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P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 25 OTTOBRE 2015

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XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)
Domenica 25 Ottobre 2015 

CRISTO GUARISCE LE NOSTRE MIOPIE E CECITA’ SPIRITUALI.

La fede di un incontro che si trasforma in amore e guarigione. 

COMMENTO DI PADRE ANTONIO RUNGI 

La parola di Dio di questa XXX domenica del tempo ordinario ci presenta, nel testo di Vangelo di Marco, Gesù che opera il miracolo della guarigione di Bartimeo, figlio di Timeo, che era diventato cieco.

Il racconto della guarigione è davvero molto significativo e come è prassi in Marco, la descrizione è precisa e coinvolgente. Gesù, infatti, partendo da Gerico, lungo la strada incontra questa persona che grida forte, al punto tale che molti lo rimproverano perché tacesse, il quale prega con grande fiducia e speranza in Gesù con queste parole “Figlio di Davide, abbi pietà di me”.

E’ il primo accorato appello, la prima fondamentale preghiera che una persona disperata, non autosufficiente, rivolge a Gesù, dal momento che vive in una situazione di miseria e chiede l’elemosina per vivere.

Vediamo in Bartimeo tante persone che vivono, oggi, questa sua stessa esperienza di mancanza d vista e del necessario. E fa davvero tenerezza pensare a chi non ha possibilità di guardare il mondo con gli occhi fisici che il Signore ci ha donato e che sono la nostra finestra aperta sul mondo. Quel mondo non sempre che ci fa vedere cose buone, al punto tale che forse è meglio preferibile chiudere gli occhi, non vedere piuttosto che vedere tante storture che esistono in ogni luogo.

Il primo accorato appello a Gesù da parte di Baertimeo trova una immediata risposta da parte del Signore. In questo caso Gesù non  fa attendere il richiedente, anzi si dirige verso di lui e gli chiede apertamente, in un dialogo a tu a tu: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». Cosa poteva chiedere un cieco in quella condizione, se non il dono della vista? E, infatti, Bartimeo, si rivolge a Gesù con la piena fiducia in Lui e gli dice: Maestro ridonami la vista.

E’ evidente che aveva perso la vista e che dal testo si evince che non è un cieco nato, ma divenuto tale.

Lui ha sperimentato la gioia di vedere, ha assaporato la bellezza del mondo con gli occhi che ogni persona possiede per realizzare la visione delle cose.

La perdita della vista lo ha messo in una condizione di disagio e disabilità tale, che l’unico modo per vivere è quello di mendicare.

Gesù di fronte a questo cieco, pieno di fiducia e speranza in lui opera il miracolo istantaneamente, al punto tale che Bartimeo subito vide di nuovo.

Il testo del vangelo si presta ad una interpretazione quanto mai adeguata al discorso della fede, espressa dalla vista e alla cecità spirituale, espressione di una fede venuta meno, per tante ragioni al mondo.

Ci fa capire la debolezza dell’uomo, privo della luce della fede e che pensa di poter risolvere tutti i suoi problemi con la scienza, la tecnica e con la ragione. Oggi, in particolare, nella illusione collettiva di poter vivere senza Dio, si pensa che la vita abbia senso e sia più vera, felice ed autentica escludendo Dio dalla propria esistenza.

Il Vangelo di oggi ci illumina, invece, sul cammino necessario che ognuno deve compiere per raggiungere questa sicurezza interiore che è l’incontro con Gesù Maestro, sia mediante la parola che Egli ci dona e sia mediante pane spezzato al quale ci accostiamo nel santissimo sacramento dell’altare.

La fede di un incontro che si trasforma in amore. E’ molto triste sapere che tante persone prive di fede, non sanno comprendere che chi ha questa fede è davvero  la persona più felice di questa terra. La fede che è luce e lampada nel cammino della vita terrena non può essere messa sotto terra, cioè essere accantonata, solo perché questa fede è esigente, chiede la risposta e la sequela del Maestro, fino alla prova estrema del calvario.

Il cieco guarito, non scappa via, non si dimentica di Gesù, dopo aver riavuto il bene più prezioso della vista, anzi lo segue e diventa suo discepolo. Si pone alla sua scuola, alla sua sequela perché il cammino vero che egli deve fare, è appena all’inizio.

Il Signore gli ha concesso il dono della guarigione, perché ha visto in lui una fede sincera, che non si esaurisce in quell’atto, ma si protrae per tutta la sua vita.

La fede gridata, proclamata con coraggio, come ha fatto il cieco, potrebbe dare fastidio a qualcuno, potrebbe indispettire chi questa fede la contrasta in tutti i modi.

I cristiani di oggi non devono aver paura di gridare al mondo la loro fede e lo devono fare senza scendere a compromessi o tentennamenti, come hanno fatto i martiri di ieri e di oggi. Lo devono fare e basta, perché la fede è il centro stesso dell’essere cristiani.

Ecco perché Marco, in questo racconto del miracolo della guarigione del cieco evidenza lo scambio di parole tra il disabile, Gesù e gli apostoli. Le azioni sono espresse con precisi comportamenti assunti dai personaggi sulla scena. Infatti,  Gesù di fronte all’insistenza di quell’uomo, si fermò e disse: «Chiamatelo!». Gli apostolo lo “chiamarono”,  dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Nonostante non ci vedesse, gettato via il mantello, si alza e va incontro a Gesù.

Il cammino della fede, del reincontro con Gesù sta in questo preciso atto decisionale di ognuno: bisogna buttare via le false sicurezze umane, espresse in quel mantello del cieco; bisogna alzarsi, riprendere vigore e forza spirituale e poi  correre spediti verso colui che può guarire il nostro cuore e la nostra mente, che è Gesù.

Il miracolo del cieco ci fa capire esattamente come comportarci con il Signore e quale risposta possiamo e dobbiamo attenderci da Lui, se in Lui confidiamo.

Gesù, infatti, ci viene presentato come il sommo ed eterno sacerdote, al quale rivolgerci per ottenere pace, misericordia e perdono, come leggiamo nel brano della Lettera agli Ebrei della seconda lettura di questa domenica: “Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo. Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato», gliela conferì come è detto in un altro passo: «Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek».

Gesù è l’eterno sacerdote che si offre continuamente per noi sull’altare della croce, per ridarci la libertà dei figli di Dio. La santa messa, memoria perpetua della passione, morte e risurrezione del Signore ci immerge in questo sacerdozio di Cristo e ce ne fa gustare tutti i soprannaturali benefici, al di là della nostra pochezza e debolezza, oltre i limiti delle nostre miopie e cecità spirituali.

E sul tema delle cecità ed infermità materiali e spirituali si basa la prima lettura di questa domenica, tratta dal profeta Geremia, nella quale traspare evidente la misericordia di Dio e la speciale cura che il Signore ha del suo popolo e di quanti al suo interno sperimentano la sofferenza, il dolore e la prova.

In una prospettiva estremamente positiva è vista la presenza di Dio nella storia del popolo eletto, dopo l’esperienza dell’esilio: “Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione e li raduno dalle estremità della terra; fra loro sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente: ritorneranno qui in gran folla. Erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni; li ricondurrò a fiumi ricchi d’acqua per una strada dritta in cui non inciamperanno, perché io sono un padre per Israele”.

Noi siamo i pellegrini della speranza. L’esilio, la lontananza da Dio, prodotta in noi dal peccato, deve trasformarsi in vicinanza a Dio ed ai fratelli nella misericordia e nell’accoglienza.

Sia questa la nostra preghiera, oggi, giorno del Signore: “O Dio, luce ai ciechi e gioia ai tribolati,  che nel tuo Figlio unigenito ci hai dato il sacerdote giusto e compassionevole verso coloro che gemono nell’oppressione e nel pianto, ascolta il grido della nostra preghiera: fa’ che tutti gli uomini riconoscano in lui la tenerezza del tuo amore di Padre e si mettano in cammino verso di te”.

