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CARINOLA. IL TESTO DELLA RIFLESSIONE DEL RITIRO MENSILE ALLE SUORE DELLA DIOCESI DI SESSA AURUNCA

RITIRO SPIRITUALE MENSILE

ALLE SUORE DELLA DIOCESI DI SESSA AURUINCA

CARINOLA -DOMENICA 27 GENNAIO 2013- ORE 9,30

LA VITA CONSACRATA NEI DOCUMENTI DEL VATICANO II

NELL’ANNO DELLA FEDE, LA RISCOPERTA DELLA VOCAZIONE

ALLA VITA RELIGIOSA

 

Quanto sono amabili le tue dimore,

Signore degli eserciti!

Beato chi abita la tua casa:

sempre canta le tue lodi!

Beato chi trova in te la sua forza

e decide nel suo cuore il santo viaggio.

Passando per la valle del pianto

la cambia in una sorgente,

anche la prima pioggia l’ammanta di benedizioni.

Cresce lungo il cammino il suo vigore,

finché compare davanti a Dio in Sion. (Salmo 83)

 

Ogni cambio epocale impone a persone e istituzioni di decidere l’avventura di un nuovo viaggio  verso il futuro. E’ capitato così in passato e capita anche oggi: il nostro tempo sfida la Chiesa e la vita consacrata a trovare in Dio la forza per decidere il santo viaggio. Questa sfida a noi religiosi ci viene anche da questo anno della fede, indetto da Papa Benedetto XVI, per risvegliare tutti i cattolici nella vita cristiana e per noi religiosi nella vita di totale consacrazione a Dio. A che punto sta questo cammino di risveglio dopo tre mesi dall’inizio dell’anno della fede. Risvegliare la proprio vocazione, qualora si fosse assopita o addormentata è dovere di ogni consacrato. E per risvegliare la vocazione è necessario ripartire dalla fede. Quanto più aumenta la fede, più aumenta in noi l’amore alla vocazione che il Signore ci ha donato. Si tratta di prendere oggettivamente coscienza che la vita consacrata a partire dal Concilio Vaticano II, dal quale ci separa mezzo secolo di storia, è in continua evoluzione e cambiamento.

Cambia il mondo, la società, cambia la chiesa, cambia la vita consacrata e cambia ogni singolo istituto religioso. Non possiamo restare fermi. Da qui il continuo aggiornamento e rinnovamento, in ascolto dei segni dei tempi.

 

DAL CONICILIO VATICANO IN POI

La sfida è venuta innanzitutto dal Concilio Vaticano II, che ha offerto il fondamento, l’orizzonte, le prospettive e le indicazioni di percorso per cogliere e interpretare i “segni dei tempi” e ha generato iniziative coraggiose e inedite di ripensamento e di progettazione dentro la Chiesa e di conseguenza anche dentro la vita consacrata.

 

Per quanto riguarda quest’ultima, il cammino percorso negli anni postconciliari ha portato alla revisione delle Costituzioni, alla nascita di nuove forme di vita consacrata, al ripensamento dell’impegno formativo, al confronto con la società e la cultura, ecc…, nell’alternarsi di momenti di crisi e di vitalità. Recentemente, sotto le stimolazioni del Sinodo sulla Vita Consacrata, il cammino avviato dal Concilio ha avuto un nuovo impulso non esente da problemi e difficoltà.

 

Domandiamoci: che cosa sta avvenendo nella vita consacrata femminile? Quali modelli di vita consacrata vengono proposti alle nuove generazioni di donne?

 

La domanda è impegnativa e vasta. Ma è giusto dare delle piste di riflessione e di indicazione al riguardo

 

Primo elemento da considerare

Le diverse forme di vita consacrata non sono mai sganciate dalla cultura nella quale nascono e crescono e il nostro tempo, complesso e in continuo cambiamento, non fa eccezione. La vita consacrata femminile porta dunque in sé il gaudio e il peso di una socio-cultura in fermento e dei problemi a essa connessi, compresi quelli relativi alla questione femminile.

 

Secondo elemento da considerare

Convivono oggi in Italia numerosi e più che centenari Istituti religiosi che stanno affrontando lo sforzo del ridimensionamento, piccoli Istituti di antica fondazione che si stanno lentamente spegnendo, nuove forme di vita consacrata che si stanno espandendo e vanno moltiplicandosi. L’Esortazione apostolica Vita consecrata ne presenta una tipologia significativa e rinvia alla molteplicità delle esperienze che essa racchiude. Nel n. 12, leggiamo testualmente: “La perenne giovinezza della Chiesa continua a manifestarsi anche oggi: negli ultimi decenni, dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, sono apparse nuove o rinnovate forme di vita consacrata. In molti casi si tratta di Istituti simili a quelli già esistenti, ma nati da nuovi impulsi spirituali ed apostolici. La loro vitalità deve essere vagliata dall’autorità della Chiesa, alla quale compete l’opportuno esame sia per saggiare l’autenticità della finalità ispiratrice sia per evitare l’eccessiva moltiplicazione di istituzioni tra loro analoghe, col conseguente rischio di una nociva frammentazione in gruppi troppo piccoli. In altri casi si tratta di esperienze originali, che sono alla ricerca di una propria identità nella Chiesa e attendono di essere ufficialmente riconosciute dalla Sede Apostolica, alla quale sola compete l’ultimo giudizio. Queste nuove forme di vita consacrata, che s’aggiungono alle antiche, testimoniano della costante attrattiva che la donazione totale al Signore, l’ideale della comunità apostolica, i carismi di fondazione continuano ad esercitare anche sulla presente generazione e sono pure segno della complementarietà dei doni dello Spirito Santo.  Lo Spirito, tuttavia, nella novità non si contraddice. Ne è prova il fatto che le nuove forme di vita consacrata non hanno soppiantato le precedenti. In così multiforme varietà s’è potuta conservare l’unità di fondo grazie alla medesima chiamata a seguire, nella ricerca della perfetta carità, Gesù vergine, povero e obbediente. Tale chiamata, come si trova in tutte le forme già esistenti, così è richiesta in quelle che si propongono come nuove” (VC, 12).

 

Il  “filo rosso” che lega queste esperienze e che trova le sue radici nella “memoria”, è la questione femminile a livello mondiale. Si tratta dello stretto legame esistente tra la vita consacrata femminile e la questione femminile, un legame di cui le consacrate vanno sempre più prendendo coscienza, tanto che si potrebbe affermare che proprio questa “presa di coscienza” è uno dei più importanti segni del  cambio epocale che stiamo vivendo.

Non solo, ma si può anche ipotizzare che questo legame diventerà sempre più stretto e significativo e contribuirà a modellare la vita consacrata femminile del terzo millennio. La religiosa di oggi, non è la stessa di ieri sotto vari aspetti. E’ un bene, è un male? Non lo sappiamo. La realtà è questa, i segni dei tempi sono questi e vanno letti ed interpretati alla luce del Vangelo e del Magistero della Chiesa.

 

1. Dirsi e pensarsi al femminile

 

Leggendo i rapporti o gli Atti dei Capitoli Generali, e altri opuscoli che circolano sulla vita consacrata femminile, emerge con chiarezza che le consacrate rileggono la propria identità e il proprio impegno missionario e apostolico con occhi e cuore di donna.

 

Nella semplicità dell’espressione e del linguaggio di questa rilettura si ritrovano le indicazioni del Magistero, soprattutto quelle di Giovanni Paolo II, assunte nell’ottica del carisma proprio dell’Istituto di appartenenza.

La Mulieris dignitatem, la Lettera alle donne, la Vita consecrata sono conosciute, apprezzate, fatte oggetto di riflessione, di discernimento, di progettazione e costituiscono il parametro per coniugare “femminilità” e “consacrazione femminile”, una coniugazione che per ogni consacrata passa attraverso la fedeltà creativa al carisma del proprio Istituto.

 

Quali allora le conseguenze e le implicanze di questa presa di coscienza?

 

Le consacrate riscoprono se stesse come donne, “osano dirsi e pensarsi al femminile” e contribuiscono così a dare un volto peculiare alla propria consacrazione e ad arricchire la riflessione e l’esperienza sulla dignità della donna in risposta all’invito del Sinodo sulla vita consacrata: “C’è motivo di sperare che da un più profondo riconoscimento della missione della donna, la vita consacrata femminile tragga una sempre maggior consapevolezza del proprio ruolo e un’accresciuta dedizione alla causa del regno di Dio” (VC 58).

 

Tra donne laiche e consacrate si instaura un filo diretto di reciproca comprensione, di sostegno, di iniziative, che in alcune occasioni viene sottolineato in modo evidente nei vari ambienti. Oggi le suore sono sempre più immerse nel campo della pastorale parrocchiale a stretto gomito con i fedeli laici che collaborano in parrocchia, sia femminili che maschili. Una volta era uno scandalo vedere una suora inserita nel coro di una parrocchia, ecc. Oggi queste realtà miste, religiose laici, sono ricorrenti. Anzi gli istituti religiosi femminili fanno sempre più ricorso ai collaboratori laici. Niente di scandaloso, anzi tutto da valorizzare con la sapienza e la prudenza.

 

Negli istituti di vita consacrata sono in atto:

• l’approfondimento dell’identità femminile per una ricomprensione dell’umanità che canta e parla “a due voci” (maschile e femminile);

 

• l’approfondimento delle implicanze della reciprocità in tutti i suoi aspetti (reciprocità tra uomo e donna; tra donne, tra generazioni, tra razze e culture);

 

• l’impegno per una formazione culturale delle consacrate, soprattutto delle giovani, per poter partecipare attivamente all’elaborazione della cultura;

 

• il recupero della  contemplazione amorosa del Signore che è condizione imprescindibile per il servizio all’umanità.

 

I laici chiedono alle religiose:

 

di lavorare insieme per costruire nei fatti un’autentica cultura della vita;

 

l’impegno di rivalutare l’attività di cura e di educazione perché siano riconosciute e valorizzate nella società, a fare della maternità la misura della società, ad assumere il potere come servizio sull’esempio delle grandi donne che hanno fatto “bella” la vita consacrata senza lasciarsi innamorare del potere.

 

Ogni consacrata potrebbe documentare che in tante altre occasioni – nelle scuole, nelle parrocchie, negli ospedali, nelle famiglie, nei circoli culturali, nelle conversazioni informali – si rinnova la fecondità di questo incontro-confronto, non come esperienza episodica, ma come momento di amicizia e collaborazione.

Il ponte è gettato ed è percorribile nelle due direzioni. Lo percorre abitualmente anche Gesù.

Non si tratta di assumere nuovi ruoli nella Chiesa, magari sostituendo il parroco in tutto, quanto  piuttosto di dare spessore al valore testimoniante della vita consacrata femminile: l’amore per Cristo con cuore indiviso e la testimonianza della sua misericordia e tenerezza per tutti, con una predilezione per i più poveri e deboli.

