Vita

Mondragone (Ce). Alla Stella Maris ritiri spirituali per religiose e laici nell’anno della fede

sacramento.jpgSi svolgerà giovedì, 29 novembre 2012, per l’intera giornata, il primo ritiro spirituale per religiose e laici sul tema della fede, nell’anno dedicato alla fede. Il ritiro si svolgerà presso la struttura delle Suore di Gesù Redentore della Stella Maris di Mondragone ed inizierà alle ore 9.00 con l’accoglienza dei numerosi partecipanti, diversi dei quali provenienti da vari comuni e realtà ecclesiali della Regione Campania. Tematica dell’incontro è “La fede, un dono da tasmettere”. La prima meditazione sul tema dell’incontro è prevista alle ore 10,00 dopo la celebrazione delle Lodi mattutine, alle ore 9,30. Sarà padre Antonio Rungi, passionista, a parlare della modalità della trasmissione della fede nella cultura odierna e nel sistema di relazioni umane ed ecclesiali di oggi. A seguire un’ora di adorazione eucaristica per chiedere al Signore il potenziamento della fede. Nel frattempo i partecipanti potranno accostarsi al sacramento della confessione anche al fine di ottenere le indulgenze plenarie previste, alle solite condizioni, in questo anno della fede. A mezzogiorno la celebrazione eucaristica. Nel pomeriggio, dalle 14 alle 15 è previsto nel programma della giornata di spiritualità un’ora di passeggio solitario e di silenzio totale, nella struttura dell’Istituto o lungo la spiaggia, dal momento che la Stella Maris è situata a pochi metri dal mare. Alle ore 15,00 il santo rosario e la celebrazione del Vespro. Alle 16.00 la seconda meditazione della giornata, dettata dalla guida spirituale, padre Rungi, sulla fede nella serva di Madre Victorine Le Dieu, fondatrice delle Suore di Gesù Redentore. Alle 17.00 la condivsione in aula dell’esperienza della giornata di spiritualità e la conclusione con la preghiera finale, con la recita del Credo. Il cammino spirituale nell’anno della fede che le Suore della Stella Maris di Mondragone intendono svolgere è in sintonia con il cammino della chiesa universale e con la chiesa locale, la diocesi di Sessa Aurunca, che sotto la guida del suo pastore, monsignor Antonio Napoletano, in questo anno della fede appena iniziato e avviato con la solenne celebrazione d’apertura dell’11 ottobre scorso nella cattedrale di Sessa Aurunca, sta sviluppando un’attento esame di tutti i documenti del Concilio Vaticano II e sul Catechismo della Chiesa cattolica, proprio per riscoprire il dono meraviglioso della fede, in una deserteficazione spirituale di cui ha parlato il Papa, Benedetto XVI, in questi giorni iniziali dell’anno della fede. I prossimi incontri dei ritiri spirituali, dal mese di dicembre2012 fino a giugno 2013, riguarderanno i vari aspetti della virtù teologale della fede, raccordata al Mistero dell’Incarnazione, al mistero della Risurrezione, al mistero dell’Immacolata concezione di Maria, alla fede dei testimoni e santi dei nostri giorni. Un quadro complessivo di approfondimento dottrinale, biblico, teologico partendo dai documenti conciliari e dal catechismo della Chiesa cattolica.

Marcianise (Ce). Domani celebrazione della Virgo Fidelis

assunta.jpgE’ prassi da circa 10 anni che la festa della Madonna Virgo Fidelis,  protettrice delll’Arma dei Carabinieri, che ricorre il 21 novembre, in coincidenza con la festa della Presentazione al Tempio di Maria, venga celebrata in modo solenne a Marcianise, nella Chiesa di S.Maria Assunta dei Pagani. E’, infatti, una sacra opportunità spirituale per pregare insieme, fedeli, devoti della Madonna e sprattutto Carabinieri, ex-carabinieri, parenti e stimatori dell’Arma Benemerita. Anche quest’anno si rinnova il tradizionale incontro di preghiera con la confessione dei partecipanti al rito, la santa messa, animata dal coro parrocchiale e con le premiazioni varie a conclusione della celebrazione eucaristica che ha un momento di grande emozione con la preghiera del carabiniere e l’inno alla Virgo Fidelis. Il maresciallo, Davide Morrone, anche quest’anno ha chiamato in preghiera tutti i soci dell’associazione nazionale dei carabinieri della sezione di Marcianise, di cui è il coordinatore e presidente per vivere insieme questo momento di gioia e di festa. Alle 11.00 tutti nella Chiesa di S.Maria Assunta ai Pagani in Marcianiase, messa, come sempre a disposizione dal carissimo don Alfonso Marotta, parroco di questa dinamica comunità parrocchiale, da circa 50 anni, per le confessioni e alle 11,30 la solenne santa messa, officiata, anche quest’anno, da padre Antonio Rungi, missionario passionista ed assistente spirituale dell’associazione nazionale dei carabinieri di Marcianise, da oltre 10 anni. Come tutti gli anni padre Rungi detterà la riflessione sui testi biblici della domenica, che domani coincide con la solennità di Gesù Cristo Re dell’Universo. Un motivo in più per rendere più solenne, soprattutto nell’intimo e nella propria coscienza, questo annuale appuntamento, al quale non manca quasi nessuno dei soci del gruppo. Tanti i motivi per lo stesso di ritrovarsi insieme, soprattutto per la preghiera. Infatti il gruppo da anni segue un cammino spirituale che quest’anno proseguirà avendo di vista la celebrazione dell’anno della fede. Due anni orsono il gruppo è stato in pellegrinaggio al Santuario Mariano di Lourdes, lo scorso anno, nel 2011, al Santuario Mariano di Fatima in Portogallo e di Santiago di Compostela in Spagna. Ogni anno il gruppo svolge il suo pellegrinaggio presso il santuario di San Pio da Pietrelcina (l’ultimo lo scorso 25 ottobre 2012) e in altri luoghi santi. Nel programma non sono mancati luoghi spirituali vicini ai Passionisti, come il pellegrinaggio al Santuario di San Gabriele dell’Addolorata, tenuto nel 2009 ed altri momenti belli, vissuti in occasione delle feste più importanti. In questo itinerario di fede e spiritualità, guidato da padre Rungi, non manca l’annuale appuntamento con il Precetto pasquale di tutti i membri dell’associazione, altro momento importante sentito da tutti i componenti. Ai fattori religiosi e spirituali si aggiungono quelli umani, culturali e di solidarietà. L’associazione, infatti, si fa carico anche delle necessità delle persone in difficoltà, specie delle vedove e degli orfani dei carabinieri, ma estendendo le loro iniziative umanitarie ad altre associazioni impegnate nel campo della difesa e protezione dell’infanzia abbandonata. Domani mattina alle 11,30 nella Chiesa di Maria Assunta dei Pagani in Marcianise la solenne celebrazione in onore della Madonna Virgo Fidelis e di Cristo Re dell’universo.

