teologia

Carinola (Ce). Festa dell’Immacolata dei giovani e per i giovani

Foto-0069.jpgFoto-0068.jpgFoto-0075.jpgLa festa dell’Immacolata a Carinola (Ce) nella Diocesi di Sessa Auruna è una festa per i giovani e dei giovani. A promuoverne la celebrazione in modo solenne è la locale Congrega dell’Immacolata, di antica istituzione, che annovera tra i soci diversi giovani che continuano l’opera di promozione del culto dell’Immacolata, iniziata dai loro antenati. Insieme alla Congrega sono parte integrante della diffusione del culto e della devozione mariana a Carinola le Suore dell’Immacolata di Genova, fondate da Sant’Agostino Roscelli, che nella storica cittadina di Carinola, una volta sede episcopale, hanno un’avviata struttura di promozione culturale e sociale sul territorio. Ma è soprattutto il popolo di Dio che vive e sente intensamente la festa della Madonna Immacolata e si prepara ad essa con la solenne novena, che si conclude domani 7 dicembre, alla quale partecipano numerossimi non solo gli anziani e gli adulti, ma anche i giovani. Anche quest’anno a predicare il triduo conclusivo della novena dell’Immacolta è padre Antonio Rungi, missionario passionista, teologo moarle e docente nelle scuole statali. Ad accogliere queste varie istanze per onorare sempre più solennemente la Vergine Immacolata è da 50 anni monsignor Amato Brodella, vicario generale della Diocesi di Sessa Aurunca e parroco della cattedrale di Carinola da mezzo secolo. Proprio per incentivare il culto verso l’Immacolata sono state attivare varie iniziative religiose, culturali e sociali. In primo luogo il restauro della statua della Madonna Immacolata, opera lignea del settecento, l’antica e storica chiesa dell’Annunziata, ove per anni si è tenuta la novena in preparazione alla festa, incontri culturali e pubblicazioni varie per far conoscere maggiormente il culto alla Vergine Santa. In quest’anno della fede, la comunità parrocchiale della cattedrale di Carinola, sotto la guida del parroco, ha voluto impostare questa celebrazione in onore della Madonna Immacolata da un punto di vista di approfondimento della fede, partendo proprio dal dogma dell’Immacolata Concezione, convinta più che mai che i dogmi mariani sono naturali tramiti per arrivare al potenziamento della propria fede in Cristo. Su questi temi le riflessioni teologiche, le catechesi, le lectio divinae, le preghiere e la tradizioni popolari che si sono svuluppate intorno al culto dell’ Immacolata, l’intera comunità parrocchiale ha meglio compreso quanto sia importante una vera devozione alla Madonna per recuperare una vera e matura fede nell’oggi della chiesa e del mondo. A tal fine, come tutti gli anni, tra le tante pratiche religiose sorte e conservate nel tempo circa la devozione alla Madonna Immacolata c’è l’antica tradizione della messa dell’aurora, che si celebra di buon mattino, alle ore 6.00 e alla quale partecipano un migliaia di fedeli, soprattutto bambini, ragazzi e giovani. E’ una festa nella festa che si prolunga per l’intera giornata con la solenne processione della bellissima statua della Madonna Immacolata per tutto il centro storico di Carinola. Per l’occasione arrivano in città i tanti emigrati carinolesi, in Italia o all’estero, per motivi di lavoro per riassaporare la gioia di una festa e della famiglia, nell’imminenza della solennità del Natale. Occasione la festa dell’Immacolata per allestire il presepe, soprattutto, ma anche l’albero di Natale, nelle famiglie della città, dove la sana tradizione del presepe tradizionale, compreso il bue e lasinello, che come ha precisato il Papa, Benedetto XVI nel suo recente libro “L’Infanzia di Gesù” non necessariamente erano presenti alla nascita di Gesù, costituiranno gli elementi visivi ed artistici del Natale nelle famiglie, in cui un posto speciale ha appunto la Vergine Santa. Tanti motivi per fare festa e per fare della festa dell’Immacolata la festa della famiglia, dei buoni sentimenti, della purezza e dell’essenzialità della vita, una festa dei giovani e per i giovani che molto sentono questa devozione e la vivono con sentimenti profondi ed autentici.

Mondragone (Ce). Alla Stella Maris ritiri spirituali per religiose e laici nell’anno della fede

sacramento.jpgSi svolgerà giovedì, 29 novembre 2012, per l’intera giornata, il primo ritiro spirituale per religiose e laici sul tema della fede, nell’anno dedicato alla fede. Il ritiro si svolgerà presso la struttura delle Suore di Gesù Redentore della Stella Maris di Mondragone ed inizierà alle ore 9.00 con l’accoglienza dei numerosi partecipanti, diversi dei quali provenienti da vari comuni e realtà ecclesiali della Regione Campania. Tematica dell’incontro è “La fede, un dono da tasmettere”. La prima meditazione sul tema dell’incontro è prevista alle ore 10,00 dopo la celebrazione delle Lodi mattutine, alle ore 9,30. Sarà padre Antonio Rungi, passionista, a parlare della modalità della trasmissione della fede nella cultura odierna e nel sistema di relazioni umane ed ecclesiali di oggi. A seguire un’ora di adorazione eucaristica per chiedere al Signore il potenziamento della fede. Nel frattempo i partecipanti potranno accostarsi al sacramento della confessione anche al fine di ottenere le indulgenze plenarie previste, alle solite condizioni, in questo anno della fede. A mezzogiorno la celebrazione eucaristica. Nel pomeriggio, dalle 14 alle 15 è previsto nel programma della giornata di spiritualità un’ora di passeggio solitario e di silenzio totale, nella struttura dell’Istituto o lungo la spiaggia, dal momento che la Stella Maris è situata a pochi metri dal mare. Alle ore 15,00 il santo rosario e la celebrazione del Vespro. Alle 16.00 la seconda meditazione della giornata, dettata dalla guida spirituale, padre Rungi, sulla fede nella serva di Madre Victorine Le Dieu, fondatrice delle Suore di Gesù Redentore. Alle 17.00 la condivsione in aula dell’esperienza della giornata di spiritualità e la conclusione con la preghiera finale, con la recita del Credo. Il cammino spirituale nell’anno della fede che le Suore della Stella Maris di Mondragone intendono svolgere è in sintonia con il cammino della chiesa universale e con la chiesa locale, la diocesi di Sessa Aurunca, che sotto la guida del suo pastore, monsignor Antonio Napoletano, in questo anno della fede appena iniziato e avviato con la solenne celebrazione d’apertura dell’11 ottobre scorso nella cattedrale di Sessa Aurunca, sta sviluppando un’attento esame di tutti i documenti del Concilio Vaticano II e sul Catechismo della Chiesa cattolica, proprio per riscoprire il dono meraviglioso della fede, in una deserteficazione spirituale di cui ha parlato il Papa, Benedetto XVI, in questi giorni iniziali dell’anno della fede. I prossimi incontri dei ritiri spirituali, dal mese di dicembre2012 fino a giugno 2013, riguarderanno i vari aspetti della virtù teologale della fede, raccordata al Mistero dell’Incarnazione, al mistero della Risurrezione, al mistero dell’Immacolata concezione di Maria, alla fede dei testimoni e santi dei nostri giorni. Un quadro complessivo di approfondimento dottrinale, biblico, teologico partendo dai documenti conciliari e dal catechismo della Chiesa cattolica.