Cito una delle sante più incisive del nostro tempo, la Beata Madre Teresa di Calcutta. Ella scrive: “La nostra vita come religiose, e soprattutto come donne, deve essere quella di aver sete con Gesù e di assumere su noi stesse la sete della nostra gente e di tutti quelli affidati alle nostre cure del cui amore Gesù stesso continua ad aver sete […]. Per essere in grado di divenire vere donne consacrate dobbiamo innamorarci sempre più di Gesù […]. Dobbiamo mettere l’amore al primo posto nella nostra vita”.

 

Questo amore vuol farsi testimonianza luminosa attraverso l’educazione, la carità, il servizio ai più poveri, l’animazione parrocchiale, il mondo della cultura. Sottolineo quest’ultima frontiera sempre più aperta, sempre più carica di significato e di fecondità, che vede le consacrate impegnate in uno sforzo di preparazione umana e spirituale, che mentre le costruisce come persone le abilita a operare con competenza e saggezza (quante consacrate insegnano oggi a livello universitario, fanno direzione spirituale, predicano esercizi spirituali, lavorano per le Conferenze episcopali, nei Consigli pastorali e in altri luoghi di grande responsabilità, sono su Internet, predicano, scrivono, sono una miniera e una ricchezza di spiritualità!).

 

Ci serva da monito a noi religiosi e a voi religiose in particolate, questa espressione: “Si può diventare estranei alla vita di Dio non solo per la durezza del cuore, ma anche per l’ignoranza”.

Mi ha colpito profondamente e mi ha convinta ancora di più che la strada dell’impegno culturale delle consacrate è oggi prioritaria per il futuro della vita consacrata stessa (anche se ovviamente non è l’unica).

In questo momento di cambio epocale è infatti importante possedere autentiche competenze che aiutino a “rendere ragione della speranza che è in noi” e a metterci in dialogo umile e sincero con il mondo della cultura, per collaborare fattivamente a costruire un mondo di pace nello spirito dell’invito che Giovanni Paolo II rivolse a tutte le donne nella Giornata mondiale della pace del 1995, sul tema “La donna: educatrice di pace”:  “Per educare alla pace, la donna deve innanzitutto coltivarla in se stessa. La pace interiore viene dal sapersi amati da Dio e dalla volontà di corrispondere al suo amore. La storia è ricca di mirabili esempi di donne che, sostenute da questa coscienza, hanno saputo affrontare con successo difficili situazioni di sfruttamento, di discriminazione, di violenza e di guerra”(n.5).

2. Impegnarsi sulle frontiere dell’essere e del coinvolgersi

 

Essere e coinvolgersi. Anche su queste frontiere si giocano passi importanti del cammino futuro della vita consacrata.

La frontiera dell’essere “donne” consacrate, innanzitutto. Si tratta del cammino del confronto con se stesse, con la propria realtà di donne – contemporaneamente ricche e povere di doni – che lavorano per conoscere nel profondo le proprie risorse di “persona umana donna”, che maturano consapevolmente la propria interiorità, che percorrono con costanza il cammino umile della propria verità.

In questa ottica, le consacrate fanno vedere che la loro scelta di vita, con ciò che significa e i compiti a cui rimanda, è una via originale per la piena realizzazione della donna. Non solo, ma è cooperazione feconda e intelligente  a quel riscatto della persona umana che è a fondamento della pace, della democrazia, dello sviluppo tra i popoli.

Nella società, soprattutto la nostra che va diventando sempre più multiculturale e multirazziale, infatti, è soltanto mettendo al centro la persona che si arriva a valorizzare la comunione tra singoli e popoli, al di sopra di ogni sistema o idea o ideologia; a scoprire il vero significato della relazione e ciò che l’altro – non più nemico o concorrente – può offrire; a sviluppare il paradigma di una casa comune e nel contempo plurale; a salvaguardare le istanze universalistiche di ogni espressione culturale in uno spirito aperto alle differenze e alla molteplicità.

A questa nostra società, le donne laiche e consacrate offrono il dono della propria dignità personale mediante la parola e la testimonianza di vita e le ricchezze connesse con la propria vocazione femminile. In essa portano il ricco patrimonio di esperienza accumulato da tante donne lungo la storia, troppo spesso carico di pesi che le hanno relegate ai margini del vivere sociale ed ecclesiale, e quei valori che contribuiscono a salvare l’umano: la coscienza del limite, l’accoglienza, l’attenzione, la cura, la compassione. Sono i valori legati a quel “genio materno” che nel Giubileo dell’Incarnazione del 2000 ha svelato, attraverso il volto di ogni donna e il suo operare sui diversi fronti del quotidiano, il volto della Bellissima, la dolce Madre del Signore.

 

Simone Weil ripeteva più volte a se stessa: “Non passare dinanzi a una cosa grande senza vederla”.  Non si può non vedere che le donne e le donne consacrate semplici e dotte, anziane e giovani, chiamate a ruoli di responsabilità o prostrate dalla malattia stanno interiorizzando un nuovo modello di maternità per consegnarlo alle generazioni future.

 

E’ un modello fondato:

• sulla relazionalità (che richiama il mistero di comunione/libertà tra madre e figlio);

• sul senso del limite (che richiama i periodi di fecondità/sterilità che vive ogni donna),

• sulla capacità di coniugare dolore e gioia (che richiama l’allegrezza di aver dato al mondo un figlio attraverso le doglie del parto).

 

Ogni persona umana è stata creata a  immagine di Dio, Trinità di Persone in comunione. Fa parte di questo ripensamento l’accento posto dalle consacrate sul nesso che intercorre tra la donna e il senso della vita, a lei tipicamente proprio, soprattutto nel tratto relazionale interpersonale che è il sigillo impresso dalla Trinità nella persona umana. Non solo, ma l’impegno a collaborare per costruire una nuova cultura, quella cultura che trova fecondità nel mistero della reciprocità che ci costruisce in quanto persone e ci è modello in ogni esperienza di vita, per il suo radicarsi nel mistero ineffabile della reciprocità delle Divine Persone.

Si tratta di risvolti che incidono su tutti gli aspetti della vita consacrata: dall’identità ai ruoli, alla vita comunitaria, ai voti, al rapporto tra donne e tra donne e uomini, alla convivenza intergenerazionale e multiculturale, all’esercizio dell’autorità, alla formazione.

I voti di castità, povertà, obbedienza, riscoperti e vissuti in quella chiave relazionale, che mette al primo posto l’amore per il Signore, sono una strada maestra per costruire questa società sana, a misura di persona umana.

 

L’obbedienza diventa “libertà liberata con l’ethos dell’amore”, capacità di decisione sana e autonoma, ecologia della mente, scuola di vita comune che fa a ciascuno il giusto spazio, coscienza del proprio limite che accoglie il dono dell’altro nella consapevolezza che ciascuno ha un talento da offrire e trafficare.

La povertà si fa sobrietà umanizzante, dipendenza responsabile dalla comunità secondo uno stile di vita adulta, ecologia della vita che porta ad accontentarsi del necessario, a condividere i bene materiali e spirituali, a lottare per vincere le strutture di peccato e di morte, a testimoniare la lotta contro lo spreco delle cose, della natura, dei pensieri, del linguaggio, dell’amore.

La castità, nella donazione totale a Cristo, diventa ecologia del cuore, lotta gioiosa e trasparente contro la prostituzione del corpo e dello spirito, maternità spirituale aperta a ricevere, a donare, a far crescere la vita.

 

La frontiera del “coinvolgersi”. E’ il cammino dell’immergersi nella concretezza dei problemi per acquistare la sapienza di prevenirli – quando è possibile – e di inventarne le risposte nel vivo dell’azione.

E’ il farsi carico dei problemi portando in essi tutto il peso della propria vita affettiva, intellettuale, volitiva incorporata in quella saggezza che è l’arte-virtù del giusto momento.

E’ il prendersi cura della vita e della morte, delle situazioni che richiedono rispetto e accoglienza delle differenze mosse da atteggiamenti dignitosi e sereni di compassione. “Prendersi cura”, vale a dire diventare sempre più consapevoli del dono che ciascuna può rappresentare per gli altri, per la gente, per il mondo… Prendersi cura dei poveri come Teresa di Calcutta, delle riforme come Teresa d’Avila, della  pace come Brigida di Svezia, dell’Amore come Teresa di Gesù Bambino, del Papa come Caterina da Siena, della verità come Teresa Benedetta della Croce, dell’educazione come Maria Mazzarello, del mondo della comunicazione sociale come Tecla Merlo.

 

“Essere”, “coinvolgersi” per trasformare la valle del pianto in una sorgente (Sl 83) esprimendo innanzitutto quello che è “il cuore” del “genio femminile”, la cifra dell’essere donna e donna consacrata: il genio del proprio rapporto con il Signore, fonte e ragione di ogni amore.

Quel genio che non deve mai spegnersi per condurre la vita consacrata “oltre la porta del terzo millennio”, iniziato da 13 anni, così che l’umile e coraggioso servizio di tutte coloro che hanno scelto il Signore possano essere non solo “seme nella terra”, ma “lampada sul moggio”. Oltre la Porta della fede, come ci ricorda Papa Benedetto nel Motu proprio per l’indizione dell’Anno della fede, attualmente in corso, e che a noi religiosi chiede il coraggio di osare di più per vivere coerentemente la nostra scelta di consacrazione a Dio, senza aver paura, ma solo avendo fiducia in Colui che tutto può.

PAGANI. CONCLUSO IL TRIDUO DI PREPARAZIONE ALLA FESTA DELLE SUORE

Foto1007.jpgCon un solenne celebrazione eucaristica presieduta questa sera, 5 gennaio 2013, da padre Antonio Rungi, dalle ore 17 alle 19.30, si è concluso il triduo di preparazione spirituale che si tiene nella casa madre di Pagani (Sa), in Via San Francesco, dove riposano le spoglie mortali del Beato. Triduo voluto espressamente predicato da padre Rungi dalle Suore della Carità del Preziosissimo Sangue, che domani 6 gennaio 2013, ricordano il loro Fondatore, Tommaso Maria Fusco, prossimo alla canonizzazione, in  questo anno della fede. Ma le suore ricordano in particolare la loro fondazione, che risale al 140 anni fa. Era, infatti il 6 gennaio del 1873, solennità dell’Epifania, 140 anni fa, quando profondamente colpito dalla disgrazia di un’orfana, vittima della strada, dopo attenta preparazione nella preghiera di discernimento, don Tommaso Maria fondò la Congregazione delle «Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue». L’Opera ebbe inizio nella Chiesa della Madonna del Carmine, in Pagani, alla presenza del Vescovo Raffaele Ammirante il quale, con la consegna dell’abito alle prime tre Suore, benedisse il primo Orfanotrofio per sette orfanelle povere del paese. Sulla nascente famiglia religiosa e sull’Orfanotrofio, dietro sua richiesta, non tardò a scendere anche la benedizione del Papa. Ora le Suore fondate dal Fusco sono presenti in varie parti d’Italia e all’estero, portando avanti l’opera iniziata dal fondatore, con particolare attenzione ai bambini e all’infanzia abbandonata o in difficoltà. La straordinaria figura di questo sacerdote diocesano, viene commemorata in questi giorni, con una specifica preparazione spirituale alla festa dell’Istituto che si ricorda il 6 gennaio. Le comunità religiose delle Suore della Carità del Preziosissimo Sangue di Pagani e delle altre località della regione Campania si sono  ritrovate in queste sere per la celebrazione dei vespri, della santa messa con riflessione e con altri momenti di incontri tra le suore e i fedeli laici, soprattutto giovani, che fanno riferimento ai cenacoli di preghiera istituiti a Pagani e negli altri Comuni del territorio.