Noi siamo chiamati tutti a fare questo cammino di avvicinamento a Cristo, unico salvatore del mondo, per assaporare la gioia dell’incontro con Lui nei sacramenti del perdono e della comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Amen.  

 

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA XXIX T.O. – 18 OTTOBRE 2015

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XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

GESU’ SOMMO ED ETERNO SACERDOTE

INCHIODATO SULLA CROCE PER NOI

Commento di padre Antonio Rungi

Il testo del Vangelo di questa XXIX domenica del tempo ordinario ci immette nel clima del mistero della Passione di Cristo.

Si tratta di un testo chiaro e che riporta parole ben precise pronunciate da Gesù alla presenza dei suoi discepoli che, nei loro discorsi, strada facendo, pensano a distribuirsi i posti più sicuri ed umanamente accattivanti vicino a Gesù, il Maestro. Certo, il Signore vuole tutti i suoi discepoli accanto a se, ma non nella potenza economica e politica di questo mondo. Ci vuole accanto a sé nel momento supremo del suo amore per noi e del suo sacrificio per noi. Ci vuole accanto a lui ai piedi della Croce, insieme a Maria e a Giovanni e forse, con maggiore coraggio, ci vuole accanto a se, come Lui, inchiodati alla croce, inchiodati alle nostre croci.

Ecco il potere regale di Cristo Crocifisso. Ecco il sommo ed eterno sacerdote che è Gesù, che si offre per noi al Padre per riscattarci dai nostri peccati.

Siamo chiamati con Cristo a bere il calice della sofferenza che Egli ha bevuto per la nostra redenzione. Non c’è vero cristiano se non porta la sua croce e segua davvero il Signore.

Purtroppo, non è affatto così. Molti seguono la fede cristiana, senza l’intimo convincimento, cioè che si tratta di ripercorre la strada del Signore, che è anche la strada che porta al Calvario.

Ci sono cristiani che riflettono alla maniera degli apostoli e che si fanno i calcoli, strumentalizzando la stessa fede e la stessa chiesa per finalità umane, economiche, di affermazione, di prestigio.

E ciò non avviene solo tra il clero, i religiosi, i vescovi e a man mano a salire di grado nella scala della gerarchia, ma avviene anche nel laicato cattolico.

Ci sono, infatti, dei laici che invece di servire la Chiesa e Cristo, si servono della Chiesa e di Cristo.

Fanno il discorso utilitaristico e interessato di Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, che chiedono a Gesù, senza falsa modestia: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo. Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Gelosia, invidia, arrivismo, distribuzione egualitaria del potere che Gesù poteva dare loro, secondo una falsa concezione, che si erano fatti del Maestro. Gesù replica con una domanda forte e inquietante:  «Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».

Segue, poi, da parte di Gesù una lezione di straordinaria importanza per tutti, ed è la lezione sul significato dell’autorità, del potere, che va inteso nel senso di servizio, di sacrificio, di rinuncia, di donazione, di croce. Cosa fece allora Gesù? “Li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.

Il cuore e il centro dell’insegnamento di Cristo sta in questo servizio, portato fino alle estreme conseguenze di consegnarsi liberamente alla morte e alla morte in croce, come, d’altronde, era stato anticipato dai profeti, a partire da Isaia, con i vari carmi del Servo sofferente di Javhè, che, ovviamente sono indirizzati e mirati sulla figura del futuro vero messia di Israele che è Gesù.

Un messia sofferente, maltratto, umiliato e crocifisso. Non un messia potente da un punto di vista economico e militare, ma l’umile agnello immolato sulla croce in riscatto dei nostri peccati. Leggiamo infatti nella prima lettura di oggi: “Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità”.

L’immagine di Gesù Crocifisso emerge in modo prepotente e chiara davanti ai nostri occhi, davanti alla nostra vita, spesso immersa nel peccato e in cerca di soddisfazioni mondane. Quel Crocifisso che ci parla e ci indica la strada della conversione, dell’offerta sacrificale della nostra vita per la causa del vangelo.

Egli, Gesù, il Sommo ed eterno sacerdote si porge a noi con gli occhi della misericordia e del perdono, con il volto della sofferenza, ma soprattutto con il volto dell’amore redentivo. In questo Sommo ed eterno sacerdote dobbiamo confidare, abbandonarci e sperare, come ci ricorda l’autore della Lettera agli Ebrei che ascoltiamo oggi, come testo della parola di Dio, della seconda lettura di questa domenica: “Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno”.

Accostiamo con fiducia a Gesù Crocifisso e se il suo dolore non suscita in noi neppure una minima contrizione dei nostri peccati, dei nostri errori ed orrori significa che il nostro cuore è molto lontano dalla compassione e dalla misericordia che il Signore ci vuole donare, facendoci riflettere seriamente sul nostro stile di vita che è contrario alla Croce di Cristo.

Ci sia di esempio, in questo cammino di conversione, un grande santo del secolo dei lumi, san Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti, di cui oggi ricordiamo il suo passaggio alla gloria del cielo, essendo morto a Roma, nella Casa dei Santi Giovanni e Paolo, al Celio, alle ore 16,45 del 18 ottobre del 1775.

E’ uno dei tanti santi che hanno amato profondamente Gesù Crocifisso, fino al punto tale da esserne infaticabili missionari nell’Italia del secolo che poneva come criterio fondamentale per raggiungere la verità, la sola ragione umane, divenuta il grande tribunale per stabile il vero  dal falso, del bello  dal brutto, il buono dal cattivo.

Gesù, il Crocifisso è questo bene assoluto, perché è un Bene d’infinito amore che si è tradotto con il donare la sua vita interamente per noi.

Egli è davvero il sommo ed eterno sacerdote delle anime nostre, come recitiamo nella preghiera iniziale della santa messa odierna: “Dio della pace e del perdono,  tu ci hai dato in Cristo il sommo sacerdote che è entrato nel santuario dei cieli in forza dell’unico sacrificio di espiazione;  concedi a tutti noi di trovare grazia davanti a te, perché possiamo condividere fino in fondo il calice della tua volontà e partecipare pienamente alla morte redentrice del tuo Figlio”. Amen.

 

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 27 SETTEMBRE 2015

RUNGI2015

XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

ESSERE DALLA PARTE DI CRISTO E VIVERE IL VANGELO CONCRETAMENTE 

Commento di padre Antonio Rungi.

