chiesa

LA RIFLESSIONE DI PADRE RUNGI PER DOMENICA 3 LUGLIO 2016 – XIV T.O.

rungi-informazioni

XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Le carezze di un Dio Padre e Madre

Commento di padre Antonio Rungi

E’ significativo in questa XIV domenica del tempo ordinario, aprire la nostra riflessione ed iniziare la nostra omelia con il testo del profeta Isaia, che leggiamo nella prima lettura di questa domenica di inizio luglio 2016: un altro mese dedicato alla misericordia, in quanto è il mese del Preziosissimo Sangue di Gesù.

Infatti, il mese di luglio si è aperto con questa ricorrenza liturgica che ci porta tutti ai piedi della Croce di Gesù, dove si sperimenta davvero l’amore misericordioso di Dio, in quanto Cristo è il vero ed unico volto della misericordia del Padre.  Di un Dio che è Padre e di un Dio che è Madre, amorevole ed accogliente, che spalanca le sue braccia a tutti gli uomini, e tutti consola con la sua parola e con la sua grazia. Perché così dice il Signore: «Ecco, io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la pace; come un torrente in piena, la gloria delle genti. Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati. Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati. Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba. La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi».

La consolazione di cui parla Isaia, riferendosi a Gerusalemme, a Israele, è una consolazione del cuore, della mente, di tutto ciò che è espressione di autentica comunione con il Signore. Tale consolazione allontana da noi la guerra, l’odio, il risentimento  e porta la pace, la gioia, la misericordia di Dio nel cuore di chi è disposto a dialogare con Lui nell’amore e nella compassione.

Nessuna vera madre al mondo abbandona i suoi figli alle sorti più tristi della vita, ma si attiva in tutti i modi, perché essi vengano salvaguardati e difesi da ogni male e protetti da qualsiasi pericolo.

Dio è infinitamente più grande del cuore di ogni mamma, ecco perché il profeta Isaia, afferma, riportando le parole del Signore: “Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati”.

Le carezze di Dio, sono le carezze di un vero Padre e di una vera Madre. A volte possono anche lasciare il segno di una prova che va accettata, nella logica della croce e della passione del Figlio Suo.

Quante carezze di Dio, che non sappiamo leggere e discernere nel modo più giusto?

Quante volte queste carezze che fanno male, in un primo momento, si rivelano davvero salutari, per lo spirito e per il corpo, a distanza di tempo? Soprattutto quando rileggendo la nostra vita e la nostra esistenza alla luce del mistero dell’amore misericordioso di Dio, comprendiamo meglio il bene e il male.

Questo amore che decifriamo nei brani della liturgia della Parola di Dio di questa domenica, che è la prima vera domenica estiva, nel senso  delle condizioni  meteorologiche, temporali e sociali in cui ci troviamo a riflettere su di essa.

San Paolo Apostolo nel brano della sua lettera ai Galati è molto esplicito e chiaro nell’esprimere la sua idea, il suo pensiero e la sua sincera aspettativa rispetto al mistero di Cristo: “Quanto a me –egli scrive – non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo”.

Il vanto di ogni cristiano è la croce di Gesù. Non è la vergogna, ma la vera gloria ed esaltazione, in quanto su quella croce è salito il Salvatore del mondo, di cui noi siamo discepoli.

Il cristiano senza la croce di Gesù non è un vero cristiano. Sarà una brava persona, ma non sarà il vero seguace del Divino Maestro, che insegna all’umanità l’amore e il perdono dalla cattedra della Croce.

Non è la cattedra di una università teologica, filosofica, scientifica, è la cattedra dell’amore di Dio che parla a noi mediante il sangue di Cristo, sparso sulla croce per noi, in remissione dei nostri peccati.

Tutti dobbiamo essere stimmatizzati nel cuore, anche se la storia della santità cristiana ci dice che alcune persone hanno ricevuto anche nel corpo le stimmate di Gesù. Penso ad un Francesco d’Assisi, a San Pio da Pietrelcina, a Santa Gemma Galgani e a tanti altri santi che sono stati segnati dalla passione di Gesù anche nel loro fragile corpo.

Il Maestro ci ha insegnato ciò che è essenziale all’essere suo discepolo. A questa scuola di pensiero, unica ed irripetibile nella storia dell’umanità, in quanto si identifica con il Creatore e il Redentore, dobbiamo metterci a servizio, come ci ricorda il brano del Vangelo di oggi, nel quale è raccontata la scelta di altri 72 discepoli, oltre al gruppo ristretto dei Dodici, perché lo precedessero nei luoghi dove Egli stava per recarsi.

Un discepolo che deve preparare al strada al Maestro, deve fare da apripista. In poche parole tutti precursori, come Giovanni Battista, del vero Messia, di Colui che deve fare ingresso nono solo in luoghi e territori, ma soprattutto nel territorio sconfinato e incomprensibile dell’animo umano, dove, spesso, regna incontrastato satana.

La missione dei 72 nuovi discepoli è molto chiara. E’ Gesù stesso a definirla nei contenuti e nella metodologia: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».

Ecco se mettiamo in pratica, anche noi, noi discepoli di Cristo del XXI secolo dell’era cristiana, terzo millennio di questa bellissima avventura della fede nella storia umana, i risultati arriveranno, come arrivarono per quei 72, i quali, dopo aver espletato il loro compito missionario, con semplicità, senza alcun mezzo, da poveri con i poveri, tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome».

Gioia e orgoglio, non vanno d’accordo per un uomo di Dio, per un missionario, per un apostolo, consacrato o laico, ma sono in netta opposizione.

E Gesù di fronte alla risonanza, alquanto orgogliosa, dei 72 che relazionarono a Lui, su come era andata la campagna missionaria, dice parole che devono far vibrare i polsi a quanti si assumono ruoli e compiti nella Chiesa, rispondendo ad una precisa chiamata di Dio: “Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli!”.

La vera gioia non sta nel successo apostolico o missionario, nel fare carriera, nel diventare qualcuno, a volte a danno degli altri e calunniando il prossimo, nell’assurgere a posti sempre più importanti e stimati dagli uomini, ma sta in cielo. Lì è la sede vera e definitiva, quella autentica, della vera gioia per un credente, per un discepolo di Gesù.

Sia questa la nostra umile preghiera che rivolgiamo al Signore con fede e profonda convinzione interiore. “O Dio, che nella vocazione battesimale ci chiami ad essere pienamente disponibili all’annunzio del tuo regno, donaci il coraggio apostolico e la libertà evangelica, perché rendiamo presente in ogni ambiente di vita
la tua parola di amore e di pace”. Amen.