Questa sera giornata conclusiva del triduo la celebrazione è stata particolarmente sentita e vissuta, con circa 100 persone presenti in chiesa, tra suore, giovani e fedeli laici appartenenti al cenacolo di preghiera, guidato negli anni scorsi da padre Antonio Rungi. L’intensa celebrazione con la sentita omelia pronunciata da padre Rungi ha attirato l’attenzione di tutti i presenti, in particolare i circa 30 giovani che hanno animato la liturgia con canti religiosi e natalizi di grande sensibilità ed efficacia. A conclusione del rito, il bacio del bambino e la commovente rappresentazione scenica di alcuni quadri del vangelo dell’infanzia di Gesù. Sacra rappresentazione curata dai Giovani dell’Avo di Nocera Inferiore, i volontari ospedalieri che questa sera hanno condiviso con le suore il momento di preghiera in onore del Beato Tommaso Maria Fusco. La sacra rappresentazione è partita con la lettura del prologo del Vangelo di Giovanni e si è sviluppata poi sull’annunciazione, sulla visita a Sant’Elisabetta, su San Giuseppe, sulla nascita di Gesù a Betlemme con l’adorazione dei pastori e dei Magi. Vari quadri molto belli, con personaggi dal vivo, stile presepe vivente, in cui i dialoghi, tratti dal vangelo sono stati la parte dominante della sacra rappresentazione. L’associazione Avo di Nocera inferiore conta oltre 300 aderenti e si alimenta con il propri proventi, senza alcun aiuto esterno, ma solo con l’autotassazione di 15 euro all’anno per tutti gli iscritti, come ha sottolineato il presidente presente alla celebrazione. E’ stata Madre Ofelia a volere ringraziare tutti i convenuti alla celebrazione della sera, particolarmente riuscita e vissuta con spiritualità e coinvolgimento emotivo da parte di tutti. La stessa religiosa ha voluto tracciare, prima della santa messa, presieduta da padre Antonio Rungi, la figura esemplare del Beato Tommaso Fusco e il perché della nascita del loro istituto, le Suore Figlie della Carità del preziosissimo Sangue. Informazioni risultate utili per i giovani e i presenti, alcuni dei quali per la prima volta giunti al luogo di culto dedicato al Beato Tommaso Maria Fusco. La bellissima serata di preghiera e di riflessione sui testi della parola di Dio relativi alla solennità dell’Epifania del Signore del 2013, si è conclusa con la piccola agape fraterna nel refettori delle suore, alla quale hanno partecipato tutti i giovani che hanno animato la liturgia e la sacra rappresentazione della natività di Gesù, ma anche i fedeli presenti in chiesa le suore della comunità di San Francesco di Pagani e delle apre comunità della cittadina e di altre località. Che dire? Una festa dell’Epifania che si ricorderà a lungo e segnerà la storia dell’Istituto delle Suore della Carità del Preziosissimo Sangue e lasciare una traccia indelebile nel prossimo cammino della Congregazione a Pagani, città natale del Beato e luogo di prima evangelizzazione di Tommaso Maria Fusco, uno degli uomini e santi illustri della città nota anche per la presenza di un altro grande santo, che con il Natale ha una storia particolare, quel Sant’Alfonso dei Liguori, che ha scritto pagine stupende e meravigliose sul mistero dell’incarnazione del Signore, fissando la sua spiritualità natalizie in celebri canti come Tu scendi dalle Stelle o “Quann nascette Ninno a Betlemme”. Canti eseguiti questa sera a conclusione di tutto il periodo natalizio, celebrandosi oggi la solennità dell’Epifania che tutte le feste porta via.

Pagani (Sa). Una storia da raccontare, ma anche un avvenire da costruire

Foto0931.jpgBeato_Tommaso_Maria_Fusco.jpgDomani 6 gennaio 2013, le Suore Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue celebrano il loro 140 anniversario dellla fondazione. Era, infatti, il 6 gennaio 1783, solennità dell’Epifania, 140 anni fa, quando profondamente colpito dalla disgrazia di un’orfana, vittima della strada, dopo attenta preparazione nella preghiera di discernimento, don Tommaso Maria fondò la Congregazione delle «Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue». L’Opera ebbe inizio nella Chiesa della Madonna del Carmine, in Pagani, alla presenza del Vescovo Raffaele Ammirante il quale, con la consegna dell’abito alle prime tre Suore, benedisse il primo Orfanotrofio per sette orfanelle povere del paese. Sulla nascente famiglia religiosa e sull’Orfanotrofio, dietro sua richiesta, non tardò a scendere anche la benedizione del Papa. Ora le Suore fondate dal Fusco sono presenti in varie parti d’Italia e all’estero, portando avanti l’opera iniziata dal fondatore, con particolare attenzione ai bambini e all’infanzia abbandonata o in difficoltà. La straordinaria figura di questo sacerdote diocesano, viene commemorata in questi giorni, con una specifica preparazione spirituale alla festa dell’Istituto che si ricorda il 6 gennaio. Le comunità religiose delle Suore della Carità del Preziosissimo Sangue di Pagani e delle altre località della regione Campania si ritrovate nelle sere dal 3 al 5 gennaio per la celebrazione dei vespri, della santa messa con riflessione e con altri momenti di incontri tra le suore e i fedeli laici, soprattutto giovani, che fanno riferimento ai cenacoli di preghiera istituiti a Pagani e negli altri Comuni del territorio. A predicare il triduo è stato padre Antonio Rungi, missionario passionista, teologo morale, che ha trattato delle tre virtù teologali (fede, carità e speranza) nella vita del Beato Tommaso Maria Fusco. Domani solennità dell’Epifania, in tutte le comunità religiose in Italia e all’estero si commemora solennemente questo avvenimento di portata storica per l’Istituto, soprattutto nella città natale del Beato Tommaso Maria Fusco,definito da tutti il “Don Bosco del Sud”, proprio mentre San Giovanni Bosco operava in campo pastorale al Nord.“Ricordare questo importante evento per la nostra Congregazione – afferma l’ex-madre Generale della Congregazione, Madre Ofelia, responsabile della Casa Madre delle Suore della Carità del Preziosissimo Sangue- non è solo una storia da raccontare, ma un presente da vivere e sentire profondamente nel nostro cuore e nel nostro apostolato della carità, come il nostro Fondatore, guardano al futuro con la speranza di un domani migliore per tutta la vita consacrata in Italia e nel mondo. La fede profonda del nostro Fondatore ci spinga a noi religiose, figlie sipirituali di una sacerdote pieno di amore verso Dio e verso i fratelli a vivere concretamente la carità, attingendo la forza ed il coraggio al Preziosissimo Sangue di Gesù, che è nostro maestro e guida nella vita interiore e nelle attività apostoliche. Messe di commenorazione di questo storico evento in tutte le parrocchie e i luoghi dove le religiose sono presenti ed impegnate, particolarmente a Pagani, con quattro comunità religiose in varie parti della città e con finaità diversificate.

La serva di Dio, Concetta Pantusa, madre di famiglia e laica consacrata

1972975920.jpgAirola (Bn). La serva di Dio Maria Concetta Pantusa. Verso la conclusione il processo diocesano.