La bellissima liturgia della parola di Dio di questa XXVI domenica del tempo ordinario, ci impegna a riflettere su alcuni importanti temi del nostro essere religiosi e credenti, che richiedono una nostra disponibilità personale e spirituale a lasciarci interpellare da simile parola. Se il nostro cuore non è disponibile a questo mettersi in discussione, a verificare il grado di aderenza e di risposta seria alla parola di Dio, serve a ben poco, ascoltarla, se poi non si traduce in stile di vita. Partendo oggi dal brano del vangelo di Marco, nella sua parte conclusiva del testo, è ben chiaro il discorso sulla nostra testimonianza di vita cristiana che dobbiamo evidentemente dare in tutte le situazioni d vita quotidiana. Il Vangelo vissuto passa, appunto, attraverso, quella sincera volontà di conversione che dobbiamo attuare in ogni situazione. Ecco perché ci viene indicato anche il modo concreto per farlo. Mediante paradossi, con ragionamenti per assurdo, il Vangelo ci spinge nella direzione della coerenza e della fedeltà, per essere davvero cristiani credenti e soprattutto credibili. Se tutto il nostro modo di essere e di fare, la nostra corporeità, il nostro stile di vita è motivo di scandalo per gli altri, cosa aspettiamo a cambiare vita e a comportarci bene?  Non illudiamo noi stessi dicendo che siamo perfetti, non facciamo nulla di male e tutto è apposto a livello di morale e di spiritualità. Avere il coraggio di trovare i difetti nella nostra vita, e non in quella degli altri, per fare esaltare i nostri pregi, i soli aspetti positivi, che pure ci saranno. Ecco, perciò, che è bene riflettere su questo passo del Vangelo e trarre delle conseguenze logiche: “Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue”. Per operare questo capovolgimento è necessario una speciale grazia, quella dell’umile ricerca della verità in noi stessi e negli altri, senza invidia o gelosia, senza pensare che il nostro operare sia migliore degli altri, se illuderci che solo il nostro bene è vero bene, mentre il bene che fanno gli altri è classificabile come male. Non è così. Il bene ha una sola origine e questa origine è in Dio, che è il Sommo Bene. Perciò, Gesù, di fronte alla meraviglia dei suoi discepoli che vedono anche altri fare le loro stesse cose buone, che fanno loro, come il cacciare i demoni, chiedono al Signore di impedirglielo. Ma Gesù replica, dicendo “non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi”. Anzi indica la via maestra per essere sulla via del bene e percorrerla davvero: è la strada del servizio, della carità, dell’amore, della misericordia, delle opere di misericordia, e dice: “Chiunque  vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa”. Ogni azione buona acquista il suo merito davanti a Dio e il Signore ci ricompenserà abbondantemente per tali opere, che non possono e non devono essere occasionali, ma sistematiche. Devono essere messe in cantiere nel nostro modo di pensare e di agire come costanti del nostro stile di vita. Non ci priviamo di fare il bene a tutti e non troviamo scuse o giustificazioni per non agire nella direzione del bene.

Strettamente legato a questa riflessione sul testo del Vangelo è la prima splendida lettura, tratta del libro dei Numeri, che uno dei libri più importanti della Bibbia, perché fa parte dei primi cinque libri, il Pentateuco, in cui troviamo l’essenza stessa della fede del popolo eletto. In questo brano si parla del dono della profezia, di cui non solo è dotato Mosè, ma a cui accedono altre persone, quali Eldad e Medad, che profetizzano nell’accampamento al posto di Mosè. Nel momento in cui altre persone notano questo comportamento, vanno a riferire a Mosè di quanto sta accadendo. E Mosè, prefigura di Cristo, cosa risponde a Giosuè, figlio di Num, che vuole impedire a questi neo-profeti che svolgano tale missione? Lo leggiamo nel brano: «Sei tu geloso per me?, dice Mosè a Giosuè. E prosegue: “Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!». Ecco la risposta più bella e confortante per quanti amano sinceramente Dio e con la parola e la vita parlano davvero in suo nome, cioè sono profeti certi e veri in base al loro modo di trasmettere la verità e vivere la verità. Essere profeti, allora, non è proprietà di qualcuno, ma tutti nella chiesa, in base al sacramento del Battesimo devono profetizzare nel nome del Signore. La loro vita deve parlare da sola di Dio. Ecco, ritorna il tema dell’annuncio, dell’evangelizzazione che poi non è un servizio alle ideologie, ma, come ci ha ricordato Papa Francesco, è servizio alla persona. L’annuncio diventa credibile quando si trasferisce su un piano operativo e si vive la carità nel servizio umile e disinteressato verso gli altri, come i ricchi; chi si chiude agli altri, vive in un mondo dorato, ovattato e protetto a livello solo economico e materiale va contro il vangelo, è in antitesi netta con l’insegnamento di Cristo che è dalla parte dei poveri, degli  ultimi, degli esclusi. Suonano di forte richiamo le parole dell’Apostolo Giacomo nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla sua intensissima lettera di denuncia che stiamo approfondendo in queste domeniche: “Ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! Le vostre ricchezze sono marce, i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme. Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco”. E a seguire la denuncia aperta dello sfruttamento: “Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore onnipotente. Sulla terra avete vissuto in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non vi ha opposto resistenza”. Quanta corruzione nel mondo, per motivi di soldi! Quante ingiustizie che si celano per non far emergere il marcio di una società e di un modo di pensare che è soltanto economia e non solidarietà. Anche i recenti scandali mondiali ci fanno riflettere, su come dio denaro, sia lo scopo principale di quanti non hanno cuore verso gli altri. Di fonte a queste forti parole di denuncia e di accusa, di condanna aperta della ricchezza che è fine a stessa, c’è solo da operare bene e pregare. Noi vogliamo essere dalla parte di quanti operano onestamente e pregano incessantemente per la giustizia sociale e per una vera uguaglianza tra tutti gli esseri umani, essendo tutti figli di uno tesso Padre, che è Dio.

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 30 AGOSTO 2015

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XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

DOMENICA 30 AGOSTO 2015 

IL CUORE LONTANO DA DIO E’ UN CUORE FALSO E INFELICE 

Commento di padre Antonio Rungi

Il Vangelo di questa domenica XXII del tempo ordinario dell’anno liturgico, ci offre l’opportunità di riflettere sul nostro modo di amare Dio, di onorarlo, di pregarlo. In altre parole ci responsabilizza di fronte al modo di credere e di esplicitare la fede anche attraverso il vero o falso culto. E’ Gesù stesso che fa osservare come ci  rapportiamo a Dio in un modo inautentico, falso, fatto solo di apparenze, di formule e forme. Invece abbiamo necessità di rivolgerci a Dio con tutto il cuore, la mente e le nostre forze.

La preghiera del cuore e con il cuore, che ti prende totalmente, anche su un piano di decisioni che devi assumere per il tuo bene, è molto lontano dalla pratica dei cosiddetti credenti del tempo di Gesù e di tantissimi, oggi, che si dicono cristiani e non lo sono, perché vivono solo un cristianesimo di facciata, di superfice, di visibilità.

In un mio recente pellegrinaggio al Santuario della Mentorella, vicino Roma, nel quale sono arrivato per la prima volta, dopo tanti anni di vita sacerdotale, notavo questo scritta, sopra la cima della scala, che interseca la roccia e che si trova fissata in una lapide sotto alle campane del Santuario: “Non far da campanaro, se il tuo cuore non batte da cristiano”.

Effettivamente è così.  Non possiamo alzare la voce, gridare la nostra fede, elevare al cielo le nostre preghiere e suonare le campane per dire tutto il bene che facciamo, se quello che diciamo, facciamo e trasmettiamo non è fatto con un cuore davvero cristiano, credente, sensibile al bene. Altrimenti siamo sulla stessa scia dei farisei del tempo di Gesù, che il Divino Maestro condanna senza mezze misure:«Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».

Molte delle questioni che spesso si affrontano anche nelle nostre comunità cristiane sono solo formali, esteriori, non si va al cuore delle vere problematiche, di ciò che conta ed è sostanziale.

Basta che sta a posto la forma, la sostanza può anche essere trascurata. Invece non deve essere così.

Gesù stesso ci indica dove sta il male e come lo manifestiamo nei nostri comportamenti quotidiani. Il male sta dentro di noi, nei nostri cuori corrotti e immorali, che non sentono più la voce della coscienza, la voce di Dio e l’appello continuo alla conversione:«Dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

E’ la fotografia del tempo di Gesù;  è lo specchio del mondo d’oggi, particolarmente abituato a volere e a fare il male agli altri.

Mettiamoci in sintonia con la Parola di Gesù e convertiamoci ad un stile di vita nuova, in cui cerchiamo davvero il bene e lo facciamo con tutto il cuore. Perché se il cuore è deteriorato nel campo della morale, le conseguenze le conosciamo quali sono: un disastro morale, che Papa Francesco chiama corruzione, mentalità e stile mondano di vivere, mancanza di apertura alla trascendenza, all’eterno, allo spirito che dà la vita.

