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COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 6 SETTEMBRE 2015

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XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

DOMENICA 6 SETTEMBRE 2015

 

CORAGGIO, EQUITA’ E ASCOLTO

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

La riflessione sulla parola di Dio di questa XXIII domenica del tempo ordinario si può concentrare su tre parole chiave: coraggio nella prova, equità di trattamento tra le persone e ascolto della parola di Dio che salva.

Partendo dalla prima lettura di oggi, il profeta Isaia parla della prospettiva messianica in cui l’avvento del Regno di Dio sarà un arrivo che porterà ordine e stabilità nelle cose di questo mondo, dando coraggio ai provati e sfiduciati della vita e speranza a quanti vivono nella disperazione e nella falsa certezza che nulla possa davvero cambiare al mondo.

 

Leggiamo infatti nel testo di questa prima lettura parole di incoraggiamento e fiducia in Dio: “Dite agli smarriti di cuore”, che devono avere coraggio e che non devono temere nessuno, in quanto viene il Signore a ricompensare e a  salvare. Questa sua venuta trasformerà le persone e il mondo. Infatti, “si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi, lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa, la terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d’acqua.

 

Persone, ambiente e natura beneficeranno di questa venuta, di questo avvento glorioso e purificatore di Dio tra gli uomini. Chiaro riferimento alla prima venuta di Cristo, il Messia sulla terra per salvarci dalla condizione disonorevole in cui eravamo.

 

La seconda parola del messaggio biblico di questa domenica, la troviamo scritta nella lettura del brano dell’apostolo Giacomo che ascoltiamo oggi, quale successivo motivo di meditazione in questo giorno del Signore, durante il quale si possono, forse più che negli altri giorni, fare delle discriminazioni, delle preferenze, avere un occhio di riguardo verso i potenti e trascurare gli umili e gli ultimi.

Questa parola è equità di trattamento verso tutti. L’apostolo ci fa un esempio, che non è molto lontano dai nostri abituali comportamenti, specie in certi ambienti sociali, politici, economici, di elìte, di interessi di vario genere, compresa la realtà della chiesa.

E proprio all’assemblea liturgica ed ecclesiale fa riferimento l’apostolo. Nessuno deve essere trattato meglio degli altri e con speciale attenzione rispetto a tutti i componenti della stessa assemblea.

Il trattamento deve essere uguale per tutti. Egli ci invita ad avere una condotta di massimo rispetto verso tutti, senza favoritismi verso qualcuno.

“Supponiamo  -egli scrive- che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi?”.

Il monito finale dell’esortazione che l’apostolo rivolge ai cristiani, non ammette eccezioni o congetture. E’ chiaro, e deve essere rispettato e seguito da tutti coloro che hanno una fede vera e un’etica cristiana corrispondente:  “Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?”.

L’opzione preferenziale per i poveri è sancita nei testi sacri. Per cui, come dice Papa Francesco, la chiesa deve essere povera, con i poveri e per i poveri, ma deve essere anche ricca di fede, di quella fede ricca che hanno le persone veramente credenti.

La ricchezza materiale, l’avidità, l’accaparramento dei beni del mondo e l’esaltazione della ricchezza e del potere escono fuori da una concezione autentica di vita cristiana.

Da qui la necessità di dare una svolta significativa alla Chiesa, soprattutto in questi tempi di forti contraddizioni sociali, economiche ed umane. Essere dalla parte degli ultimi, significa vivere il vangelo oggi e sempre, significa vivere di fede e non di economia.

 

La terza parola di meditazione oggi sui testi biblici la troviamo nel vangelo di oggi, nel testo della guarigione del sordo-muto che per opera di Gesù acquistò l’udito e la parola.

La fede si sa viene dall’ascolto e l’ascolto porta per se stesso all’annuncio. Quindi ascoltare per annunciare.

In un mondo in cui tutti parlano e anche fuori luogo e contesto, dicono sciocchezze di ogni genere, Gesù ci invita ad ascoltare Lui, la parola certa e vera, che non confonde le idee, non inganna, ma che le illumina di verità vera e di eternità. Bisogna capire il comportamento di Gesù nei confronti di questa persona ammalata nel corpo e nello spirito, considerato che la malattia fisica era conseguenza della malattia morale e spirituale, quindi manifestazione esteriore del peccato.

La prima azione che compie Gesù è precisa: “lo prese con se in disparte, lontano dalla folla”. La fede è un dono di Dio personale e si alimenta nel silenzio, nella preghiera, nell’essere in disparte con Gesù.

Poi “gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua”. Ciò sta a significare quanto sia importante l’ascolto e la parola per accogliere ed annunciare la gioia dell’incontro con Cristo nella fede, che è vita e rinascita, è miracolo continuo. Infine “guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!”. L’atto conclusivo di questo cammino di fede è aprirsi a Dio, una volta che Lui ci ha donato se stesso.

Se in noi manca questa apertura a Dio con tutto il nostro cuore, la nostra fede, la nostra religione è destinata a morire, a non dare segni di vitalità e di vita.

Solo se questa fede l’alimentiamo con il silenzio interiore, la preghiera, i sacramenti, con l’opportuna meditazione sulla parola di Dio che ascoltiamo, penso volentieri, almeno alla domenica, questa fede viene sostenuta in modo adeguato e continuativo.

Il sordomuto, dopo la perfetta guarigione del corpo e soprattutto dello spirito, non rispetta il comandamento del Signore che lo obbliga, coma tutti, a non propagandare il miracolo avvenuto, ma a tenerlo gelosamente tutto per sé.

Invece, come leggiamo nel vangelo di oggi (e questo è un fatto positivo) più Gesù “lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!”.

Ed è così, la gioia della vera fede non la si può nascondere, è incontenibile, ma la si può tenere nel segreto, ha bisogno di essere annunciata e manifestata senza protagonismi personali, ma semplicemente con quella gioia che si ha nel cuore e che deve diffondersi intorno a noi con la parola, con la testimonianza, con il buon esempio e il buon odore della santità.

