Archivi Mensili: ottobre 2012

Calvi Risorta (Ce). E’ morto padre Bartolomeo Avagliano, passionista

Grave lutto3775_Padre%20Bartolomeo.jpg nella famiglia passionista italiana. All’età di 93 anni è morto, questa mattina, 29 ottobre 2012, a Teano, comunine vicino alla casa religiosa dei passionisti di Calvi Risorta (Ce), padre Bartolomeo Avagliano, noto religioso che nel corso di 68 anni di ministero sacerdotale ha ricoperto vari incarichi nella Provincia religiosa dell’Addolorata, che comprende il Lazio Sud e la Campania. In modo speciale negli anni 60-80 padre Bartolomeo ha curato la formazione dei ragazzi nella Scuola apostolica di Calvi Risorta, con l’ufficio di direttore. Migliaia di ragazzi, molti dei quali oggi laici impegnati nella vita ecclesiale e sociale, e diversi divenuti sacerdoti e religiosi, sono stati educati da questo religioso passionista, una vera istituzione nella Congregazione di San Paolo della Croce. Padre Bartolomero dell’Addolorata, al secolo Giovanni Avagliano era nato a Bacoli (NA), diocesi di Pozzuoli, il 19.10.1919 e tra i passionisti entrò giovanissimo, emettendo la professione religiosa a Pontecorvo (FR) il 15.11.1938. Compiuti gli studi teologici fu ordinato presbitero a Roma il 16.07.1944. Dal suo impegno del campo della formazione passò successivamente nella pastorale parrocchiale, ricoprendo l’ufficio di parroco della parrocchia di Visciano di Calvi Risorta, per circa 30 anni, stimato ed amato da tutti. Molte le opere da lui realizzate a livello di promozione del culto della Passione di Cristo, della devozione alla Madonna ed ai santi. In Calvi Risorta sulla collinetta che sormonta la cittadina negli anni realizzò un’oasi di spiritualità frequentata da moltissime persone e denominata “La Piccola Lourdes”. Ha svolto l’ufficio di parroco fino al 2008 e nonostante la sua età si spostava dalla casa religiosa alla parrocchia sulla bicicletta. Una persona di fede profonda e di preghiera, di grande attaccamento alla vita religiosa e apostolica. La sua giornata la trascorreva praticamente in parrocchia vicino alle sofferenze delle persone ammalate, vicino ai giovani verso i quali aveva un’attenzione particolare per la loro formazione cristiana, umana e culturale. Uomo di cultura era aggiornatissimo sulla vita della chiesa e del mondo contempraneo, seguiva con particolare attenzione il magistero dei Pontefici e dei Vescovi. Padre e guida spirituale di vescovi, religiosi, religiose, sacerdoti, fedeli laici era un punto di riferimento spirituale per quanti volevano fare un cammino di santità, basando la loro esperienza di fede soprattutto sulla preghiera, sulla fede profonda, sulla carità operosa e sulla speranza di un mondo migliore da costruirsi con la collaborazione di tutti i cristiani e nei vari settori della vita sociale. I solenni funerali si svolgeranno domani 30 ottobre alle ore 15,30 nella chiesa conventuale dei passionisti di Calvi Risorta.

Carinola (Ce). Ritiro spirituale delle Suore della Diocesi di Sessa Aurunca

DSC03237.JPGSi è svolto per l’intera mattinata di domenica 28 dicembre 2012 il primo ritiro spirituale mensile, nell’anno della fede, appena iniziato, di tutte le relligiose presenti nella Diocesi di Sessa Aurunca. Circa 40 religiose hanno partecipato al ritiro, iniziato alle ore 9.00 nella cappella delle Suore dell’Immacolata di Genova di Carinola, che si trovano di fronte al carcere, con le lodi mattutine presiedute dal vicario episcopale per la vita consacrata, don Paolo Marotta. Alle ore 9,30 si tenuta la prima conferenza del missionario passionista, padre Antonio Rungi, sul tema della vita consacrata alla luce degli insegnamenti del Concilio Vaticano II. I coneferenziere ha presentato l’anno della fede ed il significato che ha per tutti i cristiani e particolarmente per i religiosi: esso è un anno di conversione e di purificazione, mediante una fede più adulta e matura in Cristo unico redentore dell’umanità. Poi nella trattazione dell’argomento si è soffermato in particolare sulla presentazione dei contenuti del Decreto conciliare sul rinnovamento della vita consacrata dal titolo “Perfectae caritatis”. Il relatore ha evidenziato come nella vita consacrata ci debba essere il primato di Dio e una vita di preghiera intensa e costante, che è la fonte della gioia cristiana e della fraternità religiosa. Alle ore 10,30 la solenne esposizione del SS.Sacramento dell’altare e l’adorazione eucaristica. Nel frattempo le religiose si sono accostante al sacramento della riconciliazione. Alle ore 11,30 la celebrazione della messa officiata da monsignor Antonio Napoletano, vescovo di Sessa Aurunca, che poi ha tenuto una sentita omelia, sul testo del vangelo, incentrando la sua riflessione magisteriale sul tema della fede in Cristo, che èl la vera luce per ogni uomo. Con il vescovo ha concelebrato padre Rungi. Il Vescovo, infatti, prendeva spunto dal vangelo del miracolo del ciecio nato per sottolineare l’importante della riscoperta della propria fede in questo anno dedicato alla fede. La successiva riflessione riguardava il tema della sequela, tipica di quanti sono stati chiamati da Dio mediante la professione dei consigli evangelici. Non si tratta di una sequela momentanea, ma per sempre, come evidenzia il verbo del vangelo della trentesima domenica riguardante la guarigione del cieco che seguiva Gesù sempre. E Gesù in quel momento andava verso Gerusalemme, la città della sua morte in croce e della sua risurrezione. La messa è stata animata dai canti eseguiti dalle religiose. Alle ore 12,30 si concludeva la mezza giornata di ritiro spirituale, con la benedizione del vescovo, con il saluto conclusivo rivolto al Vescovo a nome di don Paolo e di tutti i presenti da parte di padre Rungi, ringraziando sua eccellenza per tutto il bene che ha compiuto nella Diocesi e a favore dei religiosi in questi anni del suo ministero episcopale. Il vescovo rispondeva al saluto con dire che il cristiano è l’uomo del ringraziamento ed era lui a ringraziare i religiosi e le religiose. “Non sono fino a quando starò ancora in mezzo a voi, ma iniziamo questo anno della fede con la gioia e la speranza nel cuore. Spero di incontrarvi altre volte e condividere con voi questi bellissimi momenti di preghiera e di meditazione per noi consacrati”.