 

P.RUNGI. COMMENTO ALLA XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

DSC02026

XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Domenica 26 Giugno 2016

Seguire Cristo incondizionatamente

Commento di padre Antonio Rungi

Come è difficile seguire gli altri, mettersi sulla scia di chi ci precede e vuole condurci verso mete importanti. Seguire Gesù è molto più difficile di quanto si creda e si afferma, in quanto la sua sequela non ammette condizionamenti, richiede una totale risposta di amore e di impegni, non attende, ma deve trovare risposta subito. Il vangelo di questa XIII domenica del tempo ordinario ci pone, noi cristiani, e soprattutto coloro che hanno ricevuto una speciale chiamata e vocazione dal Signore di fronte a scelte coraggiose, decise e senza tentennamenti. Rileggere il brano del Vangelo, oggi, alla luce della precarietà e della labilità delle nostre tante decisioni, ci fa convincere, sempre di più, che le scelte fatte, all’inizio di un cammino della nostra specifica vocazione stato di vita, hanno subito cambiamenti continui e, a volte, sono state del tutto abbandonate e non vissute. Quanti matrimoni falliti, quante vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa interrotte, quanti impegni pastorali assunti nella comunità, come servizio ed amore verso il Signore e la Chiesa, e poi lasciati cadere alla prima difficoltà o contrasto. Gesù vuole da noi, invece, coraggio e nessun tentennamento. Lui è andato spedito per la strada, anche se la sua strada ha richiesto di salire il calvario e morire sulla croce per l’umanità L’esempio è Lui e noi dobbiamo ispirarci a Lui in tutte le nostre scelte. Non possiamo dire come i chiamati del vangelo di oggi: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre»; oppure “Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia”. Apparentemente sono legittime richieste quelle che sono evidenziate nel testo del Vangelo, ma in realtà esse nascondono l’incapacità dell’uomo di rispomdere all’amore subito e con totale dedizione alla volontà di Dio. Questo nostro limite umano è comprensibile se valutiamo la nostra esistenza nell’orizzonte del tempo e delle cose che ci legano ad esso; ma se abbiamo gli occhi e la mente orientati all’eterno, sappiamo essere capaci di scelte totali e radicali per amore di Cristo e della Chiesa.

Un esempio di questa generosità nel servizio della parola, ci viene proposo nel brano della prima lettura di oggi, tratto dal Primo Libro dei Re, dove è narrata la vocazione di Eliseo, che si pone alla sequela del suo grande maestro e profeta, Elia. Infatti, Eliseo, che era un contadino, lasciò i buoi e corse dietro a Elìa, dicendogli: «Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò». Elìa disse: «Va’ e torna, perché sai che cosa ho fatto per te». Allontanatosi da lui, Eliseo prese un paio di buoi e li uccise; con la legna del giogo dei buoi fece cuocere la carne e la diede al popolo, perché la mangiasse. Quindi si alzò e seguì Elìa, entrando al suo servizio”.

In questo esempio di sequela possiamo dedurre, la necessità per tutti noi, che siamo battezzati ed abbiamo ricevuto l’investitura e il mantello della profezia, ciò che dobbiamo fare quando siamo chiamati a servire Cristo, la Chiesa e i fratelli che sono in necessità. Non dobbiamo cercare prestigi personali e situazioni di comodo per noi, magari strumentalizzando la chiesa e la religione, ma dobbiamo dare il nostro apporto e il nostro contributo, di qualsiasi genere, dai servizi più umili a quelli più eccelsi, nella costruzione del Regno di Dio in mezzo a noi. Ognuno può e deve dare una mano per costruire il mosaico dell’amore universale nel nome del Signore e del Cristo Redentore.

Di questo è particolarmente convinto l’Apostolo Paolo, nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla bellissima e stimolante lettera ai cristiani della Galazia: “Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù”. Redenti dal sangue prezioso di Gesù, noi cristiani siamo persone libere nella sostanza e nella realtà. La nostra libertà, non è capacità di fare il bene o il male o ciò che ci piace, la nostra libertà è Cristo. In Lui noi abbiamo acquisito questo valore importantissimo per ogni persona umana, in quanto siamo stati liberati dal peccato. Perciò l’Apostolo ci esorta a non ritornare nella condizione di prima, di uomini peccatori. E per realizzare questo nostro sogno spirituale, è bene vivere secondo lo spirito e non secondo la carne, in quanto come ci ricorda San Paolo: “la carne  ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste”. Ma se ci lasciamo guidare dallo Spirito, non saremo più sotto la Legge, cioè sotto il peccato. In definitiva se camminiamo secondo lo Spirito e non saremo portati a soddisfare il desiderio della carne. E poi vivremo in pace, in armonia, senza conflitti e gelosie, senza divisioni o contrasti che portano persone, gruppi, popoli e nazionali a lottarsi su tutti i fronti, per prevalere sugli altri e schiacciare la libertà degli altri. Tutta la morale cristiana, tutto il Vangelo trova la sua pienezza in un solo precetto: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!. Quanto è vera questa terribile e attuale affermazione di Paolo detta ai cristiani della Galazia. Oggi in tante situazioni, anche all’interno della chiesa si sperimenta la lotta senza confini contro tutto e contro tutti; mentre dovrebbe regnare suprema la legge dell’amore e della misericordia. Sia questa la nostra umile preghiera, oggi, domenica, giorno del Signore: “O Dio, che ci chiami a celebrare i tuoi santi misteri, sostieni la nostra libertà con la forza e la dolcezza del tuo amore, perché non venga meno la nostra fedeltà a Cristo nel generoso servizio dei fratelli”. Amen

COMMENTO ALLA DECIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 2016

DSC00690 davide029

X DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

 

Domenica 5 giugno 2016

 

Cristo ci riporta alla vita nella sua misericordia infinita.

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

La parola di Dio di questa decima domenica del tempo ordinario ci pone di fronte a due miracoli. Uno, narrato nel brano della prima lettura, in cui Dio, attraverso la preghiera di Elia, guarisce un bambino e lo ridona alla sua madre, preoccupata per la sorte del suo figlio; l’altro, narrato dall’evangelista Luca, riguardante la risurrezione del figlio di una vedova di Nain, di cui non si sa il nome né del bambino e né della madre. Due miracoli che attestano la potenza di Dio sul dolore, sulla malattia e sulla morte. Drammatico il racconto del primo miracolo, ma anche aperto alla speranza e alla fiducia in Dio. Il protagonista è sempre il Signore, ma l’intermediario tra Dio e la madre del bambino, che praticamente era morto, è il profeta Elia. Potremmo cogliere dal testo biblico, quasi un interesse privato in atto di ufficio, visto che il profeta chiede al Signore la guarigione del piccolo, perché deve essere ospitato da questa vedova di Sarepta. Invece non è affatto così. L’uomo di Dio si rivolge a Lui, perché mosso dalla sofferenza di quella donna, già senza marito ed ora senza figlio. Possiamo vedere la compassione del profeta verso questa vedova che, in un momento così difficile, trova nell’uomo di Dio il motivo di riprendere a sperare e a vivere con il figlio, praticamente morto. Bellissimo, intenso e pieno di significati spirituali, umani e religiosi il brano tratto dal primo libro dei Re, in cui è riportata questa prima risurrezione nell’Antico testamento: “In quei giorni, il figlio della padrona di casa, [la vedova di Sarepta di Sidòne,] si ammalò. La sua malattia si aggravò tanto che egli cessò di respirare. Allora lei disse a Elìa: «Che cosa c’è fra me e te, o uomo di Dio? Sei venuto da me per rinnovare il ricordo della mia colpa e per far morire mio figlio?». Elia le disse: «Dammi tuo figlio». Glielo prese dal seno, lo portò nella stanza superiore, dove abitava, e lo stese sul letto. Quindi invocò il Signore: «Signore, mio Dio, vuoi fare del male anche a questa vedova che mi ospita, tanto da farle morire il figlio?». Si distese tre volte sul bambino e invocò il Signore: «Signore, mio Dio, la vita di questo bambino torni nel suo corpo». Il Signore ascoltò la voce di Elìa; la vita del bambino tornò nel suo corpo e quegli riprese a vivere. Elìa prese il bambino, lo portò giù nella casa dalla stanza superiore e lo consegnò alla madre. Elìa disse: «Guarda! Tuo figlio vive». La donna disse a Elìa: «Ora so veramente che tu sei uomo di Dio e che la parola del Signore nella tua bocca è verità».