Sia questa la nostra preghiera di questa domenica di inizio settembre, dopo le ferie e le vacanze estive, che certamente, mi auguro, non siano state vacanze anche nella cura della vita spirituale: “O Padre, che scegli i piccoli e i poveri per farli ricchi nella fede ed eredi del tuo regno, aiutaci a dire la tua parola di coraggio a tutti gli smarriti di cuore, perché si sciolgano le loro lingue e tanta umanità malata, incapace perfino di pregarti,  canti con noi le tue meraviglie”. Amen.

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 30 AGOSTO 2015

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XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

DOMENICA 30 AGOSTO 2015 

IL CUORE LONTANO DA DIO E’ UN CUORE FALSO E INFELICE 

Commento di padre Antonio Rungi

Il Vangelo di questa domenica XXII del tempo ordinario dell’anno liturgico, ci offre l’opportunità di riflettere sul nostro modo di amare Dio, di onorarlo, di pregarlo. In altre parole ci responsabilizza di fronte al modo di credere e di esplicitare la fede anche attraverso il vero o falso culto. E’ Gesù stesso che fa osservare come ci  rapportiamo a Dio in un modo inautentico, falso, fatto solo di apparenze, di formule e forme. Invece abbiamo necessità di rivolgerci a Dio con tutto il cuore, la mente e le nostre forze.

La preghiera del cuore e con il cuore, che ti prende totalmente, anche su un piano di decisioni che devi assumere per il tuo bene, è molto lontano dalla pratica dei cosiddetti credenti del tempo di Gesù e di tantissimi, oggi, che si dicono cristiani e non lo sono, perché vivono solo un cristianesimo di facciata, di superfice, di visibilità.

In un mio recente pellegrinaggio al Santuario della Mentorella, vicino Roma, nel quale sono arrivato per la prima volta, dopo tanti anni di vita sacerdotale, notavo questo scritta, sopra la cima della scala, che interseca la roccia e che si trova fissata in una lapide sotto alle campane del Santuario: “Non far da campanaro, se il tuo cuore non batte da cristiano”.

Effettivamente è così.  Non possiamo alzare la voce, gridare la nostra fede, elevare al cielo le nostre preghiere e suonare le campane per dire tutto il bene che facciamo, se quello che diciamo, facciamo e trasmettiamo non è fatto con un cuore davvero cristiano, credente, sensibile al bene. Altrimenti siamo sulla stessa scia dei farisei del tempo di Gesù, che il Divino Maestro condanna senza mezze misure:«Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».

Molte delle questioni che spesso si affrontano anche nelle nostre comunità cristiane sono solo formali, esteriori, non si va al cuore delle vere problematiche, di ciò che conta ed è sostanziale.

Basta che sta a posto la forma, la sostanza può anche essere trascurata. Invece non deve essere così.

Gesù stesso ci indica dove sta il male e come lo manifestiamo nei nostri comportamenti quotidiani. Il male sta dentro di noi, nei nostri cuori corrotti e immorali, che non sentono più la voce della coscienza, la voce di Dio e l’appello continuo alla conversione:«Dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

E’ la fotografia del tempo di Gesù;  è lo specchio del mondo d’oggi, particolarmente abituato a volere e a fare il male agli altri.

Mettiamoci in sintonia con la Parola di Gesù e convertiamoci ad un stile di vita nuova, in cui cerchiamo davvero il bene e lo facciamo con tutto il cuore. Perché se il cuore è deteriorato nel campo della morale, le conseguenze le conosciamo quali sono: un disastro morale, che Papa Francesco chiama corruzione, mentalità e stile mondano di vivere, mancanza di apertura alla trascendenza, all’eterno, allo spirito che dà la vita.

Per riscattarci, tutti, dalla condizione, spesso disonorevole per noi stessi e per gli altri, in cui siamo e viviamo, è necessario, urgente e improcrastinabile attuare quello che ci viene raccomandato di fare nella prima lettura di oggi, tratta dal Libro del Deuteronomio, in cui Mose, in nome di Dio, parla al popolo d’Israele e lo mette di fronte alle sue fondamentali scelte di vita e che non sono altro l’osservanza dei comandamenti di Dio:Ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi. Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo. Le osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi”, si renderanno conto della speciale attenzione di Dio nei confronti del popolo eletto.

Dobbiamo far nostro anche l’invito che, con grande semplicità, ci trasmette l’Apostolo Giacomo nel brano della sua lettera che oggi ascoltiamo:Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi. Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo”. La carità, l’amore verso gli altri, la speranza e la fede nell’eternità devono spingerci ad agire in questo modo per aiutare concretamente chi sta nel bisogno.

La religione pura, non è un insieme di preghiere e di orazioni recitate tanto per abitudine, ma è quella di vivere con purezza e senza macchia alcuna davanti a Dio. E purtroppo le macchie hanno imbrattato la nostra originaria innocenza battesimale. Per cui, oltre al sacramento della misericordia e del perdono che dobbiamo valorizzare, c’è la carità da vivere, in quanto questa estingue molti peccati.

Solo chi sa amare e sa donarsi, che non è chiuso in se stesso, sa anche capire il bisogno dell’altro e venire incontro a lui, con la generosità e la carità vera, e non solo di facciata o di beneficenza occasionale, sta sulla via giusta.

Ci viene ricordato, a tale proposito, quello che leggeremo nel Salmo responsoriale di questa domenica, quale persona sia davvero gradita  a Dio. “E’ colui che cammina senza colpa, pratica la giustizia e dice la verità che ha nel cuore, non sparge calunnie con la sua lingua. Non fa danno al suo prossimo e non lancia insulti al suo vicino”.

