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L’Udienza di Papa Benedetto XVI- Mercoledì 10 ottobre 2012

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BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 10 ottobre 2012

 

 

Cari fratelli e sorelle,

siamo alla vigilia del giorno in cui celebreremo i cinquant’anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II e l’inizio dell’Anno della fede. Con questa Catechesi vorrei iniziare a riflettere – con qualche breve pensiero – sul grande evento di Chiesa che è stato il Concilio, evento di cui sono stato testimone diretto. Esso, per così dire, ci appare come un grande affresco, dipinto nella sua grande molteplicità e varietà di elementi, sotto la guida dello Spirito Santo. E come di fronte a un grande quadro, di quel momento di grazia continuiamo anche oggi a coglierne la straordinaria ricchezza, a riscoprirne particolari passaggi, frammenti, tasselli.

Il Beato Giovanni Paolo II, alle soglie del terzo millennio, scrisse: «Sento più che mai il dovere di additare il Concilio come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre» (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 57). Penso che questa immagine sia eloquente. I documenti del Concilio Vaticano II, a cui bisogna ritornare, liberandoli da una massa di pubblicazioni che spesso invece di farli conoscere li hanno nascosti, sono, anche per il nostro tempo, una bussola che permette alla nave della Chiesa di procedere in mare aperto, in mezzo a tempeste o ad onde calme e tranquille, per navigare sicura ed arrivare alla meta.

Io ricordo bene quel periodo: ero un giovane professore di teologia fondamentale all’Università di Bonn, e fu l’Arcivescovo di Colonia, il Cardinale Frings, per me un punto di riferimento umano e sacerdotale, che mi portò con sé a Roma come suo consulente teologo; poi fui anche nominato perito conciliare. Per me è stata un’esperienza unica: dopo tutto il fervore e l’entusiasmo della preparazione, ho potuto vedere una Chiesa viva – quasi tremila Padri conciliari da tutte le parti del mondo riuniti sotto la guida del Successore dell’Apostolo Pietro – che si mette alla scuola dello Spirito Santo, il vero motore del Concilio. Rare volte nella storia si è potuto, come allora, quasi «toccare» concretamente l’universalità della Chiesa in un momento della grande realizzazione della sua missione di portare il Vangelo in ogni tempo e fino ai confini della terra. In questi giorni, se rivedrete le immagini dell’apertura di questa grande Assise, attraverso la televisione o gli altri mezzi di comunicazione, potrete percepire anche voi la gioia, la speranza e l’incoraggiamento che ha dato a tutti noi il prendere parte a questo evento di luce, che si irradia fino ad oggi.

Nella storia della Chiesa, come penso sappiate, vari Concili hanno preceduto il Vaticano II. Di solito queste grandi Assemblee ecclesiali sono state convocate per definire elementi fondamentali della fede, soprattutto correggendo errori che la mettevano in pericolo. Pensiamo al Concilio di Nicea nel 325, per contrastare l’eresia ariana e ribadire con chiarezza la divinità di Gesù Figlio Unigenito di Dio Padre; o a quello di Efeso, del 431, che definì Maria come Madre di Dio; a quello di Calcedonia, del 451, che affermò l’unica persona di Cristo in due nature, la natura divina e quella umana. Per venire più vicino a noi, dobbiamo nominare il Concilio di Trento, nel XVI secolo, che ha chiarito punti essenziali della dottrina cattolica di fronte alla Riforma protestante; oppure il Vaticano I, che iniziò a riflettere su varie tematiche, ma ebbe il tempo di produrre solo due documenti, uno sulla conoscenza di Dio, la rivelazione, la fede e i rapporti con la ragione e l’altro sul primato del Papa e sull’infallibilità, perché fu interrotto per l’occupazione di Roma nel settembre del 1870.

Se guardiamo al Concilio Ecumenico Vaticano II, vediamo che in quel momento del cammino della Chiesa non c’erano particolari errori di fede da correggere o condannare, né vi erano specifiche questioni di dottrina o di disciplina da chiarire. Si può capire allora la sorpresa del piccolo gruppo di Cardinali presenti nella sala capitolare del monastero benedettino a San Paolo Fuori le Mura, quando, il 25 gennaio 1959, il Beato Giovanni XXIII annunciò il Sinodo diocesano per Roma e il Concilio per la Chiesa Universale. La prima questione che si pose nella preparazione di questo grande evento fu proprio come cominciarlo, quale compito preciso attribuirgli. Il Beato Giovanni XXIII, nel discorso di apertura, l’11 ottobre di cinquant’anni fa, diede un’indicazione generale: la fede doveva parlare in un modo «rinnovato», più incisivo – perché il mondo stava rapidamente cambiando – mantenendo però intatti i suoi contenuti perenni, senza cedimenti o compromessi. Il Papa desiderava che la Chiesa riflettesse sulla sua fede, sulle verità che la guidano. Ma da questa seria, approfondita riflessione sulla fede, doveva essere delineato in modo nuovo il rapporto tra la Chiesa e l’età moderna, tra il Cristianesimo e certi elementi essenziali del pensiero moderno, non per conformarsi ad esso, ma per presentare a questo nostro mondo, che tende ad allontanarsi da Dio, l’esigenza del Vangelo in tutta la sua grandezza e in tutta la sua purezza (cfr Discorso alla Curia Romana per gli auguri natalizi, 22 dicembre 2005). Lo indica molto bene il Servo di Dio Paolo VI nell’omelia alla fine dell’ultima sessione del Concilio – il 7 dicembre 1965 – con parole straordinariamente attuali, quando afferma che, per valutare bene questo evento: «deve essere visto nel tempo in cui si è verificato. Infatti – dice il Papa – è avvenuto in un tempo in cui, come tutti riconoscono, gli uomini sono intenti al regno della terra piuttosto che al regno dei cieli; un tempo, aggiungiamo, in cui la dimenticanza di Dio si fa abituale, quasi la suggerisse il progresso scientifico; un tempo in cui l’atto fondamentale della persona umana, resa più cosciente di sé e della propria libertà, tende a rivendicare la propria autonomia assoluta, affrancandosi da ogni legge trascendente; un tempo in cui il “laicismo” è ritenuto la conseguenza legittima del pensiero moderno e la norma più saggia per l’ordinamento temporale della società… In questo tempo si è celebrato il nostro Concilio a lode di Dio, nel nome di Cristo, ispiratore lo Spirito Santo». Così Paolo VI. E concludeva indicando nella questione di Dio il punto centrale del Concilio, quel Dio, che «esiste realmente, vive, è una persona, è provvido, è infinitamente buono; anzi, non solo buono in sé, ma buono immensamente altresì per noi, è nostro Creatore, nostra verità, nostra felicità, a tal punto che l’uomo, quando si sforza di fissare la mente ed il cuore in Dio nella contemplazione, compie l’atto più alto e più pieno del suo animo, l’atto che ancor oggi può e deve essere il culmine degli innumerevoli campi dell’attività umana, dal quale essi ricevono la loro dignità» (AAS 58 [1966], 52-53).

Noi vediamo come il tempo in cui viviamo continui ad essere segnato da una dimenticanza e sordità nei confronti di Dio. Penso, allora, che dobbiamo imparare la lezione più semplice e più fondamentale del Concilio e cioè che il Cristianesimo nella sua essenza consiste nella fede in Dio, che è Amore trinitario, e nell’incontro, personale e comunitario, con Cristo che orienta e guida la vita: tutto il resto ne consegue. La cosa importante oggi, proprio come era nel desiderio dei Padri conciliari, è che si veda – di nuovo, con chiarezza – che Dio è presente, ci riguarda, ci risponde. E che, invece, quando manca la fede in Dio, crolla ciò che è essenziale, perché l’uomo perde la sua dignità profonda e ciò che rende grande la sua umanità, contro ogni riduzionismo. Il Concilio ci ricorda che la Chiesa, in tutte le sue componenti, ha il compito, il mandato di trasmettere la parola dell’amore di Dio che salva, perché sia ascoltata e accolta quella chiamata divina che contiene in sé la nostra beatitudine eterna.

Guardando in questa luce alla ricchezza contenuta nei documenti del Vaticano II, vorrei solo nominare le quattro Costituzioni, quasi i quattro punti cardinali della bussola capace di orientarci. La Costituzione sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium ci indica come nella Chiesa all’inizio c’è l’adorazione, c’è Dio, c’è la centralità del mistero della presenza di Cristo. E la Chiesa, corpo di Cristo e popolo pellegrinante nel tempo, ha come compito fondamentale quello di glorificare Dio, come esprime la Costituzione dogmatica Lumen gentium. Il terzo documento che vorrei citare è la Costituzione sulla divina Rivelazione Dei Verbum: la Parola vivente di Dio convoca la Chiesa e la vivifica lungo tutto il suo cammino nella storia. E il modo in cui la Chiesa porta al mondo intero la luce che ha ricevuto da Dio perché sia glorificato, è il tema di fondo della Costituzione pastorale Gaudium et spes.

Il Concilio Vaticano II è per noi un forte appello a riscoprire ogni giorno la bellezza della nostra fede, a conoscerla in modo profondo per un più intenso rapporto con il Signore, a vivere fino in fondo la nostra vocazione cristiana. La Vergine Maria, Madre di Cristo e di tutta la Chiesa, ci aiuti a realizzare e a portare a compimento quanto i Padri conciliari, animati dallo Spirito Santo, custodivano nel cuore: il desiderio che tutti possano conoscere il Vangelo e incontrare il Signore Gesù come via, verità e vita. Grazie.

Il sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione- Ottobre 2012

Ieri, 7 ottobre, con la solenne concelebrazione presieduta da Papa Benedetto XVI sul sagrato della Basilica si San Pietro in Roma, è iniziato il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione, che vede impegnati 262 membri del sinodo in un lavoro di riflessione e di proposte per risvegliare la fede nel mondo cristiano. Un compito non facile per tutti coloro che sono stati chiamati ad elaborare le proposte finali del Sinodo, in base anche ad un documento iniziale che è di conoscenza pubblica e al quale si può fare riferimento anche in questi giorni di lavori sinodali. Lavori che si concluderanno il 28 ottobre 2012 e saranno il preludio di un’esortazione post-sinodale a firma del Papa, come è prassi ormai nella Chiesa cattolica, dopo la celebrazione del Concilio Vaticano II. Questo sinodo si colloca nel cammino dell’anno della fede, che inizia l’11 ottobre 2012, in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’inizio di uno dei più importanti avvdnimenti ecclesiali del XX secolo, che fu il Concilio Vaticano II, una vera primavera dello Spirito che tanto benessere spirituale ha portato nella Chiesa e nella società contemporanei. I vari documenti approvati durante il Concilio sono punti di partenza per il cammino della Chiesa in questo terzo millennio dell’era cristiana. Da essi bisogna ripartire se vogliamo capire lo stesso sinodo in svolgimento a Roma e che sarà una valida occasione per riportare al centro della vita dei singoli cristiani, delle comunità cristiane, delle chiese locali, della chiesa universale, degli istituti di vita consacrata, dei pastori, dei fedeli laici, la fede da accogliere e da trasmettere.

Ecco il testo iniziale per i lavori sinodali.

SINODO DEI VESCOVI 2012.pdf

Trentasettesimo anniversario di sacerdozio di P.Antonio Rungi

Grazie Gesùmessapadreantonio.jpg

 

Ti rendo grazie Signore,

per tutti questi anni

che mi hai chiamato a seguirti

e a serviti nella vita religiosa e sacerdotale.

Hai pensato alla mia persona fin dall’eternità

Ed un giorno mi hai fatto intendere chiara la tua voce

Che mi diceva “Seguimi”.

Forte dell’entusiasmo e convinto che eri Tu Gesù, ho lasciato

I miei genitori, mia sorella, mio fratello, i miei parenti, i miei amici

I miei compagni di scuola, avendo appena 13 anni.

Da allora ho camminato sulle tue vie, quelle che Tu, Signore,

mi hai indicato di volta in volta, per arrivare al grande appuntamento della mia storia personale, a quel 6 ottobre 1975, a Napoli, quando il Vescovo imponendo sulla mia testa le sue mani mi consacrò sacerdote.

I pianti di sofferenza dei miei parenti alla mia partenza per un paese lontano, quando lasciai casa per farmi passionista e sacerdote, in quel giorno si trasformarono in lacrime di gioia, in lacrime di infinita gratitudine.

In questi 37 anni di vita sacerdotale è stato un susseguirsi di soli infiniti ed immensi doni che Tu, Signore, hai concesso a questa mia umile e povera persona.

Ho cercato di essere fedele alla tua chiamata sempre, nonostante le umane debolezze che sono insite in ogni persona umana e che la tua grazia e la tua benevolenza e vicinanza mi hanno aiutato a superare di volta in volta, facendomi scorgere quando sei buono e grande nell’amore.

Le anime che hai affidato alla mia cura pastorale e sacerdotale le ho considerato un dono immenso da rispettare, aiutare, amare, proteggere dalle forze del male. Ognuna di essa sta nel mio cuore e nelle mie preghiere, perché sono figli tuoi e frutto del Tuo Sangue prezioso versato per noi sulla croce.

Cosa dirti Gesù, attraverso la mia mamma celeste, la Vergine Maria, Regina di tutti i sacerdoti? Proteggimi e guidami nel difficile compito di essere un tuo discepolo secondo il tuo amabilissimo cuore e secondo i tuoi insegnamenti.

Che sia un pastore che vada a cercare la pecorella smarrita, e la riporti all’ovile della tua chiesa e alla vita della chiesa.

Che mi preoccupi di tanti che sono nel dolore e nella sofferenza, soprattutto in questi giorni tristi e difficili per l’umanità.

Che sia vicino ai bambini, perché possano sperimentale attraverso la mia umile persona quanto sei grande e quanto sei davvero dalla parte dei più piccoli, ben sapendo che scandalizzare anche uno solo di essi, significa non essere perdonato da Te in eterno.