 

Il mio e il vostro anno della fede

DSC_0882_2048x1365-1024x682.jpgIl Santo Padre Benedetto XVI ha indetto un anno della fede, in concomitanza con i 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, avviato sotto il pontificato del Beato Papa Giovanni XXIII e concluso sotto il pontificato del Servo di Dio, Papa Paolo VI. Un anno della fede per riscoprire, aumentare e rilanciare la fede. Come tutti gli anni giubilari che la chiesa, soprattutto nel dopo-concilio ha indetto, c’è il rischio, non per tutti, di trasformare questo evento di grazia in qualcosa di esteriore, di partecipazioni a convegni, manifestazione, alla moltiplicazione all’infinito di iniziative di qualsiasi tipo.

Il mio anno della fede, lo vedo diversamente, perché deve iniziare da me. Deve iniziare dalla riscoperta della mia fede battesimale, quella che ha determinato la svolta sostanziale della mia esistenza di persona umana, elevata alla dignità di figlio di Dio con il sacramento della rinascita. Partire da me, per dire, oggi e per quest’intero anno, ogni attimo della mia giornata e della mia vita, come chiedevano gli apostoli: “Signore aumenta la nostra fede” e “Signore insegnaci a pregare”. Un anno della fede in cui deve crescere non la quantità di conoscenze sulle verità di fede che ormai sono assodate, ma il potenziamento di un rapporto più autentico e profondo con chi questa fede l’ha donata a me mediante il battesimo, Gesù Cristo. Questo aumento di qualità di rapporto intimo con Cristo passa attraverso una scelta importante, quella della preghiera. In questo anno della fede devo sentire il bisogno di pregare non solo di più, ma meglio. Una preghiera fondata sulla parola di Dio, una preghiera che si fa liturgia, una preghiera che è eucaristia, una preghiera che è impegno di vita. Un anno della fede che non produce in me frutti di opere di misericordia spirituale e corporale sarebbe un anno sterile, un anno di moltiplicazioni di varie partecipazioni ad eventi ecclesiali, ma senza la personale conversione, il personale rinnovamento. L’anno della fede inizia quindi dentro di me, attraverso una ricostruzione o una ristrutturazione del modo di pensare e vivere la fede oggi, nel contesto di un mondo globalizzato, dissacrato, lontano dalla visione cristiana dell’esistenza. Leggersi dentro per capire da dove ripartire per mettere Cristo al centro della mia vita, dando il primato assoluto a Dio nella mia esistenza di credente. Ecco l’anno della fede, che mi porta ad abbandonarmi totalmente a Lui, creatore, Padre, Redentore, Salvatore, meta ultima di ogni esistenza umana terrena. Una fede che diventa impegno testimonianza, una volta che è stata potenziata. Perché c’è il rischio di portare fuori strada se la nostra fede non è consolidata, se non è ortodossa nel modo di pensarla e di viverla, se non è in sintonia con la Chiesa, il magistero del Romano Pontefice, dei vescovi, di quanti sono deputati, in ragione del loro ministero, ad essere maestri e testimoni nella fede e della fede.