di Antonio Rungi

Da molti devoti, da studiosi e biografi, da vari spiritualisti è considerata la “Santa Rita del Sud” con qualche variazione sul tema della santità, ma sostanzialmente con gli stessi contenuti di spiritualità e di vita: nubile, poi sposa, poi madre, poi vedova, infine consacrata laica, ma con il desiderio nel cuore di consacrarsi totalmente al Signore nel secondo ordine francescano, chiedendo di entrare nel monastero delle Clarisse di Airola, che allora non accoglieva le persone vedove. Vi entrò l’unica sua figlia, suor Maria Carmela, morta ultranovantenne, tre anni fa, frutto del suo matrimonio con Vito De Marco, poi morto durante la prima guerra mondiale.
Si tratta della Serva di Dio Concetta Pantusa, madre di famiglia, di cui è in corso il processo di beatificazione, conosciuta presso il popolo cristiano del Sannio e della Calabria, come “Suor Concetta, la monaca santa del Volto Santo di Airola”.
La sua spiritualità, come quella di Santa Rita da Cascia, è una spiritualità della Passione di Cristo. Fu, infatti, guidata nel suo itinerario di fede, speranza e carità dai religiosi passionisti che ad Airola, nel vicino convento di Monteoliveto, sulla collina del piccolo centro della Valle Caudina, erano e sono presenti con una comunità stabile dal 1882 e dai Frati Francescani con il convento di San Paquale presenti in città dal 1600.
Punti di riferimento per la sua formazione spirituale furono San Francesco d’Assisi, Santa Chiara, San Pasquale Baylon, Sant’Antonio da Padova sul versante della famiglia religiosa dei Francescani; mentre sul versante di quella passionista sua grande devozione fu l’amore filiale a San Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti, a San Gabriele dell’Addolorata, a Santa Gemma Galgani e particolarmente a Santa Maria Goretti, che venerava con speciale affetto, in quanto ad Airola, fin dal momento della canonizzazione della martire delle Ferriere, nel 1950, si sviluppò una sentita devozione, che ancora oggi persiste al tempo della distruzione di tutto il sacro negli ambiente cristiani dei decenni passati. Qui Maria Concetta Pantusa visse, per oltre 20 anni, l’ultimo significativo tratto della sua vita.
Nata a Celico il 3 febbraio 1894, Maria Concetta Pantusa da fanciulla soffrì molto per il duro trattamento del padre, il quale la condusse con sé in Brasile dove si recò in cerca di lavoro. In Brasile sposò un giovane italiano di origini pugliesi, un certo Vito De Marco. Dalla loro unione coniugale il 28 ottobre 1915 nacque l’unica figlia Maria Carmela, poi diventata monaca clarissa.
Ritornarono in Italia nel 1916, prendendo domicilio a Polignano a Mare (Bn). Il marito morì durante la prima guerra mondiale, lasciandola vedova con una bambina da accudire in un tempo di estrema miseria e povertà. Dopo molte traversie, l’ 8 maggio 1930, insieme con l’unica figlia e con Suor Speranza Elena Pettinato si trasferì in Airola (Benevento). Mentre la figlia entrava nel monastero delle Clarisse, lei che pure aveva fatto richiesta d entrarvi, non fu accettata per i limiti della regola del secondo ordine francescano. Di conseguenza restò nel secolo e con suor Speranza iniziò una vita di consacrata laica. Qui si dedicò all’educazione dei piccoli, alla carità, al servizio degli poveri, alla preghiera, vivendo un’intensa vita interiore nella sua piccola abitazione di via Monteoliveto in Airola, guidata da saggi direttori spirituali. Incominciarono le prime significative esperienze di visioni ed estasi, che sapeva tenere gelosamente nascoste per sé, per evitare qualsiasi fraintendimento, strumentalizzazione e soprattutto per allontanare lo spettro della superbia e dell’orgoglio, che si possono manifestare quando i segni del cielo sono evidenti in un’anima santa. La lotta contro il Demonio è testimoniata nel suo diario spirituale.
Il Signore, infatti, riversò in lei molti doni: la profezia, il miracolo, la visione, l’estasi, le stimmate e i dolori della Passione.
Nell’umile stanzetta dove viveva, il 17 febbraio 1947, per tre ore, dalle 13 alle 16, da un’immagine del volto di Gesù della S. Sidone di Torino, vide uscire dal sangue; il sangue sgorgava come da una sorgente e rimase in ebollizione per tre ore. Questo fenomeno si ripeté il 28 febbraio e, per la terza volta, il 4 marzo. Da quel giorno i fatti miracolosi si susseguirono con continuità. Maria Concetta Pantusa morì il venerdì di Passione il 27 marzo 1953, all’età di 59 anni.
Sull’eroicità delle virtù teologali e morali e su specifici altri fatti attinenti la santità della Serva di Dio sta operando con grande senso di equilibrio e di giudizio, da cinque anni, il Tribunale ecclesiastico diocesano di Cerreto-Telese-Sant’Agata per la causa dei santi.
Il processo per la causa di beatificazione è stato, infatti, aperto ufficialmente il 10 febbraio 2007, alla presenza del Vescovo diocesano di Cerreto-Telese-Sant’Agata dei Goti, monsignor Michele De Rosa, nella Chiesa della SS.Annunziata di Airola (Bn), alla presenza di oltre mille fedeli arrivati ad Airola, da ogni parte d’Italia, dalla terra nativa della Serva di Dio, la Calabria e dalle Puglie. Tale iniziativa è sostenuta dalla Pia Unione del Volto Santo di Airola, il cui responsabile è il francescano, padre Vittorio Balzarano.
Il processo diocesano sta in via di ultimazione, dopo che la sezione del tribunale ecclesiastico ha ascoltato tutti i testimoni ed esperite tutte le pratiche canoniche previste dall’iter per la beatificazione.

Meditazione sul Natale 2012, anno della fede

Foto0888.jpgLa luce che emana Gesù Bambino

di padre Antonio Rungi

E’ Natale anche quest’anno  2012, anno della fede, anno di straordinaria grazia e benedizione dal cielo. Ringraziamo il Signore che ci dona la possibilità e la gioia di celebrarlo in questo anno 2012 che volge al termine, che ci ha riservato tanta gioia, ma anche tante prove. Natale si sa ti prende tutto e prende tutti, nonostante che sembra andare in pensione un modo di celebrare e vivere il Natale come qualche anno fa. Il fascino e la tenerezza di questa festa rimangono intatti anche per gli uomini supertecnologici del terzo millennio dell’era cristiana. La grotta di Betlemme o la casa di Nazareth con il Bambino Gesù non possono essere clonati e raddoppiati, né riprodotti in forma virtuale.

Natale è e rimane unico come festa e come contenuti ed è a questi contenuti religiosi che ci rifacciamo per celebrare anche quest’anno degnamente il Natale del Redentore dell’umanità.

E non c’è modo più bello per celebrarlo che riportarsi davanti al Bambino Gesù e dialogare con lui.

Egli ha dato tutto per noi, Egli si aspetta qualcosa da noi.

Il Natale non è solo ricevere è soprattutto dare, e dare una cosa più importante rispetto a tutto il resto: dare amore e darlo nel modo più pieno ed autentico possibile, senza calcolare pesi e misure, ma facendo spaziare i nostri pensieri, sentimenti ed azioni nel grande mare della bontà e generosità. Come ai tempi del profeta Isaia che guarda alla venuta del Messia come tempo di luce, pace e gioia, così ai nostri giorni vorremo che il Natale, ovunque si celebri, possa portare tanta luce, tanta gioia, tanta serenità nella vita delle persone. Ci sono tanti problemi, da quelli spirituali, religiosi, umani ed economici, che riportano alla nostra attenzione, in questi giorni di festa, il dramma di tante persone e di interi popoli.

Questa umanità deve riscoprire la grande luce che viene da Cristo, unico salvatore del mondo. Se non si riappropria del messaggio che viene da Betlemme difficilmente questa umanità ritroverà le ragioni della speranza e della pace.

Si sa che dove c’è Dio, davvero c’è tanta pace e serenità. Dove Egli manca del tutto o è stato accantonato per rincorrere idoli di varia natura c’è solo tristezza, malinconia e assenza di prospettiva.

Oggi dobbiamo rallegrarci tutti nel Signore perché è nato nel mondo il Salvatore.

Oggi la vera pace è scesa a noi dal cielo. E’ questa la verità delle verità, la notizia delle notizie, la novità delle novità che a distanza di 2012 anni ha tutta la sua validità, autenticità e verità.

Di questa grande verità di fede ci parla l’Apostolo Paolo in questa giornata di vera festa per tutti i cristiani.

La sua parola assume più rilevanza perché stiamo celebrando l’anno della fede.

Il programma di vita e risurrezione che reca con se il Natale del Signore sta tutto fissato in questi pochi, ma densi versi di etica personale e sociale. Disattendere ad un simile impegno significa non celebrare degnamente il Natale di quest’anno.

Bisogna ripartire dalla moralità personale per auspicare e attendere la moralità di tutti gli altri. E siamo in un tempo che di moralità in senso stretto solo pochi possono parlarne con cognizione di causa e corrispondenza di vita. 

Nel racconto della nascita di Gesù così come viene presentata dall’evangelista Luca troviamo il modo più immediato e concreto per rispondere alla chiamata del Signore che viene della Grotta di Betlemme. Questo modo è l’atteggiamento di quanti vanno alla grotta del Signore a partire dai pastori lì presenti a vegliare il loro gregge, fino a giungere ai tre sapienti dell’Oriente, i Re Magi, di cui si farà memoria liturgica nella solennità dell’Epifania. Vi consiglio per un vostro personale approfondimento l’attenta lettura dell’ulltimo libro di Papa Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù, un capolavoro di esegesi, spiritualità, pastoralità ed ecclesialità. 

Dopo essere arrivati al Natale 2012 e aver ascoltato nuovamente il canto degli angeli che riconoscono a Dio la Gloria e la pace agli uomini della terra purché essi vivono in sintonia con questo piccolo, grande Dio che nasce a Betlemme nel grembo purissimo di Maria Santissima.  

L’atteggiamento migliore è non aver paura di incontrare il Signore nella confessione dei nostri peccati, nell’ascoltare e mettere in pratica la parola di Dio e nella partecipazione all’Eucaristia.  

Bisogna rimuovere tutti gli ostacoli di natura individuale e comunitaria affinché Cristo entri davvero nella storia di ognuno di noi, come dentro nella vita della sua e nostra dolcissima madre Maria Santissima.  

Non possiamo assolutamente sbarrare la porta al Signore che viene, mettendo gli ostacoli della nostra presunzione, del nostro egoismo, dell’indifferenza, dell’assenza di un barlume di fede. Quella luce che brillò nella notte di Betlemme deve rifulgere con la stessa intensità nella grotta aperta del nostro cuore e della nostra intelligenza. In questo anno della fede ripartiamo da Gesù bambino per camminare nella luce della fede autentica. 

L’effetto immediato di questa luce accecante e potente sono bene espressi ed indicati dal profeta Isaia che anche oggi, solennità del Natale, ci sostiene spiritualmente con la parola che sgorga dal cuore di un vero uomo di Dio.  

La luce di Cristo moltiplica la gioia ed aumenta la letizia, vengono interrotti i vari pesi che opprimono l’uomo, subentra la pace tra le nazioni e tutto acquista un nuovo senso e si dirige verso un nuovo orizzonte, quello di Cristo unico salvatore. Gesù è, infatti, il consigliere mirabile, è il Dio potente, è il Padre per sempre, è il Principe della pace. Il suo potere e la pace non avranno fine. Nel mistero del Verbo incarnato, infatti, è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del fulgore di Cristo, perché conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle realtà invisibili. 

In quel natale di 2012 anni fa non eravamo fisicamente presenti all’evento, ma da quell’evento, unico e irripetibile della storia della salvezza siamo nati noi, nuove creature redente dal Salvatore, nato nella piccola e gelida grotta. Non resti freddo il nostro cuore davanti a simile grande mistero della salvezza, ma ognuno viva questo Natale con la consapevolezza che Dio è con noi sempre e non ci abbandona mai, soprattutto nell’ora della prova e del dolore.  

Buon Natale a tutti nella gioia di questo Gesù che tanta tenerezza ci dona ogni anno in questa santa ed attesa festa dell’amore, della speranza, del perdono e della riconciliazione.  

Sia il Natale davvero il Natale della festa della fede, una festa a cui tutti avvertiamo il bisogno di partecipare e dare il nostro contributo per la sua positiva riuscita in ogni luogo e situazione.

BUON NATALE 2012

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1.  IL RACCONTO

 

La scatola dei baci

 

La storia ha inizio tempo fa, quando un uomo punisce severamente sua figlia di 5 anni… per la perdita di un oggetto di famiglia di grande valore economico.

Il denaro in quel periodo era poco, come in questi nostri giorni di crisi economica mondiale. Era il periodo di Natale, come oggi.

La mattina successiva alla punizione, forse la vigilia del Santo Natale, la bambina portò un regalo al padre, confezionato con le sue mani e gli disse: “Papà, è per te”.

Il padre era visibilmente imbarazzato ed emozionato, per il pensiero avuto dalla figlia nei suoi riguardi.

Ma aprendo la scatola, vide che dentro non c’era nulla. Più arrabbiato di prima disse in modo brusco alla sua figlia: “Non lo sai che quando si fa un regalo, si presuppone che nella scatola ci sia qualcosa?”.