Per riscattarci, tutti, dalla condizione, spesso disonorevole per noi stessi e per gli altri, in cui siamo e viviamo, è necessario, urgente e improcrastinabile attuare quello che ci viene raccomandato di fare nella prima lettura di oggi, tratta dal Libro del Deuteronomio, in cui Mose, in nome di Dio, parla al popolo d’Israele e lo mette di fronte alle sue fondamentali scelte di vita e che non sono altro l’osservanza dei comandamenti di Dio:Ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi. Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo. Le osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi”, si renderanno conto della speciale attenzione di Dio nei confronti del popolo eletto.

Dobbiamo far nostro anche l’invito che, con grande semplicità, ci trasmette l’Apostolo Giacomo nel brano della sua lettera che oggi ascoltiamo:Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi. Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo”. La carità, l’amore verso gli altri, la speranza e la fede nell’eternità devono spingerci ad agire in questo modo per aiutare concretamente chi sta nel bisogno.

La religione pura, non è un insieme di preghiere e di orazioni recitate tanto per abitudine, ma è quella di vivere con purezza e senza macchia alcuna davanti a Dio. E purtroppo le macchie hanno imbrattato la nostra originaria innocenza battesimale. Per cui, oltre al sacramento della misericordia e del perdono che dobbiamo valorizzare, c’è la carità da vivere, in quanto questa estingue molti peccati.

Solo chi sa amare e sa donarsi, che non è chiuso in se stesso, sa anche capire il bisogno dell’altro e venire incontro a lui, con la generosità e la carità vera, e non solo di facciata o di beneficenza occasionale, sta sulla via giusta.

Ci viene ricordato, a tale proposito, quello che leggeremo nel Salmo responsoriale di questa domenica, quale persona sia davvero gradita  a Dio. “E’ colui che cammina senza colpa, pratica la giustizia e dice la verità che ha nel cuore, non sparge calunnie con la sua lingua. Non fa danno al suo prossimo e non lancia insulti al suo vicino”.

Riflettiamo poi su queste ulteriori espressioni di San Giacomo, che ascolteremo in questa domenica ultima di agosto 2015: “Fratelli miei carissimi, ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce: presso di lui non c’è variazione né ombra di cambiamento. Per sua volontà egli ci ha generati per mezzo della parola di verità, per essere una primizia delle sue creature”.

E nel concludere anche la nostra meditazione in questo giorno di festa e di gioia che è la domenica, non dimentichiamo di rivolgerci a Dio con queste parole che sono le stesse della preghiera iniziale della messa di questa giornata: “Guarda, o Padre, il popolo cristiano radunato nel giorno memoriale della Pasqua, e fa’ che la lode delle nostre labbra risuoni nella profondità del cuore: la tua parola seminata in noi santifichi e rinnovi tutta la nostra vita”. Amen.

FESTA DI SAN ROCCO -DOMENICA 16 AGOSTO 2015

immigrati MADRE TERESA SANROCCO

LECTIO DIVINA 

FERRAGOSTO 2015 NEL SEGNO DELLA CARITA’ 

FESTA DI SAN ROCCO -16 AGOSTO 2015 

Commento di padre Antonio Rungi 

La solidarietà non va in vacanza, soprattutto d’estate, mentre, forse, noi e tanti altri siamo in vacanza. Non va in vacanza neppure la fame, il bisogno. Non vanno in vacanza le necessità di tanti poveri della nostra terra o che arrivano da noi e ci chiedono un pezzo di pane, un lavoro. Ci chiedono accoglienza e noi li rifiutiamo.  In una nazione come l’Italia, dove gli immigrati sono di casa, anzi sono in crescente numero di presenza, questo discorso dell’accoglienza capita a proposito a Ferragosto 2015. obbiamo accogliere nel rispetto della legge e della norma civile, ma dobbiamo accogliere come cristiani ed esseri umani nel nome di quel Vangelo della carità e della solidarietà che Gesù Cristo ci ha insegnato e che non possiamo dimenticare, perché prevalgono i nostri interessi locali, nazionali, europei, mondiali, sul rispetto che si deve ad ogni persona umana, soprattutto se è un bambino, una donna, un ammalto, un povero che ci tende la mano per chiedere aiuto a chi questa mano la potrebbe dare, ma non la dà.  In questi giorni di agosto, tante parole sono state dette e scritte per la questione dell’accoglienza degli immigrati in Italia e in Europa. Valgano su tutte, le parole del Santo Padre, Papa Francesco che si ispirano al Vangelo e partono dal Vangelo, che si deve portare soprattutto nel cuore e non solo tra le mani o sulla bocca, per ricordare a ciascuno di noi, quanto ha detto Gesù, in riferimento al giudizio universale: “Ero forestiero e non mi avete ospitato”. E a Lui, che sa tutto e ci conosce benissimo, non potremmo dire neppure: “Signore quando sei stato forestiero e non ti abbiamo ospitato?”. Egli ci dirà: “Dalla mattina alla sera stavo accanto a voi e voi mi avete girato le spalle, facendo finta di non conoscermi, di non appartenervi, non essere tra i vostri eletti e prediletti. Cosa potrà dirci il Signore? Avete fatto bene a cacciarmi via? No assolutamente! Ma ci butterà via Lui, dalla sua eternità, perché non abbiamo vissuto nell’amore, nella carità. Non abbiamo accolto, abbiamo sempre rifiutato, espulso e mai ospitato.Queste considerazioni di carattere evangelico si addicono perfettamente al tempo che stiamo vivendo, in questo Ferragosto 2015, che ha riportato alla nostra attenzione il dramma dell’immigrazione, tra tante inutili polemiche, mentre la gente soffre e muore in tante parti del mondo, tra l’indifferenza generale dei potenti. Domenica  16 agosto 2015, terza domenica del mese delle ferie, all’indomani della solennità dell’Assunta, la chiesa ci offre come modello di santità un santo francese. San Rocco di Montpellier. Un santo di quella Francia rivoluzionaria che tanto parla di uguaglianza, libertà e fraternità e che all’atto pratico non attua, poi nella vita politica e normativa. Davanti a noi ci sono anche le immagini degli immigrati rifiutati alla frontiera di Ventimiglia, tra l’Italia e la Francia, nei mesi scorsi. Chiaro avviso che loro di immigrati non ne vogliono sul loro territorio, soprattutto se vengono dall’Italia. Sappiamo pure che l’Europa ha restituito all’Italia oltre 12.000 immigrati irregolari, entrati nel nostro Paese, nei modi illegali che ben conosciamo. Il resto d’Europa non accoglie e non vuole accogliere. L’Italia rimane l’unico Paese al mondo, di transito o di definitiva accoglienza dei tanti profughi dalle guerre, di tante donne, bambini e giovani in cerca della salvezza. Il Mare Nostrum, il Mare Mediterraneo, invece di essere il mare della vita è diventato il mare della morte. Un grande cimitero di acqua e in  acqua che ha accolto le salme di oltre 2500 immigrati, annegati, dall’inizio di questo anno 2015 fino ad oggi. Il Mare nostrum è diventato il Mare monstrum, il mare del mostro della mancanza d’amore e di carità verso questi nostri fratelli disperati e in cerca di una speranza di vita.