Liturgia della parola di domenica 11 novembre 2012

60240_4516078071231_1340287594_n.jpgCelebriamo oggi la XXXII domenica del tempo ordinario e ci avviamo verso la conclusione dell’anno liturgico. La liturgia della parola di queste ultime settimane ha continui richiami all’eternità. Anche nella parola di Dio di questa domenica, soprattutto nella seconda lettura, focalizza la nostra attenzione sulla venuta del Signore, con esplicito riferimento alle ultime realtà, all’escatologia. Il testo completo del brano ci porta a confrontare la prima e la seconda venuta di Cristo tra gli uomini. La prima dice la relazione con la salvezza dell’umanità dal peccato; la seconda indica la prospettiva definitiva della stessa umanità nel giudizio universale. La certezza della salvezza eterna e della risurrezione finale spinge il credente ad una costante vigilanza sulla sua condotta e ad operare per il bene di se stesso e degli altri.

Sia la prima lettura che il vangelo di oggi, ci indicano la strada maestra della carità per raggiungere la salvezza eterna. Il profeta Elia viene aiutato dalla carità di una vedova.Nel testo del Vangelo di questa domenica troviamo un grande gesto di generosità compiuta da una vedova, che si toglie tutto quello che aveva per vivere per donarlo al tempio, segno della sua generosità verso Dio e i fratelli. Infatti, mentre tutti gettono il loro superfluo, lei offre l’essenziale, quello di cui non poteva fare a meno in quel momento. Lei è la più ricca e generosa di tutti, lei diviene l’esempio della solidarietà e della generosità che Cristo porta all’attenzione dei suoi discepoli, rispetto a chi, dona ciò di cui non ha bisogno. Quante persone anche ai nostri giorni non sono affatto generosi, non si privano di nulla per dare agli altri, ma conservano gelosamente ogni cosa per se stessi, pur stando nelle possibilità concrete ed economiche di farlo. Il loro cuore si è indurito, si è chiuso alla carità e all’amore e non è più capace di gesti di attenzione e di donazione. La vedova generosa che si spoglia di tutto quello che ha è un esempio di vita e santità basata sulla carità. La diaconia è un impegno che tutti i cristiani devono assumersi. Sovvenire alle necessità della chiesa soprattutto in quei luoghi e terre più bisognosi è un dovere morale e religioso per tutti i credenti.

Il mio e il vostro anno della fede

DSC_0882_2048x1365-1024x682.jpgIl Santo Padre Benedetto XVI ha indetto un anno della fede, in concomitanza con i 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, avviato sotto il pontificato del Beato Papa Giovanni XXIII e concluso sotto il pontificato del Servo di Dio, Papa Paolo VI. Un anno della fede per riscoprire, aumentare e rilanciare la fede. Come tutti gli anni giubilari che la chiesa, soprattutto nel dopo-concilio ha indetto, c’è il rischio, non per tutti, di trasformare questo evento di grazia in qualcosa di esteriore, di partecipazioni a convegni, manifestazione, alla moltiplicazione all’infinito di iniziative di qualsiasi tipo.

Il mio anno della fede, lo vedo diversamente, perché deve iniziare da me. Deve iniziare dalla riscoperta della mia fede battesimale, quella che ha determinato la svolta sostanziale della mia esistenza di persona umana, elevata alla dignità di figlio di Dio con il sacramento della rinascita. Partire da me, per dire, oggi e per quest’intero anno, ogni attimo della mia giornata e della mia vita, come chiedevano gli apostoli: “Signore aumenta la nostra fede” e “Signore insegnaci a pregare”. Un anno della fede in cui deve crescere non la quantità di conoscenze sulle verità di fede che ormai sono assodate, ma il potenziamento di un rapporto più autentico e profondo con chi questa fede l’ha donata a me mediante il battesimo, Gesù Cristo. Questo aumento di qualità di rapporto intimo con Cristo passa attraverso una scelta importante, quella della preghiera. In questo anno della fede devo sentire il bisogno di pregare non solo di più, ma meglio. Una preghiera fondata sulla parola di Dio, una preghiera che si fa liturgia, una preghiera che è eucaristia, una preghiera che è impegno di vita. Un anno della fede che non produce in me frutti di opere di misericordia spirituale e corporale sarebbe un anno sterile, un anno di moltiplicazioni di varie partecipazioni ad eventi ecclesiali, ma senza la personale conversione, il personale rinnovamento. L’anno della fede inizia quindi dentro di me, attraverso una ricostruzione o una ristrutturazione del modo di pensare e vivere la fede oggi, nel contesto di un mondo globalizzato, dissacrato, lontano dalla visione cristiana dell’esistenza. Leggersi dentro per capire da dove ripartire per mettere Cristo al centro della mia vita, dando il primato assoluto a Dio nella mia esistenza di credente. Ecco l’anno della fede, che mi porta ad abbandonarmi totalmente a Lui, creatore, Padre, Redentore, Salvatore, meta ultima di ogni esistenza umana terrena. Una fede che diventa impegno testimonianza, una volta che è stata potenziata. Perché c’è il rischio di portare fuori strada se la nostra fede non è consolidata, se non è ortodossa nel modo di pensarla e di viverla, se non è in sintonia con la Chiesa, il magistero del Romano Pontefice, dei vescovi, di quanti sono deputati, in ragione del loro ministero, ad essere maestri e testimoni nella fede e della fede.

Ripartire quindi come giustamente afferma il Papa dal Catechismo della Chiesa cattolica, approfondendo i suoi contenuti dottrinali, per acquisire quella migliore conoscenza del dato di fede, senza il quale non è possibile parlare di fede a se stessi e agli altri. Se mancano i fondamenti della fede, si rischia di portare agli altri nell’insegnamento, nella predicazione, nell’educazione una fede a modo propria, fai da te, con una conseguente etica individualistica in cui si giustifica soggettivamente ogni cosa. Il salto della fede richiede non solo una maggiore conoscenza delle verità di fede, ma anche l’abbandono fiducioso alla parola di Dio. Fidarsi di Dio è il primo atto fondamentale di fede che bisogna affermare, Egli non ci delude, né ci mette nelle condizioni di poter vivere male o soffrire per qualsiasi ragione al mondo. Egli è fedeltà totale all’uomo, fino a dare la vita per noi, sacrificando il suo Figlio, per amore, sulla croce per noi.

