tanti disperati che affollano la faccia di questa terra. Sono i poveri a offrirci le coordinate sociali, etiche, politiche, economiche del nostro impegno. È a partire da loro che possiamo sperare di nuovo. Perché la speranza o è di tutti o non è speranza.

LA PASQUA AL SANTUARIO DELLA CIVITA

DSC05116.JPGIniziate le celebrazioni pasquali con la Via Crucis presieduta dall’Arcivescovo di Gaeta, mons. Fabio Bernardo D’Onorio, al santuario diocesano della Civita, in Itri (Lt), affidato alla cura spirituale e pastorale dei passionisti, in questi giorni di Pasqua è stato un susseguirsi di presenze numericamente rilevanti alle celebrazioni, durante le quali i fedeli si sono accostati ai sacramenti della confessione e della comunione, partecipando alle varie messe in programma dalla prima mattinata fino alla tardi serata. I fedeli provenienti dalle varie parti del Lazio, della Campania e dell’Italia si sono radunati ai piedi della Vergine Santa, soprattutto per pregare e chiedere grazie per se stessi e per gli altri. Anche il Santuario della Civita, come tanti altri luoghi di culto, soprattutto mariani, ha beneficiato dell’effetto dell’elezione del nuovo Papa, Francesco Bergoglio, per cui l’afflusso al Santuario è stato continuativo soprattutto nel triduo pasquale, nella Domenica della Risurrezione ed oggi, Lunedì dell’Angelo. I sei sacerdoti passionisti impegnati al servizio del Santuario in questi giorni di festa hanno garantito a tutti il sacramento della confessione, amministrando la misericordia di Dio, come ha ricordato Papa Francesco, con abbondanza di doni spirituali, registrandosi profonde conversioni del cuore e della vita. La Pasqua quale mistero di vita e risurrezione è molto avvertita al santuario mariano della Civita che ha una storia di oltre 1000 anni. La fede popolare, la devozione sincera alla Madonna spingono molti fedeli in questi giorni di festa a fare 50-60 Km a piedi per raggiungere il santuario, quale forma personale di conversione e rinnovamento spirituale. Anche nella giornata di pasquetta, nonostante il tempo inclemente al Santuario della Civita sono arrivati migliaia di fedeli che hanno vissuto nella preghiera la vera esperienza della Pasqua, che è dono di grazia e di riconciliazione. Per tutta la settimana in Albis il santuario funzionerà a pieno regime nel servizio ai fedeli che continueranno a raggiungere la struttura situata al circa 800 metri sul livello del mare, a 15 Km dalla città di Itri, nel cui territorio entra il Santuario e a 30 Km da Gaeta e Formia.