Ripartire quindi come giustamente afferma il Papa dal Catechismo della Chiesa cattolica, approfondendo i suoi contenuti dottrinali, per acquisire quella migliore conoscenza del dato di fede, senza il quale non è possibile parlare di fede a se stessi e agli altri. Se mancano i fondamenti della fede, si rischia di portare agli altri nell’insegnamento, nella predicazione, nell’educazione una fede a modo propria, fai da te, con una conseguente etica individualistica in cui si giustifica soggettivamente ogni cosa. Il salto della fede richiede non solo una maggiore conoscenza delle verità di fede, ma anche l’abbandono fiducioso alla parola di Dio. Fidarsi di Dio è il primo atto fondamentale di fede che bisogna affermare, Egli non ci delude, né ci mette nelle condizioni di poter vivere male o soffrire per qualsiasi ragione al mondo. Egli è fedeltà totale all’uomo, fino a dare la vita per noi, sacrificando il suo Figlio, per amore, sulla croce per noi.

La mia fede è allora è mettere in discussione quelle presunte verità di fede che non sono verità della fede vera, ma mie verità. Sì nel confronto, nel dialogo, nelle condivisione che facciamo nelle nostre assemblee formative, liturgiche, catechetiche se non siamo adeguatamente preparati al discorso di una fede autentica, c’è il rischio di non parlare di fede, ma delle nostre personali opinioni sulle cose di Dio e della chiesa. Non è questo l’anno della fede che dobbiamo celebrare, non dobbiamo solo pubblicare testi nuovi e di approfondimento vario, ma dobbiamo far toccare con mano Cristo, Dio attraverso la santità della nostra vita. Una santità che passa attraverso un’ascesi spirituale e di grande elevatura interiore come la concreta attività di interiorizzazione del processo di fede sempre in atto nella nostra vita e che consiste essenzialmente nelle opere di misericordia spirituale: Consigliare i dubbiosi,  insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori,    consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste,       pregare Dio per i vivi e per i morti. A tali opere di misericordia più elevate devono far riscontro le opere di misericordia corporale, quella carità attiva ed operativa che rende visibile agli altri il nostro grado di fede vissuta e testimoniata. La fede, infatti, senza le opere di carità è morta e senza una speranza diventa sterile conoscenza di verità che sono oltre il cielo. Invece la carità, l’amore rende visibile e concreto quello che noi crediamo. Il modello di questa nostra fede fino alla morte è Cristo, è Maria, sono i martiri, i santi, quanti nella vita hanno percorsa la strada stretta del vangelo ed hanno raggiunto la gloria del cielo vivendo con semplicità la propria fede, operando molto, parlando poco, contemplando sempre, pregando incessantemente. La nostra fede sarà vera se ogni giorno ci poniamo come obiettivo immediato della nostra fede queste cose da fare concretamente:  dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi,  alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti. Una fede, in poche parole, evangelica, di quella evangelicità che nella sua essenzialità, nella sua semplicità non ha bisogno di altro approfondimento se non quello dell’operare e fare bene ogni cosa per la gloria di Dio e per la propria ed altrui santificazione.” [31] Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. [32] E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, [33] e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. [34] Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. [35] Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, [36] nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. [37] Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? [38] Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? [39] E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? [40] Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. [41] Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. [42] Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; [43] ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. [44] Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? [45] Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me. [46] E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna” (Mt 25,31-46).

Oggi se la nostra fede è in crisi è perché è in crisi la nostra capacità di amare totalmente Dio e di amare il prossimo come noi stessi. La mancanza di fede è essenzialmente mancanza di amore.

Un anno della fede è quindi un anno di riscoperta dell’amore verso Dio e verso ogni fratello e sorella di questa difficile e problematica umanità, redenta dal sangue preziosissimo di Cristo, versato per noi sulla croce e sul calvario di quel venerdì di passione e di tutti i giorni sofferti e gioiosi della storia della redenzione.

Buon cammino nella fede in questo anno di grazia dedicato alla fede.

Padre Antonio Rungi cp

 

L’Udienza di Papa Benedetto XVI- Mercoledì 10 ottobre 2012

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BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 10 ottobre 2012

 

 

Cari fratelli e sorelle,

siamo alla vigilia del giorno in cui celebreremo i cinquant’anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II e l’inizio dell’Anno della fede. Con questa Catechesi vorrei iniziare a riflettere – con qualche breve pensiero – sul grande evento di Chiesa che è stato il Concilio, evento di cui sono stato testimone diretto. Esso, per così dire, ci appare come un grande affresco, dipinto nella sua grande molteplicità e varietà di elementi, sotto la guida dello Spirito Santo. E come di fronte a un grande quadro, di quel momento di grazia continuiamo anche oggi a coglierne la straordinaria ricchezza, a riscoprirne particolari passaggi, frammenti, tasselli.

Il Beato Giovanni Paolo II, alle soglie del terzo millennio, scrisse: «Sento più che mai il dovere di additare il Concilio come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre» (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 57). Penso che questa immagine sia eloquente. I documenti del Concilio Vaticano II, a cui bisogna ritornare, liberandoli da una massa di pubblicazioni che spesso invece di farli conoscere li hanno nascosti, sono, anche per il nostro tempo, una bussola che permette alla nave della Chiesa di procedere in mare aperto, in mezzo a tempeste o ad onde calme e tranquille, per navigare sicura ed arrivare alla meta.