La mia fede è allora è mettere in discussione quelle presunte verità di fede che non sono verità della fede vera, ma mie verità. Sì nel confronto, nel dialogo, nelle condivisione che facciamo nelle nostre assemblee formative, liturgiche, catechetiche se non siamo adeguatamente preparati al discorso di una fede autentica, c’è il rischio di non parlare di fede, ma delle nostre personali opinioni sulle cose di Dio e della chiesa. Non è questo l’anno della fede che dobbiamo celebrare, non dobbiamo solo pubblicare testi nuovi e di approfondimento vario, ma dobbiamo far toccare con mano Cristo, Dio attraverso la santità della nostra vita. Una santità che passa attraverso un’ascesi spirituale e di grande elevatura interiore come la concreta attività di interiorizzazione del processo di fede sempre in atto nella nostra vita e che consiste essenzialmente nelle opere di misericordia spirituale: Consigliare i dubbiosi,  insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori,    consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste,       pregare Dio per i vivi e per i morti. A tali opere di misericordia più elevate devono far riscontro le opere di misericordia corporale, quella carità attiva ed operativa che rende visibile agli altri il nostro grado di fede vissuta e testimoniata. La fede, infatti, senza le opere di carità è morta e senza una speranza diventa sterile conoscenza di verità che sono oltre il cielo. Invece la carità, l’amore rende visibile e concreto quello che noi crediamo. Il modello di questa nostra fede fino alla morte è Cristo, è Maria, sono i martiri, i santi, quanti nella vita hanno percorsa la strada stretta del vangelo ed hanno raggiunto la gloria del cielo vivendo con semplicità la propria fede, operando molto, parlando poco, contemplando sempre, pregando incessantemente. La nostra fede sarà vera se ogni giorno ci poniamo come obiettivo immediato della nostra fede queste cose da fare concretamente:  dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi,  alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti. Una fede, in poche parole, evangelica, di quella evangelicità che nella sua essenzialità, nella sua semplicità non ha bisogno di altro approfondimento se non quello dell’operare e fare bene ogni cosa per la gloria di Dio e per la propria ed altrui santificazione.” [31] Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. [32] E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, [33] e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. [34] Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. [35] Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, [36] nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. [37] Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? [38] Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? [39] E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? [40] Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. [41] Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. [42] Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; [43] ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. [44] Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? [45] Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me. [46] E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna” (Mt 25,31-46).

Oggi se la nostra fede è in crisi è perché è in crisi la nostra capacità di amare totalmente Dio e di amare il prossimo come noi stessi. La mancanza di fede è essenzialmente mancanza di amore.

Un anno della fede è quindi un anno di riscoperta dell’amore verso Dio e verso ogni fratello e sorella di questa difficile e problematica umanità, redenta dal sangue preziosissimo di Cristo, versato per noi sulla croce e sul calvario di quel venerdì di passione e di tutti i giorni sofferti e gioiosi della storia della redenzione.

Buon cammino nella fede in questo anno di grazia dedicato alla fede.

Padre Antonio Rungi cp

 

L’Udienza di Papa Benedetto XVI- Mercoledì 10 ottobre 2012

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BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 10 ottobre 2012

 

 

Cari fratelli e sorelle,

siamo alla vigilia del giorno in cui celebreremo i cinquant’anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II e l’inizio dell’Anno della fede. Con questa Catechesi vorrei iniziare a riflettere – con qualche breve pensiero – sul grande evento di Chiesa che è stato il Concilio, evento di cui sono stato testimone diretto. Esso, per così dire, ci appare come un grande affresco, dipinto nella sua grande molteplicità e varietà di elementi, sotto la guida dello Spirito Santo. E come di fronte a un grande quadro, di quel momento di grazia continuiamo anche oggi a coglierne la straordinaria ricchezza, a riscoprirne particolari passaggi, frammenti, tasselli.

Il Beato Giovanni Paolo II, alle soglie del terzo millennio, scrisse: «Sento più che mai il dovere di additare il Concilio come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre» (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 57). Penso che questa immagine sia eloquente. I documenti del Concilio Vaticano II, a cui bisogna ritornare, liberandoli da una massa di pubblicazioni che spesso invece di farli conoscere li hanno nascosti, sono, anche per il nostro tempo, una bussola che permette alla nave della Chiesa di procedere in mare aperto, in mezzo a tempeste o ad onde calme e tranquille, per navigare sicura ed arrivare alla meta.

Io ricordo bene quel periodo: ero un giovane professore di teologia fondamentale all’Università di Bonn, e fu l’Arcivescovo di Colonia, il Cardinale Frings, per me un punto di riferimento umano e sacerdotale, che mi portò con sé a Roma come suo consulente teologo; poi fui anche nominato perito conciliare. Per me è stata un’esperienza unica: dopo tutto il fervore e l’entusiasmo della preparazione, ho potuto vedere una Chiesa viva – quasi tremila Padri conciliari da tutte le parti del mondo riuniti sotto la guida del Successore dell’Apostolo Pietro – che si mette alla scuola dello Spirito Santo, il vero motore del Concilio. Rare volte nella storia si è potuto, come allora, quasi «toccare» concretamente l’universalità della Chiesa in un momento della grande realizzazione della sua missione di portare il Vangelo in ogni tempo e fino ai confini della terra. In questi giorni, se rivedrete le immagini dell’apertura di questa grande Assise, attraverso la televisione o gli altri mezzi di comunicazione, potrete percepire anche voi la gioia, la speranza e l’incoraggiamento che ha dato a tutti noi il prendere parte a questo evento di luce, che si irradia fino ad oggi.

Nella storia della Chiesa, come penso sappiate, vari Concili hanno preceduto il Vaticano II. Di solito queste grandi Assemblee ecclesiali sono state convocate per definire elementi fondamentali della fede, soprattutto correggendo errori che la mettevano in pericolo. Pensiamo al Concilio di Nicea nel 325, per contrastare l’eresia ariana e ribadire con chiarezza la divinità di Gesù Figlio Unigenito di Dio Padre; o a quello di Efeso, del 431, che definì Maria come Madre di Dio; a quello di Calcedonia, del 451, che affermò l’unica persona di Cristo in due nature, la natura divina e quella umana. Per venire più vicino a noi, dobbiamo nominare il Concilio di Trento, nel XVI secolo, che ha chiarito punti essenziali della dottrina cattolica di fronte alla Riforma protestante; oppure il Vaticano I, che iniziò a riflettere su varie tematiche, ma ebbe il tempo di produrre solo due documenti, uno sulla conoscenza di Dio, la rivelazione, la fede e i rapporti con la ragione e l’altro sul primato del Papa e sull’infallibilità, perché fu interrotto per l’occupazione di Roma nel settembre del 1870.