Riflettiamo poi su queste ulteriori espressioni di San Giacomo, che ascolteremo in questa domenica ultima di agosto 2015: “Fratelli miei carissimi, ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce: presso di lui non c’è variazione né ombra di cambiamento. Per sua volontà egli ci ha generati per mezzo della parola di verità, per essere una primizia delle sue creature”.

E nel concludere anche la nostra meditazione in questo giorno di festa e di gioia che è la domenica, non dimentichiamo di rivolgerci a Dio con queste parole che sono le stesse della preghiera iniziale della messa di questa giornata: “Guarda, o Padre, il popolo cristiano radunato nel giorno memoriale della Pasqua, e fa’ che la lode delle nostre labbra risuoni nella profondità del cuore: la tua parola seminata in noi santifichi e rinnovi tutta la nostra vita”. Amen.

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 23 AGOSTO 2015

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XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)
DOMENICA 23 AGOSTO 2015

 

SERVIRE IL VERO DIO O SERVIRE GLI IDOLI DI IERI E DI SEMPRE?

Commento di padre Antonio Rungi

 

Il testo della prima lettura della parola di Dio di questa XXI domenica del tempo ordinario, tratto dal Libro di Giosuè, si colloca perfettamente nel clima vacanziero che ancora interessa buona parte della gente del nostro paese.

La domanda che Giosuè pone al popolo d’Israele, quale nuovo responsabile della comunità, è chiara: Chi volete servire?  Il nostro vero Dio, che si è manifestato in tanti modi nella nostra vita e nella nostra storia, oppure servire altri dei che non ci appartengono per fede, cultura, tradizione, per modo di essere e pensare la vita religiosa, umana, politica, sociale?

Un interrogativo che viene posto anche a noi cristiani del XXI secolo e alla quale dobbiamo dare una risposta personale e collettiva.

Israele nella sua piena coscienza di essere popolo eletto, risponde con decisione e sicurezza: “Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dèi!”.

Una risposta che impegna nella fedeltà a Dio e alla sua legge, che impegna nel cammino della fede e che non ammette più indecisioni e dubbi.

Anche noi, cristiani del nostro tempo dovremmo avere quella certezza della fede che Israele manifestò allora, almeno a parola, e ripetere ancora oggi: noi vogliamo servire solo il Signore, noi vogliamo metterci alla sequela di Cristo, nostro Maestro e nostra guida nel tempo e meta ultima della nostra vita, oltre questa vita. Non ci possono essere dubbi ed incertezze su questa certezza di fede che Cristo è nostro Redentore e Salvatore. Non può essere messa in discussione la nostra profonda fede cristiana cattolica, che, chiaramente, ha necessità di essere annunciata, vissuta e testimoniata. Non basta solo dire essere cristiani, dire di aver fede e credere; è obbligatorio, da un punto di vista etico, vivere questa fede e viverla in profondità e con convinzione. Altrimenti rischiamo di fare solo discorsi vuoti ed insignificanti, magari anche alti e qualificati da un punto di vista biblico, teologico, religioso e morale; ma poi nella concretezza dei fatti e della vita siamo molto lontani dal concretizzare quello impegno di vita espresso per noi e per tutti da quel popolo eletto da Dio che un giorno, una volta arrivato alla terra promessa e alla terra della libertà, riconoscente a Dio per quanto aveva fatto ed operato, disse con forza: lontano da noi servire altri dei.

Lontano da noi servire gli idoli che il mondo di ieri e di oggi costruisce continuamente contro il vero Dio ed in opposizione a lui. E sono tanti questi idoli del mondo di oggi: dal successo, alla carriera, al denaro, al piacere, al godimento materiale che si pensa possa riempire il cuore e la vita di chi rincorre false gioie, che non è la vera gioia che viene dalla comunione profonda con il Signore.

La gioia di essere in comunione con il Signore e di essere in comunione tra di noi, a partire dal luogo privilegiato in cui questa comunione di beni e di amore si deve realizzare e vivere quotidianamente e costantemente come è la famiglia.

Infatti, nel secondo brano della parola di Dio di questa domenica XXI del tempo ordinario, ci viene proposto da San Paolo Apostolo, nella sua lettera agli Efesini il tema dell’alta dignità del matrimonio e della vita coniugale, che deve essere una vita di amore o di sottomissione l’uno all’altro dei coniugi per un progetto di vita insieme, che interessa tutta l’esistenza, e che va esplicitato con un comportamento di fedeltà, di armonia, pace, reciproca obbedienza, sostegno, incoraggiamento, stima.

Quanto siamo lontani oggi da questi valori e stili di vita, lo sappiamo benissimo, soprattutto noi del mondo occidentale, in cui la dignità e il valore del matrimonio solo calati moltissimo. Certo, bisogna, come ci dice Papa Francesco, essere accoglienti e vicino alle famiglie in difficoltà e nessuno può essere escluso (scomunicato) dalla chiesa per motivi che riguardano le relazioni interpersonali tra i coniugi, con i loro drammi, problemi e difficoltà;  ma è pur vero che dobbiamo sviluppare una pastorale di vera formazione e preparazione al matrimonio sacramento, quale luogo dell’amore vero tra due persone di sesso maschile e femminile che decidono di fare un cammino insieme nell’amore e nel reciproco aiuto. La moglie e il marito, la donna e l’uomo devono sperimentare la gioia di stare insieme e di aprirsi al dono della vita, dei figli e costituire famiglie salde e sante. “Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne”.

La forza della fede e della fedeltà, l’esperienza della vera e gioia e felicità ci vengono solo da Gesù. Egli è la parola certa, è il Maestro che non inganna, il testimone credibile, il pane vero di Dio, disceso dal cielo per alimentare le vere speranze dell’uomo sulla terra.