E’ interessante notare come dopo la guarigione del figlio, la vedova di Sarepta riprende il discorso della fede in Dio e della piena fiducia nel Signore. Certo, di fronte alla morte di un figlio, qualsiasi vera madre terrena resta interdetta di fronte ad un dramma del genere e, come spesso capita, anche ai nostri giorni, molte mamme e padri che forse non hanno una fede solida, in queste circostanze si allontanano da Dio e dalla Chiesa, perché pensano che il Signore non sia stato vicino a loro. Come è difficile capire la logica della croce e della morte, Solo chi si immerge nella spiritualità della croce e della passione di Cristo, può capire il grande mistero del dolore e della morte, non solo delle persone anziane e delle madri, ma soprattutto della morte dei giovani e dei figli. D’altra parte chi sale sul patibolo della croce è Gesù, giovanissimo. E Maria, ai piedi di croce, sta a lì a soffrire e vedere morire il suo figlio, il Figlio di Dio, l’innocente in senso assoluto e pieno. Ecco il grande mistero del dolore e della morte, che non è mai fine a se stesso, ma è aperto alla vita e alla risurrezione. Uno scenario completamente diverso quello che si presenta agli occhi di Gesù a Nain. Si tratta di un funerale di un bambino e nel corteo che porta il corpo senza vita del fanciullo al cimitero c’è la madre del bambino morto, anche lei una vedova. La scena straziante muove a compassione Gesù che fa fermare il corteo e si dirige verso la bara, nella quale è deposto il ragazzo appena morto. San Luca, concentra la sua attenzione propria sulla mamma del fanciullo e descrive il comportamento di Gesù in quella circostanza drammatica, che lascia poco spazio alla speranza. “Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Due importanti elementi vanno sottolineati. Gesù si rivolge a quella madre straziata dal dolore della perdita del figlio con questo monito: “Non piangere”. La presenza di Gesù è motivo di allontanare la morte e il dolore più atroce nel cuore di quella madre. E’ come per lei, così per tutti nella vita. Nei momenti più dolorosi della nostra esistenza c’è questa voce amica di Gesù che ci dice: Non piangere, ci sono io. E dove ci sono Io c’è la vita e non la morte, c’è la gioia e non il dolore. La risurrezione prevale sulla morte, la bara vuota del risorto, rispetto al sepolcro pieno di morti di ogni genere, di quelli morti naturalmente e per cause naturali e di quelli morti per violenza come nel caso di Gesù e di tanti martiri innocenti e di persone uccise a tradimento, nelle guerre, nella nostra società violenta. Quel dolore di mamma si rinnova oggi nel cuore di tante madri che vedono morire i figli o figli che restano senza madri e padri, come stiamo vedendo in questi terribili giorni di violenza in Italia, nel mondo, nella questione dei profughi che muoiono nel mar mediterraneo e tanti altri fatti di sangue. Nessuno di questi bambini morti per violenza ritorna in vita, lasciando nel nostro cuore di persone sensibili uno smarrimento ed uno sconforto, che solo la fede nella risurrezione finale può attenuare.

Dalla risurrezione dalla morte corporale alla risurrezione dalla morte spirituale, il parallelismo è immediato e spontaneo. Questo parallelismo della doppia risurrezione, quella fisica e quella spirituale, si comprende alla luce del brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati, nel quale l’Apostolo delle genti racconta della sua conversione, della sua risurrezione interiore: “Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo: perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri. Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco. In seguito, tre anni dopo, salii a Gerusalemme per andare a conoscere Cefa e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore”.

Come per Paolo, così per tutti, se ci rendiamo disponibili alla grazia di Dio ed abbiamo fede in Lui, tutto cambia in meglio nella nostra vita. Nulla può renderci tristi, farci soffrire e piangere, neppure la morte dei propri cari più cari, ma tutto diventa luce e speranza, guardando con passione a colui che è la vera risurrezione: Gesù Cristo, nostra vita e nostra gioia infinita. Sia questa la nostra umile, ma sentita preghiera che rivolgiamo al Signore in questo giorno di festa: O Dio, consolatore degli afflitti, tu illumini il mistero del dolore e della morte con la speranza che splende sul volto del Cristo;  fa’ che nelle prove del nostro cammino restiamo intimamente uniti alla passione del tuo Figlio,  perché si riveli in noi la potenza della sua risurrezione. Amen.

 

COMMENTO ALLA TERZA DOMENICA DI PASQUA – 10 APRILE 2016

consacrazione5

III DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)
DOMENICA 10 APRILE 2016 

Nella rete della misericordia di Dio 

Commento di padre Antonio Rungi 

La terza domenica di Pasqua ci presenta Gesù che appare agli apostoli e li aiuta nel lavoro di pescatori. Da una notte senza aver pescato nulla, ad una pesca in pieno giorno in cui prendono tutto, raccolgono ogni tipo di pesce, piccoli e grandi, una raccolta straordinaria. E’ l’immagine di questo giubileo della misericordia, durante il quale il Signore Gesù, attraverso l’opera della sua Chiesa, intende raccogliere nella rete del suo amore misericordioso tutti i suoi figli. Quelli che vivono nella grazia e quanti sono lontani da una vita di preghiera e sacramentale. Il miracolo della pesca abbondante che Gesù permette di fare agli apostoli dopo una notte di lavoro senza aver raccolto nulla ci indica la strada di come lavorare nel campo dell’apostolato. Solo con Gesù e in ascolto della sua parola, nel mettere in pratica i suoi insegnamenti possiamo riavvicinarci a Lui e portare a Lui chi naviga in mari pericolosi, smarrito tra tanti rischi della vita di tutti i giorni, quando non si è in sintonia con il vangelo dell’amore e della misericordia. Gesù, agli apostoli, dopo aver dato il conforto di una pesca eccezionale, vuole condividere con loro la gioia dello stare insieme. E’ la chiesa della risurrezione che intorno al suo maestro si accosta al cibo eucaristico, dal quale trae la forza e il coraggio per testimoniare e vivere il vero amore nel mondo. Non a caso dopo la pesca miracolosa Gesù si rivolge a Pietro in prima persona e gli pone una delle domande alle quali o si risponde con sincerità oppure tutto diventa farsa, menzogna e fariseismo. Dalla risposta cosciente e convinta alla richiesta di un amore sincero, scaturisce la sequela di Cristo e le conseguenze di tale scelta totale di Cristo. Il dialogo tra Gesù e Pietro è tra i quelli che toccano le corde più profonde di un Dio, che è Gesù, e di un essere umano, Pietro:Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi». Questa domanda il Signore, oggi, la rivolge a ciascuno di noi. In che misura possiamo dire come Pietro: Signore, tu sai che io ti amo e sei tutta la mia vita? Certo nella misura in cui ogni giorno ci immergiamo in questo amore, mediante la preghiera, la partecipazione alla messa, alla comunione, nell’ascolto della sua parola, nella pratica della giustizia, nella lotta per la verità, nella difesa degli ultimi, questo amore cresce in noi e diventa autentico. La risposta che Cristo ci chiede se ci vogliamo porre alla sua sequela è quella di una amore completo che si fa servizio ed oblazione e che investe tutta la vita, fino al mistero più paradassale della morte in croce alla quale allude Gesù nella parte finale del dialogo con Simon Pietro. Tu Maestro ci hai insegnato ad amare e fa che questo amore sia ogni giorno più forte e potente per combattere le forze dell’odio e della morte che si presenti in questo nostro tempo. Bisogna avere il coraggio e la fede dei primi apostoli e dei primi cristiani di Gerusalemme che, nonostante la persecuzione, le proibizioni dei politici del tempo, vanno avanti per la loro strada nel parlare di Cristo e nell’annunciare la sua misericordia. Il coraggio dei martiri, dei perseguitati per la fede è quello che oggi la chiesa necessita. E’ vero che anche oggi tanti sono i cristiani, nel mondo, che testimoniano la fede fino alla morte. Anche in questi ultimi mesi, da ogni angolo della terra, i crimini contro i cristiani si rinnovano, senza che alcuno alzi la voce a loro protezione e difesa, tranne quella del Papa, dei Vescovi, dei sacerdoti e di quanti sperimentano l’emarginazione in questo nostro terribile momento storico.In quei giorni, il sommo sacerdote interrogò gli apostoli dicendo: «Non vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome? Ed ecco, avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento e volete far ricadere su di noi il sangue di quest’uomo».  Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono». Fecero flagellare [gli apostoli] e ordinarono loro di non parlare nel nome di Gesù. Quindi li rimisero in libertà. Essi allora se ne andarono via dal Sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù.Una riflessione conclusiva su quanto ci raccontano e ci insegnano i due testi biblici che abbiamo ascoltato e commentato in questa terza domenica di Pasqua la troviamo nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dall’Apocalisse. In questa meravigliosa visione dell’apostolo Giovanni, è la sintesi della nostra fede, del nostro cammino nella storia e della meta ultima del nostro pellegrinaggio verso l’eternità: “Io, Giovanni, vidi, e udii voci di molti angeli attorno al trono e agli esseri viventi e agli anziani. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia e dicevano a gran voce: «L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione». Tutte le creature nel cielo e sulla terra, sotto terra e nel mare, e tutti gli esseri che vi si trovavano, udii che dicevano: «A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli». E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E gli anziani si prostrarono in adorazione.