San Rocco, era straniero, di origine francese, e venne in Italia da pellegrino, per sollevare le sofferenze di tanti appestati del nostro Paese. E’ un esempio che vale la pena ricordare in questi giorni di festa, ferie e vacanze estive. Vale la pena ricordare anche di fronte alle tante polemiche accese tra la chiesa italiana e una parte della politica italiana. Leggiamo la storia, anche se leggendario di questo francese forestiero nel nostro Paese.  San Rocco nacque a Montpellier (Francia), secolo XIV – e morì il 16 agosto di un anno imprecisato. Il nome Rocco di origine tedesca  significa grande e forte, o di alta statura.  Le fonti su di lui sono poco precise e rese più oscure dalla leggenda. In pellegrinaggio diretto a Roma dopo aver donato tutti i sui beni ai poveri, si sarebbe fermato  ad Acquapendente, dedicandosi all’assistenza degli ammalati di peste e operando guarigioni miracolose che ne diffusero la sua fama. Peregrinando per l’Italia centrale si dedicò ad opere di carità e di assistenza incoraggiando  continue conversioni. Sarebbe morto in prigione, dopo essere stato arrestato presso Angera da alcuni soldati perché sospettato di spionaggio. Si dice che solo un cane provvide alle sue necessità materiali portandogli un po’ di pane che il suo padrone gli dava per farlo mangiare. Da qui nell’iconografia e nei detti popolari di “San Rocco e il cane”.  Invocato nelle campagne contro le malattie del bestiame e le catastrofi naturali, il suo culto si diffuse straordinariamente nell’Italia del Nord, legato in particolare al suo ruolo di protettore contro la peste. E’ protettore delle persone diversamente abili, dei carcerati e dei malati infettivi. Altri segni distintivi della sua santità e della sua fama sono la Croce sul lato del cuore, l’Angelo, e i Simboli del ellegrino.

A San Rocco affidiamo i tanti ammalati di peste, di malattie infettive e tante persone diversamente abili che necessitano di essere accudite con amore e con la stessa passione con la quale san Rocco curò i suoi ammalati di peste e con la stessa generosità di questo grande santo, amato al Nord come nel Sud Italia ed esempio di amore verso le persone bisognose del mondo. E lo facciamo con una celebre preghiera della Beata Madre Teresa di Calcutta: “Vuoi le mie mani?”. 

Signore, vuoi le mie mani per passare questa giornata aiutando i poveri e i malati che ne hanno bisogno? Signore, oggi ti do le mie mani. 

Signore, vuoi i miei piedi per passare questa giornata visitando coloro che hanno bisogno di un amico? Signore, oggi ti do i miei piedi. 

Signore, vuoi la mia voce per passare questa giornata parlando con quelli che hanno bisogno di parole d’amore? Signore, oggi ti do la mia voce. 

Signore, vuoi il mio cuore per passare questa giornata amando ogni uomo solo perché è un uomo? Signore, oggi ti do il mio cuore.

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 16 AGOSTO 2015

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XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)
DOMENICA 16 AGOSTO 2015

Essere saggi e previdenti nel tempo che il Signore ci ha concesso

Commento di padre Antonio Rungi

La mia riflessione di questa XX domenica del tempo ordinario dell’anno liturgico, che capita all’indomani della grande solennità dell’Assunzione al cielo in corpo ed anima della Madre di Dio e Madre nostra, la Vergine Santissima, ma anche nella ricorrenza della memoria liturgica di un grande santo, tra i più amati e venerati, soprattutto in alcune zone, ed è San Rocco, l’apostolo della carità, parte dalla seconda lettura di oggi, tratta dalla bellissima e stimolante lettera di san Paolo Apostolo agli Efesini che ci sta accompagnando in queste domeniche e ci sta indicando il cammino etico e virtuoso che dobbiamo fare, se vogliamo essere dei buoni cristiani, oggi e sempre.

Dobbiamo fare molta attenzione al nostro modo di vivere. In poche parole è necessario riflettere suo nostro modo di comportarci. Fare il nostro esame di coscienza e verificare il grado di corrispondenza tra ciò che è dovere fare e quello che effettivamente facciamo. Anzi ciò che dobbiamo essere in una visione cristiana dell’esistenza e ciò che in realtà siamo. E allora come dobbiamo comportarci? San Paolo senza girare intorno alle parole e senza falsità dice che non dobbiamo comportarci  “da stolti ma da saggi”.  

E poi “facendo buon uso del tempo”, allertandoci e mettendoci in guarda  sul fatto che “i giorni sono cattivi”. A ciò si aggiunga poi che non dobbiamo essere sconsiderati, ma saper discernere  la volontà del Signore nella nostra vita.

Si tratta di un cammino di autocoscienza ed autoconoscenza che impegna le nostre migliori facoltà spirituali, morali ed umane, oltre che intellettive ed operative. Un cammino che tutti dobbiamo fare, se non vogliamo sciupare il tempo che il Signore ci ha concesso in vista dell’eternità. E allora devono essere banditi dal nostro stile di vita tutto ciò che contrasta con una moralità cristiana e con il dominio di se stessi. L’Apostolo, infatti, raccomanda ai cristiani di Efeso di non ubriacarsi di vino, che fa perdere il controllo di sé. Il problema dell’alcoolismo, quello delle droghe, delle sballo sono all’ordine del giorno nella cronaca del mondo moderno a livello locale e mondiale. Problema sociale e morale serio che andava affrontato al tempo di Paolo, ma soprattutto nel nostro tempo che offre a tutti, specie ai giovani, tante forme di ubriacature o di paradisi artificiali, che distruggono la vita e portano solo alla morte in tutti i sensi. Il cristiano che si lascio  ricolmare dello Spirito del Signore è una persona saggia e felici. Infatti chi fa l’opzione per la preghiera e la vita interiore sceglie un altro tipo di intrattenimento che è quello della preghiera e della lode a Dio, dei salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il cuore, “rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo”. Ecco la vita secondo lo spirito che già gioia e vera felicità, rispetto a tante altre apparenti felicità costruite sul nulla e sull’illusorio e sulla droga.

Chiedere quindi a Dio la sapienza e l’intelligenza per affrontare la vita nel modo migliore come ci suggerisce la prima lettura di oggi, tratta dal libro dei Proverbi:«Chi è inesperto venga qui!». A chi è privo di senno ella dice: «Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato. Abbandonate l’inesperienza e vivrete, andate diritti per la via dell’intelligenza».

La nostra sapienza vera e certa è Gesù Cristo. Egli stesso, anche oggi, nella conclusione del capitolo sesto del Vangelo di Giovanni, sul discorso del pane della vita, ribadisce il concetto che la vera vita sta in Lui e nulla può compensare la mancanza di Dio e di Cristo nella vita di una persona. Nessuno può sostituire Gesù, come vero cibo e vera bevanda, come pane e come vino per dare la vera energia spirituale alla nostra vita terrena e materiale. Se non mangiamo la carne del Figlio dell’uomo e non beviamo il suo sangue, non avremo in voi la vita. Chi mangia la carne di Gesù e beve il sangue di Cristo ha la vita eterna e Gesù stesso lo risusciterà nell’ultimo giorno. Perché la carne di Cristo è vero cibo e il sangue di Gesù è vera bevanda. Ecco, perché Gesù afferma in questo celebre discorso sul pane della vita: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me”. Vivere con Cristo e per Cristo, questo è il nostro vero scopo in questa vita, nella speranza di continuare a vivere con Lui per l’eternità. Sia questa la nostra umile preghiera oggi, che rivolgiamo a Dio dal profondo del nostro cuore: “O Dio, che hai preparato beni invisibili  per coloro che ti amano, infondi in noi la dolcezza del tuo amore, perché, amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa, otteniamo i beni da te promessi,  che superano ogni desiderio. Amen.