Il mio e il vostro anno della fede

DSC_0882_2048x1365-1024x682.jpgIl Santo Padre Benedetto XVI ha indetto un anno della fede, in concomitanza con i 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, avviato sotto il pontificato del Beato Papa Giovanni XXIII e concluso sotto il pontificato del Servo di Dio, Papa Paolo VI. Un anno della fede per riscoprire, aumentare e rilanciare la fede. Come tutti gli anni giubilari che la chiesa, soprattutto nel dopo-concilio ha indetto, c’è il rischio, non per tutti, di trasformare questo evento di grazia in qualcosa di esteriore, di partecipazioni a convegni, manifestazione, alla moltiplicazione all’infinito di iniziative di qualsiasi tipo.

Il mio anno della fede, lo vedo diversamente, perché deve iniziare da me. Deve iniziare dalla riscoperta della mia fede battesimale, quella che ha determinato la svolta sostanziale della mia esistenza di persona umana, elevata alla dignità di figlio di Dio con il sacramento della rinascita. Partire da me, per dire, oggi e per quest’intero anno, ogni attimo della mia giornata e della mia vita, come chiedevano gli apostoli: “Signore aumenta la nostra fede” e “Signore insegnaci a pregare”. Un anno della fede in cui deve crescere non la quantità di conoscenze sulle verità di fede che ormai sono assodate, ma il potenziamento di un rapporto più autentico e profondo con chi questa fede l’ha donata a me mediante il battesimo, Gesù Cristo. Questo aumento di qualità di rapporto intimo con Cristo passa attraverso una scelta importante, quella della preghiera. In questo anno della fede devo sentire il bisogno di pregare non solo di più, ma meglio. Una preghiera fondata sulla parola di Dio, una preghiera che si fa liturgia, una preghiera che è eucaristia, una preghiera che è impegno di vita. Un anno della fede che non produce in me frutti di opere di misericordia spirituale e corporale sarebbe un anno sterile, un anno di moltiplicazioni di varie partecipazioni ad eventi ecclesiali, ma senza la personale conversione, il personale rinnovamento. L’anno della fede inizia quindi dentro di me, attraverso una ricostruzione o una ristrutturazione del modo di pensare e vivere la fede oggi, nel contesto di un mondo globalizzato, dissacrato, lontano dalla visione cristiana dell’esistenza. Leggersi dentro per capire da dove ripartire per mettere Cristo al centro della mia vita, dando il primato assoluto a Dio nella mia esistenza di credente. Ecco l’anno della fede, che mi porta ad abbandonarmi totalmente a Lui, creatore, Padre, Redentore, Salvatore, meta ultima di ogni esistenza umana terrena. Una fede che diventa impegno testimonianza, una volta che è stata potenziata. Perché c’è il rischio di portare fuori strada se la nostra fede non è consolidata, se non è ortodossa nel modo di pensarla e di viverla, se non è in sintonia con la Chiesa, il magistero del Romano Pontefice, dei vescovi, di quanti sono deputati, in ragione del loro ministero, ad essere maestri e testimoni nella fede e della fede.

Ripartire quindi come giustamente afferma il Papa dal Catechismo della Chiesa cattolica, approfondendo i suoi contenuti dottrinali, per acquisire quella migliore conoscenza del dato di fede, senza il quale non è possibile parlare di fede a se stessi e agli altri. Se mancano i fondamenti della fede, si rischia di portare agli altri nell’insegnamento, nella predicazione, nell’educazione una fede a modo propria, fai da te, con una conseguente etica individualistica in cui si giustifica soggettivamente ogni cosa. Il salto della fede richiede non solo una maggiore conoscenza delle verità di fede, ma anche l’abbandono fiducioso alla parola di Dio. Fidarsi di Dio è il primo atto fondamentale di fede che bisogna affermare, Egli non ci delude, né ci mette nelle condizioni di poter vivere male o soffrire per qualsiasi ragione al mondo. Egli è fedeltà totale all’uomo, fino a dare la vita per noi, sacrificando il suo Figlio, per amore, sulla croce per noi.

La mia fede è allora è mettere in discussione quelle presunte verità di fede che non sono verità della fede vera, ma mie verità. Sì nel confronto, nel dialogo, nelle condivisione che facciamo nelle nostre assemblee formative, liturgiche, catechetiche se non siamo adeguatamente preparati al discorso di una fede autentica, c’è il rischio di non parlare di fede, ma delle nostre personali opinioni sulle cose di Dio e della chiesa. Non è questo l’anno della fede che dobbiamo celebrare, non dobbiamo solo pubblicare testi nuovi e di approfondimento vario, ma dobbiamo far toccare con mano Cristo, Dio attraverso la santità della nostra vita. Una santità che passa attraverso un’ascesi spirituale e di grande elevatura interiore come la concreta attività di interiorizzazione del processo di fede sempre in atto nella nostra vita e che consiste essenzialmente nelle opere di misericordia spirituale: Consigliare i dubbiosi,  insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori,    consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste,       pregare Dio per i vivi e per i morti. A tali opere di misericordia più elevate devono far riscontro le opere di misericordia corporale, quella carità attiva ed operativa che rende visibile agli altri il nostro grado di fede vissuta e testimoniata. La fede, infatti, senza le opere di carità è morta e senza una speranza diventa sterile conoscenza di verità che sono oltre il cielo. Invece la carità, l’amore rende visibile e concreto quello che noi crediamo. Il modello di questa nostra fede fino alla morte è Cristo, è Maria, sono i martiri, i santi, quanti nella vita hanno percorsa la strada stretta del vangelo ed hanno raggiunto la gloria del cielo vivendo con semplicità la propria fede, operando molto, parlando poco, contemplando sempre, pregando incessantemente. La nostra fede sarà vera se ogni giorno ci poniamo come obiettivo immediato della nostra fede queste cose da fare concretamente:  dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi,  alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti. Una fede, in poche parole, evangelica, di quella evangelicità che nella sua essenzialità, nella sua semplicità non ha bisogno di altro approfondimento se non quello dell’operare e fare bene ogni cosa per la gloria di Dio e per la propria ed altrui santificazione.” [31] Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. [32] E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, [33] e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. [34] Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. [35] Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, [36] nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. [37] Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? [38] Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? [39] E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? [40] Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. [41] Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. [42] Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; [43] ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. [44] Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? [45] Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me. [46] E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna” (Mt 25,31-46).

Oggi se la nostra fede è in crisi è perché è in crisi la nostra capacità di amare totalmente Dio e di amare il prossimo come noi stessi. La mancanza di fede è essenzialmente mancanza di amore.

Un anno della fede è quindi un anno di riscoperta dell’amore verso Dio e verso ogni fratello e sorella di questa difficile e problematica umanità, redenta dal sangue preziosissimo di Cristo, versato per noi sulla croce e sul calvario di quel venerdì di passione e di tutti i giorni sofferti e gioiosi della storia della redenzione.

Buon cammino nella fede in questo anno di grazia dedicato alla fede.

Padre Antonio Rungi cp

 

L’Udienza di Papa Benedetto XVI- Mercoledì 10 ottobre 2012

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BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 10 ottobre 2012

 

 

Cari fratelli e sorelle,

siamo alla vigilia del giorno in cui celebreremo i cinquant’anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II e l’inizio dell’Anno della fede. Con questa Catechesi vorrei iniziare a riflettere – con qualche breve pensiero – sul grande evento di Chiesa che è stato il Concilio, evento di cui sono stato testimone diretto. Esso, per così dire, ci appare come un grande affresco, dipinto nella sua grande molteplicità e varietà di elementi, sotto la guida dello Spirito Santo. E come di fronte a un grande quadro, di quel momento di grazia continuiamo anche oggi a coglierne la straordinaria ricchezza, a riscoprirne particolari passaggi, frammenti, tasselli.