Che sia vicino ai tanti giovani che ho avuto la gioia di incontrare nella mia vita di sacerdote e di insegnante, nel cuore dei quali vorrei che ci fosse anche un posto certo per Te.

Che mi preoccupi per quanti sono tristi, angosciati, soli e delusi dalla vita, dai propri cari, dagli affetti più naturali e che spesso si rivoltano contro di Te, perché non sanno quello che dicono e fanno, perchè grande è la sofferenza nel loro animo. 

Che sia tutto per tutti, senza fare preferenze a nessuno.

Che sappia amare ogni persona con la semplicità e la rettitudine del Tuo cuore.

Che sia sempre riconoscente a chi mi ha guidato sapientemente alla meta sacerdotale, in particolare i miei due speciali angeli del cielo, che sono mamma e papà, ma anche quanti nella formazione in convento hanno avuto un cuore di padre e mi hanno fatto amare la vita sacerdotale e missionaria, ieri come oggi.

Dirti grazie è il minimo indispensabile in questo giorno anniversario dei miei 37 anni di vita sacerdotale, che mi auguro possano essere ancora tantissimi altri per servire la Tua causa, Gesù, in questo anno della fede, che tutti richiama a credere fermamente in Te, sommo ed eterno sacerdote della nuova ed eterna alleanza di Dio con l’umanità. Amen.

 

Padre Antonio Rungi

Sacerdote passionista

6 ottobre 2012

Vedere il paradiso/5. Il sorriso dei bambini

 

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di padre Antonio Rungi

 

IL SORRISO DI UN BAMBINO 

Di fronte al sorriso e alla gioia di una bambino si tocca con mano il Paradiso. L’innocenza, la purezza, la tenerezza, la debolezza e tutto ciò che rende la creatura umana, all’inzio della sua vita biologica debole e fragile ti parla di Dio e del Paradiso. In questo Dio-bambino e in questo Paradiso di bambini bisogna immergersi per capire il vero volto di Dio. 

“In quel tempo, furono portati a Gesù dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li sgridavano. Gesù però disse loro: “Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli”. E dopo avere imposto loro le mani, se ne partì” (Mt 19,13-15). 

Come non ricordare in questo momento quello che disse con profondo accento di santo e profeta, Giovanni XXIII l’11 ottobre 1962 all’apertura del Concilio Vaticano II, di cui quest’anno ricorre il 50 anniversario e in coincidenza di esso sarà aperto l’anno della fede?  

“Cari figlioli, sento le vostre voci. La mia è una sola, ma riassume tutte le voci del mondo; e qui di fatto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera… Osservatela in alto, a guardare questo spettacolo… Noi chiudiamo una grande giornata di pace… Sì, di pace: ‘Gloria a Dio, e pace agli uomini di buona volontà’.  

Se domandassi, se potessi chiedere ora a ciascuno: voi da che parte venite? I figli di Roma, che sono qui specialmente rappresentati, risponderebbero: ah, noi siamo i figli più vicini, e voi siete il nostro vescovo. Ebbene, figlioli di Roma, voi sentite veramente di rappresentare la ‘Roma caput mundi’, la capitale del mondo, così come per disegno della Provvidenza è stata chiamata ad essere attraverso i secoli. 

La mia persona conta niente: è un fratello che parla a voi, un fratello divenuto padre per volontà di Nostro Signore… Continuiamo dunque a volerci bene, a volerci bene così; guardandoci così nell’incontro: cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte, se c’è, qualche cosa che ci può tenere un po’ in difficoltà… Tornando a casa, troverete i bambini. Date loro una carezza e dite: “Questa è la carezza del Papa”. Troverete forse qualche lacrima da asciugare. Abbiate per chi soffre una parola di conforto. Sappiano gli afflitti che il Papa è con i suoi figli specie nelle ore della mestizia e dell’amarezza… E poi tutti insieme ci animiamo: cantando, sospirando, piangendo, ma sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che ci ascolta, continuiamo a riprendere il nostro cammino. Addio, figlioli. Alla benedizione aggiungo l’augurio della buona notte”.  

Un Papa, Giovanni XXIII, il Papa Buono, già beato, parla della carezza ai bambini, espressione di quell’amore divino verso creature di Dio semplici ed innocenti ed un Papa, quello attuale, Benedetto XVI, denuncia la violenza sui bambini, perpetrata anche da uomini di chiesa, con una terribile malattia da condannare senza appello che è la pedofilia. Due mondi e due realtà completamente diverse, che si sono trasformate nell’arco di 50 anni di storia di questa umanità e di questo secolo. 

Allora si usciva dall’inferno della guerra e si aprivano all’orizzonte possibilità di ricostruzioni. I tempi nuovi erano maturi anche perché la chiesa si riformasse alla luce del vangelo, in cui i piccoli sono i veri padroni del Regno di Dio. Quel vangelo dei piccoli che dobbiamo saper riscoprire oggi, di fronte all’infanzia negata o violata. Basta pensare alla fame nel mondo, alla mancanza di famiglia, istruzione, del necessario ai bambini di tutte le nazioni. Rimane come un offesa di immensità enorme ogni tentativo di rivolgere ai bambini attenzioni che sono contro ogni legge morale, naturale e civile. L’infanzia merita il rispetto totale e chi offende l’infanzia non può avere nessuna tolleranza. 

Nel vangelo di Matteo leggiamo: “ 1In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». 2 Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: 3 «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. 4 Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. 5 E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. 6 Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. 7 Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!  8 Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo, taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno. 9 E se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato nella Geenna del fuoco. 10 Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli”. (Mt 18,1-10).

La gioia di Gesù è grande, quando vede che i bambini, i piccoli, capiscono le cose del Regno che lui annunciava alla gente. “Padre, io ti ringrazio!” (Mt 11,25-26) Gesù riconosce che i piccoli capiscono più dei dottori le cose del Regno! Quando Gesù, entrando nel Tempio, rovescia i tavoli dei cambiavalute, furono i bambini a gridare: “Osanna al Figlio di Davide!” (Mt 21,15). Criticati dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, Gesù li difende e nella sua difesa invoca le Scritture (Mt 21,16). Gesù abbraccia i piccoli e si identifica con loro. Chi accoglie un piccolo, accoglie Gesù (Mc 9, 37). “E ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me (Mt 25,40). Una delle parole più dure di Gesù è contro coloro che sono causa di scandalo per i piccoli, cioè, che sono il motivo per cui i piccoli non credono più in Dio. Per questo, meglio sarebbe per loro legarsi al collo una pietra da molino ed essere gettati nell’abisso del mare (Lc 17,1-2; Mt 18,5-7). Gesù condanna il sistema, sia politico che religioso, che è motivo per cui i piccoli, la gente umile, perde la sua fede in Dio. Gesù chiede ai suoi discepoli di diventare come bambini e di accettare il Regno come i bambini. Senza questo non è possibile entrare nel Regno (Lc 9,46-48). Indica che i bambini sono professori degli adulti. Ciò non era normale. Siamo abituati al contrario. Madri con figli che giungono vicino a Gesù per chiedere la benedizione. Gli apostoli reagiscono e le allontanano. Gesù corregge gli adulti ed accoglie le madri con i bambini. Accoglie i bambini e li abbraccia. “Lasciate che i piccoli vengano a me, non glielo impedite!” (Mc 10,13-16; Mt 19,13-15). Nelle norme dell’epoca, sia le mamme che i figli piccoli, vivevano, praticamente, in uno stato di impurità legale. Gesù non si lascia trascinare da questo. Sono molti i bambini ed i giovani che lui accoglie, cura e risuscita: la figlia di Giairo, di 12 anni (Mc 5,41-42), la figlia della donna Cananea (Mc 7,29-30), il figlio della vedova di Naim (Lc 7,14-15), il bambino epilettico (Mc 9,25-26), il figlio del Centurione (Lc 7,9-10), il figlio del funzionario pubblico (Gv. 4,50), il fanciullo con i cinque pani ed i due pesci (Gv. 6,9). 

Ecco il Paradiso di Gesù in terra, ecco il Paradiso della SS.Trinità in cielo. Chi vive a contatto con i bambini dai genitori, agli insegnanti, ai catechisti, ai parenti e ufficiali vari, ai medici, agli assistenti sociali sanno cosa significa essere dalla parte dei bambini. E’ vero che molte volte bisogna decodificare il linguaggio dei bambini che usa altri parametri di comunicazione e di segnalazione, ma resta un dovere di tutti intercettare la sofferenza di ogni bambino e di tutti i bambini del mondo, perché la sofferenza anche di un solo bambino su questa terra, non rende più felice il mondo ed il paradiso terrestre che è dei bambini, diventa il loro inferno il loro dolore. Ridiamo il paradiso ai bambini e facciamo si che ogni loro sorriso sia davvero espressione del paradiso dei piccoli e dei grandi, perché non ci può essere altro paradiso che quello dei bambini, per i bambini e con i bambini. Un mondo senza la gioia dei piccoli è un mondo destinato a morire nei sogni e nelle prospettive di vita. 

Riflessioni estive. Ho visto il Paradiso

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HO VISTO IL PARADISO/3

 

di padre Antonio Rungi

 

CIELI NUOVI E TERRA NUOVA

 

La nostra fede nell’eternità e una fede che guarda oltre gli orizzonti del tempo presente, immaginando un mondo diverso quando si concluderà per sempre la storia di questo universo. E mentre gli uomini gioiscono per i successi che perseguono in campo tecnologico, nella conquista dello spazio, fino a raggiungere con navicelle Marte, in cerca di un segnale di possibili vite oltre quella terrena, la nostra fede ci ricorda costantemente che tutto passerà e nel giudizio finale, nel secondo e definitivo avvento di Cristo tutto sarà trasformato. Il cielo di oggi saranno altri cieli e la terra di oggi sarà una terra nuova e diversa. La trasformazione, il cambiamento, la trasfigurazione del tempo nell’eternità. Ecco i cieli nuovi e la terra nuova dove segnerà per sempre la giustizia e la pace. 

“Alla fine dei tempi, il Regno di Dio giungerà alla sua pienezza. Dopo il Giudizio universale i giusti regneranno per sempre con Cristo, glorificati in corpo e anima, e lo stesso universo sarà rinnovato: Allora la Chiesa. . . avrà il suo compimento. . . nella gloria del cielo, quando verrà il tempo della restaurazione di tutte le cose e quando col genere umano anche tutto il mondo, il quale è intimamente unito con l’uomo e per mezzo di lui arriva al suo fine, sarà perfettamente ricapitolato in Cristo [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 48]. (CCC, 1042). 

Certo, il linguaggio biblico usato per dire esattamente cosa avverrà ci aiuta a capire meglio quello che noi non vedremo, ma che forse vedranno quelli che Dio ha deciso che saranno presenti su questa terra al momento deciso della storia della creazione. 

“Questo misterioso rinnovamento, che trasformerà l’umanità e il mondo, dalla Sacra Scrittura è definito con l’espressione: “i nuovi cieli e una terra nuova” (2Pt 3,13) [Cf Ap 21,1 ]. Sarà la realizzazione definitiva del disegno di Dio di “ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra” (Ef 1,10). (CCC,1043). 

Pensare a questo evento, alle ultime cose, la escatologia, è pensare al bello, al definitivo, a tutto ciò che non sarà più come prima. E’ pensare al Paradiso. Infatti, “in questo nuovo universo, [Cf Ap 21,5 ] la Gerusalemme celeste, Dio avrà la sua dimora in mezzo agli uomini. Egli “tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno perché le cose di prima sono passate” ( Ap 21,4) [Cf  Ap 21,27 ]. 

L’assenza di ogni dolore, sofferenza, della morte, di tutto ciò che limita la felicità dell’uomo terrestre di oggi è sicuramente un motivo di guardare al futuro eterno nel segno della speranza, della riconciliazione, della pace, dell’unità del genere umana, senza più divisioni e guerre. “Per l’uomo questo compimento sarà la realizzazione definitiva dell’unità del genere umano, voluta da Dio fin dalla creazione e di cui la Chiesa nella storia è “come sacramento” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 1]. Coloro che saranno uniti a Cristo formeranno la comunità dei redenti, la “Città santa” di Dio (Ap 21,2), “la Sposa dell’Agnello” (Ap 21,9). Essa non sarà più ferita dal peccato, dalle impurità, [Cf  Ap 21,27 ] dall’amor proprio, che distruggono o feriscono la comunità terrena degli uomini. La visione beatifica, nella quale Dio si manifesterà in modo inesauribile agli eletti, sarà sorgente perenne di gaudio, di pace e di reciproca comunione”. (CCC,1045). 

Non diversa sarà la sorte dell’intera creazione, che avrà un’altra configurazione. Infatti, per “quanto al cosmo, la Rivelazione afferma la profonda comunione di destino fra il mondo materiale e l’uomo: La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio. . . e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione. . . Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo” ( Rm 8,19-23). (CCC,1046). 

Ed aggiunge circa il mondo che noi oggi osserviamo con i nostri occhi: “Anche l’universo visibile, dunque, è destinato ad essere trasformato, “affinché il mondo stesso, restaurato nel suo stato primitivo, sia, senza più alcun ostacolo, al servizio dei giusti”, partecipando alla loro glorificazione in Gesù Cristo risorto [Sant’Ireneo di Lione, Adversus haereses, 5, 32, 1]. 