LE SACRE CENERI – COMMENTO DI PADRE ANTONIO RUNGI – 18 FEBBRAIO 2015

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Mercoledì delle Ceneri 

18 febbraio 2015 

Perdonaci Signore abbiamo peccato 

Commento alla liturgia di padre Antonio Rungi 

La coscienza del proprio peccato ci pone davanti a Dio, all’inizio di questo cammino quaresima, con il desiderio profondo di rinnovarci, convertirci, fare penitenza. E’ questo il senso della Quaresima, tempo forte dell’anno liturgico, che inizio oggi con la celebrazione delle Sacre Ceneri. Al centro di questa giornata c’è, infatti, il rito della imposizione delle ceneri che, normalmente, omettendo l’atto penitenziale iniziale della santa messa, viene svolto subito dopo l’omelia del sacerdote che è d’obbligo in questa giornata di digiuno e di penitenza per ogni cristiano, sinceramente incamminato verso la Pasqua 2015 e la Pasqua eterna, quella che più conta davanti a Dio. Con queste parole il sacerdote si rivolge a noi, prima di ricevere le ceneri: “Raccogliamoci, fratelli carissimi, in umile preghiera, davanti a Dio nostro Padre, perché faccia scendere su di noi la sua benedizione e accolga l’atto penitenziale che stiamo per compiere”. Ed aggiunge la preghiera di benedizione delle ceneri e delle persone: “O Dio, che hai pietà di chi si pente e doni la tua pace a chi si converte, accogli con paterna bontà la preghiera del tuo popolo e benedici questi tuoi figli, che riceveranno l’austero simbolo delle ceneri, perché, attraverso l’itinerario spirituale della Quaresima, giungano completamente rinnovati a celebrare la Pasqua del tuo Figlio, il Cristo nostro Signore. Egli vive e regna nei secoli dei secoli”. Oppure con un’altra preghiera dello stesso tono in cui il sacerdote dice: “O Dio, che non vuoi la morte ma la conversione dei peccatori, ascolta benigno la nostra preghiera: benedici queste ceneri, che stiamo per imporre al nostro capo, riconoscendo che il prezioso corpo tornerà in polvere; l’esercizio della penitenza quaresimale ci ottenga il perdono dei peccati e una vita rinnovata a immagine del Signore risorto. Egli vive e regna nei secoli dei secoli”.    E a seguire, subito questa preghiera, mentre il popolo santo di Dio intona i canti penitenziali ad hoc, il sacerdote ad uno ad uno impone sulla testa ai fedeli che si accostano processionalmente all’altare, il l’austero simbolo delle ceneri. Due i testi utilizzati per l’imposizione delle ceneri: “Convertitevi, e credete al Vangelo”, oppure “Ricordati che sei polvere, e in polvere tornerai”. La conversione e la nostra precarietà e temporalità terrena ci mettono di fronte ad un grandissimo atto di responsabilità personale: quello di camminare in santità di vita, lontano dal peccato, perché tutto passa e solo Dio resta per l’eternità. Siamo polvere e in polvere ritorneremo, per farci riflettere sulla vita e sulla morte. Se acquisiamo sempre di più la consapevolezza della nostra precarietà terrena, forse saremo più responsabili delle nostre azioni e valuteremo attentamente il nostro comportamento dovendo rendere conto a Dio dell’intera nostra esistenza. Coscienti dei nostri limiti e peccati, abbiamo bisogno in questo giorno penitenziale di chiedere perdono a Dio dei nostri peccati e farlo con sincerità, con una volontà nuova di camminare sulla via del bene, abbandonando qualsiasi sentiero del male e del peccato. Con il salmo 50, possiamo elevare a Dio la nostra umile preghiera di sincero pentimento e di riconoscimento delle nostre colpe, che Lui e soltanto Lui può lavarci e purificarci nel sangue suo preziosissimo versato sulla croce per noi, in remissione dei nostri peccati: “Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa,  dal mio peccato rendimi puro. Sì, le mie iniquità io le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto. Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non scacciarmi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito”. E il profeta Gioele, nella bellissima prima lettura della liturgia di questa giornata delle Ceneri, ci sollecita un cammino di conversione che sia profonda, che parta dal cuore. Non serva una conversione esteriore ed apparente, ci vuole quella interna, quella profonda, quella che ti cambia in un attimo e ti fa decidere per il Signore per tutta la vita, abbandonando ogni compromesso con il male e il peccato. Allora ritorniamo a Dio con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceriamoci il cuore e non le vesti, ritorniamo al Signore, nostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male”. E un appello alla conversione generale, nessuno è escluso da quella convocazione, ricorda il Profeta: “Radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti; esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dal suo talamo”. Al profeta Gioele, gli fa eco, il grande esperto di conversione vera, san Paolo Apostolo, che nella sua seconda lettera ai cristiani di Corinto, rivolgendosi ad essi con cuore paterno, scrive: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio”. Ed aggiunge: “Vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho esaudito  e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!”.

La Quaresima è questo tempo favorevole per la riconciliazione e il perdono da chiedere a Dio e chiedere ai fratelli che abbiamo offeso, oppure da dare se ci hanno offeso. Non facciamo passare invano questo tempo della Quaresima 2015. Potrebbe essere l’ultima opportunità, l’ultimo round del grande combattimento della vita, in attesa di vedere Dio. Questo tempo favorevole si concretizza con una nuova condotta di vita da assumere subito, proprio a partire da questa giornata delle sacre Ceneri, senza rimandare a tempi successivi. E’ una questione di vita o di morte della nostra anima, che se non respira l’aria della grazia e della misericordia, si atrofizza e muore. E la morte dell’anima è peggiore di quella del corpo. Siamo spesso come cadaveri vaganti, senza spirito e senza anima, vuoti di senso e di significato, svuotati della grazia di Dio e pieno solo di egoismo e di noi stessi. Svuotare il nostro cuore del nostro io, per riempirlo solo e soltanto di Dio.

E allora andiamo direttamente a quanto ci chiede Gesù di fare oggi e sempre. Il suo insegnamento morale lo ricaviamo dal testo del Vangelo di questa giornata, tratto dal vangelo di Matteo: «Stiamo attenti a non praticare la nostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. E quando preghiamo, non dobbiamo essere simili agli ipòcriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente.  E quando digiuniamo, come oggi, come nel venerdì santo o in altre ricorrenze spirituali, non dobbiamo essere malinconici come gli ipòcriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. Molte volte ci assoggettiamo a diete ferree per motivi di salute e di estetica. Perché non digiunare per fare del bene spirituale a noi stessi e destinare il ricavato dei nostri digiuni ai fratelli che sono costretti a digiunare sempre, perché non hanno nulla da mettere sotto i denti. Sono queste le contraddizioni del mondo di oggi e di sempre, che dobbiamo superare con una degna condotta di vita solidale e aperta ai bisogni degli altri. Una Quaresima che si limiti al solo aspetto spirituale, sarà un tempo propizio, ma monco nella sua essenza, che è di apertura alla solidarietà, espressa con quel primo obbligo morale che il Signore ci chiede di attuare: l’essere generosi e altruisti nel donare ciò che si ha, per aiutare i fratelli che sono nel bisogno e nella necessità. La Quaresima è vera se opera e fa fare il bene.

 

P.RUNGI. COMMENTO ALLA SECONDA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – 18 GENNAIO 2015

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Seconda Domenica del tempo ordinario

18 gennaio 2015

 

Una parola che scalda il cuore e spinge nella giusta direzione

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

La parola di Dio della seconda domenica del tempo ordinario è incentrata sul tema della chiamata: quella di Samuele ad essere profeta di Signore, quella degli apostoli ad essere inviati di Gesù Cristo. Ogni chiamata richiede la parola di chi chiama e l’ascolto che diventa risposta positiva o negazione a chi chiama e fa capire con precisione la sua voce, il suo intento e lo scopo di questa speciale convocazione a servizio, in questo caso, di Dio. E’ quindi evidente che solo chi ascolta e discerne può rispondere in modo autentico e con le mozioni del cuore alla chiamata di Dio al suo servizio. Noi battezzati siamo stati chiamati da Dio ad una comunione profonda con Lui mediante la grazia santificante. La risposta alla chiamata richiede che noi viviamo secondo quel si, che nei vari stati di vita, abbiamo detto a Dio, con l’unico e fondamentale scopo della nostra personale salvezza e santificazione. Siamo stati chiamati per noi stessi e per essere a servizio della causa comune che è la diffusione del Regno di Dio tra gli uomini.