Il Beato Giovanni Paolo II, alle soglie del terzo millennio, scrisse: «Sento più che mai il dovere di additare il Concilio come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre» (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 57). Penso che questa immagine sia eloquente. I documenti del Concilio Vaticano II, a cui bisogna ritornare, liberandoli da una massa di pubblicazioni che spesso invece di farli conoscere li hanno nascosti, sono, anche per il nostro tempo, una bussola che permette alla nave della Chiesa di procedere in mare aperto, in mezzo a tempeste o ad onde calme e tranquille, per navigare sicura ed arrivare alla meta.

Io ricordo bene quel periodo: ero un giovane professore di teologia fondamentale all’Università di Bonn, e fu l’Arcivescovo di Colonia, il Cardinale Frings, per me un punto di riferimento umano e sacerdotale, che mi portò con sé a Roma come suo consulente teologo; poi fui anche nominato perito conciliare. Per me è stata un’esperienza unica: dopo tutto il fervore e l’entusiasmo della preparazione, ho potuto vedere una Chiesa viva – quasi tremila Padri conciliari da tutte le parti del mondo riuniti sotto la guida del Successore dell’Apostolo Pietro – che si mette alla scuola dello Spirito Santo, il vero motore del Concilio. Rare volte nella storia si è potuto, come allora, quasi «toccare» concretamente l’universalità della Chiesa in un momento della grande realizzazione della sua missione di portare il Vangelo in ogni tempo e fino ai confini della terra. In questi giorni, se rivedrete le immagini dell’apertura di questa grande Assise, attraverso la televisione o gli altri mezzi di comunicazione, potrete percepire anche voi la gioia, la speranza e l’incoraggiamento che ha dato a tutti noi il prendere parte a questo evento di luce, che si irradia fino ad oggi.

Nella storia della Chiesa, come penso sappiate, vari Concili hanno preceduto il Vaticano II. Di solito queste grandi Assemblee ecclesiali sono state convocate per definire elementi fondamentali della fede, soprattutto correggendo errori che la mettevano in pericolo. Pensiamo al Concilio di Nicea nel 325, per contrastare l’eresia ariana e ribadire con chiarezza la divinità di Gesù Figlio Unigenito di Dio Padre; o a quello di Efeso, del 431, che definì Maria come Madre di Dio; a quello di Calcedonia, del 451, che affermò l’unica persona di Cristo in due nature, la natura divina e quella umana. Per venire più vicino a noi, dobbiamo nominare il Concilio di Trento, nel XVI secolo, che ha chiarito punti essenziali della dottrina cattolica di fronte alla Riforma protestante; oppure il Vaticano I, che iniziò a riflettere su varie tematiche, ma ebbe il tempo di produrre solo due documenti, uno sulla conoscenza di Dio, la rivelazione, la fede e i rapporti con la ragione e l’altro sul primato del Papa e sull’infallibilità, perché fu interrotto per l’occupazione di Roma nel settembre del 1870.

Se guardiamo al Concilio Ecumenico Vaticano II, vediamo che in quel momento del cammino della Chiesa non c’erano particolari errori di fede da correggere o condannare, né vi erano specifiche questioni di dottrina o di disciplina da chiarire. Si può capire allora la sorpresa del piccolo gruppo di Cardinali presenti nella sala capitolare del monastero benedettino a San Paolo Fuori le Mura, quando, il 25 gennaio 1959, il Beato Giovanni XXIII annunciò il Sinodo diocesano per Roma e il Concilio per la Chiesa Universale. La prima questione che si pose nella preparazione di questo grande evento fu proprio come cominciarlo, quale compito preciso attribuirgli. Il Beato Giovanni XXIII, nel discorso di apertura, l’11 ottobre di cinquant’anni fa, diede un’indicazione generale: la fede doveva parlare in un modo «rinnovato», più incisivo – perché il mondo stava rapidamente cambiando – mantenendo però intatti i suoi contenuti perenni, senza cedimenti o compromessi. Il Papa desiderava che la Chiesa riflettesse sulla sua fede, sulle verità che la guidano. Ma da questa seria, approfondita riflessione sulla fede, doveva essere delineato in modo nuovo il rapporto tra la Chiesa e l’età moderna, tra il Cristianesimo e certi elementi essenziali del pensiero moderno, non per conformarsi ad esso, ma per presentare a questo nostro mondo, che tende ad allontanarsi da Dio, l’esigenza del Vangelo in tutta la sua grandezza e in tutta la sua purezza (cfr Discorso alla Curia Romana per gli auguri natalizi, 22 dicembre 2005). Lo indica molto bene il Servo di Dio Paolo VI nell’omelia alla fine dell’ultima sessione del Concilio – il 7 dicembre 1965 – con parole straordinariamente attuali, quando afferma che, per valutare bene questo evento: «deve essere visto nel tempo in cui si è verificato. Infatti – dice il Papa – è avvenuto in un tempo in cui, come tutti riconoscono, gli uomini sono intenti al regno della terra piuttosto che al regno dei cieli; un tempo, aggiungiamo, in cui la dimenticanza di Dio si fa abituale, quasi la suggerisse il progresso scientifico; un tempo in cui l’atto fondamentale della persona umana, resa più cosciente di sé e della propria libertà, tende a rivendicare la propria autonomia assoluta, affrancandosi da ogni legge trascendente; un tempo in cui il “laicismo” è ritenuto la conseguenza legittima del pensiero moderno e la norma più saggia per l’ordinamento temporale della società… In questo tempo si è celebrato il nostro Concilio a lode di Dio, nel nome di Cristo, ispiratore lo Spirito Santo». Così Paolo VI. E concludeva indicando nella questione di Dio il punto centrale del Concilio, quel Dio, che «esiste realmente, vive, è una persona, è provvido, è infinitamente buono; anzi, non solo buono in sé, ma buono immensamente altresì per noi, è nostro Creatore, nostra verità, nostra felicità, a tal punto che l’uomo, quando si sforza di fissare la mente ed il cuore in Dio nella contemplazione, compie l’atto più alto e più pieno del suo animo, l’atto che ancor oggi può e deve essere il culmine degli innumerevoli campi dell’attività umana, dal quale essi ricevono la loro dignità» (AAS 58 [1966], 52-53).

Noi vediamo come il tempo in cui viviamo continui ad essere segnato da una dimenticanza e sordità nei confronti di Dio. Penso, allora, che dobbiamo imparare la lezione più semplice e più fondamentale del Concilio e cioè che il Cristianesimo nella sua essenza consiste nella fede in Dio, che è Amore trinitario, e nell’incontro, personale e comunitario, con Cristo che orienta e guida la vita: tutto il resto ne consegue. La cosa importante oggi, proprio come era nel desiderio dei Padri conciliari, è che si veda – di nuovo, con chiarezza – che Dio è presente, ci riguarda, ci risponde. E che, invece, quando manca la fede in Dio, crolla ciò che è essenziale, perché l’uomo perde la sua dignità profonda e ciò che rende grande la sua umanità, contro ogni riduzionismo. Il Concilio ci ricorda che la Chiesa, in tutte le sue componenti, ha il compito, il mandato di trasmettere la parola dell’amore di Dio che salva, perché sia ascoltata e accolta quella chiamata divina che contiene in sé la nostra beatitudine eterna.