Io ricordo bene quel periodo: ero un giovane professore di teologia fondamentale all’Università di Bonn, e fu l’Arcivescovo di Colonia, il Cardinale Frings, per me un punto di riferimento umano e sacerdotale, che mi portò con sé a Roma come suo consulente teologo; poi fui anche nominato perito conciliare. Per me è stata un’esperienza unica: dopo tutto il fervore e l’entusiasmo della preparazione, ho potuto vedere una Chiesa viva – quasi tremila Padri conciliari da tutte le parti del mondo riuniti sotto la guida del Successore dell’Apostolo Pietro – che si mette alla scuola dello Spirito Santo, il vero motore del Concilio. Rare volte nella storia si è potuto, come allora, quasi «toccare» concretamente l’universalità della Chiesa in un momento della grande realizzazione della sua missione di portare il Vangelo in ogni tempo e fino ai confini della terra. In questi giorni, se rivedrete le immagini dell’apertura di questa grande Assise, attraverso la televisione o gli altri mezzi di comunicazione, potrete percepire anche voi la gioia, la speranza e l’incoraggiamento che ha dato a tutti noi il prendere parte a questo evento di luce, che si irradia fino ad oggi.

Nella storia della Chiesa, come penso sappiate, vari Concili hanno preceduto il Vaticano II. Di solito queste grandi Assemblee ecclesiali sono state convocate per definire elementi fondamentali della fede, soprattutto correggendo errori che la mettevano in pericolo. Pensiamo al Concilio di Nicea nel 325, per contrastare l’eresia ariana e ribadire con chiarezza la divinità di Gesù Figlio Unigenito di Dio Padre; o a quello di Efeso, del 431, che definì Maria come Madre di Dio; a quello di Calcedonia, del 451, che affermò l’unica persona di Cristo in due nature, la natura divina e quella umana. Per venire più vicino a noi, dobbiamo nominare il Concilio di Trento, nel XVI secolo, che ha chiarito punti essenziali della dottrina cattolica di fronte alla Riforma protestante; oppure il Vaticano I, che iniziò a riflettere su varie tematiche, ma ebbe il tempo di produrre solo due documenti, uno sulla conoscenza di Dio, la rivelazione, la fede e i rapporti con la ragione e l’altro sul primato del Papa e sull’infallibilità, perché fu interrotto per l’occupazione di Roma nel settembre del 1870.

Se guardiamo al Concilio Ecumenico Vaticano II, vediamo che in quel momento del cammino della Chiesa non c’erano particolari errori di fede da correggere o condannare, né vi erano specifiche questioni di dottrina o di disciplina da chiarire. Si può capire allora la sorpresa del piccolo gruppo di Cardinali presenti nella sala capitolare del monastero benedettino a San Paolo Fuori le Mura, quando, il 25 gennaio 1959, il Beato Giovanni XXIII annunciò il Sinodo diocesano per Roma e il Concilio per la Chiesa Universale. La prima questione che si pose nella preparazione di questo grande evento fu proprio come cominciarlo, quale compito preciso attribuirgli. Il Beato Giovanni XXIII, nel discorso di apertura, l’11 ottobre di cinquant’anni fa, diede un’indicazione generale: la fede doveva parlare in un modo «rinnovato», più incisivo – perché il mondo stava rapidamente cambiando – mantenendo però intatti i suoi contenuti perenni, senza cedimenti o compromessi. Il Papa desiderava che la Chiesa riflettesse sulla sua fede, sulle verità che la guidano. Ma da questa seria, approfondita riflessione sulla fede, doveva essere delineato in modo nuovo il rapporto tra la Chiesa e l’età moderna, tra il Cristianesimo e certi elementi essenziali del pensiero moderno, non per conformarsi ad esso, ma per presentare a questo nostro mondo, che tende ad allontanarsi da Dio, l’esigenza del Vangelo in tutta la sua grandezza e in tutta la sua purezza (cfr Discorso alla Curia Romana per gli auguri natalizi, 22 dicembre 2005). Lo indica molto bene il Servo di Dio Paolo VI nell’omelia alla fine dell’ultima sessione del Concilio – il 7 dicembre 1965 – con parole straordinariamente attuali, quando afferma che, per valutare bene questo evento: «deve essere visto nel tempo in cui si è verificato. Infatti – dice il Papa – è avvenuto in un tempo in cui, come tutti riconoscono, gli uomini sono intenti al regno della terra piuttosto che al regno dei cieli; un tempo, aggiungiamo, in cui la dimenticanza di Dio si fa abituale, quasi la suggerisse il progresso scientifico; un tempo in cui l’atto fondamentale della persona umana, resa più cosciente di sé e della propria libertà, tende a rivendicare la propria autonomia assoluta, affrancandosi da ogni legge trascendente; un tempo in cui il “laicismo” è ritenuto la conseguenza legittima del pensiero moderno e la norma più saggia per l’ordinamento temporale della società… In questo tempo si è celebrato il nostro Concilio a lode di Dio, nel nome di Cristo, ispiratore lo Spirito Santo». Così Paolo VI. E concludeva indicando nella questione di Dio il punto centrale del Concilio, quel Dio, che «esiste realmente, vive, è una persona, è provvido, è infinitamente buono; anzi, non solo buono in sé, ma buono immensamente altresì per noi, è nostro Creatore, nostra verità, nostra felicità, a tal punto che l’uomo, quando si sforza di fissare la mente ed il cuore in Dio nella contemplazione, compie l’atto più alto e più pieno del suo animo, l’atto che ancor oggi può e deve essere il culmine degli innumerevoli campi dell’attività umana, dal quale essi ricevono la loro dignità» (AAS 58 [1966], 52-53).