Molti sono tentati dalla paura che tutto questo possa avvenire quanto prima e che passerà la scena di questo mondo nell’immediato. Incidono su queste concezioni millenaristiche o apocalittiche molte delle idee di oggi e molte delle situazioni che viviamo quotidianamente con tanti drammi, difficoltà, terremoti, cataclismi, tragedie. La paura della fine del mondo è nell’idea di molti e qualcuno gioca anche in questa direzione per spingere l’uomo a permettersi ogni cosa, lecita ed illecita, considerato che tutto passa e passa in fretta. Però sappiamo con assoluta verità che noi  “ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l’umanità, e non sappiamo il modo in cui sarà trasformato l’universo. Passa certamente l’aspetto di questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo, però, dalla Rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 39]. (CCC,1048). Ed aggiunge il Magistero della Chiesa che ci richiama costantemente sulle verità di fede, ma anche sulla corrispondenza etica alla fede che “tuttavia l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce a offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo. Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del Regno di Cristo, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, tale progresso è di grande importanza” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 39]. (CCC, 1049).  “Infatti. . . tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando Cristo rimetterà al Padre il Regno eterno e universale” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 39]. Dio allora sarà “tutto in tutti” ( 1Cor 15,28), nella vita eterna: La vita, nella sua stessa realtà e verità, è il Padre, che attraverso il Figlio nello Spirito Santo, riversa come fonte su tutti noi i suoi doni celesti. E per la sua bontà promette veramente anche a noi uomini i beni divini della vita eterna [ San Cirillo di Gerusalemme, Catecheses illuminandorum, 18, 29: PG 33, 1049, cf Liturgia delle Ore, III, Ufficio delle letture del giovedì della diciassettesima settimana. [Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 28.] 

Di quello che abbiamo fatto, di quello che abbiamo seminato, nell’eternità ritroveremo i frutti per la nostra vita futura. Saranno frutti abbondanti e purificati nella forma e nella sostanza e che ci assicureranno il vero cibo quello eterno e che non si esaurirà mai, perché saremmo nella pace di Dio, saremo nel Paradiso.

 

 

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HO VISTO IL PARADISO/2

 

di padre Antonio Rungi

 

IL CIELO

 

Nel Catechismo della Chiesa Cattolica si parla del Cielo, come ultimo destino dell’uomo, come la vera e definitiva patria per tutti noi. Leggiamo, infatti, in questo documento dottrinale di grande importanza per tutti i cattolici, soprattutto in questo anno della fede, che ci apprestiamo a celebrare: “Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati, vivono per sempre con Cristo. Sono per sempre simili a Dio, perché lo vedono “così come egli è” (1Gv 3,2), faccia a faccia: [Cf 1Cor 13,12; Ap 22,4] (CCC, 1023). In poche parole noi saremo con le nostre sole anime, in attesa della risurrezione finale, nel cielo, quel cielo non fisico, ma spirituale, quel luogo eterno in cui dimoreremo per sempre con Dio e con quanti hanno raggiunto il cielo o il paradiso. Le definizioni dogmatiche al riguardo ci possono aiutare a capire cosa sia il cielo e come e cosa è il paradiso per un credente, dopo la morte corporale. “Con la nostra apostolica autorità definiamo che, per disposizione generale di Dio, le anime di tutti i santi morti prima della passione di Cristo. . . e quelle di tutti i fedeli morti dopo aver ricevuto il santo Battesimo di Cristo, nelle quali al momento della morte non c’era o non ci sarà nulla da purificare, oppure, se in esse ci sarà stato o ci sarà qualcosa da purificare, quando, dopo la morte, si saranno purificate. . ., anche prima della risurrezione dei loro corpi e del giudizio universale – e questo dopo l’Ascensione del Signore e Salvatore Gesù Cristo al cielo – sono state, sono e saranno in cielo, associate al Regno dei cieli e al Paradiso celeste con Cristo, insieme con i santi angeli. E dopo la passione e la morte del nostro Signore Gesù Cristo, esse hanno visto e vedono l’essenza divina in una visione intuitiva e anche a faccia a faccia, senza la mediazione di alcuna creatura [Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: Denz. -Schönm., 1000; cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 49].

Bellissima ed espressiva la terminologia usata dal Catechismo per parlarci del cielo. “Questa vita perfetta, questa comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità, con la Vergine Maria, gli angeli e tutti i beati è chiamata “il cielo”. Il cielo è il fine ultimo dell’uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva” (CCC,2024). Il cielo oltre ad arrivarci è importante viverci. E vivere in cielo non significa solo avere lo sguardo proiettato verso l’eternità e svolgere la propria vita con la massima gioia, ma vivere in cielo è possedere per sempre Dio, la nostra vera felicità. “Vivere in cielo è “essere con Cristo” [Cf Gv 14,3; Fil 1,23; 1Ts 4,17 ]. Gli eletti vivono “in lui”, ma conservando, anzi, trovando la loro vera identità, il loro proprio nome: [Cf Ap 2,17 ] (CCC,1025). La vita, infatti, è stare con Cristo, perché dove c’è Cristo, là c’è la vita, là c’è il Regno [Sant’Ambrogio, Expositio Evangelii secundum Lucam, 10, 121: PL 15, 1834A]. Come si vive in cielo, è il Magistero della Chiesa, interpretando la parola di Dio, ce ne dà l’esatta dimensione. “Con la sua morte e la sua Risurrezione Gesù Cristo ci ha “aperto” il cielo. La vita dei beati consiste nel pieno possesso dei frutti della Redenzione compiuta da Cristo, il quale associa alla sua glorificazione celeste coloro che hanno creduto in lui e che sono rimasti fedeli alla sua volontà. Il cielo è la beata comunità di tutti coloro che sono perfettamente incorporati in lui” (CCC,1026). Capire che cosa sia il cielo e come si vive in esso, dalla prospettiva umana e terrena è impresa non facile. E’ un mistero, che si svelerà completamente alla nostra persona dopo la morte. “Questo mistero di comunione beata con Dio e con tutti coloro che sono in Cristo supera ogni possibilità di comprensione e di descrizione. La Scrittura ce ne parla con immagini: vita, luce, pace, banchetto di nozze, vino del Regno, casa del Padre, Gerusalemme celeste, paradiso: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano” (1Cor 2,9). (CCC, 1027).Certamente per la nostra limitatezza umana, per la nostra pochezza umana, non possiamo vedere Dio così come Egli è, nell’eternità. Possiamo solo rappresentarlo ai nostri occhi e alla nostra mente, attraverso la riflessione, la preghiera, l’immaginazione, ciò che ci Dio la Sacra Scrittura su di Lui. Ma come Egli effettivamente sia non è dato sapere ad alcun mortale. Infatti “a motivo della sua trascendenza, Dio non può essere visto quale è se non quando egli stesso apre il suo Mistero alla contemplazione immediata dell’uomo e gliene dona la capacità. Questa contemplazione di Dio nella sua gloria celeste è chiamata dalla Chiesa la “la visione beatifica”: Questa sarà la tua gloria e la tua felicità: essere ammesso a vedere Dio, avere l’onore di partecipare alle gioie della salvezza e della luce eterna insieme con Cristo, il Signore tuo Dio, . . . godere nel Regno dei cieli, insieme con i giusti e gli amici di Dio, le gioie dell’immortalità raggiunta [San Cipriano di Cartagine, Epistulae, 56, 10, 1: PL 4, 357B]. (CCC, 1018).E allora cosa si farà per sempre nel cielo. Come si gode della visione eterna di Dio? “Nella gloria del cielo i beati continuano a compiere con gioia la volontà di Dio in rapporto agli altri uomini e all’intera creazione. Regnano già con Cristo; con lui “regneranno nei secoli dei secoli” (Ap 22,5) [Cf Mt 25,21; Mt 25,23) (CCC, 1029). Come dire in termini umani, più accessibili a noi: lì saremo beati davvero, non avremo altri problemi se non quello di non avere problemi, in quanto tutto è risolto per sempre e nella massima armonia, esattezza e perfezione.

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HO VISTO IL PARADISO/1

di padre Antonio Rungi

Da poco ero rientrato nel mio convento passionista di Itri (Lt) da un impegno di predicazione a Caivano, in provincia di Napoli, dove ogni anno il 6 agosto, in occasione della Festa della Trasfigurazione, si celebra la festa del Volto Santo, e stavo sul terrazzo a contemplare il cielo stellato che si apriva sulla mia testa nella sua maestosità e infinitezza. Erano verso le 23 del 6 agosto del 2012, quando ho visto, quasi fisicamente, aprirsi davanti ai miei occhi l’infinito e gioioso mondo di Dio, quel Paradiso a cui tutti, noi credenti, aspiriamo di arrivare con il nostro impegno nel tempo.

Durante la mia predica a Caivano avevo parlato di questo, del Monte Tabor, della Trasfigurazione del Signore davanti ai suoi tre apostoli scelti da lui per far loro “vedere” come è davvero il Volto di Dio, il Volto luminoso che Gesù, Figlio dell’Eterno Padre, ci ha rivelato con la sua venuta tra noi mortali. Ero preso ancora dalle parole che lo Spirito Santo aveva suggerito alla mia povera mente ed intelligenza di dire in quel momento. Mi sorprendo sempre di più e resto affascinato e molte volte interdetto come io, povero mortale, possa parlare il linguaggio di Dio, della fede, della religione cristiana cattolica con tanta facilità e semplicità, con tanta incidenza nel cuore degli ascoltatori, al punto tale che davvero sono stra-convinto che è lo Spirito santo che parla in voi. Non vi preoccupate di dire le cose, soprattutto davanti ai tribunali del mondo e ai vari tribunali delle ragioni sufficienti che vogliono dimostro tutto e subito ogni cosa, che è lo Spirito Santo a dire attraverso la vostra voce ciò che è necessario proclamare come parola di Dio e della Chiesa.

Sì la predica sulla Trasfigurazione e sulla festa del Volto santo aveva lasciato il segno nelle diverse centinaia di persone presenti nella Chiesa di San Pietro Apostolo in Caivano, tanto da congratularsi con me, dopo la messa. Come sempre un po’ restio alle congratulazioni ed apprezzamenti su quanto dico in nome di Dio e della Chiesa nelle mie prediche, mi fece riflettere una valutazione di una persona anziana, che da anni come me si ritrova all’appuntamento con la festa del Volto Santo, ogni anno il 6 agosto: “Questa sera siete stato eccezionale, come sempre, ma c’era una spinta in più”. Sicuramente era la verità. Le persone quando vengono in chiesa con il desiderio di sentire e lasciarsi toccare dalla parola di Dio riesco a capire ed andare oltre lo stesso nostro modo di comunicare. Evidentemente avevano capito bene, c’era in me una spinta di spiritualità maggiore che io facilmente ho potuto giustificare e inquadrare nel tutto. Come ministro della parola e dell’eucaristia è di norma che quando parliamo dall’altare e siamo coerenti alla parola di Dio e al magistero è Cristo stesso che parla e la Chiesa che insegna. Ma io venivo da una forte esperienza di predicazione di esercizi spirituali, di due turni, tra fine luglio ed inizio agosto, tenuti alle Suore Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato, congregazione religiosa femminile, fondata dalla Beata Maria Cristina Brando, la cui causa di canonizzazione volge al termine, durante i quali avevo parlato dell’educazione permanente di ogni anima consacrata e della conformazione  a Cristo.

Ero quindi pieno spiritualmente di tante considerazioni, meditazione e contemplazioni condivise con le religiose, molte delle quali giovanissime e di origine filippina, indonesiana, colombiana, brasiliana, con una buona presenza di religiose più mature di origine italiana, che avevano messo nel mio cuore una spinta di spiritualità in più rispetto al normale modo di predicare. Quindi l’omelia, di quasi 20 minuti, aveva affascinato tutti i presenti, nonostante un caldo asfissiante in quella chiesa, che solo pochi ventagli di signore e signorine, mossi con prudenza per non dare fastidio all’oratore, facevano muovere un po’ di aria, che giungeva sull’altare calda, come torrido era il clima di quel 6 agosto 2012.

Avevo parlato del Paradiso e come, secondo la parola di Dio, gli insegnamenti di Gesù, si può raggiungere il cielo, avevo parlato della pazienza e della sopportazione, della capacità di non far del male agli altri, visto che una volta fatto la piaga resta, nonostante il pentimento e il perdono.

Avevo raccontato un aneddoto che circolava in rete, come un vero tam tam e che ha il suo fascino e il suo insegnamento, e che per una riflessione personale riporto qui in questo contesto di approfondimento di concetti teologici e spirituali molto più consistenti.

“C’era una volta un ragazzo con un pessimo carattere. Suo padre gli diede un sacchetto di chiodi e gli disse di piantarne uno sul muro del giardino ogni volta che avrebbe perso la pazienza e avrebbe litigato con qualcuno. Il primo giorno ne piantò 37 nel muro. Le settimane successive, imparò a controllarsi, ed il numero di chiodi piantati diminuì giorno dopo giorno: aveva scoperto che era più facile controllarsi che piantare chiodi. Infine, arrivò un giorno in cui il ragazzo non piantò nessun chiodo sul muro. Allora andò da suo padre e gli disse che quel giorno non aveva piantato nessun chiodo. Suo padre gli disse allora di togliere un chiodo dal muro per ogni giorno in cui non avesse mai perso la pazienza. I giorni passarono e infine il giovane poté dire a suo padre che aveva levato tutti i chiodi dal muro. Il padre condusse il figlio davanti al muro e gli disse: “Figlio mio, ti sei comportato bene, ma guarda tutti i buchi che ci sono sul muro. Non sarà mai come prima. Quando litighi con qualcuno e gli dici qualcosa di cattivo, gli lasci una ferita come questa. Puoi piantare un coltello in un uomo e poi tirarglielo via, ma gli resterà sempre una ferita. Poco importa quante volte ti scuserai, la ferita resterà. E una ferita verbale fa male tanto quanto una fisica” (Anonimo, Il sacchetto dei chiodi).