Guardando in questa luce alla ricchezza contenuta nei documenti del Vaticano II, vorrei solo nominare le quattro Costituzioni, quasi i quattro punti cardinali della bussola capace di orientarci. La Costituzione sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium ci indica come nella Chiesa all’inizio c’è l’adorazione, c’è Dio, c’è la centralità del mistero della presenza di Cristo. E la Chiesa, corpo di Cristo e popolo pellegrinante nel tempo, ha come compito fondamentale quello di glorificare Dio, come esprime la Costituzione dogmatica Lumen gentium. Il terzo documento che vorrei citare è la Costituzione sulla divina Rivelazione Dei Verbum: la Parola vivente di Dio convoca la Chiesa e la vivifica lungo tutto il suo cammino nella storia. E il modo in cui la Chiesa porta al mondo intero la luce che ha ricevuto da Dio perché sia glorificato, è il tema di fondo della Costituzione pastorale Gaudium et spes.

Il Concilio Vaticano II è per noi un forte appello a riscoprire ogni giorno la bellezza della nostra fede, a conoscerla in modo profondo per un più intenso rapporto con il Signore, a vivere fino in fondo la nostra vocazione cristiana. La Vergine Maria, Madre di Cristo e di tutta la Chiesa, ci aiuti a realizzare e a portare a compimento quanto i Padri conciliari, animati dallo Spirito Santo, custodivano nel cuore: il desiderio che tutti possano conoscere il Vangelo e incontrare il Signore Gesù come via, verità e vita. Grazie.

Il sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione- Ottobre 2012

Ieri, 7 ottobre, con la solenne concelebrazione presieduta da Papa Benedetto XVI sul sagrato della Basilica si San Pietro in Roma, è iniziato il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione, che vede impegnati 262 membri del sinodo in un lavoro di riflessione e di proposte per risvegliare la fede nel mondo cristiano. Un compito non facile per tutti coloro che sono stati chiamati ad elaborare le proposte finali del Sinodo, in base anche ad un documento iniziale che è di conoscenza pubblica e al quale si può fare riferimento anche in questi giorni di lavori sinodali. Lavori che si concluderanno il 28 ottobre 2012 e saranno il preludio di un’esortazione post-sinodale a firma del Papa, come è prassi ormai nella Chiesa cattolica, dopo la celebrazione del Concilio Vaticano II. Questo sinodo si colloca nel cammino dell’anno della fede, che inizia l’11 ottobre 2012, in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’inizio di uno dei più importanti avvdnimenti ecclesiali del XX secolo, che fu il Concilio Vaticano II, una vera primavera dello Spirito che tanto benessere spirituale ha portato nella Chiesa e nella società contemporanei. I vari documenti approvati durante il Concilio sono punti di partenza per il cammino della Chiesa in questo terzo millennio dell’era cristiana. Da essi bisogna ripartire se vogliamo capire lo stesso sinodo in svolgimento a Roma e che sarà una valida occasione per riportare al centro della vita dei singoli cristiani, delle comunità cristiane, delle chiese locali, della chiesa universale, degli istituti di vita consacrata, dei pastori, dei fedeli laici, la fede da accogliere e da trasmettere.

Ecco il testo iniziale per i lavori sinodali.

SINODO DEI VESCOVI 2012.pdf

Trentasettesimo anniversario di sacerdozio di P.Antonio Rungi

Grazie Gesùmessapadreantonio.jpg

 

Ti rendo grazie Signore,

per tutti questi anni

che mi hai chiamato a seguirti

e a serviti nella vita religiosa e sacerdotale.

Hai pensato alla mia persona fin dall’eternità

Ed un giorno mi hai fatto intendere chiara la tua voce

Che mi diceva “Seguimi”.

Forte dell’entusiasmo e convinto che eri Tu Gesù, ho lasciato

I miei genitori, mia sorella, mio fratello, i miei parenti, i miei amici

I miei compagni di scuola, avendo appena 13 anni.

Da allora ho camminato sulle tue vie, quelle che Tu, Signore,

mi hai indicato di volta in volta, per arrivare al grande appuntamento della mia storia personale, a quel 6 ottobre 1975, a Napoli, quando il Vescovo imponendo sulla mia testa le sue mani mi consacrò sacerdote.

I pianti di sofferenza dei miei parenti alla mia partenza per un paese lontano, quando lasciai casa per farmi passionista e sacerdote, in quel giorno si trasformarono in lacrime di gioia, in lacrime di infinita gratitudine.

In questi 37 anni di vita sacerdotale è stato un susseguirsi di soli infiniti ed immensi doni che Tu, Signore, hai concesso a questa mia umile e povera persona.

Ho cercato di essere fedele alla tua chiamata sempre, nonostante le umane debolezze che sono insite in ogni persona umana e che la tua grazia e la tua benevolenza e vicinanza mi hanno aiutato a superare di volta in volta, facendomi scorgere quando sei buono e grande nell’amore.

Le anime che hai affidato alla mia cura pastorale e sacerdotale le ho considerato un dono immenso da rispettare, aiutare, amare, proteggere dalle forze del male. Ognuna di essa sta nel mio cuore e nelle mie preghiere, perché sono figli tuoi e frutto del Tuo Sangue prezioso versato per noi sulla croce.

Cosa dirti Gesù, attraverso la mia mamma celeste, la Vergine Maria, Regina di tutti i sacerdoti? Proteggimi e guidami nel difficile compito di essere un tuo discepolo secondo il tuo amabilissimo cuore e secondo i tuoi insegnamenti.

Che sia un pastore che vada a cercare la pecorella smarrita, e la riporti all’ovile della tua chiesa e alla vita della chiesa.

Che mi preoccupi di tanti che sono nel dolore e nella sofferenza, soprattutto in questi giorni tristi e difficili per l’umanità.

Che sia vicino ai bambini, perché possano sperimentale attraverso la mia umile persona quanto sei grande e quanto sei davvero dalla parte dei più piccoli, ben sapendo che scandalizzare anche uno solo di essi, significa non essere perdonato da Te in eterno.

Che sia vicino ai tanti giovani che ho avuto la gioia di incontrare nella mia vita di sacerdote e di insegnante, nel cuore dei quali vorrei che ci fosse anche un posto certo per Te.

Che mi preoccupi per quanti sono tristi, angosciati, soli e delusi dalla vita, dai propri cari, dagli affetti più naturali e che spesso si rivoltano contro di Te, perché non sanno quello che dicono e fanno, perchè grande è la sofferenza nel loro animo. 

Che sia tutto per tutti, senza fare preferenze a nessuno.

Che sappia amare ogni persona con la semplicità e la rettitudine del Tuo cuore.

Che sia sempre riconoscente a chi mi ha guidato sapientemente alla meta sacerdotale, in particolare i miei due speciali angeli del cielo, che sono mamma e papà, ma anche quanti nella formazione in convento hanno avuto un cuore di padre e mi hanno fatto amare la vita sacerdotale e missionaria, ieri come oggi.