Vogliamo metterci in adorazione del Risorto in questo tempo di Pasqua e noi sappiamo benissimo che il Risorto è presente in corpo, sangue ed anima nella santissima eucaristia. Il tempo di Pasqua sia il tempo di un’adorazione perpetua al Cristo, volto misericordioso del Padre. Lasciamoci prendere nella rete del suo amore e lasciamoci catturare dal suo volto luminoso, glorioso, che è la nostra vera gioia.

Sia questa la nostra umile preghiera: Padre misericordioso, accresci in noi la luce della fede, perché nei segni sacramentali della Chiesa riconosciamo il tuo Figlio, che continua a manifestarsi ai suoi discepoli, e donaci il tuo Spirito, per proclamare davanti a tutti che Gesù è il Signore. Amen.

DOMENICA DELLE PALME 2016. LA RIFLESSIONE DI P.ANTONIO RUNGI

padre rungi

DOMENICA DELLE PALME (ANNO C)

DOMENICA 20 MARZO 2016

LA PALMA E LA CROCE DELLA MISERICORDIA

Commento di padre Antonio Rungi

Questa che celebriamo oggi è la domenica della Passione, meglio conosciuta come Domenica delle Palme. E’ una domenica speciale, per molti versi più sentita della stessa Pasqua, per un duplice motivo di fondo. Il primo è il simbolo della pace, che è la palma benedetta, che ci scambieremo in segno di ritrovata amicizia e comunicazione tra noi o conferma e potenziamento di tale esperienza umana gratificante; il secondo è il simbolo della croce, di cui facciamo memoria attraverso la lettura della passione di Gesù Cristo. In questa domenica delle Palme e della Passione di Cristo, noi possiamo bene dire di benedire la Palma della Misericordia e di accostarci alla Croce della Misericordia. L’anno giubilare che stiamo vivendo ci immerge sempre più nel mistero della misericordia di Dio, che trova il suo punto culminate nel mistero della morte e della risurrezione di Gesù. Oggi, con la benedizione delle palme e con la lettura del Passio entriamo nella settimana maggiore, la settimana più importante da un punto di vista liturgico e soprattutto il triduo pasquale. In questi giorni, a partire da questa celebrazione festiva, ma anche di dolore, noi siamo chiamati a metterci sui passi del Salvatore, di Gesù Cristo, l’inviato del Padre che viene a noi come messaggero di pace. Il suo ingresso a Gerusalemme accolto da una folla festante è il grande segno di questa speciale attenzione che la gente semplice, di allora come di oggi, presta al Messia. Il quale non entra in Gerusalemme con cavalli, esercito o in veste regale, ma su una mula e con un semplice mantello di stoffa di poco conto e poverissimo. Gesù come Re fa ingresso nella città santa con le insegne regali della misericordia, del perdono, della pace e della riconciliazione. Viene per il popolo di Israele, ma anche per noi, cristiani di questo tempo, con la segreta speranza di cambiare il nostro cuore, da un cuore di pietra e di indifferenza, ad un cuore di carne e di attenzione verso gli altri. Il simbolo con il quale gli abitanti di Gerusalemme lo accolgono è quel ramo di ulivo che riporta alla storia della salvezza dopo la tragedia del diluvio universale. Segno della rappacificazione cosmica e della purificazione di un mondo, oggi ci viene riproposto come segno di rappacificazione tra di noi, segno della misercordia, che significa avere un cuore buono e tenero verso ogni uomo e donna di questa martoriata terra. La Domenica delle Palme è perciò a ben ragione la domenica della misericordia, del perdono e della riconciliazione, tra tutti noi esseri umani che spesso invece di vivere in pace, preferiamo vivere in una guerra continua con noi stessi, con gli altri e con il mondo intere. Il principe della pace, Gesù, viene a portare la gioia del perdono in una Gerusalemme deserta, per mancanza di fede, di speranza e di amore, simbolo delle tante città, popoli e nazioni della società di oggi, dove Dio non trova più posto, non solo per nascere, ma neppure per morire e farllo risorgere nel cuore e nell’intimo di chi crede in Dio. Chiediamo al Signore, in questo giorno della palma misericordiosa e della croce benedetta, quello che il sacerdote rivolge al Signore, all’inizio del rito della benedizione delle Palme: “Fratelli carissimi,
questa assemblea liturgica è preludio alla Pasqua del Signore, alla quale ci stiamo preparando con la penitenza e con le opere di carità fin dall’inizio della Quaresima.
Gesù entra in Gerusalemme per dare compimento al mistero della sua morte e risurrezione. Accompagniamo con fede e devozione il nostro Salvatore nel suo ingresso nella città santa, e chiediamo la grazia di seguirlo fino alla croce, per essere partecipi della sua risurrezione”. Noi dobbiamo accompagnare Gesù vero il calvario. Non ci possiamo tirare indietro. Non scompariamo dalla sua vista e dai suoi occhi che sprizzano amore e misericordia, anche se incastonati in un volto insanguinato. Non abbiamo paura di guardare in faccia ad un Dio crocifisso per amore e che per riconciliare il mondo con l’eternità, offre se stesso sul patibolo della croce, un supplizio il più ignobile che possa esistere per uccidere un uomo e soprattutto Lui, il nostro Signore, l’Agnello immacolato, che muore sull’altare per ridonare pace al genere umano. Immergiamoci oggi in questo grande mistero dell’amore di Dio, che nella sua passione, morte e risurrezione ci ridona speranza e vita nuova. L’immagine del crocifisso, l’Ecce Homo, ci accompagni in questi giorni santi, non solo meditando sul grande mistero della sofferenza di un Dio innocente, ma anche sulla sofferenza di tanti innocenti della terra, a partire dai tanti bambini uccisi dalla guerra, dalla violenza, dalla fame, dalla globalizzazione dell’indifferenza, nel silenzio più assordante di un mondo che non ama guardare in faccia alla realtà, ma che preferisce narcotizzarsi con varie droghe culturali, ideologiche, religiose, politiche, economiche che non vanno nella direzione giusta, non vanno verso Dio e verso Cristo e per ciò stesso non vanno verso l’uomo e l’umanità. Consapevoli dell’infinito amore di Dio verso di noi, meditiamo sulla passione di Cristo, come hanno fatto tutti i santi della Chiesa, a partire dai primi martiri del cristianesimo, fino agli ultimi della immensa schiera di quanti per amore di Cristo e dei fratelli hanno donato la vita per la causa del vangelo, come le quattro suore Figlie della Carità della Beata Teresa di Calcutta uccise nei giorni scorsi nello Yemen. L’inno cristologico della lettera di San Paolo Apostolo ai Filippesi, ci aiuterà moltissimo a fare un cammino di vera conversione, di vero rinnovamento spirituale per questa Pasqua 2016, che è la Pasqua dell’anno giubilare della misericordia. La sintesi di questa croce misericordiosa di Gesù, la troviamo espresso in modo esemplare in questo bellissimo brano, che dovremmo sempre avere davanti agli occhi e nella nostra mente per bene operare con noi stessi e con gli altri: “Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce”.