Il bellissimo testo della prima lettura di oggi, tratto dal primo libro di Samuele chi fa capire quando è difficile intuire subito la chiamata di Dio a qualsiasi ruolo ed ufficio per metterci a suo servizio. Samuele infatti ha bisogno di essere chiamato per tre volte prima di capire che era il Signore e non Eli a chiamarlo. Una guida anche in questo caso fa da tramite per discerne la nostra vocazione, soprattutto nel servire al causa della parola di Dio e della buona novella, il vangelo di Cristo. Dopo la triplice chiamato il giovane poté rispondere: Signore «Parla, perché il tuo servo ti ascolta». Le conseguenze di questa totale disponibilità ad accogliere la parola di Dio furono per Samuele straordinarie e ricche di ogni bene e promesse. Eglicrebbe e il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole”. Quando si entra nel dialogo profondo con Dio, ogni parola che esce dalla sua bocca diventa vita, gioia, speranza, maturazione per ogni persone disposta ad incontrarsi con Dio, mediante la sua parola comunicata all’uomo. E questa parola noi l’abbiamo nella Sacra Scrittura, che dobbiamo leggere, meditare e soprattutto metterla in pratica, perché possiamo crescere in santità di vita, in bontà e in missionarietà. Con Dio centro il nostro cuore e nei nostri pensieri possiamo fare grandi cose per a sua gloria e per la nostra santificazione. Non a caso una parola ben accolta, riscalda il cuore e spinge all’azione, non rimane dentro di noi senza produrre il suo effetto benefico.

Parlando di questa unione speciale con Cristo, san Paolo Apostolo nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla sua prima lettera ai Corinzi, evidenzia un aspetto importante di questa unione che porta alla vera comunione e ad una morale personale capace di trasformare il nostro essere ed agire in qualcosa di straordinariamente bello, significativo ed attraente: “Chi si unisce al Signore –scrive l’Apostolo delle genti – forma con lui un solo spirito”. Per cui, in questa nuova condizione essenziale ed esistenziale cambia il modo di operare. Da qui la raccomandazione e monito: “State lontani dall’impurità! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impurità, pecca contro il proprio corpo. Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi. Infatti siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo!”. Stare lontano dalle impurità di ogni genere, soprattutto quelle che abbassano il livello morale della persona e della società. Oggi queste impurità sono oltre che presenti, visibile e decifrabili in comportamenti di singoli, di gruppi e di masse di uomini sempre più immersi nel materialismo, nell’edonismo e nella soddisfazione dei piaceri dei ogni genere. La persona è tempio dello Spirito Santo, per cui deve essere una persona spiritualmente elevata. Non deve scendere a certezze bassezze, perché questo è la rovina della sua dignità di tempio dello Spirito del Signore, che è vita, gioia, purezza, bontà, delicatezza e dolcezza. Non dobbiamo mai dimenticare in tutto quello che facciamo che “il corpo non è per l’impurità, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo”.

Essere per il Signore, significa mettersi a suo servizio, rispondere alla sua chiamata e svolgere una precisa missione , quella stessa che è stata assegnata al gruppo dei primi discepoli a partire da Pietro. Anche in questo caso è una persona ben precisa, Giovanni il Battista, ad indicare in Gesù il maestro e poi a seguirlo per vedere dove abitava e come viveva, per poi acconsentire liberamente di mettersi a servizio della sua missione nel mondo. Tra i primi discepoli primeggia la figura di Simon Pietro, che non fu il primo a seguire Gesù, ma una volta scelto di farlo viene indicato da Gesù stesso come il capo del gruppo. Non a caso è Gesù stesso a cambiare il nome da Simone, figlio di Giovanni, in Cefa, in Pietro. Quando si incontrare davvero il Signore la vita cambia radicalmente a partire da quella identità umana e anagrafica che diventa identità spirituale ed ecclesiale. Ogni chiamata richiede cambiamento, conversione e rinnovamento. Tutti siamo stati chiamati da Dio a seguirlo in qualche via specifica del nostro essere umano e cristiano. Facciamo si che questa risposta data al Signore liberamente possa viversi ogni giorno nella piena consapevolezza del dono ricevuto e che non va assolutamente messo da parte o non valorizzato appieno. Sia questa la nostra umile preghiera nel giorno del Signore, nel quale la gioia del cuore prevale su ogni altro aspetto del nostro vivere ed esistere: “O Dio, che riveli i segni della tua presenza nella Chiesa, nella liturgia e nei fratelli, fa’ che non lasciamo cadere a vuoto nessuna tua parola, per riconoscere il tuo progetto di salvezza e divenire apostoli e profeti del tuo regno”. Amen.

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DEL BATTESIMO DI GESU’

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FESTA DEL BATTESIMO DI GESU’- 11 Gennaio 2015

DA UN’EPIFANIA ALL’ALTRA

Commento di padre Antonio Rungi

 

Farsi conoscere dall’uomo, farsi accettare da lui, entrare in comunione con lui, rivelarsi, dire tutto di se stesso per non lasciare nel dubbio e nell’incertezza l’umanità. Così Dio ha sempre operato in preparazione alla venuta del suo Figlio. Così in un modo del tutto singolare opera ed agisce nei confronti dell’umanità perché accolgano il Verbo Incarnata, il suo Figlio, inviato nel mondo per la salvezza del mondo. A pochi giorni dalla solennità dell’Epifania, ci troviamo a celebrare con il battesimo di Gesù un’altra epifania, un’altra manifestazione di Gesù Cristo quale figlio prediletto ed unigenito del Padre, in cui Dio si compiace pienamente. Se nella liturgia il salto temporale è di pochi giorni, nella vita di Gesù il salto è molto lungo e distanziato nel tempo, in quanto parliamo dell’inizio del ministero pubblico di Gesù Cristo, intorno ai 30 anni di vita. Il battesimo ricevuto dalle mani del suo precursore, Giovanni il Battista, nel fiume giordano, un battesimo di penitenza, si colloca infatti intorno ai 30 anni di Gesù Cristo.  Il racconto di questo avvenimento è fatto dall’evangelista Marco con poche e sobrie espressioni per indicare in Gesù Cristo l’atteso Messia delle Genti. Giovanni battezza in acqua, Cristo battezzerà nello Spirito santo. E’ evidente la differenza sostanziale tra il battesimo giovanneo e quello che celebrerà Cristo con la sua Pasqua di morte e risurrezione. Tanto è vero lo Spirito santo si posa su Gesù, in forma di colomba, mentre una voce dal cielo do presenta ufficialmente al mondo e lo rivela nella sua autentica identità e missione:  Gesù è  il Figlio mio, l’amato: in lui Dio Padre ha posto il mio compiacimento. L’ufficializzazione è fatto, ora si tratta di camminare in questa identità nella sua missione. E infatti con il battesimo di Gesù che inizia concretamente l’opera evangelizzatrice del Maestro-Messia. Nella preghiera iniziale della santa messa di oggi, preghiamo con queste parole, che sono la sintesi della celebrazione liturgia e del mistero della luce che ricordiamo nel Battesimo di Gesù: “Padre d’immensa gloria, tu hai consacrato con potenza di Spirito Santo il tuo Verbo fatto uomo, e lo hai stabilito luce del mondo e alleanza di pace per tutti i popoli; concedi a noi che oggi celebriamo il mistero del suo battesimo nel Giordano, di vivere come fedeli imitatori del tuo Figlio prediletto, in cui il tuo amore si compiace.