Ecco perché di fronte ai discorsi di Gesù, a volte molto duri, a volte apparentemente difficili da capirsi, a volte impegnativi nel modificare l’assetto della propria vita, del proprio modo di pensare ed agire, molti lasciano Gesù, mentre egli insegna per le vie della sua Palestina, in quei luoghi dove era conosciuto, apprezzato, ma anche umiliato, disprezzato, rifiutato, fino al punto tale da condannarlo a morte mediante il supplizio della croce.

Di fronte all’abbandono di diversi suoi discepoli, Gesù, legittimamente pone la domanda al gruppo dei Dodici che Egli si era scelto, confidando su di loro e riponendo in loro la sua fiducia. Gesù ha chiara la situazione di quanti lo seguono e per quali motivi lo seguivano.Sapeva, infatti, fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito”. Ecco perché chiede proprio ai suoi più stretti collaboratori, ai suoi Dodici apostoli:  «Volete andarvene anche voi?». A prendere la parola è Pietro, su cui Gesù aveva posto la sua speciale attenzione e speranza per guidare la sua chiesa, che stava costruendo, piano piano, nel loro cuore, nella loro mente e nella loro vita, di quei semplici pescatori e persone del popolo che egli associò a se nella missione. Pietro, si fece coraggio e rispose a nome di tutto il gruppo, con parole vere e sincere, che rivelano l’azione dello Spirito Santo in questo uomo incerto e dubbioso, fino al punto tale che nella passione rinnegherà Gesù, per la poca fede che stava in  lui e in tutto il gruppo: «Signore – afferma Pietro – da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

Questa professione di fede schietta, sincera, autentica ci impegna oggi, sulla scia dell’insegnamento di tutti i successori di Pietro, che sono i Vescovi di Roma e i Sommi Pontefici, e di tutto il collegio apostolico, costituito dai successori degli apostoli e che sono i vescovi, a rinnovare la nostra professione di fede e la nostra fiducia piena e totale in Gesù Cristo.

Eleviamo a Dio la nostra lode e la nostra preghiera in questo giorno di festa e giorno di fede, perché la Domenica è giorno del Signore e la fede va vissuta e testimoniata davanti alla comunità con la nostra partecipazione, convinta e sentita all’Eucaristia, e lo facciamo con la orazione iniziale della messa di oggi: “O Dio nostra salvezza, che in Cristo tua parola eterna ci dai la rivelazione piena del tuo amore, guida con la luce dello Spirito questa santa assemblea del tuo popolo,  perché nessuna parola umana ci allontani da te unica fonte di verità e di vita”. Amen.

ALGHERO (SS). E’ MORTO PADRE FORTUNATO CIOMEI, DECANO DEI PASSIONISTI

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Alghero (SS). E’ morto padre Fortunato Ciomei, decano della Congregazione dei Passionisti. Aveva 106 anni. Martedì 18 agosto i funerali. 

di Antonio Rungi

All’età di 106 anni, domenica 16 agosto 2015, è morto padre Fortunato Ciomei, sacerdote passionista, che, da 40 anni, viveva nella comunità di Santa Maria Goretti in Alghero (Sassari). 

Padre Fortunato del Sacro Cuore di Maria, nato il 9 aprile 1909, era entrato giovanissimo tra i passionisti della Provincia della Presentazione, quella fondata da San Paolo della Croce e professava tra i passionisti il 14 ottobre 1926. 

Completati gli studi filosofici e teologici e il periodo di formazione in preparazione al sacerdozio, veniva ordinato presbitero il 23 dicembre 1933. 

Un anno e mezzo fa celebrava, infatti, solennemente nella Diocesi di Alghero- Bosa il suo 80° anniversario di ordinazione sacerdotale, tra la gioia di quanti hanno avuto modo di apprezzare in questo umile, sapiente sacerdote il carisma di san Paolo della Croce, soprattutto nel ministero della riconciliazione, della penitenza e della confessione. 

Direttore spirituale e confessore di vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, di fedeli laici, ad Alghero, dove viveva ed esercitava il suo ministero, padre Fortunato Ciomei era diventato un punto di rifermento spirituale per tutti. Al punto tale che ogni giorno, dalla mattina alla sera c’erano code interminabili di fedeli che volevano incontrarlo, avendo conservato tutta la sua intelligenza e sapienza fino all’ultimo istante della sua vita. Un sacerdote ed un religioso di altri tempi, si potrebbe definire, ma aperto ed aggiornato sulle problematiche ecclesiali, sociali e umanitarie.

Autore di vari opuscoli di spiritualità passionista è stato lo scopritore della vera immagine e fotografia di santa Maria Goretti di cui era un grande devoto. Tanto è vero che la casa religiosa dei passionisti di Alghero, fortemente voluta e sostenuta da lui, è stata dedicata proprio alla Martire della purezza delle Ferriere di Nettuno.

I solenni funerali di padre Fortunato Ciomei si svolgeranno nella Chiesa parrocchiale di Santa Maria Goretti in Alghero, martedì 18 agosto 2015, alle ore 11,30 e saranno, quasi sicuramente, ufficiati dal Vescovo di Alghero, monsignor Mauro Maria Morfino, vedrà la partecipazione delle massime autorità generali, provinciali e regionali dei Passionisti di tutta la Congregazione, fondata da San Paolo della Croce, nonché delle autorità civili, militari e religiose del territorio, dove padre Fortunato erano notissimo. A darne la notizia della morte è stata la comunità passionista di Alghero e i familiari dello stimatissimo religioso, figlio spirituale di san Paolo della Croce, alla cui scuola si è formato e poi ha esercitato il suo ministero di apostolo del confessionale, vivendo tra i passionisti quasi 100 anni, di cui quasi 90 di professione religiosa e 80 anni di vita sacerdotale. Un ministero che ha svolto in varie comunità dell’ Ex- Provincia della Presentazione (oggi Regione) e ricoprendo vari uffici. A novembre scorso aveva partecipato agli esercizi spirituali che la Curia generale, guidata da padre Joachim Rego, aveva tenuti nella comunità passionista di Alghero, (superiore locale padre Antonio Coppola) con grande gioia e riconoscenza dello stesso padre Fortunato Ciomei.