Il racconto della passione di Cristo, tratto dal Vangelo di Luca che oggi ascolteremo ci darà ulteriori elementi di riflessione e di approfondimento, ma soprattutto per chiedere davvero perdono a Gesù, ai sui piedi come Maria, l’apostolo prediletto, le pie donni e i soldati convertiti. Non lo facciamo passare invano o scivolare nel nostro cervello, ma chiediamo davvero al Signore, per intercessione della Madonna Addolorata, che in questo venerdì l’abbiamo ricordata come “Desolata”, che la Passione di Gesù Cristo sia sempre impressa nei nostri cuori.  E con questo spirito di attenzione a colui che muore per noi sulla croce, questa nostra attenzione si sposti in questi giorni su quanti stanno morendo e soffrendo, come Gesù in Croce, nel silenzio più coerente con la propria fede cristiano che ci invia a rivolgere lo sguardo a Colui che è stato trafitto e crocifisso per amore, per l’amore verso ognuno di noi. Domenica delle Palme è il giorno per leggere nei disegni di Dio la sua volontà su ciascuno di noi e su tutta l’umanità.

Sia questa la preghiera augurale per noi e per gli altri in questa giornata di pace e di fraternità universale, che abbiamo la possibilità di essere vissuta almeno per 24 ore, con la palma in mano come i martiri di ieri e di sempre: “Accresci, o Dio, la fede di chi spera in te, e concedi a noi tuoi fedeli, che rechiamo questi rami  in onore di Cristo trionfante,  di rimanere uniti a lui,  per portare frutti di opere buone”. Amen

COMMENTO ALLA QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA – 6 MARZO 2016

DSC02026

IV DOMENICA DI QUARESIMA – LAETARE (ANNO C)
DOMENICA 6 MARZO 2016

NEL CUORE DELLA MISERICORDIA DI DIO: LA GIOIA DEL PERDONO.

Commento di padre Antonio Rungi

Con la quarta domenica di Quaresima, detta della letizia entriamo nel pieno dell’anno giubilare e del vero significato di questo tempo di grazia, che è tempo di misericordia. Se come ha detto Gesù c’è più gioia in cielo per un peccatore che si pente e non per 99 che si ritengono giusti, oggi è la domenica in cui facciamo festa e siamo nella gioia perché ci viene in aiuto e a nostro conforto il testo del vangelo di questa domenica che è dedicato alla parabola del figliol prodigo. E’ una delle tre parabole della misericordia su cui siamo chiamati a riflettere in questo giorno in particolare ma anche per tutta la vita: Dio essenzialmente è amore e misericordia. E non è difficile capirlo. Basta accostarsi con animo sincero al testo di questa parabola per comprendere dove sta esattamente il cuore di Dio: sta dalla parte dei suoi figli che sono lontani da lui, che hanno deciso, nella loro piena e legittima libertà, proprio concessa dal creatore all’uomo, di camminare per strade che non sono quelle del Signore. Il figliol prodigo che va via dalla casa del Padre è il peccatore che esce dalla comunione con Dio e rompe ogni legame con il Signore, in attesa del ripensamento e del ritorno. Dio non si stanca di aspettare, fino all’ultimo istante di ogni persona, questo ritorno. E lui ci attende non solo sull’uscio della chiesa, per darci il perdono qui su questa terra, mediante il sacramento della confessione; ma ci attende sull’uscio del paradiso, per donarci la felicità senza fine. Sta a noi entrare in questo cammino di ritorno a Dio da celebrare continuamente con una forte comunione di grazia e in grazia con Lui. Il modo per farlo è mettersi nella condizione di quel che realmente siamo: peccatori e perciò bisognosi di perdono e di misericordia di Dio. Non illudiamo noi stessi e gli altri: siamo tutti peccatori e perciò stesso abbiamo bisogno del suo perdono. Sta a noi chiederlo questo perdono ed ottenerlo da Dio, secondo le modalità che noi ben conosciamo, che non è una confessione frettolosa, affrettata, ma un profondo e radicale cambiamento della vita, in sintonia con la volontà di Dio, di quel Padre che è tenerezza e compassione. Di quel padre che scruta l’orizzonte della storia e del mondo e scruta l’orizzonte del nostro cuore, spesso privo di quel rosso di sera, che fa ben sperare per l’avvenire personale a livello spirituale. Molte volte questo orizzonte è cupo e intristito dal male e dalla mancanza di speranza ed anche in queste situazioni limite si cala forte lo sguardo di Dio, che ne cambia le sorti e le prospettive. Mettiamo sulle nostre labbra le espressioni di un sincero pentimento del cuore e della vita che pronunciò il figlio prodigo nella parabola raccontata da Gesù e che suscitò nei presenti reazioni diverse: “Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre”. Ci vogliamo alzare dalla nostra depressione spirituale, dalla mancanza di fede, speranza, amore e gioia. Vogliamo, stando a contatto con Dio, sperimentare la gioia sempre, nonostante le nostre gravi lacune e deficienze spirituali. Lontano dai nostri pensieri l’atteggiamento del figli maggiore, geloso e risentito, per il ritorno del fratello, morto e poi ritornato in vita, al quale il Padre dedica una festa senza paragoni e senza precedenti. Quanto è difficile capire, quando si sta nella grazia, nell’amicizia e nella vicinanza a Dio, tale grande bene che si possiede. Quel bene di cui non si è accorto il figlio “santo”, perfetto e vicino al padre, che non è scappato via, non ha chiesto nulla, ha avuto tuttavia tutto, ma non ha saputo gioire di quello che aveva: la grazia di stare vicino a Dio. Quanti cristiani non sanno apprezzare la fede, la grazia che hanno vivendo vicino alla Chiesa, praticando e condividendo i progetti pastorali e spirituali a tutti i livelli e in ogni tempo. Forse anche loro avvertono il desiderio di andare via, come ha fatto, sbagliando, il figlio più piccolo ed incosciente, quando ha deciso di rompere il legame interiore e profondo con il Padre. Solo i santi hanno saputo capire quanto è brutto e disastroso vivere nel peccato; per cui si confessavano spesso e avevano tanti scrupoli e trovavano in essi tante imperfezioni.  Non bisogna crogiolarsi nei peccati; anzi bisogna riemergere da esso prima che sia troppo tardi, prima che si abbia toccato il fondo del disastro morale più grave. Non dobbiamo attendere i tempi del figliol prodigo per rinsavire dalle nostre condotte non buone.  E non diciamo mai, e poi mai: io sono senza peccato. Che peccato faccio o posso fare? In questo caso saremo un po’ come il fariseo al tempio che vantava davanti a Dio la sua presunta perfezione legale ed esteriore della legge, ma senza cuore e senza amore verso il Signore e verso gli altri, al punto tale che giudica il pubblicano come peccatore, da allontanare. Mentre quel povero pubblicano, già riconosciuto di fatto peccatore pubblico per il pessimo ruolo ed ufficio che ricopriva, si batteva il petto e chiedeva perdono, non si avvicinava alla parte più sacra del tempio, né alzava gli occhi al cielo, perché si considerava indegno. Stessa situazione che ha vissuto il figliol prodigo quando ha preso coscienza del suo stato di immoralità in cui si è trovato, dopo l’allontanamento dalla casa del Padre. Facciamo nostre le bellissime parola, scritte da Paolo Apostolo ai suoi cristiani di Corinto, nel breve brano della lettura di oggi, tratta dalla seconda lettera a questi problematici cristiani del suo tempo e a questa comunità alquanto vivace:  “Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio”. Oppure immergiamoci nell’esperienza esodale che, è esperienza di gioia e di libertà, come ci rammenta la prima lettura di oggi, tratta dal Libro di Giosué, colui che ebbe il dono di vedere la terra della libertà, la terra promessa, la terra della vera gioia che il Signore donò al suo popolo, di mettere piede fisico e spirituale su di essa: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto». Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico. Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, àzzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno. E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell’anno mangiarono i frutti della terra di Canaan”. Togliere l’infamia dal nostro volto e dal volto dei nostri fratelli è questo il compito che spetta ad ogni cristiano seriamente intenzionato a fare la Pasqua e lasciare la via del peccato per vivere nella grazia di Dio, soprattutto in questo anno giubilare, durante il quale la misericordia non è solo un annuncio o una catechesi, ma è esperienza vera di un Dio buono e misericordioso, lento all’ira e ricco nel perdono, che ci attende per parlare al nostro cuore, per cambiare in bene e in vero bene la nostra vita. Con il profeta Isaia cantiamo con gioia: “Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione”.