Se guardiamo al Concilio Ecumenico Vaticano II, vediamo che in quel momento del cammino della Chiesa non c’erano particolari errori di fede da correggere o condannare, né vi erano specifiche questioni di dottrina o di disciplina da chiarire. Si può capire allora la sorpresa del piccolo gruppo di Cardinali presenti nella sala capitolare del monastero benedettino a San Paolo Fuori le Mura, quando, il 25 gennaio 1959, il Beato Giovanni XXIII annunciò il Sinodo diocesano per Roma e il Concilio per la Chiesa Universale. La prima questione che si pose nella preparazione di questo grande evento fu proprio come cominciarlo, quale compito preciso attribuirgli. Il Beato Giovanni XXIII, nel discorso di apertura, l’11 ottobre di cinquant’anni fa, diede un’indicazione generale: la fede doveva parlare in un modo «rinnovato», più incisivo – perché il mondo stava rapidamente cambiando – mantenendo però intatti i suoi contenuti perenni, senza cedimenti o compromessi. Il Papa desiderava che la Chiesa riflettesse sulla sua fede, sulle verità che la guidano. Ma da questa seria, approfondita riflessione sulla fede, doveva essere delineato in modo nuovo il rapporto tra la Chiesa e l’età moderna, tra il Cristianesimo e certi elementi essenziali del pensiero moderno, non per conformarsi ad esso, ma per presentare a questo nostro mondo, che tende ad allontanarsi da Dio, l’esigenza del Vangelo in tutta la sua grandezza e in tutta la sua purezza (cfr Discorso alla Curia Romana per gli auguri natalizi, 22 dicembre 2005). Lo indica molto bene il Servo di Dio Paolo VI nell’omelia alla fine dell’ultima sessione del Concilio – il 7 dicembre 1965 – con parole straordinariamente attuali, quando afferma che, per valutare bene questo evento: «deve essere visto nel tempo in cui si è verificato. Infatti – dice il Papa – è avvenuto in un tempo in cui, come tutti riconoscono, gli uomini sono intenti al regno della terra piuttosto che al regno dei cieli; un tempo, aggiungiamo, in cui la dimenticanza di Dio si fa abituale, quasi la suggerisse il progresso scientifico; un tempo in cui l’atto fondamentale della persona umana, resa più cosciente di sé e della propria libertà, tende a rivendicare la propria autonomia assoluta, affrancandosi da ogni legge trascendente; un tempo in cui il “laicismo” è ritenuto la conseguenza legittima del pensiero moderno e la norma più saggia per l’ordinamento temporale della società… In questo tempo si è celebrato il nostro Concilio a lode di Dio, nel nome di Cristo, ispiratore lo Spirito Santo». Così Paolo VI. E concludeva indicando nella questione di Dio il punto centrale del Concilio, quel Dio, che «esiste realmente, vive, è una persona, è provvido, è infinitamente buono; anzi, non solo buono in sé, ma buono immensamente altresì per noi, è nostro Creatore, nostra verità, nostra felicità, a tal punto che l’uomo, quando si sforza di fissare la mente ed il cuore in Dio nella contemplazione, compie l’atto più alto e più pieno del suo animo, l’atto che ancor oggi può e deve essere il culmine degli innumerevoli campi dell’attività umana, dal quale essi ricevono la loro dignità» (AAS 58 [1966], 52-53).

Noi vediamo come il tempo in cui viviamo continui ad essere segnato da una dimenticanza e sordità nei confronti di Dio. Penso, allora, che dobbiamo imparare la lezione più semplice e più fondamentale del Concilio e cioè che il Cristianesimo nella sua essenza consiste nella fede in Dio, che è Amore trinitario, e nell’incontro, personale e comunitario, con Cristo che orienta e guida la vita: tutto il resto ne consegue. La cosa importante oggi, proprio come era nel desiderio dei Padri conciliari, è che si veda – di nuovo, con chiarezza – che Dio è presente, ci riguarda, ci risponde. E che, invece, quando manca la fede in Dio, crolla ciò che è essenziale, perché l’uomo perde la sua dignità profonda e ciò che rende grande la sua umanità, contro ogni riduzionismo. Il Concilio ci ricorda che la Chiesa, in tutte le sue componenti, ha il compito, il mandato di trasmettere la parola dell’amore di Dio che salva, perché sia ascoltata e accolta quella chiamata divina che contiene in sé la nostra beatitudine eterna.

Guardando in questa luce alla ricchezza contenuta nei documenti del Vaticano II, vorrei solo nominare le quattro Costituzioni, quasi i quattro punti cardinali della bussola capace di orientarci. La Costituzione sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium ci indica come nella Chiesa all’inizio c’è l’adorazione, c’è Dio, c’è la centralità del mistero della presenza di Cristo. E la Chiesa, corpo di Cristo e popolo pellegrinante nel tempo, ha come compito fondamentale quello di glorificare Dio, come esprime la Costituzione dogmatica Lumen gentium. Il terzo documento che vorrei citare è la Costituzione sulla divina Rivelazione Dei Verbum: la Parola vivente di Dio convoca la Chiesa e la vivifica lungo tutto il suo cammino nella storia. E il modo in cui la Chiesa porta al mondo intero la luce che ha ricevuto da Dio perché sia glorificato, è il tema di fondo della Costituzione pastorale Gaudium et spes.

Il Concilio Vaticano II è per noi un forte appello a riscoprire ogni giorno la bellezza della nostra fede, a conoscerla in modo profondo per un più intenso rapporto con il Signore, a vivere fino in fondo la nostra vocazione cristiana. La Vergine Maria, Madre di Cristo e di tutta la Chiesa, ci aiuti a realizzare e a portare a compimento quanto i Padri conciliari, animati dallo Spirito Santo, custodivano nel cuore: il desiderio che tutti possano conoscere il Vangelo e incontrare il Signore Gesù come via, verità e vita. Grazie.