Lezioni di vita che proiettano la nostra esistenza oltre il tempo, in quella eternità beata alla quale tutti siamo diretti e sulla quale tutti dovremmo riflettere più frequentemente. Eternità è sinonimo di Paradiso. Da qui il bisogno di alzare gli occhi al cielo in una notte stellata di agosto e guardare ilo cielo e con gli occhi della fede, vedere Dio, vedere il Paradiso. Sì perché Dio si fa vedere con quegli occhi puri e semplici della fede semplice, che sa meravigliarsi di fronte all’immensità del cielo, alla profondità del mare e alla bellezza del creato. E allora alzi gli occhi al cielo in una notte stellata e ti rivolgi a Lui per dirgli semplicemente “Grazie”. Grazie perché esisti davvero, grazie perché hai creato ogni cosa bene e bella, grazie perché ci hai dato la vita, grazie perché ci hai dato il soffrire, grazie perché solo Tu, o Dio, Creatore e Padre, meriti il nostro infinito ed immenso grazie, sempre, perché ci ami e ami davvero!

Le meditazioni per il corso di esercizi spirituali

esercizispirituali2012.pdf

In allegato il file pdf delle meditazioni dettate alle Suore Vittime Espitarici di Gesù Sacramentato di Casoria (Napoli), fondate dalla Beata Maria Cristina Brando, durante i due turni di esercizi spirituali, tenuti a Roma dal 23 al 27 luglio e dal 30 luglio al 3 agosto 2012, presso la struttura di Villa M.C.Brando in Via Cassia Roma.

ATTENDERE UN PO’ PER VISUALIZZARE IL FILE CHE E’ MOLTO PESANTE. SI APRE DOPO UN PO’ DI TEMPO, MA SI APRE DI CERTO IN QUANTO E’ IN FORMATO PDF.

P.Antonio Rungi cp

Mondragone (Ce). Estate in preghiera con le Suore della Stella Maris

Foto-0343.jpg“E…state in preghiera” è questo il motto scelto dalle Suore di Gesù Redentore, istituto Stella Maris di Mondragone, per caratterizzare il loro impegno di accoglienza degli ospiti e villeggianti nella loro casa di ospitalità estiva ed invernale. La formula preghiera, spiaggia, mare e sano divertimento è quella ormai collaudata da anni e che alla Stella Maris riscuote ogni anno il successo necessario. Infatti gli ospiti e i villeggianti condividono con la comunità religiosa, composta da sei suore, i momenti della preghiera e della ricreazione, mentre è lasciato libero il tempo per il mare e la spiaggia. La giornata tipo per trascorre il periodo estivo curando lo spirito ed il corpo è così strutturata: Lodi del Mattino (in spiaggia o in cappellina); S.Messa quotidiana alle ore 7,30 nella cappella dell’Istituto; Ora media ed Angelus alle 11,45 nella cappellina. Ore 17.00 Vespro (in spiaggia o in cappella). Ore 19.00: Adorazione eucaristica in cappella. Ore 21.00 Santo Rosario in spiaggia sotto i gazebi allestiti nello spazio antistante la Stella Maris. Ore 22.00 Compieta nel giardino dell’Istituto. Chi vuole alimentarsi spiritualmente durante la giornata trova qui l’ambiente ideale, in quanto la casa religiosa, dopo aver svolto per oltre 60 anni il compito di convitto per i minori e colonia estiva, dal 2007 è stata trasformata e finalizzata a Casa di Ospitalità, di preghiera, di accoglienza, valorizzata in modo pieno e completo durante i tre mesi estivi luglio-settembre. Tutto esaurito anche per la stagione estiva 2012 e ad utilizzare la struttura non sono solo persone anziane, ma famiglie, giovani e gruppi, che hanno la possibilità di autogestirsi. Chiaramente sono gruppi di ispirazione cristiana o facenti parte delle comunità parrocchiali o di altre istituzioni religiose, che fanno capo alle Suore della Stella Maris di Mondragone in quanto più disponibili ad un’accoglienza a 360 gradi, che comprende la spiritualità, il sano divertimento e la fraternità. Già con la prima domenica di luglio, l’attività estiva è andata a regime, in quanto la struttura in questi giorni ospita circa 30 persone e già i villeggianti valorizzano i servizi religiosi e spirituali che le Suore della Stella Maris assicurano contestaulmente a tutti gli altri servizi per una qualificata e positiva vacanza al mare. In particolare, le Suore daranno significativa rilevanza ai momenti di raccoglimento che si vivranno a contatto con la natura, all’alba e al tramonto. Sono infatti previste le Lodi al Mattino, il Vespro ed il Rosario all’imbrunire e la Compieta a conclusione della giornata. Nessuna costrizione per gli ospiti, ma solo una proposta di spiritualità estiva che molti gradiscono e, proprio in ragione di questo, optano per chiedere di trascorrere le vacanze alla Stella Maris. La stuttura, d’altronde, è situata al 10 metri dal mare e per l’Istituto è riservato un ampio spazio sulla spiaggia, dove vengono allestiti i gazebi che servono anche come punti di riferimento per la preghiera del mattino e della sera. “Notiamo un crescente bisogno di preghiera  e di Dio nei nostri villeggianti -afferma la responsabile della Stella Maris, Suor Maria Paola – segno evidente della riscoperta della fede o del potenziamento della stessa anche nel periodo estivo. Questa estate 2012, la vogliamo impegnare per preparare adeguatamente i nostri ospiti ad accogliere l’anno della fede indetto da Papa Benedetto XVI nelle migliori condizioni spirituali possibile. Anche il periodo estivo e il cammino spirituale di questi giorni di vacanze appena iniziati possono dare un valido contributo a quanti sono cristiani ed hanno a cuore la loro salute spirituale e anche quella fisica e corporale. Noi auguriamo ai nostri ospiti di trascorrere giornate serenamente ricche da un punto di vista interiore, perché il resto è assciurato da un servizio di accoglienza che nel rispetto delle norme, garantisce il giusto clima per una vera e completa vacanza estiva in riva al mare, ma con il cuore costantemente rivolto al Dio creatore e a Gesù Cristo Redentore”.

 

Papa Benedetto XVI. No alla cultura della menzogna e della calunnia. Condanna senza appello dei calunniatori e dei menzognieri

1338392246141_stendardo_sul_duomo_OK.jpgCon il battesimo siamo “uniti a Dio in una nuova esistenza, apparteniamo a Dio, siamo immersi in Dio stesso”. Lo ha ricordato Benedetto XVI aprendo ieri sera, 11 giugno 2012, nella basilica romana di San Giovanni in Laterano, l’annuale Convegno ecclesiale pastorale della diocesi di Roma, che ha per tema “Andate e fate discepoli, battezzando e insegnando (Mt 28, 19-20). Riscopriamo la bellezza del Battesimo”. “Prima conseguenza del battesimo”, ha sottolineato il Papa in una catechesi tenuta interamente a braccio, è “la centralità di Dio nella nostra vita”, ovvero Dio “non è una stella lontana, ma l’ambiente della mia vita”. In secondo luogo “divenire cristiani non è qualcosa che segue dalla mia decisione. Certo, anche la mia decisione è necessaria”, ma è Dio che “mi prende in mano e realizza la mia vita in questa nuova dimensione”. “Essere fatti cristiani da Dio – ha precisato – implica questo mistero della Croce: solo morendo al mio egoismo, uscendo da me stesso posso dirmi cristiano”. Terza conseguenza del battesimo, ha annotato il Pontefice, è l’unione “ai fratelli e alle sorelle”, poiché “essere battezzati non è mai un atto solitario”. Il rito sacramentale, ha evidenziato, “si compone da due elementi, la materia – acqua – e la parola”. “Il cristianesimo non è qualcosa di puramente spirituale”, ha aggiunto, ma “una realtà cosmica”, “la materia fa parte della nostra fede”. Ha aggiunto Papa Benedetto: “Rinunce, promesse e invocazioni” compongono la liturgia battesimale. “Non sono solo parole, ma cammino di vita. In esse – ha puntualizzato papa Ratzinger – si realizza una decisione, è presente tutto il nostro cammino battesimale”. “Il sacramento del battesimo non è un atto di un’ora, ma un cammino di tutta la nostra vita”, “siamo sempre in cammino battesimale e catecumenale”. Benedetto XVI ha quindi riflettuto sulla “dottrina delle due vie”, che si esprime con il triplice rinunzio e il triplice credo. Un tempo “le seduzioni del male” venivano chiamate “la pompa del diavolo”. Erano “soprattutto i grandi spettacoli cruenti, dove la crudeltà diventa divertimento”. Ma oltre a questi s’intendeva “un tipo di cultura nel quale non conta la verità ma l’apparenza, l’effetto, la sensazione, e sotto il pretesto della verità in realtà si distruggono uomini”. “Conosciamo anche oggi – ha puntualizzato il Papa – un tipo di cultura dove non conta la verità, anche se apparentemente si vuole far apparire tutta la verità. Contano solo la sensazione e lo spirito di calunnia e distruzione. Una cultura che non cerca il bene, in cui il moralismo è una maschera in realtà per confondere, per creare distruzione e confusione”. “Contro questa cultura dove la menzogna si presenta sotto la veste della verità e della diffamazione, contro questa cultura che cerca solo il benessere materiale e nega Dio diciamo no”.
Ha sottolineato inoltre che vi è poi la rinunzia al peccato, e se oggi si contrappone la libertà all’osservanza dei comandamenti, “in realtà questa’apparente libertà diventa subito schiavitù”. Terza, la rinunzia a Satana, perché “c’è un sì a Dio e un no al potere del maligno”. Benedetto XVI ha presentato il simbolo dell’acqua mostrandone i due significati. “Da una parte fa pensare al mare, soprattutto al mar Rosso”, e qui si presenta come morte “per arrivare a una nuova vita”. Il battesimo “è morte a una certa esistenza e rinascita a una nuova vita”. Contrapposta alla morte è la vita, e l’acqua richiama la fonte, “origine di tutta la vita”. Infine, a chi s’interroga se sia giusto battezzare i bambini, o sia meglio “fare prima il cammino catecumenale”, “queste domande – ha risposto il Papa – mostrano che non vediamo più nella vita cristiana la vita nuova, la vera vita, ma una scelta tra le altre, anche un peso che non si dovrebbe imporre senza avere il consenso del soggetto”. Ma “la vita stessa ci viene data necessariamente senza consenso previo”. La domanda, quindi, sarebbe: è giusto dare la vita senza che il nascituro abbia la possibilità di decidere? “È possibile e giusto – ha da ultimo risposto papa Ratzinger – soltanto se con la vita possiamo dare anche la garanzia che questa vita è buona e protetta da Dio, è un vero dono”.

IL PAPA A MILANO- I DISCORSI

Fedeli_Duomo04.jpgDIALOGO DEL SANTO PADRE CON LE FAMIGLIE

1. CAT TIEN (bambina dal Vietnam):

Ciao, Papa. Sono Cat Tien, vengo dal Vietnam.

Ho sette anni e ti voglio presentare la mia famiglia. Lui è il mio papà, Dan e la mia mamma si chiama Tao, e lui è il mio fratellino Binh.

Mi piacerebbe tanto sapere qualcosa della tua famiglia e di quando eri piccolo come me…

SANTO PADRE: Grazie, carissima, e ai genitori: grazie di cuore. Allora, hai chiesto come sono i ricordi della mia famiglia: sarebbero tanti! Volevo dire solo poche cose. Il punto essenziale per la famiglia era per noi sempre la domenica, ma la domenica cominciava già il sabato pomeriggio. Il padre ci diceva le letture, le letture della domenica, da un libro molto diffuso in quel tempo in Germania, dove erano anche spiegati i testi. Così cominciava la domenica: entravamo già nella liturgia, in atmosfera di gioia. Il giorno dopo andavamo a Messa. Io sono di casa vicino a Salisburgo, quindi abbiamo avuto molta musica – Mozart, Schubert, Haydn – e quando cominciava il Kyrie era come se si aprisse il cielo. E poi a casa era importante, naturalmente, il grande pranzo insieme. E poi abbiamo cantato molto: mio fratello è un grande musicista, ha fatto delle composizioni già da ragazzo per noi tutti, così tutta la famiglia cantava. Il papà suonava la cetra e cantava; sono momenti indimenticabili. Poi, naturalmente, abbiamo fatto insieme viaggi, camminate; eravamo vicino ad un bosco e così camminare nei boschi era una cosa molto bella: avventure, giochi eccetera. In una parola, eravamo un cuore e un’anima sola, con tante esperienze comuni, anche in tempi molto difficili, perché era il tempo della guerra, prima della dittatura, poi della povertà. Ma questo amore reciproco che c’era tra di noi, questa gioia anche per cose semplici era forte e così si potevano superare e sopportare anche queste cose. Mi sembra che questo fosse molto importante: che anche cose piccole hanno dato gioia, perché così si esprimeva il cuore dell’altro. E così siamo cresciuti nella certezza che è buono essere un uomo, perché vedevamo che la bontà di Dio si rifletteva nei genitori e nei fratelli. E, per dire la verità, se cerco di immaginare un po’ come sarà in Paradiso, mi sembra sempre il tempo della mia giovinezza, della mia infanzia. Così, in questo contesto di fiducia, di gioia e di amore eravamo felici e penso che in Paradiso dovrebbe essere simile a come era nella mia gioventù. In questo senso spero di andare «a casa», andando verso l’«altra parte del mondo».

2. SERGE RAZAFINBONY E FARA ANDRIANOMBONANA (Coppia di fidanzati dal Madagascar):

SERGE: Santità, siamo Fara e Serge, e veniamo dal Madagascar.

Ci siamo conosciuti a Firenze dove stiamo studiando, io ingegneria e lei economia. Siamo fidanzati da quattro anni e non appena laureati sogniamo di tornare nel nostro Paese per dare una mano alla nostra gente, anche attraverso la nostra professione.

FARA: I modelli famigliari che dominano l’Occidente non ci convincono, ma siamo consci che anche molti tradizionalismi della nostra Africa vadano in qualche modo superati. Ci sentiamo fatti l’uno per l’altro; per questo vogliamo sposarci e costruire un futuro insieme. Vogliamo anche che ogni aspetto della nostra vita sia orientato dai valori del Vangelo.