E con il salmista proclamiamo: “Ho cercato il Signore: mi ha risposto e da ogni mia paura mi ha liberato. Guardate a lui e sarete raggianti, i vostri volti non dovranno arrossire. Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo salva da tutte le sue angosce”. La nostra vera gioia è liberarci da angosce e paure di qualsiasi genere, perché chi sta con Dio non ha paura di nulla in questa vita e nell’eternità, ma vive solo nella dimensione gioiosa dell’esistenza umana.

 

P.RUNGI. COMMENTO ALLA V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – 7 FEBBRAIO 2016

rungi-informazioni

DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

7 FEBBRAIO 2016

 

CHIAMATI PER PURIFICARE LA MENTE E IL CUORE

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

La chiave interpretativa della parola di Dio di questa quinta domenica del tempo ordinario, è sicuramente il testo della prima lettura, tratto dal profeta Isaia, nel quale la coraggiosa voce del grande profeta dell’Antico Testamento si alza per denunciare tutto il male presente nel suo tempo, verso cui grida forte la parola purificazione della mente, del cuore, delle labbra. Una purificazione completa di tutto il popolo di Dio, se vuole riprendere il dialogo con l’Altissimo. In una precisa e dettagliata visione che il profeta ha del Signore, egli si sente inviato, anzi, si rende disponibile per una missione impossibile, quella della purificazione. Nell’anno santo della Misericordia, penso, alla missione di Papa Francesco che, ispirato da Dio, ha indetto questo anno giubilare, proprio per attuare in noi una vera e completa purificazione interiore.

Il profeta, prima di parlare agli altri, guarda se stesso. E’ lui per primo a riconoscersi peccatore, in quanto uomo dalle labbra impure; in secondo luogo, perché comprende che si trova davanti ad un popolo immerso nella impurità e che necessita di essere risanato. Guardandosi intorno e non avendo possibilità di trovare qualcuno che possa portare avanti questa missione di purificazione, Isaia offre se stesso e con grande semplicità si rivolge al Signore e dice: manda me a convertire la gente, perché possa ritornare sulla retta strada. «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti».

Il profeta non si scoraggia e si abbandona pienamente alla volontà di Dio, che si manifesta a lui mediante l’intervento di uno dei serafini, il quale gli tocca la bocca e lo purifica, al punto tale che dopo, questo rituale di purificazione, Isaia parte per la sua missione e può, in una condizione nuova da un punto di vista religioso e spirituale, parlare al popolo e richiamarlo ai propri doveri.

E’ sempre vero che bisogna iniziare da se stessi il cammino di conversione, per poi avventurarsi nell’esperienza della purificazione degli altri. «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato». In una nuova condizione spirituale, il profeta può ora parlare in nome di Dio ed essere credibile in base alla sua testimonianza di vita e al suo stato di salute spirituale. La parola di Dio che egli trasmette, avrà la sua efficacia e produrrà l’effetto benefico sperato.

Anche san Paolo Apostolo nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla Prima Lettera ai Corinzi, sente la responsabilità dell’annuncio del mistero della redenzione portato a termine con la Pasqua di Gesù Cristo. Con precisi riferimenti alla storia della salvezza partendo appunto dalla Pasqua di Cristo, all’apparizione del Risorto a Pietro, poi agli altri apostoli ed infine ad un gruppo numeroso di altri credenti e discepoli del Signore, egli fa capire nettamente a quale ruolo è stato chiamato direttamente da Dio. Dopo l’apparizione a Paolo dello stesso Gesù sulla via di Damasco, al momento della sua conversione e alla sua purificazione, alla vita nuova che inizia in Gesù Cristo, egli lascia totalmente la vita passata e precedente, senza alcun ripianto e scrive di se stesso: “Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me”.

Le fatiche missionarie del grande apostolo delle genti, lo portano a consolidarsi sempre più nel suo ministero, al punto tale che proprio rivolgendosi ai cristiani di Corinto, egli scrive:  “Vi proclamo, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano! A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto”.

La trasmissione veritiera del dato di fede lo incoraggia nel ministero al punto tale che non si ferma mai, va avanti per la sua strada di far conoscere Cristo ai lontani.

La chiamata alla missione e all’apostolato ci viene ricordata anche nel testo del Vangelo di oggi, quando Gesù, dopo aver compiuto il miracolo della pesca eccezionale, ha un importante e sentito dialogo con Pietro. Questo umile pescatore, dopo l’evento prodigioso, ha compresso che si trova davanti al Messia e si rivolge al Signore con parole, degne di attenzione e riflessione da parte nostra: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Chi vive nel peccato sta lontano da Dio e la sua condizione di peccatore, non può assolutamente permettere di stare vicino alla fonte della luce, quando si è tenebra nel cuore e nella mente. Pietro comprende e inizia, da subito, il cammino di avvicinamento al Signore con una risposta piena all’amore di Dio.

Da quel momento la conversione del cuore e della mente, la purificazione di Pietro e dei suoi compagni di lavoro si è concretizzata, al punto tale che lasciano ogni cosa e si mettono alla sequela di Gesù. Il Signore, infatti, dice a Pietro: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono”.

Il grande gesto e il maturo coraggio di abbandonare ogni cosa per seguire il richiamo di Dio ci fa da sprona ad abbandonare ogni cosa che ci porta lontano da Dio, a ritornare a Lui con cuore davvero pentito.