La bimba lo guardò dal basso verso l’alto e con le lacrime agli occhi disse: “Papà,…non è vuoto”.

“Come non è vuoto”, replicò il padre.

“Vedi meglio –disse la bambina- c’è molto di più di quanto non vedi. Vi ho messo dentro tanti baci per te, papà, fino a riempirlo tutto quanto. Come fai a non vederli i mei piccoli baci”.

Il padre si sentì annientato, annichilito e incominciò a piangere. Si inginocchiò, mise le braccia al collo della sua bimba e le chiese perdono.

Passò del tempo e una disgrazia portò via la bambina. Che dolore infinito nel cuore di quel padre.

Per tutto il resto della sua vita, quel papà tenne sempre con sé, come una reliquia, la scatola dei baci della sua bambina. Stava sul comodino vicino al suo letto. Quando si sentiva scoraggiato o in difficoltà, apriva la scatola e tirava fuori un bacio immaginario, ricordando tutto l’amore che la sua bambina gli aveva messo dentro in quel Natale di dolore.

Buona Natale, bambini, papà, mamme, nonni, nonne e familiari tutti.

 

2.   LA PREGHIERA

 

Natale non è..

Natale non è chiedere un sorriso,

quando il sorriso non ce l’hai

e non lo vuoi donare. 

Natale non è chiedere l’amicizia,

 se l’amicizia non sai valorizzarla. 

Natale non è chiedere soccorso,

se non sei in grado di dare aiuto

a chi aiuto non riceve mai. 

Natale non è chiedere amore,

in un mondo, in cui l’amore

è ben altra cosa

che amare con il cuore.  

Natale non è chiedere perdono

solo in questo giorno,

ma vivere nel perenne ricordo

di come riparare i propri errori.  

Natale non è solo famiglia

il 25 dicembre,

ma è sempre e gioiosamente

comunione di intenti

tutti i giorni della nostra esistenza. 

Natale non è preghiera e messa

solo nella notte santa,

ma è preghiera costante

e vigilanza continua

su nostro operato.  

Natale non è tante altre

ed infinite cose

che pensiamo essere importanti

quando importanti non lo sono. 

Natale è solo un grande dono: 

è Amore.

Natale è la gioia,

che Cristo Signore

ci porta nella notte più luminosa

della storia del mondo.  

Natale sei Tu Gesù Bambino,

unico e infinito amore

del nostro cuore

che guidi il tempo e la storia

verso il Natale eterno

della tua gloria.

Amen.

Padre Antonio Rungi, passionista

 

Natale 2012

 

Natale non è…………….

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Natale non è..

Natale non è chiedere un sorriso,
quando il sorriso non ce l’hai e non vuoi donarlo.

Natale non è chiedere l’amicizia,
se l’amicizia non sai valorizzarla.

Natale non è chiedere soccorso,
se non sei abituato a dare aiuto

a chi aiuto non riceve mai…

Natale non è chiedere amore,
in un mondo, in cui l’amore

è ben altra cosa
che amare con il cuore.

Natale non è chiedere perdono

solo in questo giorno,
ma vivere nel perenne ricordo
di come riparare il male fatto.

Natale non è solo famiglia

il 25 dicembre di ogni anno,
ma è sempre e gioiamente famiglia
tutti i giorni dell’anno.

Natale non è preghiera e messa

solo nella notte santa,
ma è preghiera costante
e vigilanza continua
sul tuo modo di comportarti.

Natale non è tante altre ed infinite cose

che pensiamo essere importanti
quando importanti non lo sono.

Natale è solo grande una grande cosa 

è Amore e  gioia, che Cristo Signore
ci porta nella notte più luminosa
della storia del mondo.

Natale sei Tu Gesù,

unico e infinito amore del cuore dell’uomo
che guidi il tempo e la storia
verso la felicità eterna.
Padre Antonio Rungi

Frattamaggiore. Ritiro spirituale alle Suore Ancelle del Sacro Cuore

 

SUORE ANCELLE DEL SACRO CUORE DI CATERINA VOLPICELLI

 

RITIRO MENSILE – FRATAMAGGIO 20 DICEMBRE 2012

Padre Antonio Rungi, passionista

 “FEDE PURIFICATA E SEMPLICE. 

NOI PURIFICATI DALLA FEDE 

 

Preghiera per far crescere e purificare la fede (Papa, Paolo VI) 

 

Signore, io credo; io voglio credere in Te.  

O Signore, fa’ che la mia fede sia piena, senza riserve, e che essa penetri nel mio pensiero, nel mio modo di giudicare le cose divine e le cose umane.  

O Signore, fa’ che la mia fede sia libera: cioè abbia il concorso personale della mia adesione, accetti le rinunce e i doveri ch’essa comporta e che esprima l’apice decisivo della personalità: credo in Te, o Signore. 

O Signore, fa’ che la mia fede sia certa; certa d’una esteriore congruenza di prove e di un’interiore testimonianza dello Spirito Santo, certa d’una sua luce rassicurante, d’una sua conclusione pacificante, d’una sua assimilazione riposante.  

O Signore, fa’ che la mia fede sia forte, non tema la contrarietà dei problemi, onde è piena l’esperienza della nostra vita avida di luce, non tema le avver­sità di chi la discute, la impugna, la rifiuta, la nega; ma si rinsaldi, nell’ultima prova della prova della tua verità, resista alla fatica della critica, si corrobori nella affermazione continua sormontante le difficoltà dialettiche e spirituali, in cui si svolge la nostra temporale esistenza.  

O Signore, fa’ che la mia fede sia gioiosa e dia pace e letizia al mio spirito, e lo abiliti all’orazione con Dio e alla conversazione con gli uomini, così che irradi nel colloquio sacro e profano l’interiore beatitudine del suo fortunato possesso.  

O Signore, fa’ che la mia fede sia operosa e dia alla carità le ragioni della sua espansione morale, così che sia vera amicizia con Te e sia di Te nelle opere, nelle sofferenze, nell’attesa della rivelazione finale, una continua ricerca, una continua testimo­nianza, un alimento continuo di speranza.  

O Signore, fa’ che la mia fede sia umile e non pre­suma fondarsi sull’esperienza del mio pensiero e del mio sentimento; ma si arrenda alla testimonianza dello Spirito Santo, e non abbia altra migliore garanzia che nella docilità alla Tradizione e all’autorità del magistero della Santa Chiesa.  

Amen.

DALLA PORTA FIDEI N.6 

L’Anno della fede, in questa prospettiva, è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza l’Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante la remissione dei peccati (cfr At 5,31). Per l’apostolo Paolo, questo Amore introduce l’uomo ad una nuova vita: “Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una nuova vita” (Rm 6,4). Grazie alla fede, questa vita nuova plasma tutta l’esistenza umana sulla radicale novità della risurrezione. Nella misura della sua libera disponibilità, i pensieri e gli affetti, la mentalità e il comportamento dell’uomo vengono lentamente purificati e trasformati, in un cammino mai compiutamente terminato in questa vita. La “fede che si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6) diventa un nuovo criterio di intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo (cfr Rm 12,2; Col 3,9-10; Ef 4,20-29; 2Cor 5,17). 

Papa Benedetto nella lettera di indizione dell’Anno della Fede “Porta fidei” ha indicato la finalità: “Ravvivare, purificare, confermare e testimoniare la fede”. La data dell’11 ottobre 2012 pur facendo quindi memoria di due passaggi importanti della storia della Chiesa (Concilio vaticano II, Catechismo della Chiesa cattolica) non è allora solo l’inizio di un anno celebrativo di eventi importanti, ma può rappresentare piuttosto l’occasione affinché le comunità cristiane possano attivare un cammino con lo scopo appunto di “rinnovare” la propria fede. Raccogliendo l’esortazione del Papa, e le indicazioni date dai nostri Vescovi è utile orientare tutto il cammino di formazione cristiano verso un vero approfondimento del dono della fede, mediante una riflessione sulla fede, ma che abbia anche come finalità l’avvio o la ripresa di un percorso che possa dare continuità e sostegno alla fede delle persone, dei gruppi parrocchiali, e sia testimonianza significativa verso la gente dei nostri territori. 

Il nostro incontro di oggi rientra proprio in questo. Ci sono le Ancelle, le Piccole Ancelle e le Aggregate alla spiritualità e al Carisma di Santa Caterina Volpicelli e ai devoti del Sacro Cuore. 

1.                L’esame della propria esperienza di fede. 

Chiediamo allo Spirito Santo anche la grazia di non restar male di noi stessi, perché troveremo sicuramente la nostra fede povera, forse segnata da momenti di prova e oscurità.  “Un giorno i discepoli chiesero a Gesù: “Aumenta la nostra fede”. Spesso faccio mia questa invocazione perché mi ricorda che la mia fede è sempre piccola. E’ una preghiera che mi spoglia di ogni presunzione nei confronti delle mie sorelle e fratelli e delle loro fatiche a credere.

Solo se facciamo questo esercizio spirituale possiamo raccontare onestamente la nostra esperienza di fede ad altre persone che spesso si sono allontanate dalla fede a causa delle sofferenze della vita o perché si sono lasciate andare all’indifferenza. Esse percepiscono subito se parliamo sinceramente della nostra esperienza o se diciamo frasi fatte, imparate ma che, sotto sotto, convincono poco anche noi, se parliamo a loro della fede dando per scontato che noi la possediamo tranquillamente. 

Questa è una tentazione che ho voluto mettere in evidenza nella Lettera: “In questo contesto mi sembra doveroso anche mettere in guardia dalla subdola tentazione di “dare per scontata” la propria fede. Questa tentazione può insinuarsi specialmente in quanti di noi hanno, dentro la Chiesa, una responsabilità riconosciuta di educare alla fede (il Vescovo, in primis, i sacerdoti, i genitori e gli altri educatori cristiani). 

Il ruolo e l’abitudine può portare a dare per scontato di credere con la mente e col cuore in ciò che facciamo per gli altri (la predicazione, le celebrazioni liturgiche, le preghiere pubbliche, il catechismo) e annunciamo agli altri (Dio, Gesù, la Grazia, il perdono dei peccati, la vita eterna..). 

Chi cade in questa tentazione, generalmente, è portato a puntare il dito sugli altri e poco su se stesso. Vede la pagliuzza nell’occhio del fratello, ma non accetta di riconoscere che nel suo c’è una trave” (n.11) 

Si è appena concluso il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione nel quale è stato continuamente ripetuto che solo credenti veri, possibilmente santi, diffondono efficacemente la fede in Gesù Cristo. Il sale insipido non interessa a nessuno e viene lasciato da parte. 