Dirti grazie è il minimo indispensabile in questo giorno anniversario dei miei 37 anni di vita sacerdotale, che mi auguro possano essere ancora tantissimi altri per servire la Tua causa, Gesù, in questo anno della fede, che tutti richiama a credere fermamente in Te, sommo ed eterno sacerdote della nuova ed eterna alleanza di Dio con l’umanità. Amen.

 

Padre Antonio Rungi

Sacerdote passionista

6 ottobre 2012

P.Rungi. Il ricordo personale di mons. Schettino

brunoschettino1.jpg“Persona umile, amava il sevizio silenzioso e meno appariscente, sempre dalla parte dei più deboli per la sua personale propensione alla sofferenza dei fratelli in difficoltà, che nell’arcidiocesi di Capua presenta il volto più doloroso con la problematica degli immigrati di colore”, è quanto ha detto padre Antonio Rungi, passionista, commentando la triste notizia della morte di mons. Bruno Schettino, arcivescovo di Capua, deceduto nelle prime ore del 21 settembre per arresto cardiocircolatorio, nella sede episcopale di Capua.
“La caratteristica principale di questo zelante pastore della chiesa capuana era il suo spirito di preghiera e di orazione. Pregava molto e chiedeva di pregare molto ai suoi sacerdoti e ai tanti fedeli della diocesi di Capua che incontrava sistematicamente durante le sue brevi o lunghe visite pastorali alle comunità parrocchiali. Nella preghiera ha organizzato il suo modo di vivere per gli altri, in particolare per quanti -ha detto padre Rungi- non avevano nulla, erano privati spesso della loro stessa dignità di persone umane, dietro interessi di vario genere che rendono schiave le persone quando sono in cerca di tutto. La mia personale conoscenza dell’arcivescovo si è strutturata nel tempo attraverso incontri presso il Centro Fernandez di Castel Volturno, cuore dell’ospitalità della Diocesi di Capua verso gli immigrati di colore, negli incontri con il clero promossi con costanza e sempre presieduti dall’arcivescovo, specie delle grandi circostanze della vita della chiesa e del cammino liturgico, nelle visite pastorali che faceva alle parrocchie, dove predicavo in preparazione alle feste varie che sul territorio diocesano sono molteplici. Con la sua scomparsa -ha concluso padre Rungi- va via una mente ed un cuore di pastore molto attento a tutti i fenomi sociali e non solo a quelli degli immagri ed emigrati. Un attento osservatore, ma anche un sapiente consigliere per tutti al fine di intervenire con concretezza e competenza per la soluzione dei problemi. Pur essendo molto umile, aveva il coraggio dei forti, di quei forti nella fede, che non fa temere coloro che possono uccidere il corpo, piuttosto coloro che possono uccidere il cuore ed estinguere la speranza nel popolo di Dio e nella comunità civile. Sempre dalla parte degli ultimi le sue sono state lotte per la pace e la giustizia sociale, lotte per la reciproca accoglienza pur essendo di varie religioni e provenienze, lotte contro il male oscura della depressione sociale ed economica del territorio, lotta contro ogni forma di violenza, terrorismo, distruzione ed alienazione della persona umana e dei diritti fondamentali di ogni uomo. La sua è stata una lotta per la causa dell’uomo e della causa del Vangelo della carità. Per un vescovo che prega, crede, ama e spera è naturale tutto questo e per monsignor Schettino è stato tutto logico secondo la sapienza del Vangelo della passione di Cristo e per la difesa della vita. Come religiosi passionisti, molto impegnati nella predicazione nell’arcidiocesi di Capua, siamo vicini ai sacerdoti, ai fedeli e alla comunità civile del territorio. Siamo vicini con la preghiera ai parenti, conoscenti ed amici dell’amato e stimato pastore dell’arcidiocesi di Capua”.

Capua (Ce). Morto mons. Bruno Schettino, arcivescovo di Capua

big-10f1801e7586fc84c556f4633f0e104b.jpgProfonda mestizia in tutta la Campania, nella diocesi di Capua e nell’episcopato italiano per la morte improvvisa dell’arcivescovo di Capua, monsignor Bruno Schettino. Secondo i medici che ne hanno accertato il decesso è stato un infarto a stroncare nella notte del 21 settembre 2012, verso le 3-4 la vita dell’arcivescovo Schettino,, che aveva compiuto 71 anni. Era nato, infatti, a Marigliano, diocesi di Nola, il 5 gennaio 1941. L’arresto cardiocircolatorio ha colto monsignor Schettino a Capua, sede arcivescovile cui era stato assegnato il 29 aprile 1997. Laureato in Filosofia, fu ordinato presbitero il 28 giugno 1964, eletto alla sede vescovile di Teggiano-Policastro l’11 febbraio 1987, e ordinato vescovo il 4 aprile 1987, qui svolse il suo ministero per 10 anni. I funerali dell’arcivescovo di Capua e presidente della Commissione delle Migrazioni della Cei saranno celebrati domenica prossima, 23 settembre 2012 alle 16,30, nella cattedrale di Capua. Monsignor Schettino era un vescovo molto apprezzato per le sue doti umane, culturali e pastorali. Entrato subito nel cuore del popolo di Dio di Teggiano-Policasro, dove fu vescovo dall’11 febbraio 1987, per le sue qualità, venne trasferito nella sede più prestigiosa di Capua, dove assunse la responsabilità di arcivescovo il 29 aprile 1997, dopo dieci anni di permanenza nell’estremo lembo della Regione Campania. Sia in Teggiano-Policastro che a Capua monsignor Schettino ha lasciato un ottino ricordo di sé. Persona umile, amava il sevizio silenzioso e meno appariscente, sempre dalla parte dei più deboli per la sua personale propensione alla sofferenza dei fratelli in difficoltà, che nell’arcidiocesi di Capua presenta il volto più doloroso con la problematica degli immigrati di colore, era presidente della commissione episcopale dell’immigrazione e presidente della Migrantes. La caratteristica principale di questo zelante pastore della chiesa capuana era il suo spirito di preghiera e di orazione. Pregava molto e chiedeva di pregare molto ai suoi sacerdoti e ai tanti fedeli della diocesi di Capua che incontrava sistematicamente durante le sue brevi o lunghe visite pastorali alle comunità parrocchiali. -«È una gravissima perdita per il mondo della mobilità umana», ha detto don Alfonso Calvano, incaricato regionale della ‘Migrantes’, commentando la scomparsa di monsignor Bruno Schettino, arcivescovo di Capua. «Sensibile alle povertà del territorio diocesano e, quindi della Campania e dotato di una spiccata sensibilità ed accoglienza degli immigrati – continua don Alfonso – ha seguito con impegno e assiduità l’evangelizzazione a favore della mobilità umana delle varie diocesi campane e, ultimamente, come presidente della Fondazione Migrantes ha dato un forte impulso per promuovere i diritti degli immigrati attraverso la integrazione e l’accoglienza». «Proprio in questi giorni – aggiunge don Alfonso – monsignor Schettino stava valutando la possibilità di partecipare al Columbus Day, la più grande festa degli italoamericani a New York, dove era stato invitato personalmente dai vertici della Fondazione americana che aveva ricevuto nel mese di gennaio scorso a Capua». «Tutta la Chiesa campana esprime il proprio cordoglio al vescovo Schettino, uomo di preghiera e di spirito per la Migrantes campana», conclude Calvano. Lascia una diocesi ben organizzata e strutturata, in piena sintonia con il concilio Vaticano secondo, con un Superficie in Kmq: 500; 162.800 abitanti; con 59 parrocchie; 71 sacerdoti secolari; 12 sacerdoti regolari e 10 diaconi permanenti. Già era tutto predisposto per celebrare degnamente l’anno della fede, al quale monsignor Schettino già dal momento dell’indizione fatta da Papa Benedetto XVI lo scorso anno con il Motu proprio “Porta fidei” aveva dato grande importanza e rilevanza. In questa preghiera composta da lui, tutto il suo animo di pastore attento ai bisogni degli ultimi e in particolare degli immigrati: “Abbiamo abbandonato la nostra Africa, i nostri paesi, abbiamo lasciati parenti ed amici, per seguire un sogno di serenità e di pace. Abbiamo desiderato accoglienza e tanta amicizia, sperando nella bontà degli altri. Desideriamo vivere un futuro migliore, dimenticando il sofferto passato. Nelle mani di Dio abbiamo posto la nostra povera vita, i tanti problemi quotidiani, le tante paure. A te, o Signore consacriamo oggi la nostra vita e tu guidaci verso la meta. Abbiamo conosciuto la tua Madre, la nostra Madre che guida tutti verso il suo Figlio Gesù. Per Maria noi andremo al Signore, confidando nel suo tenero amore. Sotto il suo manto ci rifugiamo, Santa Madre di Dio. Ascolta le nostre preghiere. Anche agli altri porterò l’annuncio di fede e di bontà, per essere un popolo unito e solidale nella carità. Per Maria, o Signore, raggiungeremo la vera Patria, dove scomparirà ogni ingiustizia e povertà e godremo eterna pace e felicità per sempre”. Amen