La Madonna ci aiuti a discernere meglio la volontà divina e a metterla in pratica, con o senza strumenti in nostro possesso, nell’assoluta povertà dei nostri mezzi, ma pienamente abbondonati alla volontà di Colui che vuole solo la nostra felicità e il nostro vero bene, che è il Signore, redentore dell’uomo.

Sia questa la nostra preghiera oggi: “Dio di infinita grandezza, che affidi alle nostre labbra impure  e alle nostre fragili mani il compito di portare agli uomini l’annunzio del Vangelo, sostienici con il tuo Spirito, perché la tua parola, accolta da cuori aperti e generosi, fruttifichi in ogni parte della terra”. Amen.

P.RUNGI. COMMENTO PER IL NATALE 2015

RUNGI2015

Solennità del Natale 2015 – Venerdì 25 dicembre 2015

 

Il nostro pellegrinaggio giubilare alla Grotta di Betlemme

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

Questo Natale 2015 ha un sapore, un significato ed un valore del tutto speciale. E’ il Natale della misericordia infinita e tenerissima che ci porta a noi, Gesù Bambino, il Figlio di Dio, che si incarna nel grembo verginale di Maria Santissima e viene a noi come salvatore e redentore, con il volto della vera misericordia di Dio. La coincidenza dell’anno santo della misericordia, aperto da Papa Francesco lo scorso 8 dicembre, rende questo Natale più importante da un punto di vista spirituale, in quanto è la festa che ci riporta all’origine stessa del mistero della salvezza, che inizia prima a Nazareth e prosegue a Betlemme, dove viene alla luce Gesù, il messia atteso dai popoli e nostro liberatore. Nella solenne liturgia della notte santa, che accompagna il cammino del cristiano in questo anno giubilare, noi, infatti, ci confrontiamo con la vera e grande notizia più importante di tutti i tempi e per tutta l’umanità; Gesù Cristo, Figlio di Dio, si incarna nel grembo verginale di Maria per portare a noi la salvezza, la misericordia e il perdono di Dio. Ci ricorda il profeta Isaia nel brano della messa di mezzanotte che “un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere  e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine  sul trono di Davide e sul suo regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e per sempre”. Il programma del Natale della misericordia sta sintetizzato in queste parole di speranza, gioia e giustizia per tutti. L’anno giubilare è appunto questo anno per rimettere a posto, a livello spirituale, morale e sociale, le cose che non vanno personalmente e collettivamente. E ciò si inizia a fare, se con umiltà ci poniamo davanti a Gesù Bambino e riconosciamo i nostri peccati, per ricominciare una vita senza peccato. Le tenebre in cui siamo immersi devono fare spazio alla luce vera che viene dal cielo ed ha un solo nome: Gesù Cristo il Salvatore. Questa luce dobbiamo sapere riscoprire nell’anno giubilare, perché Gesù è il volto misericordioso del Padre: “Il popolo che camminava nelle tenebre  ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia,  hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete  e come si esulta quando si divide la preda. Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e il bastone del suo aguzzino, come nel giorno di Màdian. Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando e ogni mantello intriso di sangue

 saranno bruciati, dati in pasto al fuoco. Moltiplicare la gioia del perdono e dell’essere perdonati, dall’essere liberi, mediante il dono dell’indulgenza plenaria, anche delle pene conseguenti alle nostre colpe”. Il nostro pellegrinaggio giubilare alla grotta di Betlemme può avere un doppio motivo: quello dei pastori e quello dei Re Magi. Il motivo pastorale, sta nel riconoscere in Cristo il vero Pastore delle nostre anime che ci conduce ai pascoli eterni della felicità. Il motivo regale, sta nel riconoscere in Cristo l’unico vero Re di tutti i tempi, il cui regno non finisce mai. Dal Pastore da pastori andiamo alla Grotta di Gesù per assaporare la gioia di prostrarci per chiedere perdono per noi e per l’umanità. Da re, come i sapienti dell’oriente, andiamo da Lui, per offrirgli quel poco di bene che abbiamo con noi e realizzato nei nostri giorni ed anni, fin qui vissuti con la fede del Natale, ben sapendo, come ci ricorda l’Apostolo Paolo nel brano della sua lettera a Tito, che nella notte santa proclamiamo: “è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.  Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone”. Il Natale della misericordia lo celebriamo se ci lasciamo riscattare da Cristo da ogni iniquità, formando la chiesa suo popolo santo, ma anche popolo di peccatori, che hanno bisogno di redenzione. Risuoni in questo Natale il canto di gioia, speranza e fiducia che gli Angeli proclamarono nella notte in cui venne al mondo il Redentore e della quale ci racconta l’evangelista Luca: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama». Lo stesso canto di gioia vorremmo che risuonasse in ogni parte del mondo e in ogni angolo di questo mondo solo e solitario, che va alla ricerca della vera gioia e felicità che viene dall’Alto e si chiama “Emmanuele, il Dio con noi”. Possiamo sperimentare, fin d’ora, questa gioia dentro e fuori di noi, consapevoli che il Natale ha un suo fascino e una sua bellezza interiori, che nessuno puoi toglierci, da dove è riposto, ben sapendo che sta nel profondo del nostro cuore e della nostra vita e da lì nessuno lo potrà estirpare per rincorrere fasi dei che non possono dare felicità, perché inesistenti. Anche per noi si devono compiere i giorni per dare alla luce, nel nostro cuore, Gesù, e con la stessa tenerezza e bontà di Maria, Giuseppe, i pastori e i semplici della terra l’hanno voluto incontrare e lo hanno amato, profondamente, perché avvertivano in Lui la potenza di Dio e la misericordia di Dio. Sia, questa la nostra preghiera di Natale 2015:

 

Cristo, Salvatore e Redentore dell’uomo,

guarda dalla tua grotta di Betlemme

l’umanità intera in questo tuo annuale Natale 2015

che, oggi, ha un significato giubilare per tutti i tuoi seguaci.

 

 

Davanti a Te, Gesù Bambino,

contemplando il volto di Maria, la tua Madre dolcissima,

guardando a Giuseppe, il tuo padre terreno,

osservando quanti arrivano da Te per adorarTi ,

ci prostriamo umilmente per ringraziarti

per tutti i doni che ci hai dato.

 

 

Ti chiediamo umilmente,

o Verbo Eterno del Padre Misericordioso,

che quest’anno Giubilare,

dedicato alla riconciliazione e al perdono,

sia, per tutta la Chiesa e l’umanità,

un anno di rinascita spirituale

e di ripresa morale per  tutto il genere umano.

 

 

Dona a quanti si immergono

nel mistero del tuo Natale annuale,

la sapienza della grotta di Betlemme,

che si traduce in opere di bene

ed ha un solo nome: misericordia per sempre.

 

 

Guarda, Gesù Bambino, tutti i bambini di questa terra,

segnata dall’odio, dal terrorismo e dalla guerra,

proteggili da mani violente, che uccidono in loro

ogni speranza di sopravvivenza.

 

 

Assisti, Principe della pace,

quanti lottano per costruire

un mondo di giustizia e di pace,

e fa che i loro sforzi

producano i risultati attesi e sperati.

 

 

Maria, la Madre del perdono,

ci faccia riscoprire la gioia

di essere in pace con tutti,

senza conservare, nel nostro cuore,

alcun risentimento, ribellione o progetti di distruzione.

 

 

Nulla ci allontani dalla gioia di vivere,

oggi e sempre, il tuo Natale di amore,

di pace e di misericordia,

alla scuola di quella misera ed umile

grotta, nella quale sei venuto al mondo,

senza clamore e splendore,

ma solo con il calore del Tuo amore per noi.