Ma parlando di matrimonio, Santità, c’è una parola che più d’ogni altra ci attrae e allo stesso tempo ci spaventa: il «per sempre»…

SANTO PADRE: Cari amici, grazie per questa testimonianza. La mia preghiera vi accompagna in questo cammino di fidanzamento e spero che possiate creare, con i valori del Vangelo, una famiglia «per sempre». Lei ha accennato a diversi tipi di matrimonio: conosciamo il «mariage coutumier» dell’Africa e il matrimonio occidentale. Anche in Europa, per dire la verità, fino all’Ottocento, c’era un altro modello di matrimonio dominante, come adesso: spesso il matrimonio era in realtà un contratto tra clan, dove si cercava di conservare il clan, di aprire il futuro, di difendere le proprietà, eccetera. Si cercava l’uno per l’altro da parte del clan, sperando che fossero adatti l’uno all’altro. Così era in parte anche nei nostri paesi. Io mi ricordo che in un piccolo paese, nel quale sono andato a scuola, era in gran parte ancora così. Ma poi, dall’Ottocento, segue l’emancipazione dell’individuo, la libertà della persona, e il matrimonio non è più basato sulla volontà di altri, ma sulla propria scelta; precede l’innamoramento, diventa poi fidanzamento e quindi matrimonio. In quel tempo tutti eravamo convinti che questo fosse l’unico modello giusto e che l’amore di per sé garantisse il «sempre», perché l’amore è assoluto, vuole tutto e quindi anche la totalità del tempo: è «per sempre». Purtroppo, la realtà non era così: si vede che l’innamoramento è bello, ma forse non sempre perpetuo, così come è il sentimento: non rimane per sempre. Quindi, si vede che il passaggio dall’innamoramento al fidanzamento e poi al matrimonio esige diverse decisioni, esperienze interiori. Come ho detto, è bello questo sentimento dell’amore, ma deve essere purificato, deve andare in un cammino di discernimento, cioè devono entrare anche la ragione e la volontà; devono unirsi ragione, sentimento e volontà. Nel Rito del Matrimonio, la Chiesa non dice: «Sei innamorato?», ma «Vuoi», «Sei deciso». Cioè: l’innamoramento deve divenire vero amore coinvolgendo la volontà e la ragione in un cammino, che è quello del fidanzamento, di purificazione, di più grande profondità, così che realmente tutto l’uomo, con tutte le sue capacità, con il discernimento della ragione, la forza di volontà, dice: «Sì, questa è la mia vita». Io penso spesso alle nozze di Cana. Il primo vino è bellissimo: è l’innamoramento. Ma non dura fino alla fine: deve venire un secondo vino, cioè deve fermentare e crescere, maturare. Un amore definitivo che diventi realmente «secondo vino» è più bello, migliore del primo vino. E questo dobbiamo cercare. E qui è importante anche che l’io non sia isolato, l’io e il tu, ma che sia coinvolta anche la comunità della parrocchia, la Chiesa, gli amici. Questo, tutta la personalizzazione giusta, la comunione di vita con altri, con famiglie che si appoggiano l’una all’altra, è molto importante e solo così, in questo coinvolgimento della comunità, degli amici, della Chiesa, della fede, di Dio stesso, cresce un vino che va per sempre. Auguri a voi!

3. FAMIGLIA PALEOLOGOS (Famiglia greca)

NIKOS: Kalispera! Siamo la famiglia Paleologos. Veniamo da Atene. Mi chiamo Nikos e lei è mia moglie Pania. E loro sono i nostri due figli, Pavlos e Lydia.

Anni fa con altri due soci, investendo tutto ciò che avevamo, abbiamo avviato una piccola società di informatica.

Al sopravvenire dell’attuale durissima crisi economica, i clienti sono drasticamente diminuiti e quelli rimasti dilazionano sempre più i pagamenti. Riusciamo a malapena a pagare gli stipendi dei due dipendenti, e a noi soci rimane pochissimo: così che, per mantenere le nostre famiglie, ogni giorno che passa resta sempre meno. La nostra situazione è una tra le tante, fra milioni di altre. In città la gente gira a testa bassa; nessuno ha più fiducia di  nessuno, manca la speranza.

PANIA: Anche noi, pur continuando a credere nella provvidenza, facciamo fatica a pensare ad un futuro per i nostri figli.

Ci sono giorni e notti, Santo Padre, nei quali viene da chiedersi come fare a non perdere la speranza. Cosa può dire la Chiesa a tutta questa gente, a queste persone e famiglie senza più prospettive?

SANTO PADRE: Cari amici, grazie per questa testimonianza che ha colpito il mio cuore e il cuore di noi tutti. Che cosa possiamo rispondere? Le parole sono insufficienti. Dovremmo fare qualcosa di concreto e tutti soffriamo del fatto che siamo incapaci di fare qualcosa di concreto. Parliamo prima della politica: mi sembra che dovrebbe crescere il senso della responsabilità in tutti i partiti, che non promettano cose che non possono realizzare, che non cerchino solo voti per sé, ma siano responsabili per il bene di tutti e che si capisca che politica è sempre anche responsabilità umana, morale davanti a Dio e agli uomini. Poi, naturalmente, i singoli soffrono e devono accettare, spesso senza possibilità di difendersi, la situazione com’è. Tuttavia, possiamo anche qui dire: cerchiamo che ognuno faccia il suo possibile, pensi a sé, alla famiglia, agli altri, con grande senso di responsabilità, sapendo che i sacrifici sono necessari per andare avanti. Terzo punto: che cosa possiamo fare noi? Questa è la mia questione, in questo momento. Io penso che forse gemellaggi tra città, tra famiglie, tra parrocchie, potrebbero aiutare. Noi abbiamo in Europa, adesso, una rete di gemellaggi, ma sono scambi culturali, certo molto buoni e molto utili, ma forse ci vogliono gemellaggi in altro senso: che realmente una famiglia dell’Occidente, dell’Italia, della Germania, della Francia… assuma la responsabilità di aiutare un’altra famiglia. Così anche le parrocchie, le città: che realmente assumano responsabilità, aiutino in senso concreto. E siate sicuri: io e tanti altri preghiamo per voi, e questo pregare non è solo dire parole, ma apre il cuore a Dio e così crea anche creatività nel trovare soluzioni. Speriamo che il Signore ci aiuti, che il Signore vi aiuti sempre! Grazie.

4. FAMIGLIA RERRIE (Famiglia statunitense)

JAY: Viviamo vicino a New York.

Mi chiamo Jay, sono di origine giamaicana e faccio il contabile.

Lei è mia moglie Anna ed è insegnante di sostegno.

E questi sono i nostri sei figli, che hanno dai 2 ai 12 anni. Da qui può ben immaginare, Santità, che la nostra vita, è fatta di perenni corse contro il tempo, di affanni, di incastri molto complicati…

Anche da noi, negli Stati Uniti, una delle priorità assolute è mantenere il posto di lavoro, e per farlo non bisogna badare agli orari,  e spesso a rimetterci sono proprio le relazioni famigliari.

ANNA: Certo non sempre è facile… L’impressione, Santità, è che le istituzioni e le imprese non facilitano la conciliazione dei tempi di lavoro coi tempi della famiglia.

Santità, immaginiamo che anche per lei non sia facile conciliare i suoi infiniti impegni con il riposo.

Ha qualche consiglio per aiutarci a ritrovare questa necessaria armonia? Nel vortice di tanti stimoli imposti dalla società contemporanea, come aiutare le famiglie a vivere la festa secondo il cuore di Dio?

SANTO PADRE: Grande questione, e penso di capire questo dilemma tra due priorità: la priorità del posto di lavoro è fondamentale, e la priorità della famiglia. E come riconciliare le due priorità. Posso solo cercare di dare qualche consiglio. Il primo punto: ci sono imprese che permettono quasi qualche extra per le famiglie – il giorno del compleanno, eccetera – e vedono che concedere un po’ di libertà, alla fine va bene anche per l’impresa, perché rafforza l’amore per il lavoro, per il posto di lavoro. Quindi, vorrei qui invitare i datori di lavoro a pensare alla famiglia, a pensare anche ad aiutare affinché le due priorità possano essere conciliate. Secondo punto: mi sembra che si debba naturalmente cercare una certa creatività, e questo non è sempre facile. Ma almeno, ogni giorno portare qualche elemento di gioia nella famiglia, di attenzione, qualche rinuncia alla propria volontà per essere insieme famiglia, e di accettare e superare le notti, le oscurità delle quali si è parlato anche prima, e pensare a questo grande bene che è la famiglia e così, anche nella grande premura di dare qualcosa di buono ogni giorno, trovare una riconciliazione delle due priorità. E finalmente, c’è la domenica, la festa: spero che sia osservata in America, la domenica. E quindi, mi sembra molto importante la domenica, giorno del Signore e, proprio in quanto tale, anche “giorno dell’uomo”, perché siamo liberi. Questa era, nel racconto della Creazione, l’intenzione originale del Creatore: che un giorno tutti siano liberi. In questa libertà dell’uno per l’altro, per se stessi, si è liberi per Dio. E così penso che difendiamo la libertà dell’uomo, difendendo la domenica e le feste come giorni di Dio e così giorni per l’uomo. Auguri a voi! Grazie.

5. FAMIGLIA ARAUJO (Famiglia brasiliana di Porto Alegre)

MARIA MARTA: Santità, come nel resto del mondo, anche nel nostro Brasile i fallimenti matrimoniali continuano ad aumentare.

Mi chiamo Maria Marta, lui è Manoel Angelo. Siamo sposati da 34 anni e siamo già nonni. In qualità di medico e psicoterapeuta familiare incontriamo tante famiglie, notando nei conflitti di coppia una più marcata difficoltà a perdonare e ad accettare il perdono, ma in diversi casi abbiamo riscontrato il desiderio e la volontà di costruire una nuova unione, qualcosa di duraturo, anche per i figli che nascono dalla nuova unione.

MANOEL ANGELO: Alcune di queste coppie di risposati vorrebbero riavvicinarsi alla Chiesa, ma quando si vedono rifiutare i Sacramenti la loro delusione è grande. Si sentono esclusi, marchiati da un giudizio inappellabile.

Queste grandi sofferenze feriscono nel profondo chi ne è coinvolto; lacerazioni che divengono anche parte del mondo, e sono ferite anche nostre, dell’umanità tutta.

Santo Padre, sappiamo che queste situazioni e che queste persone stanno molto a cuore alla Chiesa: quali parole e quali segni di speranza possiamo dare loro?

SANTO PADRE: Cari amici, grazie per il vostro lavoro di psicoterapeuti per le famiglie, molto necessario. Grazie per tutto quello che fate per aiutare queste persone sofferenti. In realtà, questo problema dei divorziati risposati è una delle grandi sofferenze della Chiesa di oggi. E non abbiamo semplici ricette. La sofferenza è grande e possiamo solo aiutare le parrocchie, i singoli ad aiutare queste persone a sopportare la sofferenza di questo divorzio. Io direi che molto importante sarebbe, naturalmente, la prevenzione, cioè approfondire fin dall’inizio l’innamoramento in una decisione profonda, maturata; inoltre, l’accompagnamento durante il matrimonio, affinché le famiglie non siano mai sole ma siano realmente accompagnate nel loro cammino. E poi, quanto a queste persone, dobbiamo dire – come lei ha detto – che la Chiesa le ama, ma esse devono vedere e sentire questo amore. Mi sembra un grande compito di una parrocchia, di una comunità cattolica, di fare realmente il possibile perché esse sentano di essere amate, accettate, che non sono «fuori» anche se non possono ricevere l’assoluzione e l’Eucaristia: devono vedere che anche così vivono pienamente nella Chiesa. Forse, se non è possibile l’assoluzione nella Confessione, tuttavia un contatto permanente con un sacerdote, con una guida dell’anima, è molto importante perché possano vedere che sono accompagnati, guidati. Poi è anche molto importante che sentano che l’Eucaristia è vera e partecipata se realmente entrano in comunione con il Corpo di Cristo. Anche senza la ricezione «corporale» del Sacramento, possiamo essere spiritualmente uniti a Cristo nel suo Corpo. E far capire questo è importante. Che realmente trovino la possibilità di vivere una vita di fede, con la Parola di Dio, con la comunione della Chiesa e possano vedere che la loro sofferenza è un dono per la Chiesa, perché servono così a tutti anche per difendere la stabilità dell’amore, del Matrimonio; e che questa sofferenza non è solo un tormento fisico e psichico, ma è anche un soffrire nella comunità della Chiesa per i grandi valori della nostra fede. Penso che la loro sofferenza, se realmente interiormente accettata, sia un dono per la Chiesa. Devono saperlo, che proprio così servono la Chiesa, sono nel cuore della Chiesa. Grazie per il vostro impegno.

SALUTO AI TERREMOTATI DELL’EMILIA

La festa delle famiglie del mondo non ha dimenticato il dramma delle persone colpite in questi giorni dal terremoto in Emilia. Nel corso del collegamento video con i bambini radunati davanti alla tendopoli di San Felice sul Panaro, il Papa ha rivolto loro questo saluto:

SANTO PADRE: Cari amici, voi sapete che noi sentiamo profondamente il vostro dolore, la vostra sofferenza; e, soprattutto, io prego ogni giorno che finalmente finisca questo terremoto. Noi tutti vogliamo collaborare per aiutarvi: siate sicuri che non vi dimentichiamo, che facciamo ognuno il possibile per aiutarvi – la Caritas, tutte le organizzazioni della Chiesa, lo Stato, le diverse comunità – ognuno di noi vuole aiutarvi, sia spiritualmente nella nostra preghiera, nella nostra vicinanza di cuore, sia materialmente e prego insistentemente per voi. Dio vi aiuti, ci aiuti tutti!