Intanto tutta la diocesi si stringe intorno alle spoglie dell’arcivescovo con una tre giorni di preghiere nella Cattedrale di Capua, così organizzata: Venerdì 21 settembre: Ore 12.00: S. Messa; Ore 16.00: Santo Rosario; Ore 18.00: Vespro; Ore 20.00: S. Messa con il Presbiterio; Ore 23.00: Chiusura della camera ardente. Sabato 22 settembre: Ore 7.00: Apertura; Ore 8.30: Lodi; Ore 9.00: S. Messa; Ore 12.00: Ora Media; Ore 16.00: Santo Rosario; Ore 18.00: Vespro; Ore 18.30: S. Messa; Ore 20.00: Veglia di Preghiera; Ore 23.00: Chiusura. Domenica 23 settembre: Ore 7.00: Apertura; Ore 8.00 – 9.30 – 11.00: S. Messe. Ore 15.00: S. Rosario. Ore 16.00: S. Messa esequiale, presieduta dal Cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli e con la partecipazione di tutti i vescovi della Campania e di altre regioni italiane.

Antonio Rungi

 

LUZZANO (BN). ENTRANO NEL VIVO I FESTEGGIAMENTI IN ONORE DI SANT’ANTONIO DI PADOVA

DSC06735.JPGEntrano nel vivo i solenni festeggiamenti in onore di Sant’Antonio di Padova in fase di svolgimento a Luzzano. Tre giorni intensi, a partire da domani 22 agosto, di impegni religiosi e civili con la giornata conclusiva di sabato 25 agosto con il concerto del complesso bandistico Città di Francavilla Fontana che in mattinata e in serata eseguirà un vasto repertorio di musica classica e sinfonica e con l’attesa gara dei fuochi pirotecnici (ancora in dubbio la loro esecuzione per i vasti incendi dei giorni scorsi nella zona dove dovrebbero essere fatti brillare e per la siccità che dura da mesi). Questa sera si conclude il tradizionale Canta Bimbi, giunto alla sua XXII Edizione e che ha visto esibirsi sul palco costruito davanti alla Chiesa parrocchiale diversi bambini di Luzzano, di Moiano, Airola ed altre località della Valle Caudina. Manifestazione che ha avuto finora grande successo di pubblico e di risultati canori. Ieri i sacerdot, padre Antonio passionista e padre Gabriele de Servi di Maria hanno portato la comunione ai tanti anziani ed ammalati di Luzzano, raggiungendo circa 50 persone impossibilitate a muoversi. Si inizia domani mercoledì, 22 agosto, alle ore 17.00 con la liturgia penitenziale per i giovani che devono ricevere la cresima giovedì dalle mani del Vescovo di Cerreto, mons. Michele De Rosa. A seguire alle ore 20.00 il corteo dalla chiesa fino al monumento dei caduti per la deposizione della corona d’alloro alla memoria e per la celebrazione della santa messa per i caduti di tutte le guerre. Come per l’intero novenario sarà padre Antonio Rungi, passionista della comunità di Itri (Lt), originario di Airola e Ex-Ministro provinciale dei passionisti della Campania e del Lazio Sud a presiedere la santa messa e a tenere il discorso di circostanza. Il novenario predicato dal noto ed apprezzato oratore sta coinvolgendo giovani, ragazzi, persone adulte e anziani che puntualmente in questi giorni hanno seguito le prediche in chiesa o in altri luoghi dove si sono svolte le celebrazioni. Grande partecipazione di fedeli alla messa di domenica scorsa, al cimitero di Moiano-Luzzano, con circa mille persone che hanno partecipato alla messa ed hanno seguito con attenzione l’omelia, forte e sentita dia padre Rungi che ha parlato del senso della vita e della morte alla luce della fede cattolica. La fede in sant’Antonio e predicata da sant’Antonio è tema unificante di tutta la predicazione del novenario in onore del Santo e che sta coinvolgendo sempre più fedeli e cittadini. Le manifestazioni civili previste per domani 22 agosto sono diverse. Nel pomeriggio la raccolta dei doni per la città, accompagnati dalla Banda Città di Airola. In serata il concerto della Fanfara dei Bersaglieri Sanniti, che eseguirà alle ore 18,30 un rinomato repertorio di musiche d’intrattenimento in Piazza San Nicola. Alle 21,30 serata musicale con Luzzano Folk Fest, II Edizione. Giovedì, 23 agosto, sarà il Vescovo di Cerreto, monsignor Michele De Rosa a presiedere alle ore 10,30 la solenne eucaristia in onore di Sant’Antonio, durante la quale diversi giovani della cittadina e del territorio riceveranno il sacramento della Cresima, come impegno personale ed ecclesiale a testimoniare la fede nel mondo d’oggi sull’esempio di Sant’Antonio di Padova. In serata la santa messa con predica di padre Rungi. A seguire concerto del complesso bandistico “Città di Lecce” che eseguirà un vasto repertorio di musica classica e lirica. Altri significativi momenti dell’intero ciclo di festeggiamenti in questo triduo saranno animati dall’Unitalsi, in particolare la santa messa per tutti gli ammalati e sofferenti del territorio, in programma venerdì 24 agosto alle ore 11.00. La solenne processione con l’artistica e pregiata statua in onore del Santo di Padova si svolgerà in serata di venerdì 24 agosto con inizio alle ore 17.00 e interesserà tutto il Paese. A conclusione della stessa, messa in Piazza e discorso del predicatore. Il parroco, don Rocco Abbatiello, da circa 50 anni alla guida della comunità, il consiglio pastorale e i Comitato dei festeggiamenti sono stati impegnati nei mesi scorsi per allestire tutto il programma religioso e civile, con particolari segni di devozione al Santo. Molto significativa è stata l’iniziativa di portare all’altare ogni sera un giglio a Sant’Antonio e rivolgere a lui una preghiera speciale a seconda della tematica della giornata sulla quale il predicatore, padre Antonio Rungi, articolava la sua omelia e la sua catechesi serale. Da queste riflessioni di padre Rungi sono uscite fuori una serie di proposte per il prossimo anno, come quello di fare il novenario itinerante per nove zone di Luzzano con la statua di Sant’Antonio, in modo da permettere una più consistente partecipazione dei fedeli alle celebrazioni liturgiche, anche se la partecipazione è stata buona, se non ottima quest’anno, con circa 200 fedeli ogni sera in chiesa, su una popolazione di 650 abitanti della sola parrocchia di San Nicola Magno dove si svolge la festa in onore di Sant’Antonio. La festa in onore di Sant’Antonio di Padova è anche occasione per tantissimi luzzanesi sparsi in Italia e all’estero per motivi di lavoro di fare rientro nella città d’origine e rivivere la propria fede, ricevuta dai genitori e che è stata poi curata personalmente nella vita.