Negli ultimi tempi, data l’età avanzata, padre Fortunato a conclusione del suo ministero quotidiano, passava a salutare i fedeli, accompagnato dai suoi più stretti collaboratori. Un novello padre Pio, anche se della Congregazione dei Passionisti. E che padre Fortunato fosse nel cuore della gente e godesse di una stima grandissima si evince dai post che circolano su Fb e che commentano la sua morte. Anna Langella di Alghero scrive: “Ho avuto la fortuna di stare vicino a padre Fortunato, dal momento che sono di Alghero. Per noi è un santo. Ci mancherà molto”. Maria Angela Specchia afferma: “Ha vissuto in pienezza la vita di Cristo, ora gode della gloria eterna”. Pietro Riu: “E’ stato per noi una grande guida e un importante riferimento nei momenti più difficili”.  Angela Pisu: “Ho avuto il privilegio di conoscerlo e ne ringrazio il Signore”. Maura Uggias: Ho avuto il piacere di conoscerlo e di confessarmi da lui. L’ultima volta l’ho incontrato la scorsa estate e devo dire che nell’anima ho percepito forte la sua santità”.

FESTA DI SAN ROCCO -DOMENICA 16 AGOSTO 2015

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LECTIO DIVINA 

FERRAGOSTO 2015 NEL SEGNO DELLA CARITA’ 

FESTA DI SAN ROCCO -16 AGOSTO 2015 

Commento di padre Antonio Rungi 

La solidarietà non va in vacanza, soprattutto d’estate, mentre, forse, noi e tanti altri siamo in vacanza. Non va in vacanza neppure la fame, il bisogno. Non vanno in vacanza le necessità di tanti poveri della nostra terra o che arrivano da noi e ci chiedono un pezzo di pane, un lavoro. Ci chiedono accoglienza e noi li rifiutiamo.  In una nazione come l’Italia, dove gli immigrati sono di casa, anzi sono in crescente numero di presenza, questo discorso dell’accoglienza capita a proposito a Ferragosto 2015. obbiamo accogliere nel rispetto della legge e della norma civile, ma dobbiamo accogliere come cristiani ed esseri umani nel nome di quel Vangelo della carità e della solidarietà che Gesù Cristo ci ha insegnato e che non possiamo dimenticare, perché prevalgono i nostri interessi locali, nazionali, europei, mondiali, sul rispetto che si deve ad ogni persona umana, soprattutto se è un bambino, una donna, un ammalto, un povero che ci tende la mano per chiedere aiuto a chi questa mano la potrebbe dare, ma non la dà.  In questi giorni di agosto, tante parole sono state dette e scritte per la questione dell’accoglienza degli immigrati in Italia e in Europa. Valgano su tutte, le parole del Santo Padre, Papa Francesco che si ispirano al Vangelo e partono dal Vangelo, che si deve portare soprattutto nel cuore e non solo tra le mani o sulla bocca, per ricordare a ciascuno di noi, quanto ha detto Gesù, in riferimento al giudizio universale: “Ero forestiero e non mi avete ospitato”. E a Lui, che sa tutto e ci conosce benissimo, non potremmo dire neppure: “Signore quando sei stato forestiero e non ti abbiamo ospitato?”. Egli ci dirà: “Dalla mattina alla sera stavo accanto a voi e voi mi avete girato le spalle, facendo finta di non conoscermi, di non appartenervi, non essere tra i vostri eletti e prediletti. Cosa potrà dirci il Signore? Avete fatto bene a cacciarmi via? No assolutamente! Ma ci butterà via Lui, dalla sua eternità, perché non abbiamo vissuto nell’amore, nella carità. Non abbiamo accolto, abbiamo sempre rifiutato, espulso e mai ospitato.Queste considerazioni di carattere evangelico si addicono perfettamente al tempo che stiamo vivendo, in questo Ferragosto 2015, che ha riportato alla nostra attenzione il dramma dell’immigrazione, tra tante inutili polemiche, mentre la gente soffre e muore in tante parti del mondo, tra l’indifferenza generale dei potenti. Domenica  16 agosto 2015, terza domenica del mese delle ferie, all’indomani della solennità dell’Assunta, la chiesa ci offre come modello di santità un santo francese. San Rocco di Montpellier. Un santo di quella Francia rivoluzionaria che tanto parla di uguaglianza, libertà e fraternità e che all’atto pratico non attua, poi nella vita politica e normativa. Davanti a noi ci sono anche le immagini degli immigrati rifiutati alla frontiera di Ventimiglia, tra l’Italia e la Francia, nei mesi scorsi. Chiaro avviso che loro di immigrati non ne vogliono sul loro territorio, soprattutto se vengono dall’Italia. Sappiamo pure che l’Europa ha restituito all’Italia oltre 12.000 immigrati irregolari, entrati nel nostro Paese, nei modi illegali che ben conosciamo. Il resto d’Europa non accoglie e non vuole accogliere. L’Italia rimane l’unico Paese al mondo, di transito o di definitiva accoglienza dei tanti profughi dalle guerre, di tante donne, bambini e giovani in cerca della salvezza. Il Mare Nostrum, il Mare Mediterraneo, invece di essere il mare della vita è diventato il mare della morte. Un grande cimitero di acqua e in  acqua che ha accolto le salme di oltre 2500 immigrati, annegati, dall’inizio di questo anno 2015 fino ad oggi. Il Mare nostrum è diventato il Mare monstrum, il mare del mostro della mancanza d’amore e di carità verso questi nostri fratelli disperati e in cerca di una speranza di vita.