Noi vediamo come il tempo in cui viviamo continui ad essere segnato da una dimenticanza e sordità nei confronti di Dio. Penso, allora, che dobbiamo imparare la lezione più semplice e più fondamentale del Concilio e cioè che il Cristianesimo nella sua essenza consiste nella fede in Dio, che è Amore trinitario, e nell’incontro, personale e comunitario, con Cristo che orienta e guida la vita: tutto il resto ne consegue. La cosa importante oggi, proprio come era nel desiderio dei Padri conciliari, è che si veda – di nuovo, con chiarezza – che Dio è presente, ci riguarda, ci risponde. E che, invece, quando manca la fede in Dio, crolla ciò che è essenziale, perché l’uomo perde la sua dignità profonda e ciò che rende grande la sua umanità, contro ogni riduzionismo. Il Concilio ci ricorda che la Chiesa, in tutte le sue componenti, ha il compito, il mandato di trasmettere la parola dell’amore di Dio che salva, perché sia ascoltata e accolta quella chiamata divina che contiene in sé la nostra beatitudine eterna.

Guardando in questa luce alla ricchezza contenuta nei documenti del Vaticano II, vorrei solo nominare le quattro Costituzioni, quasi i quattro punti cardinali della bussola capace di orientarci. La Costituzione sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium ci indica come nella Chiesa all’inizio c’è l’adorazione, c’è Dio, c’è la centralità del mistero della presenza di Cristo. E la Chiesa, corpo di Cristo e popolo pellegrinante nel tempo, ha come compito fondamentale quello di glorificare Dio, come esprime la Costituzione dogmatica Lumen gentium. Il terzo documento che vorrei citare è la Costituzione sulla divina Rivelazione Dei Verbum: la Parola vivente di Dio convoca la Chiesa e la vivifica lungo tutto il suo cammino nella storia. E il modo in cui la Chiesa porta al mondo intero la luce che ha ricevuto da Dio perché sia glorificato, è il tema di fondo della Costituzione pastorale Gaudium et spes.

Il Concilio Vaticano II è per noi un forte appello a riscoprire ogni giorno la bellezza della nostra fede, a conoscerla in modo profondo per un più intenso rapporto con il Signore, a vivere fino in fondo la nostra vocazione cristiana. La Vergine Maria, Madre di Cristo e di tutta la Chiesa, ci aiuti a realizzare e a portare a compimento quanto i Padri conciliari, animati dallo Spirito Santo, custodivano nel cuore: il desiderio che tutti possano conoscere il Vangelo e incontrare il Signore Gesù come via, verità e vita. Grazie.

Il sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione- Ottobre 2012

Ieri, 7 ottobre, con la solenne concelebrazione presieduta da Papa Benedetto XVI sul sagrato della Basilica si San Pietro in Roma, è iniziato il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione, che vede impegnati 262 membri del sinodo in un lavoro di riflessione e di proposte per risvegliare la fede nel mondo cristiano. Un compito non facile per tutti coloro che sono stati chiamati ad elaborare le proposte finali del Sinodo, in base anche ad un documento iniziale che è di conoscenza pubblica e al quale si può fare riferimento anche in questi giorni di lavori sinodali. Lavori che si concluderanno il 28 ottobre 2012 e saranno il preludio di un’esortazione post-sinodale a firma del Papa, come è prassi ormai nella Chiesa cattolica, dopo la celebrazione del Concilio Vaticano II. Questo sinodo si colloca nel cammino dell’anno della fede, che inizia l’11 ottobre 2012, in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’inizio di uno dei più importanti avvdnimenti ecclesiali del XX secolo, che fu il Concilio Vaticano II, una vera primavera dello Spirito che tanto benessere spirituale ha portato nella Chiesa e nella società contemporanei. I vari documenti approvati durante il Concilio sono punti di partenza per il cammino della Chiesa in questo terzo millennio dell’era cristiana. Da essi bisogna ripartire se vogliamo capire lo stesso sinodo in svolgimento a Roma e che sarà una valida occasione per riportare al centro della vita dei singoli cristiani, delle comunità cristiane, delle chiese locali, della chiesa universale, degli istituti di vita consacrata, dei pastori, dei fedeli laici, la fede da accogliere e da trasmettere.

Ecco il testo iniziale per i lavori sinodali.

SINODO DEI VESCOVI 2012.pdf

PAPA BENEDETTO XVI- DOMENICA 7 OTTOBRE 2012

52350G.jpgDOMENICA 7 OTTOBRE 2012

 

CAPPELLA PAPALE PER LA PROCLAMAZIONE DI NUOVI DOTTORI DELLA CHIESA E PER L’APERTURA DEL SINODO DEI VESCOVI SULLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE.