Il sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione- Ottobre 2012

Ieri, 7 ottobre, con la solenne concelebrazione presieduta da Papa Benedetto XVI sul sagrato della Basilica si San Pietro in Roma, è iniziato il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione, che vede impegnati 262 membri del sinodo in un lavoro di riflessione e di proposte per risvegliare la fede nel mondo cristiano. Un compito non facile per tutti coloro che sono stati chiamati ad elaborare le proposte finali del Sinodo, in base anche ad un documento iniziale che è di conoscenza pubblica e al quale si può fare riferimento anche in questi giorni di lavori sinodali. Lavori che si concluderanno il 28 ottobre 2012 e saranno il preludio di un’esortazione post-sinodale a firma del Papa, come è prassi ormai nella Chiesa cattolica, dopo la celebrazione del Concilio Vaticano II. Questo sinodo si colloca nel cammino dell’anno della fede, che inizia l’11 ottobre 2012, in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’inizio di uno dei più importanti avvdnimenti ecclesiali del XX secolo, che fu il Concilio Vaticano II, una vera primavera dello Spirito che tanto benessere spirituale ha portato nella Chiesa e nella società contemporanei. I vari documenti approvati durante il Concilio sono punti di partenza per il cammino della Chiesa in questo terzo millennio dell’era cristiana. Da essi bisogna ripartire se vogliamo capire lo stesso sinodo in svolgimento a Roma e che sarà una valida occasione per riportare al centro della vita dei singoli cristiani, delle comunità cristiane, delle chiese locali, della chiesa universale, degli istituti di vita consacrata, dei pastori, dei fedeli laici, la fede da accogliere e da trasmettere.

Ecco il testo iniziale per i lavori sinodali.

SINODO DEI VESCOVI 2012.pdf

PAPA BENEDETTO XVI- DOMENICA 7 OTTOBRE 2012

52350G.jpgDOMENICA 7 OTTOBRE 2012

 

CAPPELLA PAPALE PER LA PROCLAMAZIONE DI NUOVI DOTTORI DELLA CHIESA E PER L’APERTURA DEL SINODO DEI VESCOVI SULLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE.

Alle ore 9.30 di questa mattina, XXVII Domenica del Tempo Ordinario, sul Sagrato della Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI proclama “Dottori della Chiesa” San Giovanni d’Avila, sacerdote diocesano, e Santa Ildegarda di Bingen, monaca professa dell’Ordine di San Benedetto; e presiede la Celebrazione Eucaristica in occasione dell’Apertura della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. Concelebrano con il Santo Padre i Padri Sinodali e i Vescovi delle Conferenze episcopali spagnola e tedesca.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre pronuncia dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

 

OMELIA DEL SANTO PADRE

 

Venerati Fratelli, cari fratelli e sorelle!

 

Con questa solenne concelebrazione inauguriamo la XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che ha per tema: La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. Questa tematica risponde ad un orientamento programmatico per la vita della Chiesa, di tutti i suoi membri, delle famiglie, delle comunità, delle sue istituzioni. E tale prospettiva viene rafforzata dalla coincidenza con l’inizio dell’Anno della fede, che avverrà giovedì prossimo 11 ottobre, nel 50° anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II. Rivolgo il mio cordiale e riconoscente benvenuto a voi, che siete venuti a formare questa Assemblea sinodale, in particolare al Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi e ai suoi collaboratori. Estendo il mio saluto ai Delegati fraterni delle altre Chiese e Comunità Ecclesiali e a tutti i presenti, invitandoli ad accompagnare nella preghiera quotidiana i lavori che svolgeremo nelle prossime tre settimane.

 

Le Letture bibliche che formano la Liturgia della Parola di questa domenica ci offrono due principali spunti di riflessione: il primo sul matrimonio, che vorrei toccare più avanti; il secondo su Gesù Cristo, che riprendo subito. Non abbiamo il tempo per commentare questo passo della Lettera agli Ebrei, ma dobbiamo, all’inizio di questa Assemblea sinodale, accogliere l’invito a fissare lo sguardo sul Signore Gesù, «coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto» (Eb 2,9). La Parola di Dio ci pone dinanzi al Crocifisso glorioso, così che tutta la nostra vita, e in particolare l’impegno di questa Assise sinodale, si svolgano al cospetto di Lui e nella luce del suo mistero. L’evangelizzazione, in ogni tempo e luogo, ha sempre come punto centrale e terminale Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio (cfr Mc 1,1); e il Crocifisso è per eccellenza il segno distintivo di chi annuncia il Vangelo: segno di amore e di pace, appello alla conversione e alla riconciliazione. Noi per primi, venerati Fratelli, teniamo rivolto a Lui lo sguardo del cuore e lasciamoci purificare dalla sua grazia.

 

Ora vorrei brevemente riflettere sulla «nuova evangelizzazione», rapportandola con l’evangelizzazione ordinaria e con la missione ad gentes. La Chiesa esiste per evangelizzare. Fedeli al comando del Signore Gesù Cristo, i suoi discepoli sono andati nel mondo intero per annunciare la Buona Notizia, fondando dappertutto le comunità cristiane. Col tempo, esse sono diventate Chiese ben organizzate con numerosi fedeli. In determinati periodi storici, la divina Provvidenza ha suscitato un rinnovato dinamismo dell’attività evangelizzatrice della Chiesa. Basti pensare all’evangelizzazione dei popoli anglosassoni e di quelli slavi, o alla trasmissione del Vangelo nel continente americano, e poi alle stagioni missionarie verso i popoli dell’Africa, dell’Asia e dell’Oceania. Su questo sfondo dinamico mi piace anche guardare alle due luminose figure che poc’anzi ho proclamato Dottori della Chiesa: San Giovanni d’Avila e Santa Ildegarda di Bingen. Anche nei nostri tempi lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa un nuovo slancio per annunciare la Buona Notizia, un dinamismo spirituale e pastorale che ha trovato la sua espressione più universale e il suo impulso più autorevole nel Concilio Ecumenico Vaticano II. Tale rinnovato dinamismo dell’evangelizzazione produce un benefico influsso sui due «rami» specifici che da essa si sviluppano, vale a dire, da una parte, la missio ad gentes, cioè l’annuncio del Vangelo a coloro che ancora non conoscono Gesù Cristo e il suo messaggio di salvezza; e, dall’altra parte, la nuova evangelizzazione, orientata principalmente alle persone che, pur essendo battezzate, si sono allontanate dalla Chiesa, e vivono senza fare riferimento alla prassi cristiana. L’Assemblea sinodale che oggi si apre è dedicata a questa nuova evangelizzazione, per favorire in queste persone un nuovo incontro con il Signore, che solo riempie di significato profondo e di pace la nostra esistenza; per favorire la riscoperta della fede, sorgente di Grazia che porta gioia e speranza nella vita personale, familiare e sociale. Ovviamente, tale orientamento particolare non deve diminuire né lo slancio missionario in senso proprio, né l’attività ordinaria di evangelizzazione nelle nostre comunità cristiane. In effetti, i tre aspetti dell’unica realtà di evangelizzazione si completano e fecondano a vicenda.