Umilmente dobbiamo confessare, io per primo, che un po’ siamo “sale insipido” e, per questo, dobbiamo continuamente chiedere allo Spirito Santo che purifichi e aumenti la nostra fede in Gesù. 

2.LE PROVE CHE PURIFICANO LA FEDE 

Per aiutarci a fare l’esame della nostra esperienza di fede, propongo di meditare lo stesso brano del Vangelo della tempesta sedata. Questo miracolo è un momento in cui Gesù mette alla prova la fede dei suoi discepoli perché diventasse più sincera. Con ogni suo discepolo il Signore segue la stessa pedagogia facendoci passare per momenti di prova della fede come dice S. Pietro: “perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’ afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che, pur destinato a perire tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo” (1 Pt 1,6-7). 

Chiediamoci per quali tempeste e prove Gesù mi ha fatto passare e mi sta facendo passare per mettere alla prova la mia fede in lui? Come ho vissuto o sto vivendo questi tempi di prova? Come è stata purificata la mia fede? 

1) Il tempo dell’entusiasmo nel nostro rapporto con Gesù 

Il miracolo della tempesta sedata segue l’altro straordinario miracolo della moltiplicazione dei pani; questo miracolo aveva creato un clima di straordinario entusiasmo attorno a Gesù, che aveva dato prova della sua potenza sfamando con 5 pani oltre diecimila persone. S. Giovanni racconta che la gente voleva acclamarlo re (Gv 6,14-15). In quell’entusiasmo erano certamente coinvolti gli apostoli perché toccavano con mano il successo di Gesù tra la gente e la sua potenza divina. Erano pronti a credere e a dichiarare che lui era il Messia inviato da Dio per il suo popolo. Sentivano verso Gesù una fede forte, sicura, piena di gioia. 

Anche a noi Gesù ha riservato i tempi dell’entusiasmo nel nostro rapporto con lui; momenti in cui ci ha toccato nel profondo di noi stessi, facendoci sentire una gioia profonda; momenti in cui lo abbiamo sentito vicino. Oppure, come gli apostoli, abbiamo vissuto tempi in cui seguire Gesù sembrava un successo, in cui la Chiesa sembrava forte e punto di riferimento per tutti, le comunità religiose ricche di vocazioni,; le suore e i religiosi importanti e rispettati nelle parrocchie e in mezzo alla gente. Vorremmo sempre vivere sostenuti dall’entusiasmo, in mezzo a persone che come noi sono interessate di Gesù e della Chiesa. Questa, però, è una fede facile perché si appoggia sulle emozioni interiori e sul consenso esterno. 

2) Il tempo della prova 

Gesù non si fa travolgere dall’entusiasmo della gente e degli apostoli e , come al solito, va controcorrente. Licenzia la gente perché sa che il loro entusiasmo è senza radici e che si sarebbe trasformato in grida di rifiuto al momento della sua passione. 

Invita gli apostoli a salire su una barca e ad attraversare il lago senza di lui. Apparentemente li abbandona anche se di fatto sale da solo sul monte e lì prega per loro che stanno entrando in una prova della fede nella quale li ha messi lui stesso. 

Sul lago si alza di notte una bufera di potenza invincibile per le forze umane. Gli apostoli sono travolti dall’angoscia e dalla disperazione perché si sentono in balia di una tempesta da cui non riescono ad uscire, la loro destinazione ormai non è più la riva sicura dove continuare la loro vita ma il fondo scuro del lago. E Gesù non c’era più; li aveva lasciati andare da soli dentro la tempesta. 

Certamente anche noi abbiamo passato tempi di prova, e, magari, li stiamo passando, bufere dalle quali ci sembrava di non poter più uscirne. Abbiamo conosciuti stati d’animo di paura, angoscia, disorientamento e abbiamo sentito indebolirsi la speranza di venirne fuori. 

Questi tempi di prova possono essere di vario genere. Faccio solo qualche esempio per aiutarci a ricordarne qualcuno: 

· periodi di malattia fisica nostra o di persone che ci sono molto care; 

· tempi di stanchezza fisica e nervosa quando le giornate si trascinano con fatica e ci si trova stravolti da stati d’animo e da pensieri pesanti e che angosciano; 

· delusioni e rifiuti da parte delle persone (più ancora dai superiori) che generano sensi di amara solitudine perché non ci si sente capiti, ascoltati, presi in considerazione seriamente; 

· difficoltà dentro la comunità che creano quotidiane sofferenze senza possibilità di evadere perché lì ci ha posto l’obbedienza; 

· il calo veloce e inarrestabile di vocazioni con le comunità che invecchiano e si riducono sempre di più; che invece di aprire nuove prospettive devono chiuderle; 

· le difficoltà che sta attraversando la Chiesa e la sua azione pastorale; sembra che la sua presenza e azione interessi sempre meno alla gente che vive in modo quasi pagano. 

3) La fede nel tempo della prova 

Gesù ha abbandonato momentaneamente gli apostoli dentro una bufera più potente delle loro forze, per purificare la loro fede. Pietro, in particolare, vive la prova della fede a nome anche degli altri apostoli. 

Nei loro passi di purificazione della fede credo che molti di noi possono ritrovare la loro esperienza. 

· La prima sensazione che hanno avuto gli apostoli è di essere lasciati soli dentro la prova. Gesù potente del miracolo della moltiplicazione dei pani non c’era più. Nel momento della lotta dentro le prove della vita, lui sembra lontano; si resta soli. Di fatto lui è sul monte a pregare per i suoi anche se non arriva quando loro lo vorrebbero. 

· Gesù arriva in modo inaspettato, camminando sulle onde in tempesta. Gli apostoli lo vedono ed aumenta solo la loro angoscia. Gridano: “E’ un fantasma”. 

Nella prova anche a noi Gesù può sembrare diventare un’illusione, un fantasma di cui non ci si può fidare. Ho incontrato spesso persone che avevano vissuto momenti di fede e di preghiera molto intensi e dentro prove prolungate sono state prese dal dubbio che tutto fosse stato un’illusione. Sembrava loro che contro il male in cui si trovavano Gesù non poteva far niente e la preghiera era inutile. 

· Gesù parla invitando alla fiducia in lui. La sua parola ricrea il rapporto tra Gesù e gli apostoli nella prova. Riconoscono la sua voce, si rendono conto che è proprio lui anche se è ancora lontano da loro e non possono aggrapparsi a lui per uscire dalla bufera. 

Nella prova la Parola di Gesù diventa un punto di riferimento per ritrovare la fede. Se continuiamo a meditarla senza stancarsi, sentiamo che è una Parola che penetra in noi, che ha qualcosa di familiare. Anche i due discepoli di Emmaus, mentre si sentivano abbandonati da Gesù e non lo riconoscevano, si sentono toccare il cuore dalla sua Parola. 

· Pietro, quando ha riconosciuto Gesù, lo mette alla prova e gli chiede di poter essere capace di fare come lui: camminare sulle acque. Lancia come una sfida al Signore e gli chiede di sentirsi sicuro nella bufera come lo è lui; di non aver più paura delle onde e del vento ma di sentirsi più forte della bufera; di poter passeggiare sul mare. 

Anche noi vorremmo uscire dai momenti di prova con le nostre forze, sentendoci più forti delle difficoltà che ci fanno vacillare, eliminandole con le nostre energie. 

· Ma l’acqua del lago inghiotte Pietro al quale resta il tempo per un’ultima, semplicissima preghiera: “Signore, salvami”. Non gli resta altro che allungare la mano verso Gesù e gridare la sua preghiera. E quando lui non può più fare niente si sente inaspettatamente afferrato dalla mano forte del Signore che lo tiene stretto vicino a sé e lo rimprovera: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?” 

Pietro si trova salvato – e con lui gli altri undici- perché è tenuto stretto dalla mano di Gesù. La sua speranza e salvezza è stare aggrappato a lui e allora può anche superare il lago in tempesta senza venir inghiottito dal suo fondo di morte. 

Questa è la fede purificata. Non cerca sicurezze umane, ma resta aggrappato a Gesù perché lui è più potente di ogni bufera, anche quella finale e mortale che ci travolgerà. Resta aggrappato anche quando gli sembra di andare a fondo e di non farcela; quando non vede speranza attorno a sé. Non molla la sua mano perché Gesù è risorto dai morti e per questo, come dice S. Paolo: “Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né potestà, né presente né avvenire, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore”. (Rom 8,38-39). 

Se restiamo uniti a Gesù anche dentro la prova prolungata – mediante la preghiera, la meditazione della Parola di dio, la comunione con lui nell’Eucaristia, la fede confessione dei nostri peccati – egli ci fa scoprire anche in questa vita una nuova pace e serenità. Lo fa però, con i suoi tempi e ci porta in una pace nuova che prima non conoscevamo. E’ la gioia della fede purificata. 

1.                Un percorso di riflessione 

La riflessione sulla fede è ritmata sui tempi dell’anno liturgico (siamo alla vigilia del Santo Natale e in pieno Avvento) dove la proclamazione della Parola di Dio ci conduce ad entrare nel mistero dell’Incarnazione con il Natale, a ripercorrere le tappe della vita pubblica di Gesù che ha parlato alla gente e ne ha condiviso le fatiche della vita fino al dono supremo di se stesso nella Pasqua e nell’effusione dello Spirito. Si tratta allora di far risuonare questa Parola nella nostra vita, con alcuni momenti di riflessione che cerchino di dare risposta alle tante domande che come credenti ci poniamo e che, a motivo della stessa umanità che ci accomuna, ci uniscono anche ai non credenti.  

Le domande dell’uomo 

Nel cuore e nella mente di ciascuno di noi c’è una diffusa attesa di qualcosa o di Qualcuno cui si possa affidare il proprio desiderio di felicità e di futuro, e che sia in grado di dischiuderci un senso, tale da rendere la nostra vita buona e degna di essere vissuta. Tanti sono gli interrogativi, le esperienze di gioia e di fragilità, riconoscibili nella vita di ognuno. Si tratta delle domande che riguardano la nostra esistenza, il nostro destino e il senso di ciò che siamo e facciamo, oltre che di tutto ciò che ci circonda. Sono interrogativi che, per essere veramente affrontati, richiedono il coraggio della ricerca della verità e la libertà del cuore e della mente. 

La speranza che è in noi. 

Chi ha fatto l’esperienza della fede, riconosce che questo Qualcuno capace di comprendere, accogliere e rispondere alle attese dell’uomo ha un nome e un volto: è il Dio che in Gesù Cristo si fa vicino a ogni essere umano. Il rapporto con Dio dà senso alla nostra vita nel mondo. Le riflessioni proposte troveranno allora fondamento nei Vangeli dove poter cogliere che nella persona e nella vicenda di Gesù Cristo il Dio lontano e invisibile si fa vicino a ogni essere umano, in un insperato e gratuito gesto d’amore. 