Nella Lettera apostolica “Rosarium Virginis Mariae” di San Giovanni Paolo II, Papa, nell’introdurre i nuovi cinque misteri della luce, Papa scrive testualmente: “Passando dall’infanzia e dalla vita di Nazareth alla vita pubblica di Gesù, la contemplazione ci porta su quei misteri che si possono chiamare, a titolo speciale, ‘misteri della luce’. In realtà, è tutto il mistero di Cristo che è luce. Egli è «la luce del mondo» (Gv 8, 12). Ma questa dimensione emerge particolarmente negli anni della vita pubblica, quando Egli annuncia il vangelo del Regno….È mistero di luce innanzitutto il Battesimo al Giordano. Qui, mentre il Cristo scende, quale innocente che si fa ‘peccato’ per noi (cfr 2Cor 5, 21), nell’acqua del fiume, il cielo si apre e la voce del Padre lo proclama Figlio diletto (cfr Mt 3, 17 e par), mentre lo Spirito scende su di Lui per investirlo della missione che lo attende. Possiamo dire che in questo mistero della vita di Gesù si coniugano perfettamente rivelazione e missione. La sua identità e il suo essere inviato per portare a compimento la salvezza del genere umano. A noi il compito di accettarlo, di professare la nostra fede in Lui, di aderire alla sua persona, di ascoltare e mettere in pratica la sua parola. In altri termini, si tratta di vivere il nostro battesimo e non solo tenerlo custodito, improduttivamente, nel cassetto della nostra esistenza svuotata dalla pratica religiosa e dalla testimonianza della vita. San Giovanni Apostolo nel brano della sua prima lettera ci ricorda che “chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede”. Con la fede vinciamo le tenebre dell’errore e del peccato e ci apriamo ad in dialogo sincero con il Redentore. Infatti, scrive l’Apostolo Giovanni: “chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità. Poiché tre sono quelli che danno testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue, e questi tre sono concordi. Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è superiore: e questa è la testimonianza di Dio, che egli ha dato riguardo al proprio Figlio”.

Facciamo fruttificare in noi la parola di Dio, accogliamola e rendiamo feconda la terra del nostro cuore e della nostra mente, perché possiamo davvero rinnovarci nel Signore, come ci ricorda il brano della prima lettura di questa giornata, tratto dal profeta Isaia: “Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona”.

Come nel battesimo di Gesù “si aprirono i cieli,  e come colomba  lo Spirito di Dio si fermò su di lui,  e la voce del Padre disse: “Questo è il Figlio mio prediletto,  nel quale mi sono compiaciuto”. (cf. Mt 3,16-17), così nel rivivere il nostro battesimo, facciamo sì che lo Spirito Santo apra il cielo della nostra mente e della nostra anima, perché la santissima Trinità si possa compiacere di Dio, essendo noi figli di Dio e lo siamo realmente, proprio mediante quel sacramento del battesimo che spesso abbiamo dimenticato nel cassetto e non lo viviamo nella nostra vita quotidiana, attratti come siamo da altre voci che non sono quello dello Spirito Santo, ma dello spirito del male. Nelle promesse battesimali abbiamo fatto tre precise rinunce:  al peccato, per vivere nella libertà dei figli di Dio; alle seduzioni del male,  per non lasciarci dominare dal peccato;  a satana, origine e causa di ogni peccato. Parimenti ci siamo impegnati a professare la fede con tre blocchi di verità: di credere in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra;  di credere in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore,  che nacque da Maria vergine,  morì e fu sepolto,  è risuscitato dai morti  e siede alla destra del Padre; di credere nello Spirito Santo,  la santa Chiesa cattolica,  la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne e la vita eterna.

Ecco la festa del battesimo di Gesù è un invito molto preciso a riscoprire e a vivere il nostro battesimo a partire dal ricordarci del giorno in cui siamo stati battezzati, come ripetutamente ci chiede di fare Papa Francesco, perché in quel giorno è cambiato tutta la nostra vita, in quanto è stata consacrata totalmente a Cristo, Re, Sacerdote e Profeta.

P.RUNGI. IL DECALOGO DEI RELIGIOSI NELL’ANNO DELLA VITA CONSACRATA

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P. RUNGI (TEOLOGO MORALE). IL DECALOGO DEI RELIGIOSI NELL’ANNO DELLA VITA CONSACRATA

Dieci regole per vivere bene l’anno della vita consacrata. E’ quanto ha indicato padre Antonio Rungi, religioso passionista, teologo morale, già superiore provinciale dei passionisti del Lazio Sud e Campania, stilando uno speciale decalogo per i religiosi e le religiose.
Ecco le regole di vita per ogni consacrato in questo anno a loro dedicato:

In occasione dell’apertura dell’anno della vita consacrata, che si svolge dal 30 novembre 2014 (Prima Domenica di Avvento) fino al 2 febbraio 2016, Padre Antonio Rungi, ex-superiore provinciale dei passionisti di Napoli, teologo morale, pubblica uno speciale “decalogo della vita consacrata”. Si tratta di “dieci regole –scrive padre Rungi- per essere un buon religioso oggi, nell’attuale situazione ecclesiale e sociale in cui vivono ed operano gli istituti di vita consacrata, maschili e femminili”.

Ecco il testo delle regole dettate da padre Rungi.

1. L’amore verso Dio e i fratelli è il fondamento della religione e soprattutto per quanti scelgono di consacrarsi a Dio con la professione dei consigli evangelici. Questo comandamento sia costantemente vissuto a livello personale e comunitario da parte di coloro che sono chiamati alla perfezione della carità.

2. La preghiera è l’anima ed il cuore di ogni esperienza religiosa e soprattutto dei religiosi. Non manchi mai nella giornata e nella vita consacrata questo aspetto fondamentale della donazione a Dio, che necessita di essere alimentata dalla preghiera, meditazione e dall’ascesi. La celebrazione eucaristica, con la devozione alla Madonna caratterizzino lo stile orante di ogni consacrato.

3. L’obbedienza, primo fondamentale voto che ogni religioso professa, sia attentamente osservata in ogni momento della propria vita di consacrato, soprattutto quando costa sacrificio e rinuncia alle proprie vedute, idee e progetti personali al fine del bene comune.

4. La povertà visibile e leggibile stia nel cuore dei consacrati e venga testimoniata nel distacco completo dai beni della terra, privilegiando uno stile di vita sobrio, essenziale e libero da ogni desiderio mondano. A nessun religioso sia permesso di vivere in modo lussuoso e consumistico, memori di quanti non hanno nulla e soffrono la fame e la miseria su tutta la Terra.

5. La castità per il Regno dei cieli venga vissuta con semplicità e gioia, impegnandosi in ogni situazione, soprattutto di provocazione e di stimolazione al male, di mantenersi fedeli al dono della purezza del cuore, dei sentimenti, del corpo e della vita che Dio ci ha donato. Siano condannati apertamente atti commessi dai religiosi contro la dignità della persona umana, soprattutto se bambini e ammalati.

6. Lo stile di vita comunitaria prevalga su ogni individualistica visione della consacrazione a Dio e tutti i religiosi collaborino effettivamente per innalzare la qualità della vita in comune, puntando su una vera fraternità e condivisione, frutto di sentimento e sapienza che riscontriamo nel vero modello per tutti, che è Gesù.

7. Ogni religioso abbia particolarmente a cuore il carisma del proprio istituto, vivendo e testimoniandolo secondo i doni personali ricevuti che sono a servizio di tutti.

8. Il servizio dell’autorità venga svolto con donazione, generosità, paternità e competenza e tutti i religiosi, che sono chiamati a tale servizio nei rispettivi istituti, siano sensibili in umanità e spiritualità verso i confratelli o consorelle delle comunità.

9. L’ansia missionaria sia motivo costante non solo per annunciare ai fratelli il Vangelo della gioia, ma anche occasione di crescita in sintonia con le chiese locali e con la chiesa universale. Tutti siano davvero missionari con la parola, la preghiera e la testimonianza di una vita gioiosa nel Signore, sull’esempio di Maria, la Madre della gioia.

10. Ogni religioso abbia a cuore le sorti del proprio istituto promuovendo un’azione incisiva a livello di vocazioni da accogliere con disponibilità quando il Signore chiama i giovani o i meno giovani per seguirLo sulla via stretta dei consigli evangelici. Ogni consacrato sia promotore vocazionale nella famiglia, nella scuola, nella Chiesa, nell’apostolato e nella società.