 

 

Vedere il Paradiso/9. Cercate le cose di lassù

STATUA_MADONNA_ASSUNTA.jpgHO VISTO IL PARADISO/9

 

“CERCATE LE COSE DI LASSU’”

 

di padre Antonio Rungi

 

La vita umana è una continua ricerca delle piccole cose o delle grandi cose, della propria realizzazione e soddisfazione, dei propri sogni. E’ soprattutto ricerca dell’Assoluto, di Dio. C’è chi questa esigenza di cercare Dio non l’avverte nella sua vita e chi la sente indispensabile, essenziale per se stessi e per gli altri. Nella misura in cui infatti diamo senso alle nostra vita nella prospettiva dell’eternità, acquista significato e valore ogni cosa di questo mondo. Cercate le cose di lassù è un esplicito invito dell’apostolo Paolo a noi cristiani, spesso distratti a cercare troppo le cose di quaggiù, dimentichi che c’è qualcosa di più importante da cercare con cuore sincero e instancabilmente.

Una delle lettere encicliche più importanti da un punto di vista di riflessione è la Fides et Ratio del Beato Giovanni Paolo II. In essa troviamo significativi spunti di approfondimento su questa necessità di cercare ed incontrare Dio nella verità della ragione e nella verità di fede, perché l’una e l’altra sono due ali per sostenere il volo di ogni essere umano verso le cose che contano davvero, quelle eterne, quelle misteriose, che misteriose non sono più in quanto Gesù Cristo, Figlio di Dio, ce le ha rivelate tutte. Ecco perché la necessità di far ricorso all’altra ala della verità che è la fede, capace di svelare ciò che la ragione non riesce a spiegare in nessun modo.

“La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità. E Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso (cfr Es 33, 18; Sal 27 [26], 8-9; 63 [62], 2-3; Gv 14, 8; 1 Gv 3, 2). (FeR, 1).

“Racconta l’evangelista Luca negli Atti degli Apostoli che, durante i suoi viaggi missionari, Paolo arrivò ad Atene. La città dei filosofi era ricolma di statue rappresentanti diversi idoli. Un altare colpì la sua attenzione ed egli ne trasse prontamente lo spunto per individuare una base comune su cui avviare l’annuncio del kerigma: « Cittadini ateniesi, — disse — vedo che in tutto siete molto timorati degli dei. Passando, infatti, e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un’ara con l’iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio » (At 17, 22-23). A partire da qui, san Paolo parla di Dio come creatore, come di Colui che trascende ogni cosa e che a tutto dà vita. Continua poi il suo discorso così: « Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi » (At 17, 26-27). L’Apostolo mette in luce una verità di cui la Chiesa ha sempre fatto tesoro: nel più profondo del cuore dell’uomo è seminato il desiderio e la nostalgia di Dio. Lo ricorda con forza anche la liturgia del Venerdì Santo quando, invitando a pregare per quanti non credono, ci fa dire: « O Dio onnipotente ed eterno, tu hai messo nel cuore degli uomini una così profonda nostalgia di te, che solo quando ti trovano hanno pace ».(22) Esiste quindi un cammino che l’uomo, se vuole, può percorrere; esso prende il via dalla capacità della ragione di innalzarsi al di sopra del contingente per spaziare verso l’infinito. (FeR, 24).

Il testo della lettera ai Colossesi di Paolo, cap.3, ci dà i parametri essenziali di questa ricerca della cose di lassù, cioè del cielo e dell’eternità.

1 Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; 2 pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. 3 Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! 4 Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria. 5 Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria, 6 cose tutte che attirano l’ira di Dio su coloro che disobbediscono. 7 Anche voi un tempo eravate così, quando la vostra vita era immersa in questi vizi. 8 Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca. 9 Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni 10 e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore. 11 Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti. 12 Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; 13 sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. 14 Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione. 15 E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti!  16 La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali. 17 E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre.  18 Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come si conviene nel Signore. 19 Voi, mariti, amate le vostre mogli e non inaspritevi con esse. 20 Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. 21 Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino. 22 Voi, servi, siate docili in tutto con i vostri padroni terreni; non servendo solo quando vi vedono, come si fa per piacere agli uomini, ma con cuore semplice e nel timore del Signore. 23 Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini, 24 sapendo che come ricompensa riceverete dal Signore l’eredità. Servite a Cristo Signore. 25 Chi commette ingiustizia infatti subirà le conseguenze del torto commesso, e non v’è parzialità per nessuno.

Commentando le parole della lettera ai Colossesi il brano che normalmente è inserito nella liturgia della parola della domenica di Pasqua, Papa Benedetto XVI  afferma che esse “ci invitano ad elevare lo sguardo alle realtà celesti. Infatti, con l’espressione «le cose di lassù» san Paolo intende il Cielo, poiché aggiunge: «dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio». L’Apostolo intende riferirsi alla condizione dei credenti, di coloro che sono «morti» al peccato e la cui vita «è ormai nascosta con Cristo in Dio». Essi sono chiamati a vivere quotidianamente nella signoria di Cristo, principio e compimento di ogni loro azione, testimoniando la vita nuova che è stata loro donata nel Battesimo. Questo rinnovamento in Cristo avviene nell’intimo della persona: mentre continua la lotta contro il peccato, è possibile progredire nella virtù, cercando di dare una risposta piena e pronta alla Grazia di Dio. Per antitesi, l’Apostolo segnala poi «le cose della terra», evidenziando così che la vita in Cristo comporta una «scelta di campo», una radicale rinuncia a tutto ciò che – come zavorra – tiene l’uomo legato alla terra, corrompendo la sua anima. La ricerca delle «cose di lassù» non vuol dire che il cristiano debba trascurare i propri obblighi e compiti terreni, soltanto non deve smarrirsi in essi, come se avessero un valore definitivo. Il richiamo alle realtà del Cielo è un invito a riconoscere la relatività di ciò che è destinato a passare, a fronte di quei valori che non conoscono l’usura del tempo. Si tratta di lavorare, di impegnarsi, di concedersi il giusto riposo, ma col sereno distacco di chi sa di essere solo un viandante in cammino verso la Patria celeste; un pellegrino; in un certo senso, uno straniero verso l’eternità. La vita eterna ci è stata aperta dal Mistero Pasquale di Cristo e la fede è la via per raggiungerla.