Alle ore 9.30 di questa mattina, XXVII Domenica del Tempo Ordinario, sul Sagrato della Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI proclama “Dottori della Chiesa” San Giovanni d’Avila, sacerdote diocesano, e Santa Ildegarda di Bingen, monaca professa dell’Ordine di San Benedetto; e presiede la Celebrazione Eucaristica in occasione dell’Apertura della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. Concelebrano con il Santo Padre i Padri Sinodali e i Vescovi delle Conferenze episcopali spagnola e tedesca.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre pronuncia dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

 

OMELIA DEL SANTO PADRE

 

Venerati Fratelli, cari fratelli e sorelle!

 

Con questa solenne concelebrazione inauguriamo la XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che ha per tema: La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. Questa tematica risponde ad un orientamento programmatico per la vita della Chiesa, di tutti i suoi membri, delle famiglie, delle comunità, delle sue istituzioni. E tale prospettiva viene rafforzata dalla coincidenza con l’inizio dell’Anno della fede, che avverrà giovedì prossimo 11 ottobre, nel 50° anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II. Rivolgo il mio cordiale e riconoscente benvenuto a voi, che siete venuti a formare questa Assemblea sinodale, in particolare al Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi e ai suoi collaboratori. Estendo il mio saluto ai Delegati fraterni delle altre Chiese e Comunità Ecclesiali e a tutti i presenti, invitandoli ad accompagnare nella preghiera quotidiana i lavori che svolgeremo nelle prossime tre settimane.

 

Le Letture bibliche che formano la Liturgia della Parola di questa domenica ci offrono due principali spunti di riflessione: il primo sul matrimonio, che vorrei toccare più avanti; il secondo su Gesù Cristo, che riprendo subito. Non abbiamo il tempo per commentare questo passo della Lettera agli Ebrei, ma dobbiamo, all’inizio di questa Assemblea sinodale, accogliere l’invito a fissare lo sguardo sul Signore Gesù, «coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto» (Eb 2,9). La Parola di Dio ci pone dinanzi al Crocifisso glorioso, così che tutta la nostra vita, e in particolare l’impegno di questa Assise sinodale, si svolgano al cospetto di Lui e nella luce del suo mistero. L’evangelizzazione, in ogni tempo e luogo, ha sempre come punto centrale e terminale Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio (cfr Mc 1,1); e il Crocifisso è per eccellenza il segno distintivo di chi annuncia il Vangelo: segno di amore e di pace, appello alla conversione e alla riconciliazione. Noi per primi, venerati Fratelli, teniamo rivolto a Lui lo sguardo del cuore e lasciamoci purificare dalla sua grazia.

 

Ora vorrei brevemente riflettere sulla «nuova evangelizzazione», rapportandola con l’evangelizzazione ordinaria e con la missione ad gentes. La Chiesa esiste per evangelizzare. Fedeli al comando del Signore Gesù Cristo, i suoi discepoli sono andati nel mondo intero per annunciare la Buona Notizia, fondando dappertutto le comunità cristiane. Col tempo, esse sono diventate Chiese ben organizzate con numerosi fedeli. In determinati periodi storici, la divina Provvidenza ha suscitato un rinnovato dinamismo dell’attività evangelizzatrice della Chiesa. Basti pensare all’evangelizzazione dei popoli anglosassoni e di quelli slavi, o alla trasmissione del Vangelo nel continente americano, e poi alle stagioni missionarie verso i popoli dell’Africa, dell’Asia e dell’Oceania. Su questo sfondo dinamico mi piace anche guardare alle due luminose figure che poc’anzi ho proclamato Dottori della Chiesa: San Giovanni d’Avila e Santa Ildegarda di Bingen. Anche nei nostri tempi lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa un nuovo slancio per annunciare la Buona Notizia, un dinamismo spirituale e pastorale che ha trovato la sua espressione più universale e il suo impulso più autorevole nel Concilio Ecumenico Vaticano II. Tale rinnovato dinamismo dell’evangelizzazione produce un benefico influsso sui due «rami» specifici che da essa si sviluppano, vale a dire, da una parte, la missio ad gentes, cioè l’annuncio del Vangelo a coloro che ancora non conoscono Gesù Cristo e il suo messaggio di salvezza; e, dall’altra parte, la nuova evangelizzazione, orientata principalmente alle persone che, pur essendo battezzate, si sono allontanate dalla Chiesa, e vivono senza fare riferimento alla prassi cristiana. L’Assemblea sinodale che oggi si apre è dedicata a questa nuova evangelizzazione, per favorire in queste persone un nuovo incontro con il Signore, che solo riempie di significato profondo e di pace la nostra esistenza; per favorire la riscoperta della fede, sorgente di Grazia che porta gioia e speranza nella vita personale, familiare e sociale. Ovviamente, tale orientamento particolare non deve diminuire né lo slancio missionario in senso proprio, né l’attività ordinaria di evangelizzazione nelle nostre comunità cristiane. In effetti, i tre aspetti dell’unica realtà di evangelizzazione si completano e fecondano a vicenda.