 

Il tema del matrimonio, propostoci dal Vangelo e dalla prima Lettura, merita a questo proposito un’attenzione speciale. Il messaggio della Parola di Dio si può riassumere nell’espressione contenuta nel Libro della Genesi e ripresa da Gesù stesso: «Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne» (Gen 2,24; Mc 10,7-8). Che cosa dice oggi a noi questa Parola? Mi sembra che ci inviti a renderci più consapevoli di una realtà già nota ma forse non pienamente valorizzata: che cioè il matrimonio, costituisce in se stesso un Vangelo, una Buona Notizia per il mondo di oggi, in particolare per il mondo scristianizzato. L’unione dell’uomo e della donna, il loro diventare «un’unica carne» nella carità, nell’amore fecondo e indissolubile, è segno che parla di Dio con forza, con una eloquenza che ai nostri giorni è diventata maggiore, perché purtroppo, per diverse cause, il matrimonio, proprio nelle regioni di antica evangelizzazione, sta attraversando una crisi profonda. E non è un caso. Il matrimonio è legato alla fede, non in senso generico. Il matrimonio, come unione d’amore fedele e indissolubile, si fonda sulla grazia che viene dal Dio Uno e Trino, che in Cristo ci ha amati d’amore fedele fino alla Croce. Oggi siamo in grado di cogliere tutta la verità di questa affermazione, per contrasto con la dolorosa realtà di tanti matrimoni che purtroppo finiscono male. C’è un’evidente corrispondenza tra la crisi della fede e la crisi del matrimonio. E, come la Chiesa afferma e testimonia da tempo, il matrimonio è chiamato ad essere non solo oggetto, ma soggetto della nuova evangelizzazione. Questo si verifica già in molte esperienze, legate a comunità e movimenti, ma si sta realizzando sempre più anche nel tessuto delle diocesi e delle parrocchie, come ha dimostrato il recente Incontro Mondiale delle Famiglie.

 

Una delle idee portanti del rinnovato impulso che il Concilio Vaticano II ha dato all’evangelizzazione è quella della chiamata universale alla santità, che in quanto tale riguarda tutti i cristiani (cfr Cost. Lumen gentium, 39-42). I santi sono i veri protagonisti dell’evangelizzazione in tutte le sue espressioni. Essi sono, in particolare, anche i pionieri e i trascinatori della nuova evangelizzazione: con la loro intercessione e con l’esempio della loro vita, attenta alla fantasia dello Spirito Santo, essi mostrano alle persone indifferenti o addirittura ostili la bellezza del Vangelo e della comunione in Cristo, e invitano i credenti, per così dire, tiepidi, a vivere con gioia di fede, speranza e carità, a riscoprire il «gusto» della Parola di Dio e dei Sacramenti, in particolare del Pane di vita, l’Eucaristia. Santi e sante fioriscono tra i generosi missionari che annunciano la Buona Notizia ai non cristiani, tradizionalmente nei paesi di missione e attualmente in tutti i luoghi dove vivono persone non cristiane. La santità non conosce barriere culturali, sociali, politiche, religiose. Il suo linguaggio – quello dell’amore e della verità – è comprensibile per tutti gli uomini di buona volontà e li avvicina a Gesù Cristo, fonte inesauribile di vita nuova.

 

A questo punto, soffermiamoci un momento ad ammirare i due Santi che oggi sono stati aggregati alla eletta schiera dei Dottori della Chiesa. San Giovanni di Avila visse nel secolo XVI. Profondo conoscitore delle Sacre Scritture, era dotato di ardente spirito missionario. Seppe penetrare con singolare profondità i misteri della Redenzione operata da Cristo per l’umanità. Uomo di Dio, univa la preghiera costante all’azione apostolica. Si dedicò alla predicazione e all’incremento della pratica dei Sacramenti, concentrando il suo impegno nel migliorare la formazione dei candidati al sacerdozio, dei religiosi e dei laici, in vista di una feconda riforma della Chiesa.

 

Santa Ildegarda di Bingen, importante figura femminile del secolo XII, ha offerto il suo prezioso contributo per la crescita della Chiesa del suo tempo, valorizzando i doni ricevuti da Dio e mostrandosi donna di vivace intelligenza, profonda sensibilità e riconosciuta autorità spirituale. Il Signore la dotò di spirito profetico e di fervida capacità di discernere i segni dei tempi. Ildegarda nutrì uno spiccato amore per il creato, coltivò la medicina, la poesia e la musica. Soprattutto conservò sempre un grande e fedele amore per Cristo e per la sua Chiesa.

 

Lo sguardo sull’ideale della vita cristiana, espresso nella chiamata alla santità, ci spinge a guardare con umiltà la fragilità di tanti cristiani, anzi il loro peccato, personale e comunitario, che rappresenta un grande ostacolo all’evangelizzazione, e a riconoscere la forza di Dio che, nella fede, incontra la debolezza umana. Pertanto, non si può parlare della nuova evangelizzazione senza una disposizione sincera di conversione. Lasciarsi riconciliare con Dio e con il prossimo (cfr 2 Cor 5,20) è la via maestra della nuova evangelizzazione. Solamente purificati, i cristiani possono ritrovare il legittimo orgoglio della loro dignità di figli di Dio, creati a sua immagine e redenti con il sangue prezioso di Gesù Cristo, e possono sperimentare la sua gioia per condividerla con tutti, con i vicini e con i lontani.

 

Cari fratelli e sorelle, affidiamo a Dio i lavori dell’Assise sinodale nel sentimento vivo della comunione dei Santi, invocando in particolare l’intercessione dei grandi evangelizzatori, tra i quali vogliamo con grande affetto annoverare il Beato Papa Giovanni Paolo II, il cui lungo pontificato è stato anche esempio di nuova evangelizzazione. Ci poniamo sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Stella della nuova evangelizzazione. Con lei invochiamo una speciale effusione dello Spirito Santo, che illumini dall’alto l’Assemblea sinodale e la renda fruttuosa per il cammino della Chiesa oggi, nel nostro tempo. Amen.

 

Trentasettesimo anniversario di sacerdozio di P.Antonio Rungi

Grazie Gesùmessapadreantonio.jpg

 

Ti rendo grazie Signore,

per tutti questi anni

che mi hai chiamato a seguirti

e a serviti nella vita religiosa e sacerdotale.

Hai pensato alla mia persona fin dall’eternità

Ed un giorno mi hai fatto intendere chiara la tua voce

Che mi diceva “Seguimi”.

Forte dell’entusiasmo e convinto che eri Tu Gesù, ho lasciato

I miei genitori, mia sorella, mio fratello, i miei parenti, i miei amici

I miei compagni di scuola, avendo appena 13 anni.