San Rocco, era straniero, di origine francese, e venne in Italia da pellegrino, per sollevare le sofferenze di tanti appestati del nostro Paese. E’ un esempio che vale la pena ricordare in questi giorni di festa, ferie e vacanze estive. Vale la pena ricordare anche di fronte alle tante polemiche accese tra la chiesa italiana e una parte della politica italiana. Leggiamo la storia, anche se leggendario di questo francese forestiero nel nostro Paese.  San Rocco nacque a Montpellier (Francia), secolo XIV – e morì il 16 agosto di un anno imprecisato. Il nome Rocco di origine tedesca  significa grande e forte, o di alta statura.  Le fonti su di lui sono poco precise e rese più oscure dalla leggenda. In pellegrinaggio diretto a Roma dopo aver donato tutti i sui beni ai poveri, si sarebbe fermato  ad Acquapendente, dedicandosi all’assistenza degli ammalati di peste e operando guarigioni miracolose che ne diffusero la sua fama. Peregrinando per l’Italia centrale si dedicò ad opere di carità e di assistenza incoraggiando  continue conversioni. Sarebbe morto in prigione, dopo essere stato arrestato presso Angera da alcuni soldati perché sospettato di spionaggio. Si dice che solo un cane provvide alle sue necessità materiali portandogli un po’ di pane che il suo padrone gli dava per farlo mangiare. Da qui nell’iconografia e nei detti popolari di “San Rocco e il cane”.  Invocato nelle campagne contro le malattie del bestiame e le catastrofi naturali, il suo culto si diffuse straordinariamente nell’Italia del Nord, legato in particolare al suo ruolo di protettore contro la peste. E’ protettore delle persone diversamente abili, dei carcerati e dei malati infettivi. Altri segni distintivi della sua santità e della sua fama sono la Croce sul lato del cuore, l’Angelo, e i Simboli del ellegrino.

A San Rocco affidiamo i tanti ammalati di peste, di malattie infettive e tante persone diversamente abili che necessitano di essere accudite con amore e con la stessa passione con la quale san Rocco curò i suoi ammalati di peste e con la stessa generosità di questo grande santo, amato al Nord come nel Sud Italia ed esempio di amore verso le persone bisognose del mondo. E lo facciamo con una celebre preghiera della Beata Madre Teresa di Calcutta: “Vuoi le mie mani?”. 

Signore, vuoi le mie mani per passare questa giornata aiutando i poveri e i malati che ne hanno bisogno? Signore, oggi ti do le mie mani. 

Signore, vuoi i miei piedi per passare questa giornata visitando coloro che hanno bisogno di un amico? Signore, oggi ti do i miei piedi. 

Signore, vuoi la mia voce per passare questa giornata parlando con quelli che hanno bisogno di parole d’amore? Signore, oggi ti do la mia voce. 

Signore, vuoi il mio cuore per passare questa giornata amando ogni uomo solo perché è un uomo? Signore, oggi ti do il mio cuore.

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 16 AGOSTO 2015

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XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)
DOMENICA 16 AGOSTO 2015

Essere saggi e previdenti nel tempo che il Signore ci ha concesso

Commento di padre Antonio Rungi

La mia riflessione di questa XX domenica del tempo ordinario dell’anno liturgico, che capita all’indomani della grande solennità dell’Assunzione al cielo in corpo ed anima della Madre di Dio e Madre nostra, la Vergine Santissima, ma anche nella ricorrenza della memoria liturgica di un grande santo, tra i più amati e venerati, soprattutto in alcune zone, ed è San Rocco, l’apostolo della carità, parte dalla seconda lettura di oggi, tratta dalla bellissima e stimolante lettera di san Paolo Apostolo agli Efesini che ci sta accompagnando in queste domeniche e ci sta indicando il cammino etico e virtuoso che dobbiamo fare, se vogliamo essere dei buoni cristiani, oggi e sempre.

Dobbiamo fare molta attenzione al nostro modo di vivere. In poche parole è necessario riflettere suo nostro modo di comportarci. Fare il nostro esame di coscienza e verificare il grado di corrispondenza tra ciò che è dovere fare e quello che effettivamente facciamo. Anzi ciò che dobbiamo essere in una visione cristiana dell’esistenza e ciò che in realtà siamo. E allora come dobbiamo comportarci? San Paolo senza girare intorno alle parole e senza falsità dice che non dobbiamo comportarci  “da stolti ma da saggi”.  

E poi “facendo buon uso del tempo”, allertandoci e mettendoci in guarda  sul fatto che “i giorni sono cattivi”. A ciò si aggiunga poi che non dobbiamo essere sconsiderati, ma saper discernere  la volontà del Signore nella nostra vita.

Si tratta di un cammino di autocoscienza ed autoconoscenza che impegna le nostre migliori facoltà spirituali, morali ed umane, oltre che intellettive ed operative. Un cammino che tutti dobbiamo fare, se non vogliamo sciupare il tempo che il Signore ci ha concesso in vista dell’eternità. E allora devono essere banditi dal nostro stile di vita tutto ciò che contrasta con una moralità cristiana e con il dominio di se stessi. L’Apostolo, infatti, raccomanda ai cristiani di Efeso di non ubriacarsi di vino, che fa perdere il controllo di sé. Il problema dell’alcoolismo, quello delle droghe, delle sballo sono all’ordine del giorno nella cronaca del mondo moderno a livello locale e mondiale. Problema sociale e morale serio che andava affrontato al tempo di Paolo, ma soprattutto nel nostro tempo che offre a tutti, specie ai giovani, tante forme di ubriacature o di paradisi artificiali, che distruggono la vita e portano solo alla morte in tutti i sensi. Il cristiano che si lascio  ricolmare dello Spirito del Signore è una persona saggia e felici. Infatti chi fa l’opzione per la preghiera e la vita interiore sceglie un altro tipo di intrattenimento che è quello della preghiera e della lode a Dio, dei salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il cuore, “rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo”. Ecco la vita secondo lo spirito che già gioia e vera felicità, rispetto a tante altre apparenti felicità costruite sul nulla e sull’illusorio e sulla droga.