 

 

Gesù Bambino,

volto dolcissimo e tenerissimo di Dio,

che è Misericordia infinita,

trasforma questo Natale 2015,

segnato da tanti mali e difficoltà,

in un Natale pieno di gioia e speranza

per l’intera umanità. Amen.

 

(Padre Antonio Rungi, passionista)

 

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DELLA IV DOMENICA DI AVVENTO 2015

1424449_667721976591797_1278921107_n

IV DOMENICA DI AVVENTO (ANNO C)

DOMENICA 20 DICEMBRE 2015

 

Maria annuncia il Giubileo del suo amato Figlio

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

A pochi giorni dal Santo Natale 2015, che è un Natale speciale da un punto di vista spirituale, in quanto è in fase di celebrazione il Giubileo Straordinario della Misericordia, la liturgia della Parola di Dio di questa quarta domenica di Avvento, ci porta davanti alla Grotta di Betlemme, in anticipo, sullo stesso giorno di Natale, per farci contemplare la Vergine Santissimo, in attesa di dare alla luce Gesù, il Figlio di Dio, l’atteso Messia. La Madre della Misericordia, Maria di Nazareth si presenta nel suo ruolo e missione di Madre proprio nel mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio, nel suo grembo verginale, per opera dello Spirito Santo.

La gioia di questa attesa nascita, si percepisce da tutto il clima di festa per l’arrivo dell’atteso Messia. Già nella prima lettura di oggi, tratta dal Libro di Michea, si prefigura all’orizzonte l’immagine del Redentore, della sua Madre e del luogo della sua nascita, la Betlemme del Messia, dalla quale «uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti”. 

Betlemme di Èfrata, la più piccola delle realtà umane, sociali ed ambientali della Giudea, sarà la culla della nascita di Gesù. Solo dalle cose umili e piccole, nella logica di Dio e non dell’uomo, che nascono le cose grandi e diventano grandi, per chi le fa grande. E Betlemme diventerà grande, nella storia dell’umanità, perché lì si è incarnato il Figlio di Dio, nel grembo Colei che deve partorire e di fatto partorirà, la Vergine santa ed immacolata.

Il vangelo di Luca che si presenta Maria in visita alla sua anziana cugina, Elisabetta, ci fa comprendere il senso più vero del Natale di oggi e di sempre, soprattutto del Natale del Giubileo della Misericordia. Maria è la prima a vivere le opere della misericordia corporale e spirituale ed è modello di vita cristiana per quanti sono sinceramente incamminati verso la solennità del Natale ed hanno iniziato, con convinzione interiore e personale il cammino giubilare. Ci ricorda e ci racconta l’Evangelista Luca, il grande scrittore e pittore della Madonna, che “In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.  Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Il Natale della gioia è il Natale giubilare. In occasione della giubileo, che nell’antico Israele si celebrava ogni 50 anni, il suo dello jobel, il suo del corno, è un suono di gioia e di festa, di riscatto e di rinascita, di ripresa di un cammino o di un ritorno sulla strada giusta, che si era abbandonata per rincorrere altre possibilità, al di fuori del progetto di Dio e della sua legge. Maria proclama il Giubileo del Suo Figlio. Ed è felice di farlo, comunicando alla sua cugina ciò che stava compiendosi nella sua vita. Da parte sua, Elisabetta annuncia il giubileo del precursore, Giovanni Battista, che lei porta nel suo grembo, per un miracolo della vita, prodotto in lei da Dio, aprendo il suo grembo ad accogliere la vita, nonostante la sua età avanzata e la sterilità conclamata.

La gioia del Natale e il giubileo della misericordia sono sintetizzati in questo storico incontro tra Maria ed Elisabetta, quando a gioire, per prime, sono queste due straordinarie madri, che sono in attesa della nascita dei rispettivi figli: Gesù Cristo e Giovanni Battista.

Il Natale è accoglienza della vita, è difesa della vita, è amore per la vita di tutte le persone umane, senza distinzione di razza, cultura, religione, età e nazione. Gesù nasce su questa terra per salvare tutta la terra e non una parte di essa.

Il testo della seconda lettura di questa quarta domenica di Avvento, tratta dalla Lettera agli Ebrei, ci offre lo spunto per comprendere meglio la missione di Cristo sulla terra: Gesù entrando nel mondo, dice al Padre: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”». Dopo aver detto: «Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato», cose che vengono offerte secondo la Legge, soggiunge: «Ecco, io vengo per fare la tua volontà». Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo. Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre”. Incarnazione, morte e risurrezione di Cristo è il mistero della nostra fede, dopo quella d’Unità e della Trinità di Dio. In questo mistero dell’incarnazione vogliamo entrare, accompagnati dalla Madre di Gesù e Madre nostra, perché questo Natale della Misericordia, sia un Natale di gioia e di rinnovamento autentico della nostra vita e della vita della comunità dei credenti in Cristo.

Sia questa la nostra preghiera di impetrazione: “O Dio, che hai scelto l’umile figlia di Israele per farne la tua dimora, dona alla Chiesa una totale adesione al tuo volere, perché imitando l’obbedienza del Verbo, venuto nel mondo per servire, esulti con Maria per la tua salvezza e si offra a te in perenne cantico di lode”. Amen.

P.RUNGI. I DIECI COMANDAMENTI GIUBILARI

DSC02023DSC02026

ITRI (LT). P. RUNGI. I DIECI COMANDAMENTI GIUBILARI

Ad un mese dall’apertura del Giubileo della Misericordia, indetto da Papa Francesco e che avrà inizio l’8 dicembre 2015 a Roma, padre Antonio Rungi, religioso passionista, ha composto un decalogo giubilare, nel quale, indicando dieci regole di comportamento, fissa l’attenzione sui contenuti essenziali per una degna celebrazione dell’anno santo.
I dieci comandamenti giubilari sono fissati in questi suggerimenti ed inviti ad agire a livello personale e comunitario.

 

1. Non avrai altro scopo nella vita che quello di servire Dio.

2. Ricordati che sei un peccatore e devi convertiti a Cristo Salvatore.

3. Non offendere nessuno con le parole e le azioni.

4. Ricordati di perdonare a chi ti ha offeso e di chiedere perdono se hai offeso tu.

5. Non pensare solo a te stesso, ma anche ai fratelli che sono in necessità.

6. Ricordati di fare il bene sempre, anche quando non sei ricambiato su questa terra e dai tuoi parenti.

7. Non essere arrogante, presuntuoso e altezzoso, ma sii umile, disponibile e amorevole verso tutti.

8. Ricordati che il Paradiso lo si conquista facendo il bene ed amando Dio e i fratelli.

9. Non essere, ipocrita, falso e infedele, ma sii coerente con te stesso.

10. Ricordati che la verità viene sempre a galla e che in Dio tutto sarà luce e trasparenza assoluta nell’eternità futura.

“Sono convinto -scrive padre Rungi in una Nota personale – che il prossimo giubileo che è prima di tutto per la Chiesa e per i membri tutti della Chiesa è un forte invito alla conversione personale, alla fedeltà alla propria vocazione battesimale, alla pulizia morale e alla trasparenza nei nostri atti e comportamenti. Questo tempo propizio e di grazia deve far riflettere tutti nella Chiesa di Cristo in questo tempo di forti scossoni, ma sempre pronti a rendere ragione della gioia, della speranza, della fede e dell’amore verso Dio e verso i fratelli in ogni situazione, anche dolorosissima, della nostra vita e di quella della comunità dei credenti. Nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio e dalla sincera volontà di convertirci e fare sempre il bene, nonostante le piccole debolezze dell’esistenza”.