Da allora ho camminato sulle tue vie, quelle che Tu, Signore,

mi hai indicato di volta in volta, per arrivare al grande appuntamento della mia storia personale, a quel 6 ottobre 1975, a Napoli, quando il Vescovo imponendo sulla mia testa le sue mani mi consacrò sacerdote.

I pianti di sofferenza dei miei parenti alla mia partenza per un paese lontano, quando lasciai casa per farmi passionista e sacerdote, in quel giorno si trasformarono in lacrime di gioia, in lacrime di infinita gratitudine.

In questi 37 anni di vita sacerdotale è stato un susseguirsi di soli infiniti ed immensi doni che Tu, Signore, hai concesso a questa mia umile e povera persona.

Ho cercato di essere fedele alla tua chiamata sempre, nonostante le umane debolezze che sono insite in ogni persona umana e che la tua grazia e la tua benevolenza e vicinanza mi hanno aiutato a superare di volta in volta, facendomi scorgere quando sei buono e grande nell’amore.

Le anime che hai affidato alla mia cura pastorale e sacerdotale le ho considerato un dono immenso da rispettare, aiutare, amare, proteggere dalle forze del male. Ognuna di essa sta nel mio cuore e nelle mie preghiere, perché sono figli tuoi e frutto del Tuo Sangue prezioso versato per noi sulla croce.

Cosa dirti Gesù, attraverso la mia mamma celeste, la Vergine Maria, Regina di tutti i sacerdoti? Proteggimi e guidami nel difficile compito di essere un tuo discepolo secondo il tuo amabilissimo cuore e secondo i tuoi insegnamenti.

Che sia un pastore che vada a cercare la pecorella smarrita, e la riporti all’ovile della tua chiesa e alla vita della chiesa.

Che mi preoccupi di tanti che sono nel dolore e nella sofferenza, soprattutto in questi giorni tristi e difficili per l’umanità.

Che sia vicino ai bambini, perché possano sperimentale attraverso la mia umile persona quanto sei grande e quanto sei davvero dalla parte dei più piccoli, ben sapendo che scandalizzare anche uno solo di essi, significa non essere perdonato da Te in eterno.

Che sia vicino ai tanti giovani che ho avuto la gioia di incontrare nella mia vita di sacerdote e di insegnante, nel cuore dei quali vorrei che ci fosse anche un posto certo per Te.

Che mi preoccupi per quanti sono tristi, angosciati, soli e delusi dalla vita, dai propri cari, dagli affetti più naturali e che spesso si rivoltano contro di Te, perché non sanno quello che dicono e fanno, perchè grande è la sofferenza nel loro animo. 

Che sia tutto per tutti, senza fare preferenze a nessuno.

Che sappia amare ogni persona con la semplicità e la rettitudine del Tuo cuore.

Che sia sempre riconoscente a chi mi ha guidato sapientemente alla meta sacerdotale, in particolare i miei due speciali angeli del cielo, che sono mamma e papà, ma anche quanti nella formazione in convento hanno avuto un cuore di padre e mi hanno fatto amare la vita sacerdotale e missionaria, ieri come oggi.

Dirti grazie è il minimo indispensabile in questo giorno anniversario dei miei 37 anni di vita sacerdotale, che mi auguro possano essere ancora tantissimi altri per servire la Tua causa, Gesù, in questo anno della fede, che tutti richiama a credere fermamente in Te, sommo ed eterno sacerdote della nuova ed eterna alleanza di Dio con l’umanità. Amen.

 

Padre Antonio Rungi

Sacerdote passionista

6 ottobre 2012

P.Rungi. Il ricordo personale di mons. Schettino

brunoschettino1.jpg“Persona umile, amava il sevizio silenzioso e meno appariscente, sempre dalla parte dei più deboli per la sua personale propensione alla sofferenza dei fratelli in difficoltà, che nell’arcidiocesi di Capua presenta il volto più doloroso con la problematica degli immigrati di colore”, è quanto ha detto padre Antonio Rungi, passionista, commentando la triste notizia della morte di mons. Bruno Schettino, arcivescovo di Capua, deceduto nelle prime ore del 21 settembre per arresto cardiocircolatorio, nella sede episcopale di Capua.
“La caratteristica principale di questo zelante pastore della chiesa capuana era il suo spirito di preghiera e di orazione. Pregava molto e chiedeva di pregare molto ai suoi sacerdoti e ai tanti fedeli della diocesi di Capua che incontrava sistematicamente durante le sue brevi o lunghe visite pastorali alle comunità parrocchiali. Nella preghiera ha organizzato il suo modo di vivere per gli altri, in particolare per quanti -ha detto padre Rungi- non avevano nulla, erano privati spesso della loro stessa dignità di persone umane, dietro interessi di vario genere che rendono schiave le persone quando sono in cerca di tutto. La mia personale conoscenza dell’arcivescovo si è strutturata nel tempo attraverso incontri presso il Centro Fernandez di Castel Volturno, cuore dell’ospitalità della Diocesi di Capua verso gli immigrati di colore, negli incontri con il clero promossi con costanza e sempre presieduti dall’arcivescovo, specie delle grandi circostanze della vita della chiesa e del cammino liturgico, nelle visite pastorali che faceva alle parrocchie, dove predicavo in preparazione alle feste varie che sul territorio diocesano sono molteplici. Con la sua scomparsa -ha concluso padre Rungi- va via una mente ed un cuore di pastore molto attento a tutti i fenomi sociali e non solo a quelli degli immagri ed emigrati. Un attento osservatore, ma anche un sapiente consigliere per tutti al fine di intervenire con concretezza e competenza per la soluzione dei problemi. Pur essendo molto umile, aveva il coraggio dei forti, di quei forti nella fede, che non fa temere coloro che possono uccidere il corpo, piuttosto coloro che possono uccidere il cuore ed estinguere la speranza nel popolo di Dio e nella comunità civile. Sempre dalla parte degli ultimi le sue sono state lotte per la pace e la giustizia sociale, lotte per la reciproca accoglienza pur essendo di varie religioni e provenienze, lotte contro il male oscura della depressione sociale ed economica del territorio, lotta contro ogni forma di violenza, terrorismo, distruzione ed alienazione della persona umana e dei diritti fondamentali di ogni uomo. La sua è stata una lotta per la causa dell’uomo e della causa del Vangelo della carità. Per un vescovo che prega, crede, ama e spera è naturale tutto questo e per monsignor Schettino è stato tutto logico secondo la sapienza del Vangelo della passione di Cristo e per la difesa della vita. Come religiosi passionisti, molto impegnati nella predicazione nell’arcidiocesi di Capua, siamo vicini ai sacerdoti, ai fedeli e alla comunità civile del territorio. Siamo vicini con la preghiera ai parenti, conoscenti ed amici dell’amato e stimato pastore dell’arcidiocesi di Capua”.