Così come è avvenuto 2012 anni fa per le donne e gli uomini nei villaggi della Galilea o a Gerusalemme, possiamo ancora oggi pensare seriamente che Gesù possa percorrere i sentieri della nostra vita quotidiana e stabilire un rapporto vitale con noi.  

Contemplando il volto di Gesù e ascoltando le sue parole scopriamo chi siamo, intravediamo qual è la fonte ultima della nostra esistenza e verso quale meta tende il nostro cammino quotidiano. 

Come incontrare il Dio di Gesù Cristo? 

Come avviene per ogni esperienza veramente bella e positiva, sentiamo il bisogno di comunicarla agli altri in nome della fratellanza umana, perché la possibilità di incontrare Dio per mezzo di Gesù Cristo sia una speranza per tutti. Qui le riflessioni ci porteranno dentro la vita della comunità dove potrà emergere il volto della Chiesa che sostiene e incoraggia il cammino di tutti. È lei che ci ha trasmesso la buona notizia di Gesù il Signore, e ci aiuta a interpretare le inquietudini che attraversano il nostro cuore. Proprio dal vissuto dei nostri fratelli e sorelle nella fede dentro la comunità affiora la risposta: la preghiera, la parola di Dio, i sacramenti, il servizio, l’attesa della casa futura, sono le esperienze concrete in cui è possibile incontrare il Dio di Gesù Cristo. (Cfr. Lettera ai cercatori di Dio – Cei 12 aprile 2009). 

L’ascolto di testimonianze 

Accanto a dei momenti di riflessione potrebbe essere utile ascoltare qualche testimonianza che ci aiuti poi a continuare concretamente il cammino della nostra fede. Il nostro credere infatti non è un esercizio intellettuale e neppure semplicemente spirituale, ma trova la sua espressione nella vita di tutti i giorni, nelle relazioni quotidiane, nell’impegno a condividere con gli altri uomini la gioia e la fatica del vivere. La fede ci è donata dal Signore e dopo aver trovato casa nella nostra vita, esige di essere testimoniata per essere data in dono agli altri. E si può testimoniare la fede anche senza compiere opere sensazionali. Ecco allora che porsi in ascolto di alcuni testimoni della fede può aiutare le nostre comunità ad esprimere in maniera più incisiva la loro presenza nel luogo dove vivono. Queste testimonianze devono essere esperienze vicine a noi, possibili da parte di molti, realizzabili dalla gente comune, vie percorribili nella quotidianità. Potrebbe essere importante ascoltare una testimonianza da parte di chi ha riscoperto la propria fede mediante il servizio e la vicinanza a chi è nel bisogno. Molto spesso attraverso l’attenzione al povero il Signore sostiene la fede di chi offre aiuto ed accende la fede nel cuore di chi riceve aiuto. Anche la testimonianza di chi sta vivendo la propria fede negli ambienti di vita come il mondo del lavoro, le istituzioni pubbliche, il servizio sociale può essere raccolta per aiutarci ad allargare lo sguardo dalle nostre parrocchie ai luoghi dove la gente vive e dare in quei contesti una parola di speranza, ma anche un indirizzo per costruire una società migliore. Un altro stimolo che potrebbe essere utile alle nostre comunità potrebbe arrivare da parte di chi vive in maniera più intensa la relazione tra famiglie (comunità di famiglie), per aiutarci a camminare verso una parrocchia dove attuare per quanto possibile, il passaggio dal gruppo all’esperienza di comunità al fine di attuare una condivisione più intensa non solo dei beni spirituali, ma anche dei progetti di vita e magari qualcosa dei nostri beni materiali. Lo scopo delle testimonianze non è l’istruzione, ma il racconto di quanto il Signore ha operato nella vita delle persone secondo la prassi del Vangelo che indica, nella narrazione di eventi personali, la via della trasmissione della fede. E’ significativo quanto riportato nel Vangelo di Giovanni: la Samaritana lasciò la brocca presso il pozzo, andò in città e disse alla gente di aver incontrato un uomo che conosceva quello che aveva fatto. E molti Samaritani di quella città credettero in Gesù per la testimonianza della donna. Dalle riflessioni e dalle testimonianze le parrocchie potrebbero trovare allora un valido spunto per individuare quelle linee pastorali che a partire dall’Anno della fede possano dare continuità nel cammino di “ravvivare, purificare, confermare e testimoniare la fede”. 

Per raggiungere le finalità indicate dal Papa occorre iniziare un cammino di riflessione che dia continuità e sostegno alle persone e ai gruppi e sia di significativo esempio agli altri.

 

CATERINA VOLPICELLI 

“Non perdiamo mai di vista che siamo state chiamate a seguire da vicino Gesù, che ha dichiarato soave il suo giogo e leggero il suo peso”. 

Caterina Volpicelli è una figura singolare di apostolicità d’avanguardia nel suo originale porgersi a servizio della Chiesa e della società, nell’individuazione dei segni dei tempi e nel creativo relazionarsi ad essi. Fattasi volontariamente povera, da ricca che era, divenne madre e maestra di tantissime anime, in un periodo storico in cui gli avvenimenti politici diedero un assetto nuovo al Regno di Napoli e alla Penisola: i moti del 1848, l’annessione al nuovo Regno d’Italia e la fine del potere temporale dei Papi. Napoli, improvvisamente declassata da capitale ad estrema periferia di un nucleo di interessi non più mediterraneo, ma centro europeo, viveva enormi conflitti da un punto di vista sociale e culturale. La fascia di povertà si era dilatata e il clima dominante, massonico e anticlericale cercava di colpire definitivamente la tradizione cattolica in cui il popolo era radicato. Caterina Volpicelli, nata a Port’Alba in Napoli il 21 gennaio 1839 da una famiglia dell’alta borghesia, trascorse un’infanzia felice, ricevendo dai genitori esempi di onestà e generosità; “Siamo figli di santi” scriverà al fratello, in età matura. L’educazione familiare trovò il suo completamento nel collegio di San Marcellino, Reale Educandato “Maria Isabella di Borbone”, dove dimorò da sette a dodici anni, guidata dall’eccellentemaestra Margherita Salatino (che sarà poi confondatrice, insieme al Beato Ludovico da Casoria, delle Suore Francescane Elisabettine Bigie). Ivi apprese le lettere classiche, le lingue straniere, la musica, formazione che proseguì in casa, successivamente, alla scuola di insigni precettori, fra i quali il famoso Rodinò. Nel 1849 Pio IX, esule a Gaeta, visitò quell’educandato, accolto dall’omaggio festoso delle alunne: un inno, composto per la circostanza, fu suonato su tre pianoforti da ragazze, a diciotto mani; una di quelle piccole pianiste era Caterina. Il Papa commosso, impartì loro una benedizione “di innocenza e santità ”. Verrà un giorno in cui la Volpicelli offrirà alla Chiesa e al Papa le armonie apostoliche della sua Famiglia Religiosa, ma prima dovrà superare la crisi dell’adolescenza. Benessere, ingegno, cultura, bellezza: tutto le faceva presagire un avvenire brillante nella società, tuttavia il Signore aveva altri progetti su di lei. Il francescano Ludovico da Casoria le disse: “ Il mondo ti attira, ma Dio la vince. Un giorno chiuderai i libri degli uomini e leggerai nel libro del Cuore di Cristo, dove ogni pagina parla di Amore”. Caterina ebbe ancora dubbi e tentennamenti, cadute e riprese, finché sentì un invito misterioso alla sequela di Cristo. Trascorse sette mesi fra le Sacramentine, Monache Adoratrici perpetue in Napoli, ma per motivi di salute fu costretta a tornare in famiglia. L’esperienza claustrale l’aveva maturata profondamente, inducendola ad un esame attento del mondo che la circondava. L’unità d’Italia, per Napoli, non significò solo la fine di un’epoca, ma anche la soppressione di conventi. Casa paterna della Fondatrice In casa divenne l’affettuosa confortatrice del padre, gravemente ammalato, maestra di catechismo delle persone di servizio. Si recava frequentemente all’Ospedale degli “Incurabili” in Napoli, portando sollievo agli infermi e preparandoli ai Sacramenti. Visitava i “bassi” della città, privi di aria e di luce, abitati dall’umile gente del popolo; il suo arrivo era come un raggio di sole e una ventata d’aria pura. Dava i suoi beni ai poveri con una generosità tale che ha dell’eroico. Più volte, come testimoniò la sua cameriera, si privò anche degli abiti e delle scarpe dopo aver vuotato il suo borsellino. Si orientò sempre più verso una vita di piena consacrazione a Dio e di attività apostolica, circondandosi di valide collaboratrici che condividevano i suoi ideali. “Pescatrice di anime nel mondo” la definì P. Ludovico da Casoria. Ella voleva una congregazione eterogenea nella sua composizione: un ramo di Religiose di vita comune con la professione dei voti di povertà, obbedienza e castità, senza alcuna divisa, le Ancelle del S. Cuore; un ramo di anime consacrate, nubili, viventi nelle loro abitazioni, le Piccole Ancelle, con la possibilità di diventare Sorelle esterne dopo dieci anni; le Aggregate, spose e madri, per la santificazione della famiglia e l’evangelizzazione capillare. L’idea era nuova, e sembrò rivoluzionaria, profeticamente anticipatrice degli Istituti secolari, che troveranno il loro riconoscimento nel Concilio Vaticano II. Il Cardinale Sisto Riario Sforza, arcivescovo di Napoli, approvò le prime Regole del nascente Istituto poiché era convinto che Caterina fosse un’anima ispirata da Dio, suscitata in tempi difficili per la Chiesa e la società, in seno alle quali ateismo e massoneria costituivano una forte opposizione. Il Papa Leone XIII espresse la sua ammirazione per l’opera della Volpicelli: “è quello che ci vuole per i nostri tempi” e il 13 giugno 1890 le accordò il Decreto di Lode. Molto colta, Caterina organizzò una biblioteca circolante e corsi di cultura per combattere l’ignoranza e il dilagante anticlericalismo. “Andiamo alle famiglie, attraverso l’intelletto”, diceva e ancora “salvare la famiglia è salvare la società”; incominciò, infatti, a interessarsi delle famiglie dei vicoli della città, senza tralasciare l’evangelizzazione di quelle della media e alta borghesia per favorire il risorgere della Chiesa. Istituì l’orfanotrofio delle Margherite e fondò l’associazione delle Figlie di Maria, la cui responsabile a Napoli fu la venerabile Maria Rosa Carafa, Sorella esterna delle Ancelle, grande sua Consigliera e collaboratrice. Iniziò così il ministero di fondatrice di Caterina Volpicelli, senza strutture e opere particolari per “ricostruire il volto di Cristo nei fratelli”. Le Ancelle del S. Cuore si dedicarono a catechizzare fanciulli e adulti, a visitare gli infermi, a soccorrere i meno abbienti con il “prestito gratuito” per sottrarli alle grinfie degli usurai, a confezionare gli arredi delle chiese povere, mentre diffondevano l’amore al Cuore di Cristo, in modo particolare, con l’Apostolato della Preghiera, introdotto in Italia dalla Francia grazie alla Volpicelli, guidata dal gesuita P. Ramiére, come mezzo di santificazione del quotidiano, a vantaggio dell’intera umanità e, in particolare, del corpo mistico della Chiesa. Quando, nel 1884, a Napoli infierì il colera, mietendo migliaia di vittime, le Ancelle offrirono con entusiasmo la loro opera sia con l’assistenza spirituale sia organizzando le cucine gratuite per i poveri. Era l’anno in cui fu consacrato dal Cardinale Guglielmo Sanfelice il Santuario diocesano del S. Cuore alla Salute in Napoli, attiguo alla Casa Madre, fortemente voluto e fatto edificare dalla Volpicelli soprattutto per l’adorazione riparatrice e la consacrazione delle famiglie al Sacro Cuore. In esso fece la sua Prima Comunione San Giuseppe Moscati. Nel 1887 sbarcarono a Napoli i feriti, superstiti del massacro dei cinquecento a Dogali, “Portiamo Gesù ai nostri soldati”, disse la Volpicelli e andò con le sue Religiose a confortarli e prepararli ai Sacramenti. Fu vivace protagonista del Congresso Eucaristico nazionale, tenutosi a Napoli dal 19 al 22 novembre 1891, con l’impegno di organizzare l’Adorazione in Cattedrale, la preparazione della Confessione e Comunione Generale e una ricca mostra di arredi sacri da donare alle chiese povere. Nel 1893, per il ripetersi di sommosse popolari, fu notevole la presenza dei militari nella cittadina partenopea. Le Ancelle accorsero nelle caserme, trattenendosi con loro, assetati della Parola di Dio. Si realizza in tal modo quanto la Fondatrice auspicava per le sue figlie: “il fine della nostra vocazione è amare Dio per Dio …..non si può essere vere Ancelle senza spirito di sacrificio”. Il 28 dicembre 1894 Caterina Volpicelli morì in fama di santità, fu dichiarata Venerabile il 25 marzo 1945 da Papa Pio XII, beatificata il 29 aprile 2001 e canonizzata il 26 aprile 2009 da Benedetto XVI. 