 

VISITA PASTORALE ALL’ARCIDIOCESI DI MILANO
E VII INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE
(1-3 GIUGNO 2012)

INCONTRO CON LE AUTORITÀ

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Sala del Trono dell’Arcivescovado di Milano
Sabato, 2 giugno 2012

 

Illustri Signori!

Vi sono sinceramente grato per questo incontro, che rivela i vostri sentimenti di rispetto e di stima verso la Sede Apostolica e, in pari tempo, consente a me, in qualità di Pastore della Chiesa Universale, di esprimere a voi apprezzamento per l’opera solerte e benemerita che non cessate di promuovere per un sempre maggiore benessere civile, sociale ed economico delle laboriose popolazioni milanesi e lombarde. Grazie al Cardinale Angelo Scola che ha introdotto questo momento. Nel rivolgere il mio deferente e cordiale saluto a voi, il mio pensiero corre a colui che è stato vostro illustre predecessore, sant’Ambrogio, governatore – consularis – delle province della Liguria e dell’Aemilia, con sede nella città imperiale di Milano, luogo di transito e di riferimento – diremmo oggi – europeo. Prima di essere eletto, in modo inaspettato e assolutamente contro il suo volere perché si sentiva impreparato, Vescovo di Mediolanum, egli ne era stato il responsabile dell’ordine pubblico e vi aveva amministrato la giustizia. Mi sembrano significative le parole con cui il prefetto Probo lo invitò come consularis a Milano; gli disse, infatti: «Va’ e amministra non come un giudice, ma come un vescovo». Ed egli fu effettivamente un governatore equilibrato e illuminato che seppe affrontare con saggezza, buon senso e autorevolezza le questioni, sapendo superare contrasti e ricomporre divisioni. Vorrei proprio soffermarmi brevemente su alcuni principi, che egli seguiva e che sono tuttora preziosi per quanti sono chiamati a reggere la cosa pubblica.

Nel suo commento al Vangelo di Luca, sant’Ambrogio ricorda che «l’istituzione del potere deriva così bene da Dio, che colui che lo esercita è lui stesso ministro di Dio» (Expositio Evangelii secundum Lucam, IV, 29). Tali parole potrebbero sembrare strane agli uomini del terzo millennio, eppure esse indicano chiaramente una verità centrale sulla persona umana, che è solido fondamento della convivenza sociale: nessun potere dell’uomo può considerarsi divino, quindi nessun uomo è padrone di un altro uomo. Ambrogio lo ricorderà coraggiosamente all’imperatore scrivendogli: «Anche tu, o augusto imperatore, sei un uomo» (Epistula 51,11).

Un altro elemento possiamo ricavare dall’insegnamento di sant’Ambrogio. La prima qualità di chi governa è la giustizia, virtù pubblica per eccellenza, perché riguarda il bene della comunità intera. Eppure essa non basta. Ambrogio le accompagna un’altra qualità: l’amore per la libertà, che egli considera elemento discriminante tra i governanti buoni e quelli cattivi, poiché, come si legge in un’altra sua lettera, «i buoni amano la libertà, i reprobi amano la servitù» (Epistula 40, 2). La libertà non è un privilegio per alcuni, ma un diritto per tutti, un diritto prezioso che il potere civile deve garantire. Tuttavia, libertà non significa arbitrio del singolo, ma implica piuttosto la responsabilità di ciascuno. Si trova qui uno dei principali elementi della laicità dello Stato: assicurare la libertà affinché tutti possano proporre la loro visione della vita comune, sempre, però, nel rispetto dell’altro e nel contesto delle leggi che mirano al bene di tutti.

D’altra parte, nella misura in cui viene superata la concezione di uno Stato confessionale, appare chiaro, in ogni caso, che le sue leggi debbono trovare giustificazione e forza nella legge naturale, che è fondamento di un ordine adeguato alla dignità della persona umana, superando una concezione meramente positivista dalla quale non possono derivare indicazioni che siano, in qualche modo, di carattere etico (cfr Discorso al Parlamento Tedesco, 22 settembre 2011). Lo Stato è a servizio e a tutela della persona e del suo «ben essere» nei suoi molteplici aspetti, a cominciare dal diritto alla vita, di cui non può mai essere consentita la deliberata soppressione. Ognuno può allora vedere come la legislazione e l’opera delle istituzioni statuali debbano essere in particolare a servizio della famiglia, fondata sul matrimonio e aperta alla vita, e altresì riconoscere il diritto primario dei genitori alla libera educazione e formazione dei figli, secondo il progetto educativo da loro giudicato valido e pertinente. Non si rende giustizia alla famiglia, se lo Stato non sostiene la libertà di educazione per il bene comune dell’intera società.

In questo esistere dello Stato per i cittadini, appare preziosa una costruttiva collaborazione con la Chiesa, senza dubbio non per una confusione delle finalità e dei ruoli diversi e distinti del potere civile e della stessa Chiesa, ma per l’apporto che questa ha offerto e tuttora può offrire alla società con la sua esperienza, la sua dottrina, la sua tradizione, le sue istituzioni e le sue opere con cui si è posta al servizio del popolo. Basti pensare alla splendida schiera dei Santi della carità, della scuola e della cultura, della cura degli infermi ed emarginati, serviti e amati come si serve e si ama il Signore. Questa tradizione continua a dare frutti: l’operosità dei cristiani lombardi in tali ambiti è assai viva e forse ancora più significativa che in passato. Le comunità cristiane promuovono queste azioni non tanto per supplenza, ma piuttosto come gratuita sovrabbondanza della carità di Cristo e dell’esperienza totalizzante della loro fede. Il tempo di crisi che stiamo attraversando ha bisogno, oltre che di coraggiose scelte tecnico-politiche, di gratuità, come ho avuto modo di ricordare: «La “città dell’uomo” non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione» (Enc. Caritas in veritate, 6).

Possiamo raccogliere un ultimo prezioso invito da sant’Ambrogio, la cui figura solenne e ammonitrice è intessuta nel gonfalone della Città di Milano. A quanti vogliono collaborare al governo e all’amministrazione pubblica, sant’Ambrogio richiede che si facciano amare. Nell’opera De officiis egli afferma: «Quello che fa l’amore, non potrà mai farlo la paura. Niente è così utile come farsi amare» (II, 29). D’altra parte, la ragione che, a sua volta, muove e stimola la vostra operosa e laboriosa presenza nei vari ambiti della vita pubblica non può che essere la volontà di dedicarvi al bene dei cittadini, e quindi una chiara espressione e un evidente segno di amore. Così, la politica è profondamente nobilitata, diventando una elevata forma di carità.

Illustri Signori! Accogliete queste mie semplici considerazioni come segno della mia profonda stima per le istituzioni che servite e per la vostra importante opera. Vi assista, in questo vostro compito, la continua protezione del Cielo, della quale vuole essere pegno ed auspicio la Benedizione Apostolica che imparto a voi, ai vostri collaboratori e alle vostre famiglie. Grazie.

VISITA PASTORALE ALL’ARCIDIOCESI DI MILANO
E VII INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE
(1-3 GIUGNO 2012)

INCONTRO CON I CRESIMANDI

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Stadio “Meazza”, San Siro
Sabato, 2 giugno 2012

[Video]

 

Cari ragazzi e ragazze!

E’ una grande gioia per me potervi incontrare durante la mia visita alla vostra Città. In questo famoso stadio di calcio, oggi i protagonisti siete voi! Saluto il vostro Arcivescovo, il Cardinale Angelo Scola, e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto. Grazie anche a Don Samuele Marelli. Saluto il vostro amico che, a nome di tutti voi, mi ha rivolto il benvenuto. Sono lieto di salutare i Vicari episcopali che, a nome dell’Arcivescovo, vi hanno amministrato o amministreranno la Cresima. Un grazie particolare alla Fondazione Oratori Milanesi che ha organizzato questo incontro, ai vostri sacerdoti, a tutti i catechisti, agli educatori, ai padrini e alle madrine, e a quanti nelle singole comunità parrocchiali si sono fatti vostri compagni di viaggio e vi hanno testimoniato la fede in Gesù morto e risorto, e vivo.

Voi, cari ragazzi, vi state preparando a ricevere il Sacramento della Cresima, oppure l’avete ricevuto da poco. So che avete compiuto un bel percorso formativo, chiamato quest’anno «Lo spettacolo dello Spirito». Aiutati da questo itinerario, con diverse tappe, avete imparato a riconoscere le cose stupende che lo Spirito Santo ha fatto e fa nella vostra vita e in tutti coloro che dicono «sì» al Vangelo di Gesù Cristo. Avete scoperto il grande valore del Battesimo, il primo dei Sacramenti, la porta d’ingresso alla vita cristiana. Voi lo avete ricevuto grazie ai vostri genitori, che insieme ai padrini, a nome vostro hanno professato il Credo e si sono impegnati a educarvi nella fede. Questa è stata per voi – come anche per me, tanto tempo fa! – una grazia immensa. Da quel momento, rinati dall’acqua e dallo Spirito Santo, siete entrati a far parte della famiglia dei figli di Dio, siete diventati cristiani, membri della Chiesa.

Ora siete cresciuti, e potete voi stessi dire il vostro personale «sì» a Dio, un «sì» libero e consapevole. Il sacramento della Cresima conferma il Battesimo ed effonde su di voi con abbondanza lo Spirito Santo. Voi stessi ora, pieni di gratitudine, avete la possibilità di accogliere i suoi grandi doni che vi aiutano, nel cammino della vita, a diventare testimoni fedeli e coraggiosi di Gesù. I doni dello Spirito sono realtà stupende, che vi permettono di formarvi come cristiani, di vivere il Vangelo e di essere membri attivi della comunità. Ricordo brevemente questi doni, dei quali già ci parla il profeta Isaia e poi Gesù:

– il primo dono è la sapienza, che vi fa scoprire quanto è buono e grande il Signore e, come dice la parola, rende la vostra vita piena di sapore, perché siate, come diceva Gesù, «sale della terra»;

– poi il dono dell’intelletto, così che possiate comprendere in profondità la Parola di Dio e la verità della fede;

– quindi il dono del consiglio, che vi guiderà alla scoperta del progetto di Dio sulla vostra vita, vita di ognuno di voi;

– il dono della fortezza, per vincere le tentazioni del male e fare sempre il bene, anche quando costa sacrificio;

– viene poi il dono della scienza, non scienza nel senso tecnico, come è insegnata all’Università, ma scienza nel senso più profondo che insegna a trovare nel creato i segni le impronte di Dio, a capire come Dio parla in ogni tempo e parla a me, e ad animare con il Vangelo il lavoro di ogni giorno; capire che c’è una profondità e capire questa profondità e così dare sapore al lavoro, anche quello difficile;

– un altro dono è quello della pietà, che tiene viva nel cuore la fiamma dell’amore per il nostro Padre che è nei cieli, in modo da pregarLo ogni giorno con fiducia e tenerezza di figli amati; di non dimenticare la realtà fondamentale del mondo e della mia vita: che c’è Dio e che Dio mi conosce e aspetta la mia risposta al suo progetto;

– il settimo e ultimo dono è il timore di Dio – abbiamo parlato prima della paura -; timore di Dio non indica paura, ma sentire per Lui un profondo rispetto, il rispetto della volontà di Dio che è il vero disegno della mia vita ed è la strada attraverso la quale la vita personale e comunitaria può essere buona; e oggi, con tutte le crisi che vi sono nel mondo, vediamo come sia importante che ognuno rispetti questa volontà di Dio impressa nei nostri cuori e secondo la quale dobbiamo vivere; e così questo timore di Dio è desiderio di fare il bene, di fare la verità, di fare la volontà di Dio.

Cari ragazzi e ragazze, tutta la vita cristiana è un cammino, è come percorrere un sentiero che sale su un monte – quindi non è sempre facile, ma salire su un monte è una cosa bellissima – in compagnia di Gesù; con questi doni preziosi la vostra amicizia con Lui diventerà ancora più vera e più stretta. Essa si alimenta continuamente con il sacramento dell’Eucaristia, nel quale riceviamo il suo Corpo e il suo Sangue. Per questo vi invito a partecipare sempre con gioia e fedeltà alla Messa domenicale, quando tutta la comunità si riunisce insieme a pregare, ad ascoltare la Parola di Dio e prendere parte al Sacrificio eucaristico. E accostatevi anche al Sacramento della Penitenza, alla Confessione: è un’incontro con Gesù che perdona i nostri peccati e ci aiuta a compiere il bene; ricevere il dono, ricominciare di nuovo è un grande dono nella vita, sapere che sono libero, che posso ricominciare, che tutto è perdonato. Non manchi poi la vostra preghiera personale di ogni giorno. Imparate a dialogare con il Signore, confidatevi con Lui, ditegli le gioie e le preoccupazioni, e chiedete luce e sostegno per il vostro cammino.

Cari amici, voi siete fortunati perché nelle vostre parrocchie ci sono gli oratori, un grande dono della Diocesi di Milano. L’oratorio, come dice la parola, è un luogo dove si prega, ma anche dove si sta insieme nella gioia della fede, si fa catechesi, si gioca, si organizzano attività di servizio e di altro genere, si impara a vivere, direi. Siate frequentatori assidui del vostro oratorio, per maturare sempre più nella conoscenza e nella sequela del Signore! Questi sette doni dello Spirito Santo crescono proprio in questa comunità dove si esercita la vita nella verità, con Dio. In famiglia, siate obbedienti ai genitori, ascoltate le indicazioni che vi danno, per crescere come Gesù «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,51-52). Infine, non siate pigri, ma ragazzi e giovani impegnati, in particolare nello studio, in vista della vita futura: è il vostro dovere quotidiano e una grande opportunità che avete per crescere e per preparare il futuro. Siate disponibili e generosi verso gli altri, vincendo la tentazione di mettere al centro voi stessi, perché l’egoismo è nemico della vera gioia. Se gustate adesso la bellezza di far parte della comunità di Gesù, potrete anche voi dare il vostro contributo per farla crescere e saprete invitare gli altri a farne parte. Permettetemi anche di dirvi che il Signore ogni giorno, anche oggi, qui, vi chiama a cose grandi. Siate aperti a quello che vi suggerisce e se vi chiama a seguirlo sulla via del sacerdozio o della vita consacrata, non ditegli di no! Sarebbe una pigrizia sbagliata! Gesù vi riempirà il cuore per tutta la vita!