 

Il tema del matrimonio, propostoci dal Vangelo e dalla prima Lettura, merita a questo proposito un’attenzione speciale. Il messaggio della Parola di Dio si può riassumere nell’espressione contenuta nel Libro della Genesi e ripresa da Gesù stesso: «Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne» (Gen 2,24; Mc 10,7-8). Che cosa dice oggi a noi questa Parola? Mi sembra che ci inviti a renderci più consapevoli di una realtà già nota ma forse non pienamente valorizzata: che cioè il matrimonio, costituisce in se stesso un Vangelo, una Buona Notizia per il mondo di oggi, in particolare per il mondo scristianizzato. L’unione dell’uomo e della donna, il loro diventare «un’unica carne» nella carità, nell’amore fecondo e indissolubile, è segno che parla di Dio con forza, con una eloquenza che ai nostri giorni è diventata maggiore, perché purtroppo, per diverse cause, il matrimonio, proprio nelle regioni di antica evangelizzazione, sta attraversando una crisi profonda. E non è un caso. Il matrimonio è legato alla fede, non in senso generico. Il matrimonio, come unione d’amore fedele e indissolubile, si fonda sulla grazia che viene dal Dio Uno e Trino, che in Cristo ci ha amati d’amore fedele fino alla Croce. Oggi siamo in grado di cogliere tutta la verità di questa affermazione, per contrasto con la dolorosa realtà di tanti matrimoni che purtroppo finiscono male. C’è un’evidente corrispondenza tra la crisi della fede e la crisi del matrimonio. E, come la Chiesa afferma e testimonia da tempo, il matrimonio è chiamato ad essere non solo oggetto, ma soggetto della nuova evangelizzazione. Questo si verifica già in molte esperienze, legate a comunità e movimenti, ma si sta realizzando sempre più anche nel tessuto delle diocesi e delle parrocchie, come ha dimostrato il recente Incontro Mondiale delle Famiglie.

 

Una delle idee portanti del rinnovato impulso che il Concilio Vaticano II ha dato all’evangelizzazione è quella della chiamata universale alla santità, che in quanto tale riguarda tutti i cristiani (cfr Cost. Lumen gentium, 39-42). I santi sono i veri protagonisti dell’evangelizzazione in tutte le sue espressioni. Essi sono, in particolare, anche i pionieri e i trascinatori della nuova evangelizzazione: con la loro intercessione e con l’esempio della loro vita, attenta alla fantasia dello Spirito Santo, essi mostrano alle persone indifferenti o addirittura ostili la bellezza del Vangelo e della comunione in Cristo, e invitano i credenti, per così dire, tiepidi, a vivere con gioia di fede, speranza e carità, a riscoprire il «gusto» della Parola di Dio e dei Sacramenti, in particolare del Pane di vita, l’Eucaristia. Santi e sante fioriscono tra i generosi missionari che annunciano la Buona Notizia ai non cristiani, tradizionalmente nei paesi di missione e attualmente in tutti i luoghi dove vivono persone non cristiane. La santità non conosce barriere culturali, sociali, politiche, religiose. Il suo linguaggio – quello dell’amore e della verità – è comprensibile per tutti gli uomini di buona volontà e li avvicina a Gesù Cristo, fonte inesauribile di vita nuova.

 

A questo punto, soffermiamoci un momento ad ammirare i due Santi che oggi sono stati aggregati alla eletta schiera dei Dottori della Chiesa. San Giovanni di Avila visse nel secolo XVI. Profondo conoscitore delle Sacre Scritture, era dotato di ardente spirito missionario. Seppe penetrare con singolare profondità i misteri della Redenzione operata da Cristo per l’umanità. Uomo di Dio, univa la preghiera costante all’azione apostolica. Si dedicò alla predicazione e all’incremento della pratica dei Sacramenti, concentrando il suo impegno nel migliorare la formazione dei candidati al sacerdozio, dei religiosi e dei laici, in vista di una feconda riforma della Chiesa.

 

Santa Ildegarda di Bingen, importante figura femminile del secolo XII, ha offerto il suo prezioso contributo per la crescita della Chiesa del suo tempo, valorizzando i doni ricevuti da Dio e mostrandosi donna di vivace intelligenza, profonda sensibilità e riconosciuta autorità spirituale. Il Signore la dotò di spirito profetico e di fervida capacità di discernere i segni dei tempi. Ildegarda nutrì uno spiccato amore per il creato, coltivò la medicina, la poesia e la musica. Soprattutto conservò sempre un grande e fedele amore per Cristo e per la sua Chiesa.

 

Lo sguardo sull’ideale della vita cristiana, espresso nella chiamata alla santità, ci spinge a guardare con umiltà la fragilità di tanti cristiani, anzi il loro peccato, personale e comunitario, che rappresenta un grande ostacolo all’evangelizzazione, e a riconoscere la forza di Dio che, nella fede, incontra la debolezza umana. Pertanto, non si può parlare della nuova evangelizzazione senza una disposizione sincera di conversione. Lasciarsi riconciliare con Dio e con il prossimo (cfr 2 Cor 5,20) è la via maestra della nuova evangelizzazione. Solamente purificati, i cristiani possono ritrovare il legittimo orgoglio della loro dignità di figli di Dio, creati a sua immagine e redenti con il sangue prezioso di Gesù Cristo, e possono sperimentare la sua gioia per condividerla con tutti, con i vicini e con i lontani.