L’originalità carismatica fondazionale “incarnare Cristo amore” nelle tre dimensioni di “sacrificio, immolazione e riparazione” è stata portata dalle sue Figlie in diverse città italiane e all’estero.

 

La fine del mondo nella visione cristiana e in forma di preghiera

2211200982656.jpgcristopantacratore.jpgluce1.jpg                                                                La fine del mondo

 

Signore, sono molti a credere che sta finendo il mondo,

perché una profezia dell’antico popolo Maya,

secondo il loro calendario, sostiene che sarà il prossimo 21 dicembre 2012

la conclusione della storia di questo nostro pazzo, ma bellissimo mondo.

 

Non sono tra coloro che vedono in date e avvenimenti particolari

la conclusione di una storia e di una vita i cui confini sono Tu hai definito e fissato

e che solo Tu conosci il momento in cui tutto avverrà,

neppure al Tuo Figlio, Gesù Cristo, venuto sulla terra 2012 anni fa

hai rivelato il giorno e l’ora in cui tutto questo avverrà.

 

Chi siamo noi esseri mortali, limitati in tanti pensieri e in tante azioni,

a fissare la fine di una cosa e la fine della stessa creazione?

Siamo un nulla davanti ai grandi misteri della vita e della storia dell’uomo e del pianeta.

Noi esseri mortali, presi dalla superbia, che vogliamo fissare ogni cosa in date e ricorrenze

fino a determinare lo stop definitivo all’esistenza della Terra.

 

Signore, insegnaci solo a capire il tuo disegno di vita

e il tuo tempo dato alla creazione,

senza lasciare alle nostre presunte scienze,

di fissare date e ricorrenze frutto di fantasia

e di allucinante tendenza all’autodistruzione.

 

Profezie, previsioni, veggenze, prove e dimostrazioni scientifiche di vario genere

passano solo ed attraverso la lente della tua Provvidenza,

che tutto scrive e tutto decifra, vagliandole  alla luce della tua sapienza,

della tua bontà e della tua generosità.

 

Davanti a te mille giorni sono come il giorno di ieri appena trascorso

e un giorno come mille anni che ancora ci auguriamo di vivere

in santità e bontà, quale risposta d’amore al dono della vita,

nella quale ci conservi ogni giorno, nonostante le pene e le afflizioni.

 

Se fine del mondo ci sarà, solo a Te è data conoscerla con certezza,

perché come all’origine del mondo c’è la tua azione creatrice,

espressione del tuo infinito amore per l’uomo, che l’hai fatto poco meno degli angeli,

così alla fine del mondo, quando arriverà, sarà solo e soltanto il tuo amor

a purificare la storia dell’uomo e del mondo, per giungere al resoconto finale.

 

Da questo giudizio universale, che è giudizio di amore e verità,

nessuno potrà scampare e nessuno si salverà,

perché Cristo Tuo Figlio, verrà a giudicare i vivi e morti,

con il giudizio di carità e di verità.

 

Ora nell’attesa di quell’ultimo atto del mondo,

non tu Signore, ma noi uomini di questa martoriata terra,

abbiamo posto le premesse per l’autodistruzione del pianeta.

 

Tu che sai e conosci tutto, vedi quanto male l’uomo fa ad un altro uomo,

quanta cattiveria e malvagità il cuore dell’uomo coltiva quando non sa amare.

Quante armi distruttive dell’intero pianeta, quest’uomo ha realizzato con le sue mani

per tendere non verso un futuro di pace e benessere per tutti,

ma di dominio e prepotenza di alcuni uomini nei confronti di altri uomini

di determinate nazioni rispetto ad altri  popoli della terra.

 

Certo, Signore, a leggere attentamente la tua parola,

a interpretare  i segni di un’apocalisse globale ed imminente,

qualche preoccupazione che tutto possa accadere anche adesso,

non lo nascondiamo  c’è anche nel nostro sistema di pensiero,

ma non è basato sulle verità di fede e sulla certezza di quanto Tu  ci hai detto,

ma sulle nostre agosce e paure esistenziali,

che non trovano ragione d’esserci

in persone credenti e intelligenti nella fede,

ma che sono il frutto del pensiero dominante dell’attualità,

delle varie concetture e interpretazioni varie.

 

Ora siamo in attesa e vigilanti

e più che pensare al 21 dicembre 2012, che è imminente,

o tra qualche giorno ad un’altra data fissata da non so quale profeta e scienziato,

veggente del nostro tempo,

siamo certi che passerà come tante altre date fissate dall’uomo,

supportato da visioni apocalittiche soprattutto di tendenza pseudo-religiosa,

per far scrivere la parola “fine” alla storia del nostro pazzo, ma bellissimo mondo,

una storia iniziata da Te e che Tu concluderai quando vorrai,

ben sapendo che arriverà solo come segno di amore e di rigenerazione,

sotto forma e modalità che solo Tu conosci,

Signore del Tempo, della Storia e dell’Eternità.

Amen

 

Padre Antonio Rungi, passionista

12/12/2012

Carinola (Ce). Conclusa la festa religiosa dell’Immacolata

Foto0744.jpgFoto0745.jpgFoto0748.jpgNonostante il tempo inclemente di questi giorni, la festa in onore della Madonna dell’Immacolata si è svolta regolarmente. La tanto attesa e sentita processione si è svolta regolarmente il giorno 8 dicembre con inizio alle ore 12,30 e conclusione alle 14,00 dopo la preghiera di affidamento alla Madonna letta da padre Antonio Rungi, missionario passionista, che ha predicato in questi giorni di preparazione della festa dell’Immacolata a Carinola. Nove giorni di preparazione spirituale con la novena, di cui gli ultimi tre con la predicazione di padre Antonio Rungi, religioso passionista, noto ed apprezzato missionario della Congregazione della Passione, che come tutti gli anni è risciuto ad entrare con i suoi discorsi nel cuore di tutti i carinolesi che hanno partecipato al triduo e soprattutto alle messe di oggi, solennità dell’Immacolata. Si è iniziato con la messa delle ore 6.00 presieduta da don Michelangelo, durante la quale, padre Rungi ha tenuto una vibrante omelia mariana che ha scosso spiritualmente tutti presenti. Si è proseguito con la messa delle 8,00 e con la celebrazione della messa solenne delle ore 11,30, presieduta dal don Amato Brodella, parroco della cattedrale e animata dai canti, come nella messa dell’aurora, della schola cantorum parrocchiale. Nuova intensa omelia di padre Rungi rivolta specialmente ai tanti giovani e ragzzi presenti, che poi hanno preso parte anche alla processione, nonostante il tempo minaccioso. Tutto è andato bene e si è concluso nel migliore dei modi. Il comitato della festa religiosa insieme alla Congrega dell’Immacolata hanno organizzato anche quest’anno una bellissima novena e una festa religiosa che sempre più si configura come un appuntamento importantissimo nella vita spirituale e mariana di ogni carinolese. Nelle omelie della solennità, padre Antonio Rungi ha sottilneato più volte che la festa in onore della Madonna Immacolata deve essere un motivo serio e sincero per rallegrarsi: “Carinola, rallegrati, gioisci, perché hai la Madre di Gesù in cielo che ti benedice e ti protegge in tutti i momenti della tua vita, specialmente in quelli più tristi e difficili. Tu sei la cittadella dell’Immacolata e come tale imita la Vergine Beata in tutto ciò che è amore, carità, purezza, servizio umile e disinteressato”. L’entusiasmo che riesce a trasmettere padre Antonio Rungi con le sue accese omelie, rende la festa dell’Immacolata particolarmente sentita da tutto il popolo di Dio. La presenza a Carinola di una chiesa in fase di ultimazione dedicata all’Annunziata, ma in realtà dell’Immacolata, la presenza della Congrega dell’Immacolata e delle Suore dell’Immacolata di Genova, fondate da Sant’Agostino Roscelli, rende più viva questa esperienza di fede che parte da lontano, subito dopo la proclamazione ufficiale del dogma dell’Immacolata a firma del Beato Pio IX, Papa, nel 1854. La storia e gli avvenimenti più importanti di Carinola negli ultimi 160 anni sono contrassegnati dalla presenza operosa nella Madonna Immacolata nella vita dei singoli fedeli e dell’intera comunità carinolese. La Madonna Immacolata per ogni carinolese, vicino o lontano, è il punto di riferimento della propria devozione e dello speciale culto che nutrono verso la Madre del Salvatore da generazione in generazione.