Cari ragazzi, care ragazze, vi dico con forza: tendete ad alti ideali: tutti possono arrivare ad una alta misura, non solo alcuni! Siate santi! Ma è possibile essere santi alla vostra età? Vi rispondo: certamente! Lo dice anche sant’Ambrogio, grande Santo della vostra Città, in una sua opera, dove scrive: «Ogni età è matura per Cristo» (De virginitate, 40). E soprattutto lo dimostra la testimonianza di tanti Santi vostri coetanei, come Domenico Savio, o Maria Goretti. La santità è la via normale del cristiano: non è riservata a pochi eletti, ma è aperta a tutti. Naturalmente, con la luce e la forza dello Spirito Santo, che non ci mancherà se estendiamo le nostre mani e apriamo il nostro cuore! E con la guida di nostra Madre. Chi è nostra Madre? E’ la Madre di Gesù, Maria. A lei Gesù ci ha affidati tutti, prima di morire sulla croce. La Vergine Maria custodisca allora sempre la bellezza del vostro «sì» a Gesù, suo Figlio, il grande e fedele Amico della vostra vita. Così sia!

 

 

VISITA PASTORALE ALL’ARCIDIOCESI DI MILANO
E VII INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE
(1-3 GIUGNO 2012)

CELEBRAZIONE DELL’ORA MEDIA CON CLERO,
SEMINARISTI E CONSACRATI

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Duomo di Milano
Sabato, 2 giugno 2012

 

Cari Fratelli e Sorelle!

Ci siamo raccolti in preghiera, rispondendo all’invito dell’Inno ambrosiano dell’Ora Terza: «E’ l’ora terza. Gesù Signore sale ingiuriato la croce». E’ un chiaro riferimento all’amorosa obbedienza di Gesù alla volontà del Padre. Il mistero pasquale ha dato principio a un tempo nuovo: la morte e risurrezione di Cristo ricrea l’innocenza nell’umanità e vi fa scaturire la gioia. Prosegue, infatti, l’inno: «Di qui inizia l’epoca della salvezza di Cristo – Hinc iam beata tempora coepere Christi gratia». Ci siamo radunati nella Basilica Cattedrale, in questo Duomo che è veramente il cuore di Milano. Da qui il pensiero si estende alla vastissima Arcidiocesi ambrosiana, che nei secoli ed anche in tempi recenti ha dato alla Chiesa uomini insigni nella santità della vita e nel ministero, come sant’Ambrogio e san Carlo, e alcuni Pontefici di non comune statura, come Pio XI e il Servo di Dio Paolo VI, e i Beati Cardinali Andrea Carlo Ferrari e Alfredo Ildefonso Schuster.

Sono molto lieto di sostare un poco con voi! Rivolgo un affettuoso pensiero di saluto a tutti e a ciascuno in particolare, e vorrei farlo arrivare in modo speciale a quelli che sono malati o molto anziani. Saluto con viva cordialità il vostro Arcivescovo, il Cardinale Angelo Scola, e lo ringrazio per le sue amabili parole; saluto con affetto i vostri Pastori emeriti, i Cardinali Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi, con gli altri Cardinali e Vescovi presenti.

In questo momento viviamo il mistero della Chiesa nella sua espressione più alta, quella della preghiera liturgica. Le nostre labbra, i nostri cuori e le nostre menti, nella preghiera ecclesiale, si fanno interpreti delle necessità e degli aneliti dell’intera umanità. Con le parole del Salmo 118 abbiamo supplicato il Signore a nome di tutti gli uomini: «Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti … Venga a me, Signore, la tua grazia». La preghiera quotidiana della Liturgia delle Ore costituisce un compito essenziale del ministero ordinato nella Chiesa. Anche attraverso l’Ufficio divino, che prolunga nella giornata il mistero centrale dell’Eucaristia, i presbiteri sono in modo particolare uniti al Signore Gesù, vivo e operante nel tempo. Il Sacerdozio: quale dono prezioso! Voi cari Seminaristi che vi preparate a riceverlo imparate a gustarlo fin da ora e vivete con impegno il tempo prezioso nel Seminario! L’Arcivescovo Montini, durante le Ordinazioni del 1958 così diceva proprio in questo Duomo: «Comincia la vita  sacerdotale: un poema, un dramma, un mistero nuovo … fonte di perpetua meditazione …sempre oggetto di scoperta e di meraviglia; [il Sacerdozio] – disse – è sempre novità e bellezza per chi vi dedica amoroso pensiero … è riconoscimento dell’opera di Dio in noi» (Omelia per l’Ordinazione di 46 Sacerdoti, 21 giugno 1958).

Se Cristo, per edificare la sua Chiesa, si consegna nelle mani del sacerdote, questi a sua volta si deve affidare a Lui senza riserva: l’amore per il Signore Gesù è l’anima e la ragione del ministero sacerdotale, come fu premessa perché Egli assegnasse a Pietro la missione di pascere il proprio gregge: «Simone …, mi ami più di costoro? … Pasci i miei agnelli (Gv 21,15)». Il Concilio Vaticano II ha ricordato che Cristo «rimane sempre il principio e la fonte della unità di vita dei presbiteri. Per raggiungerla, essi dovranno perciò unirsi a Lui nella scoperta della volontà del Padre e nel dono di sé per il gregge loro affidato. Così, rappresentando il Buon Pastore, nell’esercizio stesso della carità pastorale troveranno il vincolo della perfezione sacerdotale che realizzerà l’unità nella loro vita e attività» (Decr. Presbyterorum Ordinis, 14). Proprio su questa questione si è espresso: nelle occupazioni diverse, da ora ad ora, come trovare l’unità della vita, l’unità dell’essere sacerdote proprio da questa fonte dell’amicizia profonda con Gesù, dell’interiore essere insieme con Lui. Non c’è opposizione tra il bene della persona del sacerdote e la sua missione; anzi, la carità pastorale è elemento unificante di vita che parte da un rapporto sempre più intimo con Cristo nella preghiera per vivere il dono totale di se stessi per il gregge, in modo che il Popolo di Dio cresca nella comunione con Dio e sia manifestazione della comunione della Santissima Trinità. Ogni nostra azione, infatti, ha come scopo condurre i fedeli all’unione con il Signore e a fare così crescere la comunione ecclesiale per la salvezza del mondo. Le tre cose: unione personale con Dio, bene della Chiesa, bene dell’umanità nella sua totalità, non sono cose distinte od opposte, ma una sinfonia della fede vissuta.

Segno luminoso di questa carità pastorale e di un cuore indiviso sono il celibato sacerdotale e la verginità consacrata. Abbiamo cantato nell’Inno di sant’Ambrogio: «Se in te nasce il Figlio di Dio, conservi la vita incolpevole». «Accogliere Cristo – Christum suscipere» è un motivo che torna spesso nella predicazione del Santo Vescovo di Milano; cito un passo del suo Commento a san Luca: «Chi accoglie Cristo nell’intimo della sua casa viene saziato delle gioie più grandi» (Expos. Evangelii sec. Lucam, V, 16). Il Signore Gesù è stato la sua grande attrattiva, l’argomento principale della sua riflessione e predicazione, e soprattutto il termine di un amore vivo e confidente. Senza dubbio, l’amore per Gesù vale per tutti i cristiani, ma acquista un significato singolare per il sacerdote celibe e per chi ha risposto alla vocazione alla vita consacrata: solo e sempre in Cristo si trova la sorgente e il modello per ripetere quotidianamente il «sì» alla volontà di Dio. «Con quali legami Cristo è trattenuto?» – si chiedeva sant’Ambrogio, che con intensità sorprendente predicò e coltivò la verginità nella Chiesa, promuovendo anche la dignità della donna. Al quesito citato rispondeva: «Non con i nodi di corde, ma con i vincoli dell’amore e con l’affetto dell’anima» (De virginitate, 13, 77). E proprio in un celebre sermone alle vergini egli disse: «Cristo è tutto per noi: se desideri risanare le tue ferite, egli è medico; se sei angustiato dall’arsura della febbre, egli è fonte; se ti trovi oppresso dalla colpa, egli è giustizia; se hai bisogno di aiuto, egli è potenza; se hai paura della morte, egli è vita; se desideri il paradiso, egli è via; se rifuggi le tenebre, egli è luce; se sei in cerca di cibo, egli è nutrimento» (Ibid., 16, 99).

Cari Fratelli e Sorelle consacrati, vi ringrazio per la vostra testimonianza e vi incoraggio: guardate al futuro con fiducia, contando sulla fedeltà di Dio, che non mancherà mai, e la potenza della sua grazia, capace di operare sempre nuove meraviglie, anche in noi e con noi. Le antifone della salmodia di questo sabato ci hanno condotto a contemplare il mistero della Vergine Maria. In essa possiamo, infatti, riconoscere il «genere di vita verginale e povera che Cristo Signore si scelse per sé e che la Vergine Madre sua abbracciò» (Lumen gentium, 46), una vita in piena obbedienza alla volontà di Dio.

Ancora l’Inno ci ha richiamato le parole di Gesù sulla croce: «Dalla gloria del suo patibolo, Gesù parla alla Vergine: “Ecco tuo figlio, o donna”; “Giovanni, ecco tua madre”». Maria, Madre di Cristo, estende e prolunga anche in noi la sua divina maternità, affinché il ministero della Parola e dei Sacramenti, la vita di contemplazione e l’attività apostolica nelle molteplici forme perseverino, senza stanchezza e con coraggio, a servizio di Dio e a edificazione della sua Chiesa.

In questo momento, mi è caro rendere grazie a Dio per le schiere di sacerdoti ambrosiani, di religiosi e religiose che hanno speso le loro energie al servizio del Vangelo, giungendo talvolta fino al supremo sacrificio della vita. Alcuni di essi sono stati proposti al culto e all’imitazione dei fedeli anche in tempi recenti: i Beati sacerdoti Luigi Talamoni, Luigi Biraghi, Luigi Monza, Carlo Gnocchi, Serafino Morazzone; i Beati religiosi Giovanni Mazzucconi, Luigi Monti e Clemente Vismara, e le religiose Maria Anna Sala ed Enrichetta Alfieri. Per la loro comune intercessione chiediamo fiduciosi al Datore di ogni dono di rendere sempre fecondo il ministero dei sacerdoti, di rafforzare la testimonianza delle persone consacrate, per mostrare al mondo la bellezza della donazione a Cristo e alla Chiesa, e di rinnovare le famiglie cristiane secondo il disegno di Dio, perché siano luoghi di grazia e di santità, terreno fertile per le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Amen. Grazie.

 

VISITA PASTORALE ALL’ARCIDIOCESI DI MILANO E VII INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE (1-3 GIUGNO 2012)

CONCERTO IN ONORE DEL SANTO PADRE E DELLE DELEGAZIONI UFFICIALI DELL’INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Teatro alla Scala di MilanoVenerdì, 1° giugno 2012

 

Signori Cardinali,Illustri Autorità,Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,Care Delegazioni del VII Incontro Mondiale delle Famiglie!

In questo luogo storico vorrei innanzitutto ricordare un evento: era l’11 maggio del 1946 e Arturo Toscanini alzò la bacchetta per dirigere un concerto memorabile nella Scala ricostruita dopo gli orrori della guerra. Narrano che il grande Maestro appena giunto qui a Milano si recò subito in questo Teatro e al centro della sala cominciò a battere le mani per provare se era stata mantenuta intatta la proverbiale acustica e sentendo che era perfetta esclamò: «E’ la Scala, è sempre la mia Scala!». In queste parole, «E’ la Scala!», è racchiuso il senso di questo luogo, tempio dell’Opera, punto di riferimento musicale e culturale non solo per Milano e per l’Italia, ma per tutto il mondo. E la Scala è legata a Milano in modo profondo, è una delle sue glorie più grandi e ho voluto ricordare quel maggio del 1946 perché la ricostruzione della Scala fu un segno di speranza per la ripresa della vita dell’intera Città dopo le distruzioni della Guerra. Per me allora è un onore essere qui con tutti voi e avere vissuto, con questo splendido concerto, un momento di elevazione dell’animo. Ringrazio il Sindaco, Avvocato Giuliano Pisapia, il Sovrintendente, Dott. Stéphane Lissner, anche per aver introdotto questa serata, ma soprattutto l’Orchestra e il Coro del Teatro alla Scala, i quattro  Solisti e il maestro Daniel Barenboim per l’intensa e coinvolgente interpretazione di uno dei capolavori assoluti della storia della musica. La gestazione della Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven fu lunga e complessa, ma fin dalle celebri prime sedici battute del primo movimento, si crea un clima di attesa di qualcosa di grandioso e l’attesa non è delusa.

Beethoven pur seguendo sostanzialmente le forme e il linguaggio tradizionale della Sinfonia classica, fa percepire qualcosa di nuovo già dall’ampiezza senza precedenti di tutti i movimenti dell’opera, che si conferma con la parte finale introdotta da una terribile dissonanza, dalla quale si stacca il recitativo con le famose parole «O amici, non questi toni, intoniamone altri di più attraenti e gioiosi», parole che, in un certo senso, «voltano pagina» e introducono il tema principale dell’Inno alla Gioia. E’ una visione ideale di umanità quella che Beethoven disegna con la sua musica: «la gioia attiva nella fratellanza e nell’amore reciproco, sotto lo sguardo paterno di Dio» (Luigi Della Croce). Non è una gioia propriamente cristiana quella che Beethoven canta, è la gioia, però, della fraterna convivenza dei popoli, della vittoria sull’egoismo, ed è il desiderio che il cammino dell’umanità sia segnato dall’amore, quasi un invito che rivolge a tutti al di là di ogni barriera e convinzione.