Solo chi ha una fede profonda cerca davvero le cose di lassù, oltre l’azzurro del cielo, oltre l’universo infinito e perfetto. Perché sa che le cose di lassù danno gioia anche quaggiù, perché le cose di lassù non bisogna solo attenderle, ma bisogna anticiparle nel tempo. Bisogna vivere con la testa in cielo e con i piedi per terra e i piedi nel loro camminare devono sempre portare all’eternità. Non c’è altra possibilità per rendere felice il cuore dell’uomo fin da questo mondo e in questo mondo.

Dal Libro Primo delle Confessioni di Sant’Agostino leggiamo testualmente: “1Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode; grande è la tua virtù, e la tua sapienza incalcolabile. E l’uomo vuole lodarti, una particella del tuo creato, che si porta attorno il suo destino mortale, che si porta attorno la prova del suo peccato e la prova che tu resisti ai superbi. Eppure l’uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te. Concedimi, Signore, di conoscere e capire se si deve prima invocarti o lodarti, prima conoscere oppure invocare. Ma come potrebbe invocarti chi non ti conosce? Per ignoranza potrebbe invocare questo per quello. Dunque ti si deve piuttosto invocare per conoscere? Ma come invocheranno colui, in cui non credettero? E come credere, se prima nessuno dà l’annunzio?. Loderanno il Signore coloro che lo cercano4, perché cercandolo lo trovano, e trovandolo lo loderanno. Che io ti cerchi, Signore, invocandoti, e t’invochi credendoti, perché il tuo annunzio ci è giunto. T’invoca, Signore, la mia fede, che mi hai dato e ispirato mediante il tuo Figlio fatto uomo, mediante l’opera del tuo Annunziatore.2. Ma come invocare il mio Dio, il Dio mio Signore? Invocarlo sarà comunque invitarlo dentro di me; ma esiste dentro di me un luogo, ove il mio Dio possa venire dentro di me, ove possa venire dentro di me Dio, Dio, che creò il cielo e la terra5? C’è davvero dentro di me, Signore Dio mio, qualcosa capace di comprenderti? Ti comprendono forse il cielo e la terra, che hai creato e in cui mi hai creato? Oppure, poiché senza di te nulla esisterebbe di quanto esiste, avviene che quanto esiste ti comprende? E poiché anch’io esisto così, a che chiederti di venire dentro di me, mentre io non sarei, se tu non fossi in me? Non sono ancora nelle profondità degli inferi, sebbene tu sei anche là, e quando pure sarò disceso all’inferno, tu sei là6. Dunque io non sarei, Dio mio, non sarei affatto, se tu non fossi in me; o meglio, non sarei, se non fossi in te, poiché tutto da te, tutto per te, tutto in te7. Sì, è così, Signore, è così. Dove dunque t’invoco, se sono in te? Da dove verresti in me? Dove mi ritrarrei, fuori dal cielo e dalla terra, perché di là venga in me il mio Dio, che disse: “Cielo e terra io colmo”? 3. Ma cielo e terra ti comprendono forse, perché tu li colmi? o tu li colmi, e ancora sopravanza una parte di te, perché non ti comprendono? E dove riversi questa parte che sopravanza di te, dopo aver colmato il cielo e la terra? O non piuttosto nulla ti occorre che ti contenga, tu che tutto contieni, poiché ciò che colmi, contenendo lo colmi? Davvero non sono i vasi colmi di te a renderti stabile. Neppure se si spezzassero, tu ti spanderesti; quando tu ti spandi su di noi, non tu ti abbassi, ma noi elevi, non tu ti disperdi, ma noi raduni. Però nel colmare, che fai, ogni essere, con tutto il tuo essere lo colmi. E dunque, se tutti gli esseri dell’universo non riescono a comprendere tutto il tuo essere, comprendono di te una sola parte, e la medesima parte tutti assieme? oppure i singoli esseri comprendono una singola parte, maggiore i maggiori, minore i minori? Dunque, esisterebbero parti di te maggiori, altre minori? o piuttosto tu sei intero dappertutto, e nessuna cosa ti comprende per intero? 4. Cosa sei dunque, Dio mio? Cos’altro, di grazia, se non il Signore Dio? Chi è invero signore all’infuori del Signore, chi Dio all’infuori del nostro Dio?. O sommo, ottimo, potentissimo, onnipotentissimo, misericordiosissimo e giustissimo, remotissimo e presentissimo, bellissimo e fortissimo, stabile e inafferrabile, immutabile che tutto muti, mai nuovo mai decrepito, rinnovatore di ogni cosa, che a loro insaputa porti i superbi alla decrepitezza; sempre attivo sempre quieto, che raccogli senza bisogno; che porti e riempi e serbi, che crei e nutri e maturi, che cerchi mentre nulla ti manca. Ami ma senza smaniare, sei geloso e tranquillo, ti penti ma senza soffrire, ti adiri e sei calmo, muti le opere ma non il disegno, ricuperi quanto trovi e mai perdesti; mai indigente, godi dei guadagni; mai avaro, esigi gli interessi; ti si presta per averti debitore, ma chi ha qualcosa, che non sia tua? Paghi i debiti senza dovere a nessuno, li condoni senza perdere nulla. Che ho mai detto, Dio mio, vita mia, dolcezza mia santa? Che dice mai chi parla di te? Eppure sventurati coloro che tacciono di te, poiché sono muti ciarlieri. 5. Chi mi farà riposare in te, chi ti farà venire nel mio cuore a inebriarlo? Allora dimenticherei i miei mali, e il mio unico bene abbraccerei: te. Cosa sei per me? Abbi misericordia, affinché io parli. E cosa sono io stesso per te, perché tu mi comandi di amarti e ti adiri verso di me e minacci, se non ubbidisco, gravi sventure, quasi fosse una sventura lieve l’assenza stessa di amore per te? Oh, dimmi, per la tua misericordia, Signore Dio mio, cosa sei per me. Di’ all’anima mia: la salvezza tua io sono11. Dillo, che io l’oda. Ecco, le orecchie del mio cuore stanno davanti alla tua bocca, Signore. Aprile e di’ all’anima mia: la salvezza tua io sono. Rincorrendo questa voce io ti raggiungerò, e tu non celarmi il tuo volto. Che io muoia per non morire, per vederlo. 6. Angusta è la casa della mia anima perché tu possa entrarvi: allargala dunque; è in rovina: restaurala; alcune cose contiene, che possono offendere la tua vista, lo ammetto e ne sono consapevole: ma chi potrà purificarla, a chi griderò, se non a te: “Purificami, Signore, dalle mie brutture ignote a me stesso, risparmia al tuo servo le brutture degli altri”? Credo, perciò anche parlo. Signore, tu sai: non ti ho parlato contro di me dei miei delitti, Dio mio, e tu non hai assolto la malvagità del mio cuore? Non disputo con te, che sei la verità, e io non voglio ingannare me stesso, nel timore che la mia iniquità s’inganni. Quindi non disputo con te, perché, se ti porrai a considerare le colpe, Signore, Signore, chi reggerà?.