 

Cari fratelli e sorelle, affidiamo a Dio i lavori dell’Assise sinodale nel sentimento vivo della comunione dei Santi, invocando in particolare l’intercessione dei grandi evangelizzatori, tra i quali vogliamo con grande affetto annoverare il Beato Papa Giovanni Paolo II, il cui lungo pontificato è stato anche esempio di nuova evangelizzazione. Ci poniamo sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Stella della nuova evangelizzazione. Con lei invochiamo una speciale effusione dello Spirito Santo, che illumini dall’alto l’Assemblea sinodale e la renda fruttuosa per il cammino della Chiesa oggi, nel nostro tempo. Amen.

 

Trentasettesimo anniversario di sacerdozio di P.Antonio Rungi

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Ti rendo grazie Signore,

per tutti questi anni

che mi hai chiamato a seguirti

e a serviti nella vita religiosa e sacerdotale.

Hai pensato alla mia persona fin dall’eternità

Ed un giorno mi hai fatto intendere chiara la tua voce

Che mi diceva “Seguimi”.

Forte dell’entusiasmo e convinto che eri Tu Gesù, ho lasciato

I miei genitori, mia sorella, mio fratello, i miei parenti, i miei amici

I miei compagni di scuola, avendo appena 13 anni.

Da allora ho camminato sulle tue vie, quelle che Tu, Signore,

mi hai indicato di volta in volta, per arrivare al grande appuntamento della mia storia personale, a quel 6 ottobre 1975, a Napoli, quando il Vescovo imponendo sulla mia testa le sue mani mi consacrò sacerdote.

I pianti di sofferenza dei miei parenti alla mia partenza per un paese lontano, quando lasciai casa per farmi passionista e sacerdote, in quel giorno si trasformarono in lacrime di gioia, in lacrime di infinita gratitudine.

In questi 37 anni di vita sacerdotale è stato un susseguirsi di soli infiniti ed immensi doni che Tu, Signore, hai concesso a questa mia umile e povera persona.

Ho cercato di essere fedele alla tua chiamata sempre, nonostante le umane debolezze che sono insite in ogni persona umana e che la tua grazia e la tua benevolenza e vicinanza mi hanno aiutato a superare di volta in volta, facendomi scorgere quando sei buono e grande nell’amore.

Le anime che hai affidato alla mia cura pastorale e sacerdotale le ho considerato un dono immenso da rispettare, aiutare, amare, proteggere dalle forze del male. Ognuna di essa sta nel mio cuore e nelle mie preghiere, perché sono figli tuoi e frutto del Tuo Sangue prezioso versato per noi sulla croce.

Cosa dirti Gesù, attraverso la mia mamma celeste, la Vergine Maria, Regina di tutti i sacerdoti? Proteggimi e guidami nel difficile compito di essere un tuo discepolo secondo il tuo amabilissimo cuore e secondo i tuoi insegnamenti.

Che sia un pastore che vada a cercare la pecorella smarrita, e la riporti all’ovile della tua chiesa e alla vita della chiesa.

Che mi preoccupi di tanti che sono nel dolore e nella sofferenza, soprattutto in questi giorni tristi e difficili per l’umanità.

Che sia vicino ai bambini, perché possano sperimentale attraverso la mia umile persona quanto sei grande e quanto sei davvero dalla parte dei più piccoli, ben sapendo che scandalizzare anche uno solo di essi, significa non essere perdonato da Te in eterno.

Che sia vicino ai tanti giovani che ho avuto la gioia di incontrare nella mia vita di sacerdote e di insegnante, nel cuore dei quali vorrei che ci fosse anche un posto certo per Te.

Che mi preoccupi per quanti sono tristi, angosciati, soli e delusi dalla vita, dai propri cari, dagli affetti più naturali e che spesso si rivoltano contro di Te, perché non sanno quello che dicono e fanno, perchè grande è la sofferenza nel loro animo. 

Che sia tutto per tutti, senza fare preferenze a nessuno.

Che sappia amare ogni persona con la semplicità e la rettitudine del Tuo cuore.

Che sia sempre riconoscente a chi mi ha guidato sapientemente alla meta sacerdotale, in particolare i miei due speciali angeli del cielo, che sono mamma e papà, ma anche quanti nella formazione in convento hanno avuto un cuore di padre e mi hanno fatto amare la vita sacerdotale e missionaria, ieri come oggi.

Dirti grazie è il minimo indispensabile in questo giorno anniversario dei miei 37 anni di vita sacerdotale, che mi auguro possano essere ancora tantissimi altri per servire la Tua causa, Gesù, in questo anno della fede, che tutti richiama a credere fermamente in Te, sommo ed eterno sacerdote della nuova ed eterna alleanza di Dio con l’umanità. Amen.

 

Padre Antonio Rungi

Sacerdote passionista

6 ottobre 2012