Capua (Ce). Morto mons. Bruno Schettino, arcivescovo di Capua

big-10f1801e7586fc84c556f4633f0e104b.jpgProfonda mestizia in tutta la Campania, nella diocesi di Capua e nell’episcopato italiano per la morte improvvisa dell’arcivescovo di Capua, monsignor Bruno Schettino. Secondo i medici che ne hanno accertato il decesso è stato un infarto a stroncare nella notte del 21 settembre 2012, verso le 3-4 la vita dell’arcivescovo Schettino,, che aveva compiuto 71 anni. Era nato, infatti, a Marigliano, diocesi di Nola, il 5 gennaio 1941. L’arresto cardiocircolatorio ha colto monsignor Schettino a Capua, sede arcivescovile cui era stato assegnato il 29 aprile 1997. Laureato in Filosofia, fu ordinato presbitero il 28 giugno 1964, eletto alla sede vescovile di Teggiano-Policastro l’11 febbraio 1987, e ordinato vescovo il 4 aprile 1987, qui svolse il suo ministero per 10 anni. I funerali dell’arcivescovo di Capua e presidente della Commissione delle Migrazioni della Cei saranno celebrati domenica prossima, 23 settembre 2012 alle 16,30, nella cattedrale di Capua. Monsignor Schettino era un vescovo molto apprezzato per le sue doti umane, culturali e pastorali. Entrato subito nel cuore del popolo di Dio di Teggiano-Policasro, dove fu vescovo dall’11 febbraio 1987, per le sue qualità, venne trasferito nella sede più prestigiosa di Capua, dove assunse la responsabilità di arcivescovo il 29 aprile 1997, dopo dieci anni di permanenza nell’estremo lembo della Regione Campania. Sia in Teggiano-Policastro che a Capua monsignor Schettino ha lasciato un ottino ricordo di sé. Persona umile, amava il sevizio silenzioso e meno appariscente, sempre dalla parte dei più deboli per la sua personale propensione alla sofferenza dei fratelli in difficoltà, che nell’arcidiocesi di Capua presenta il volto più doloroso con la problematica degli immigrati di colore, era presidente della commissione episcopale dell’immigrazione e presidente della Migrantes. La caratteristica principale di questo zelante pastore della chiesa capuana era il suo spirito di preghiera e di orazione. Pregava molto e chiedeva di pregare molto ai suoi sacerdoti e ai tanti fedeli della diocesi di Capua che incontrava sistematicamente durante le sue brevi o lunghe visite pastorali alle comunità parrocchiali. -«È una gravissima perdita per il mondo della mobilità umana», ha detto don Alfonso Calvano, incaricato regionale della ‘Migrantes’, commentando la scomparsa di monsignor Bruno Schettino, arcivescovo di Capua. «Sensibile alle povertà del territorio diocesano e, quindi della Campania e dotato di una spiccata sensibilità ed accoglienza degli immigrati – continua don Alfonso – ha seguito con impegno e assiduità l’evangelizzazione a favore della mobilità umana delle varie diocesi campane e, ultimamente, come presidente della Fondazione Migrantes ha dato un forte impulso per promuovere i diritti degli immigrati attraverso la integrazione e l’accoglienza». «Proprio in questi giorni – aggiunge don Alfonso – monsignor Schettino stava valutando la possibilità di partecipare al Columbus Day, la più grande festa degli italoamericani a New York, dove era stato invitato personalmente dai vertici della Fondazione americana che aveva ricevuto nel mese di gennaio scorso a Capua». «Tutta la Chiesa campana esprime il proprio cordoglio al vescovo Schettino, uomo di preghiera e di spirito per la Migrantes campana», conclude Calvano. Lascia una diocesi ben organizzata e strutturata, in piena sintonia con il concilio Vaticano secondo, con un Superficie in Kmq: 500; 162.800 abitanti; con 59 parrocchie; 71 sacerdoti secolari; 12 sacerdoti regolari e 10 diaconi permanenti. Già era tutto predisposto per celebrare degnamente l’anno della fede, al quale monsignor Schettino già dal momento dell’indizione fatta da Papa Benedetto XVI lo scorso anno con il Motu proprio “Porta fidei” aveva dato grande importanza e rilevanza. In questa preghiera composta da lui, tutto il suo animo di pastore attento ai bisogni degli ultimi e in particolare degli immigrati: “Abbiamo abbandonato la nostra Africa, i nostri paesi, abbiamo lasciati parenti ed amici, per seguire un sogno di serenità e di pace. Abbiamo desiderato accoglienza e tanta amicizia, sperando nella bontà degli altri. Desideriamo vivere un futuro migliore, dimenticando il sofferto passato. Nelle mani di Dio abbiamo posto la nostra povera vita, i tanti problemi quotidiani, le tante paure. A te, o Signore consacriamo oggi la nostra vita e tu guidaci verso la meta. Abbiamo conosciuto la tua Madre, la nostra Madre che guida tutti verso il suo Figlio Gesù. Per Maria noi andremo al Signore, confidando nel suo tenero amore. Sotto il suo manto ci rifugiamo, Santa Madre di Dio. Ascolta le nostre preghiere. Anche agli altri porterò l’annuncio di fede e di bontà, per essere un popolo unito e solidale nella carità. Per Maria, o Signore, raggiungeremo la vera Patria, dove scomparirà ogni ingiustizia e povertà e godremo eterna pace e felicità per sempre”. Amen

Intanto tutta la diocesi si stringe intorno alle spoglie dell’arcivescovo con una tre giorni di preghiere nella Cattedrale di Capua, così organizzata: Venerdì 21 settembre: Ore 12.00: S. Messa; Ore 16.00: Santo Rosario; Ore 18.00: Vespro; Ore 20.00: S. Messa con il Presbiterio; Ore 23.00: Chiusura della camera ardente. Sabato 22 settembre: Ore 7.00: Apertura; Ore 8.30: Lodi; Ore 9.00: S. Messa; Ore 12.00: Ora Media; Ore 16.00: Santo Rosario; Ore 18.00: Vespro; Ore 18.30: S. Messa; Ore 20.00: Veglia di Preghiera; Ore 23.00: Chiusura. Domenica 23 settembre: Ore 7.00: Apertura; Ore 8.00 – 9.30 – 11.00: S. Messe. Ore 15.00: S. Rosario. Ore 16.00: S. Messa esequiale, presieduta dal Cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli e con la partecipazione di tutti i vescovi della Campania e di altre regioni italiane.

Antonio Rungi