Su questo concerto, che doveva essere una festa gioiosa in occasione di questo incontro di persone provenienti da quasi tutte le nazioni del mondo, vi è l’ombra del sisma che ha portato grande sofferenza su tanti abitanti del nostro Paese. Le parole riprese dall’Inno alla gioia di Schiller suonano come vuote per noi, anzi, sembrano non vere. Non proviamo affatto le scintille divine dell’Elisio. Non siamo ebbri di fuoco, ma piuttosto paralizzati dal dolore per così tanta e incomprensibile distruzione che è costata vite umane, che ha tolto casa e dimora a tanti. Anche l’ipotesi che sopra il cielo stellato deve abitare un buon padre, ci pare discutibile. Il buon padre è solo sopra il cielo stellato? La sua bontà non arriva giù fino a noi? Noi cerchiamo un Dio che non troneggia a distanza, ma entra nella nostra vita e nella nostra sofferenza.

In quest’ora, le parole di Beethoven, «Amici, non questi toni …», le vorremmo quasi riferire proprio a quelle di Schiller. Non questi toni. Non abbiamo bisogno di un discorso irreale di un Dio lontano e di una fratellanza non impegnativa. Siamo in cerca del Dio vicino. Cerchiamo una fraternità che, in mezzo alle sofferenze, sostiene l’altro e così aiuta ad andare avanti. Dopo questo concerto molti andranno all’adorazione eucaristica – al Dio che si è messo nelle nostre sofferenze e continua a farlo. Al Dio che soffre con noi e per noi e così ha reso gli uomini e le donne capaci di condividere la sofferenza dell’altro e di trasformarla in amore. Proprio a ciò ci sentiamo chiamati da questo concerto.

Grazie, allora, ancora una volta all’Orchestra e al Coro del Teatro alla Scala, ai Solisti e a quanti hanno reso possibile questo evento. Grazie al Maestro Daniel Barenboim anche perché con la scelta della Nona Sinfonia di Beethoven ci permette di lanciare un messaggio con la musica che affermi il valore fondamentale della solidarietà, della fraternità e della pace. E mi pare che questo messaggio sia prezioso anche per la famiglia, perché è in famiglia che si sperimenta per la prima volta come la persona umana non sia creata per vivere chiusa in se stessa, ma in relazione con gli altri; è in famiglia che si comprende come la realizzazione di sé non sta nel mettersi al centro, guidati dall’egoismo, ma nel donarsi; è in famiglia che si inizia ad accendere nel cuore la luce della pace perché illumini questo nostro mondo. E grazie a tutti voi per il momento che abbiamo vissuto assieme. Grazie di cuore!

 

VISITA PASTORALE ALL’ARCIDIOCESI DI MILANOE VII INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE(1-3 GIUGNO 2012)

INCONTRO CON LA CITTADINANZA

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Piazza Duomo, MilanoVenerdì, 1° giugno 2012

 

Signor Sindaco,Distinte Autorità,Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel sacerdozio,Cari fratelli e sorelle dell’Arcidiocesi di Milano!

Saluto cordialmente tutti voi qui convenuti così numerosi, come pure quanti seguono questo evento attraverso la radio e la televisione. Grazie per la vostra calorosa accoglienza! Ringrazio il Signor Sindaco per le cortesi espressioni di benvenuto che mi ha indirizzato a nome della comunità civica. Saluto con deferenza il Rappresentante del Governo, il Presidente della Regione, il Presidente della Provincia, nonché gli altri rappresentanti delle Istituzioni civili e militari, ed esprimo il mio apprezzamento per la collaborazione offerta per i diversi momenti di questa visita. E grazie a lei, Eminenza, per il cordiale saluto!

Sono molto lieto di essere oggi in mezzo a voi e ringrazio Dio, che mi offre l’opportunità di visitare la vostra illustre Città. Il mio primo incontro con i Milanesi avviene in questa Piazza del Duomo, cuore di Milano, dove sorge l’imponente monumento simbolo della Città. Con la sua selva di guglie esso invita a guardare in alto, a Dio. Proprio tale slancio verso il cielo ha sempre caratterizzato Milano e le ha permesso nel tempo di rispondere con frutto alla sua vocazione: essere un crocevia – Mediolanum – di popoli e di culture. La città ha così saputo coniugare sapientemente l’orgoglio per la propria identità con la capacità di accogliere ogni contributo positivo che, nel corso della storia, le veniva offerto. Ancora oggi, Milano è chiamata a riscoprire questo suo ruolo positivo, foriero di sviluppo e di pace per tutta l’Italia. Il mio «grazie» cordiale va, ancora una volta, al Pastore di questa Arcidiocesi, il Cardinale Angelo Scola, per l’accoglienza e le parole che mi ha rivolto a nome dell’intera Comunità diocesana; con lui saluto i Vescovi Ausiliari e chi lo ha preceduto su questa gloriosa e antica Cattedra, il Cardinale Dionigi Tettamanzi e il Cardinale Carlo Maria Martini.

Rivolgo un particolare saluto ai rappresentanti delle famiglie – provenienti da tutto il mondo – che partecipano al VII Incontro Mondiale. Un pensiero affettuoso indirizzo poi a quanti hanno bisogno di aiuto e di conforto, e sono afflitti da varie preoccupazioni: alle persone sole o in difficoltà, ai disoccupati, agli ammalati, ai carcerati, a quanti sono privi di una casa o dell’indispensabile per vivere una vita dignitosa. Non manchi a nessuno di questi nostri fratelli e sorelle l’interessamento solidale e costante della collettività. A tale proposito, mi compiaccio di quanto la Diocesi di Milano ha fatto e continua a fare per andare incontro concretamente alle necessità delle famiglie più colpite dalla crisi economico-finanziaria, e per essersi attivata subito, assieme all’intera Chiesa e società civile in Italia, per soccorrere le popolazioni terremotate dell’Emilia Romagna, che sono nel nostro cuore e nelle nostre preghiere e per le quali invito, ancora una volta, ad una generosa solidarietà.

Il VII Incontro Mondiale delle Famiglie mi offre la gradita occasione di visitare la vostra Città e di rinnovare i vincoli stretti e costanti che legano la comunità ambrosiana alla Chiesa di Roma e al Successore di Pietro. Come è noto, sant’Ambrogio proveniva da una famiglia romana e ha mantenuto sempre vivo il suo legame con la Città Eterna e con la Chiesa di Roma, manifestando ed elogiando il primato del Vescovo che la presiede. In Pietro – egli afferma – «c’è il fondamento della Chiesa e il magistero della disciplina» (De virginitate, 16, 105); e ancora la nota dichiarazione: «Dove c’è Pietro, là c’è la Chiesa» (Explanatio Psalmi 40, 30, 5). La saggezza pastorale e il magistero di Ambrogio sull’ortodossia della fede e sulla vita cristiana lasceranno un’impronta indelebile nella Chiesa universale e, in particolare, segneranno la Chiesa di Milano, che non ha mai cessato di coltivarne la memoria e di conservarne lo spirito. La Chiesa ambrosiana, custodendo le prerogative del suo rito e le espressioni proprie dell’unica fede, è chiamata a vivere in pienezza la cattolicità della Chiesa una, a testimoniarla e a contribuire ad arricchirla.

Il profondo senso ecclesiale e il sincero affetto di comunione con il Successore di Pietro, fanno parte della ricchezza e dell’identità della vostra Chiesa lungo tutto il suo cammino, e si manifestano in modo luminoso nelle figure dei grandi Pastori che l’hanno guidata. Anzitutto san Carlo Borromeo: figlio della vostra terra. Egli fu, come disse il Servo di Dio Paolo VI, «un plasmatore della coscienza e del costume del popolo» (Discorso ai Milanesi, 18 marzo 1968); e lo fu soprattutto con l’applicazione ampia, tenace e rigorosa delle riforme tridentine, con la creazione di istituzioni rinnovatrici, a cominciare dai Seminari, e con la sua sconfinata carità pastorale radicata in una profonda unione con Dio, accompagnata da una esemplare austerità di vita. Ma, insieme con i santi Ambrogio e Carlo, desidero ricordare altri eccellenti Pastori più vicini a noi, che hanno impreziosito con la santità e la dottrina la Chiesa di Milano: il beato Cardinale Andrea Carlo Ferrari, apostolo della catechesi e degli oratori e promotore del rinnovamento sociale in senso cristiano; il beato Alfredo Ildefonso Schuster, il «Cardinale della preghiera», Pastore infaticabile, fino alla consumazione totale di se stesso per i suoi fedeli. Inoltre, desidero ricordare due Arcivescovi di Milano che divennero Pontefici: Achille Ratti, Papa Pio XI; alla sua determinazione si deve la positiva conclusione della Questione Romana e la costituzione dello Stato della Città del Vaticano; e il Servo di Dio Giovanni Battista Montini, Paolo VI, buono e sapiente, che, con mano esperta, seppe guidare e portare ad esito felice il Concilio Vaticano II. Nella Chiesa ambrosiana sono maturati inoltre alcuni frutti spirituali particolarmente significativi per il nostro tempo. Tra tutti voglio oggi ricordare, proprio pensando alle famiglie, santa Gianna Beretta Molla, sposa e madre, donna impegnata nell’ambito ecclesiale e civile, che fece splendere la bellezza e la gioia della fede, della speranza e della carità.

Cari amici, la vostra storia è ricchissima di cultura e di fede. Tale ricchezza ha innervato l’arte, la musica, la letteratura, la cultura, l’industria, la politica, lo sport, le iniziative di solidarietà di Milano e dell’intera Arcidiocesi. Spetta ora a voi, eredi di un glorioso passato e di un patrimonio spirituale di inestimabile valore, impegnarvi per trasmettere alle future generazioni la fiaccola di una così luminosa tradizione. Voi ben sapete quanto sia urgente immettere nell’attuale contesto culturale il lievito evangelico. La fede in Gesù Cristo, morto e risorto per noi, vivente in mezzo a noi, deve animare tutto il tessuto della vita, personale e comunitaria, pubblica e privata, privata e pubblica, così da consentire uno stabile e autentico “ben essere”, a partire dalla famiglia, che va riscoperta quale patrimonio principale dell’umanità, coefficiente e segno di una vera e stabile cultura in favore dell’uomo. La singolare identità di Milano non la deve isolare né separare, chiudendola in se stessa. Al contrario, conservando la linfa delle sue radici e i tratti caratteristici della sua storia, essa è chiamata a guardare al futuro con speranza, coltivando un legame intimo e propulsivo con la vita di tutta l’Italia e dell’Europa. Nella chiara distinzione dei ruoli e delle finalità, la Milano positivamente “laica” e la Milano della fede sono chiamate a concorrere al bene comune.

Cari fratelli e sorelle, grazie ancora per la vostra accoglienza! Vi affido alla protezione della Vergine Maria, che dalla più alta guglia del Duomo maternamente veglia giorno e notte su questa Città. A tutti voi, che stringo in un grande abbraccio, dono la mia affettuosa Benedizione. Grazie!

Formia (Lt). Molta partecipazione alla novena di Sant’Erasmo

884268250.jpgDa mercoledì scorso, 23 maggio, è in corso la predicazione della Novena in onore di Sant’Erasmo nell’omonima chiesa parrocchiale al Castellone di Formia, dove da secoli si venera il santo vescovo e martire, patrono della città e dell’arcidiocesi di Gaeta. Tantissimi i fedeli che stanno frequentando la chiesa in questi giorni per seguire le prediche di padre Antonio Rungi, missionario passionista, che è ritornato a predicare la novena di Sant’Erasmo dopo 15 anni. Sono circa 300 i fedeli che ogni sera riempiono la bellissima ed artistica chiesa, nella cui cripta sono state rinvenute le spoglie mortali del vescovo martire. Oggi sono in corso lavori di sistemazione per presentare tutto il percordo del martirio che hanno subito i santi confessori della fede sotto la persecuzione di Diocleziano. Sant’Erasmo secondo fondi attendibile fu martirizzato il 2 giugno del 303 a Formia e per secoli sono state conservate le spoglie nella chiesa di Sant’Erasmo per poi essere traslate nella cattedrale di Gaeta.

In questi giorni di preparazione alla festa, orginazzata dal comitato sotto la guida del parroco don Alfredo Micalusi, padre Rungi sta sviluppando importanti tematiche di ordine teologico, spirituale e pastorale. Nella giornata del 24 maggio ha parlato dell’educazione alla fede nella famiglia, ieri 25 maggio ha parlato del gioia cristiana, stasera, 26 maggio ha parlato della chiamata alla santità. Il tutto riferito sempre al grande martire e santo, patrono della città di Formia.

Dopo alcuni anni si regista in chiesa a detta dei piàù una buona partecipazione dei fedeli alla novena in onore del santo. Segno evidente di una rinnovata fede e devozione verso il santo patrono di Formia e dei naviganti.

Certo vedere la chiesa piena di fedeli è una soddisfazione sia per chi predica e sia per chi ha fatto tanti sforzi per preparare degnamente il percorso liturgico e spirituale per la festa di Sant’Erasmo. Domani sera, domenica della Pentecoste presiede la messa delle 19, don Gianni, parrocco di San Giovanni, il compatrono della città di Formia, la cui festa è imminente, celebrandosi il 24 giugno. Il 2 giugno invece festa grande per sant’Erasmo con la processione e il panegirico conclusivo di padre Rungi, predicatore ufficiale della novena, che già riscuotendo grandi successi a gloria di Dio e ad onore del santo Patrono, da tutti i formiani onorato con grande devozione ed amore.