Chiedere quindi a Dio la sapienza e l’intelligenza per affrontare la vita nel modo migliore come ci suggerisce la prima lettura di oggi, tratta dal libro dei Proverbi:«Chi è inesperto venga qui!». A chi è privo di senno ella dice: «Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato. Abbandonate l’inesperienza e vivrete, andate diritti per la via dell’intelligenza».

La nostra sapienza vera e certa è Gesù Cristo. Egli stesso, anche oggi, nella conclusione del capitolo sesto del Vangelo di Giovanni, sul discorso del pane della vita, ribadisce il concetto che la vera vita sta in Lui e nulla può compensare la mancanza di Dio e di Cristo nella vita di una persona. Nessuno può sostituire Gesù, come vero cibo e vera bevanda, come pane e come vino per dare la vera energia spirituale alla nostra vita terrena e materiale. Se non mangiamo la carne del Figlio dell’uomo e non beviamo il suo sangue, non avremo in voi la vita. Chi mangia la carne di Gesù e beve il sangue di Cristo ha la vita eterna e Gesù stesso lo risusciterà nell’ultimo giorno. Perché la carne di Cristo è vero cibo e il sangue di Gesù è vera bevanda. Ecco, perché Gesù afferma in questo celebre discorso sul pane della vita: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me”. Vivere con Cristo e per Cristo, questo è il nostro vero scopo in questa vita, nella speranza di continuare a vivere con Lui per l’eternità. Sia questa la nostra umile preghiera oggi, che rivolgiamo a Dio dal profondo del nostro cuore: “O Dio, che hai preparato beni invisibili  per coloro che ti amano, infondi in noi la dolcezza del tuo amore, perché, amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa, otteniamo i beni da te promessi,  che superano ogni desiderio. Amen.

COMMENTO ALLA SOLENNITA’ DELL’ASSUNTA 2015

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ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA
SABATO 15 AGOSTO 2015

MARIA, GIARDINO DI DIO, DOVE ATTENDE TUTTI I SUOI FIGLI

Commento di padre Antonio Rungi

La solennità dell’Assunzione dal cielo della Madonna, in anima e corpo, ci porta istintivamente a pensare al Paradiso. In fondo, il paradiso non è altro il giardino di Dio, dove tutti i fiori più belli vengono accolti e costituiscono l’armonia dell’insieme nell’eternità di Dio. In questo giardino eterno, nel santo paradiso, vi è entrata in anima e corpo, unico caso nella storia della salvezza, la Vergine Maria, assunta alla gloria del cielo con la sua anima e con la sua corporeità. Lei ha dato inizio a quel paradiso, dove un giorno, ci auguriamo possiamo entrare anche noi suoi devoti e suoi figli amatissimi. Maria, infatti, è il tramite più naturale per portarci a Gesù e farci  entrare nell’eternità. Per poi uomini pellegrini sulla terra, nel mistero dell’Assunzione al cielo della Vergine Santa, si apre una chiara prospettiva di salvezza eterna nella duplice dimensione spirituale e corporale, per cui la persona umana, nella sua integrità va amata e rispettata, dal momento del concepimento al sua naturale termine che è sorella morte, come la definiva San Francesco d’Assisi. San Giovanni Damasceno, anticipando il dogma dell’Assunzione della Madonna, proclamato da Pio XII, nel 1950, così scriveva: «Colei che nel parto aveva conservato illesa la sua verginità doveva anche conservare senza alcuna corruzione il suo corpo dopo la morte. Colei che aveva portato nel suo seno il Creatore, fatto bambino, doveva abitare nei tabernacoli divini. Colei, che fu data in sposa dal Padre, non poteva che trovar dimora nelle sedi celesti. Doveva contemplare il suo Figlio nella gloria alla destra del Padre, lei che lo aveva visto sulla croce, lei che, preservata dal dolore, quando lo diede alla luce, fu trapassata dalla spada del dolore quando lo vide morire. Era giusto che la Madre di Dio possedesse ciò che appartiene al Figlio, e che fosse onorata da tutte le creature come Madre ed ancella di Dio». Un altro  padre della Chiesa, san Germano di Costantinopoli, che aveva intuito in anticipo questa verità di fede scriveva: «Tu, come fu scritto, sei tutta splendore (cfr. Sal 44, 14); e il tuo corpo verginale è tutto santo, tutto casto, tutto tempio di Dio. Per questo non poteva conoscere il disfacimento del sepolcro, ma, pur conservando le sue fattezze naturali, doveva trasfigurarsi in luce di incorruttibilità, entrare in una esistenza nuova e gloriosa, godere della piena liberazione e della vita perfetta».

Il padri e il magistero della Chiesa, nell’affermare questa verità di fede si rifanno ai testi biblici e a tutta la storia di questa donna unica e irripetibile nella storia dell’umanità e della salvezza, a partire da quel Si che Maria ha detto all’Angelo nel momento dell’Annunciazione. Testi che in questa solennità dell’Assunta ci aiutano a capire ulteriormente il senso di questa celebrazione e di questo mistero della fede, che anche mistero del santo rosario che preghiamo nella corona dei misteri della gloria. Il libro dell’Apocalisse che oggi leggiamo ci fa immergere con il pensiero, la mente e la meditazione nella gloria del cielo. In esso leggiamo: Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto…Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e verso il suo trono”. Questo testo più di carattere escatologico ed ecclesiologico, i biblisti lo attribuiscono anche alla figura luminosa di Maria, la Madre di Gesù, la donna che genera alla vita terrena il Figlio di Dio, il Salvatore del Mondo, il Redentore, il Re dei Re. Lei Madre del Re dei Re, è anche la Regina di tutto il Regno di amore, giustizia, verità che Gesù Cristo è venuto ha impiantare sulla terra, nell’attesa della Pasqua senza fine, quando, nel giudizio universale anche i morti risorgeranno per sempre per una vita eterna. Sempre l’Apocalisse ci rammenta che dopo il parto, la donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio. E di uno speciale cammino ed itinerario mariano leggiamo nel vangelo di questa solennità, che è quello della visitazione, che è cammino di amore, di carità, di accoglienza, di servizio generoso della Madonna verso la sua cugina Elisabetta., Infatti, l’evangelista Luca, il grande devoto, scrittore e pittore di Maria, scrive in questo bellissimo testo: “In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Il che sta a significare il senso più vero della devozione mariana che ogni discepolo di Gesù, ogni vero cristiano deve alimentare quotidianamente non solo con le devozioni personali, ma con la preghiera mariana per eccellenza che è il santo Rosario. Si va in paradiso e si alimenta la speranza di una risurrezione finale per la vita, se sull’esempio di Maria viviamo l’amore e la carità verso Dio e verso i fratelli, con la mente sempre fissa sui beni eterni e non sulle cose terrene che passano e svuotano di senso la nostra esistenza. Cristo nella sua risurrezione ha vinto al morte e Lui la primizia dell’umanità nuova risorta. Dopo Gesù nella scala dei valori, di chi conta, dopo la santissima Trinità, c’è proprio Lei, la Madonna, la Madre di Dio e Madre nostra che Gesù ha voluto associata a se nella vita terrena e nell’eternità, nella totalità della sua persona. Ecco perché Gesù ha preso tra le sue braccia la sua mamma, Maria, come Lei lo prese tra le sue braccia, quando venne alla luce in questo mondo, nel suo grembo verginale, per opera dello Spirito Santo, e l’ha portata con se nel giardino del Paradiso, dove questo fiore unico, splendente di ogni luce, attende tutti noi e prega il suo figlio, perché nessuno dei suoi figli vada perduto nel giardino della morte eterna, ma tutti arrivino al giardino di Dio, ala giardino della vita eterna. Sia questa la nostra preghiera nel giorno in cui eleviamo il nostro sguardo al cielo, dove Maria è stata assunta e proclamata Regina degli Angeli e dei Santi.

Vergine Santissima,

Madre del monte della preghiera,

salga a te dal nostro cuore

l’umile supplica di chi in Te

ripone speranza e gioia.

 

Nelle afflizioni della vita,

nella valle di tante lacrime umane

Tu ci inviti a salire la santa montagna

della fede, della speranza e della carità.

 

Vergine del monte della gioia,

fa che gli uomini di questa martoriata terra,

assetati di vera felicità,

possano incontrare Cristo,

il Verbo di Dio, fatto uomo,

nel tuo grembo purissimo e immacolato.

 

Maria, Vergine del monte della meditazione,

insegnaci ad amare il silenzio,

la preghiera e il raccoglimento,

ponendo al centro della nostra esistenza,

Gesù Cristo, la Parola del Dio vivente,

uscita dal silenzio per parlare agli uomini

dell’infinito amore delle Tre Santissime Persone.

 

Vergine del monte della perfetta letizia.

comunicaci la gioia di stare con Cristo,

in questa vita piena di contraddizioni e croci.

Proteggici dalle mille difficoltà e dai pericoli

che incombono su questa umanità,

che non riesce a costruire un mondo

d’amore e di pace.

 

Vergine della Santa Montagna

attira a Te i cuori induriti,

senza amore e senza Dio.

Fa che ogni uomo e donna

di questa problematica terra,

possa sperimentare il tuo stesso amore

con il quale ti sei donata al Tuo e nostro Signore. Amen.

(Preghiera di padre Antonio Rungi)

SCAURI. LA SOLIDARIETA’ NON VA IN VACANZA D’ESTATE

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SCAURI (LT). LA SOLIDARIETA’ NON VA IN VACANZA D’ESTATE

La solidarietà e la carità non vanno assolutamente in vacanza d’estate, anzi è il tempo più favorevole per aiutare gli altri e magari, rinunciare a qualcosa di proprio, comprese le vacanze per aiutare chi sta in necessità. In questo clima di solidarietà estiva, nella parrocchia di Sant’Albina in Scauri (Lt), guidata dal dinamico parroco, don Simone Di Vito, che in estate, le famiglie si sentono maggiormente coinvolte dal progetto “aiutiamo chi è nel bisogno”. Un’esperienza singolare è quella che una coppia di sposi napoletani  (Scauri è meta sistematica dei vacanzieri napoletani) sta portando avanti da sette anni, dal 7 agosto 2008. E’ interessante come questa coppia scrivendo ufficialmente al parroco e tramite lui, a tutta la comunità parrocchiale di Scauri, faccia risaltare l’importanza di quanto si sta attuando nella parrocchia Sant’Albina in Scauri. raccontano, infatti, Antonio e Carolina, la loro esperienza e la propongono alle altre coppie in vacanza o nella vita quotidiana normale: “Caro don Simone, Io, Antonio, e mia moglie, Carolina, grazie a Voi, da qualche anno viviamo la nostra vita con  una piccola gioia in più. E c’è un motivo. Era il 7 o l’8 agosto del 2008 e alla celebrazione della Santa Messa delle 19 una suora, missionaria in un paesino della Tanzania se non ricordo male, testimoniò la vita di stenti della popolazione e dell’estremo bisogno del necessario per vivere. Poi ci fu il  Vostro commento e quello lo ricordiamo bene, perché ci indusse a riflettere. Vi soffermaste sul concetto di delega che caratterizza l’esistenza di  molti di noi cristiani, anche la mia e di Carolina, tanto indolenti  da chiedere a Nostro Signore di provvedere a dare cibo a chi ha fame. E infatti, da bravi cristiani, ogni giorno, a pranzo e a cena, anche noi ringraziavamo Lui e, ricordandoci  di chi vive in povertà,  recitavamo la nostra preghiera: “Signore, Ti ringraziamo per questo cibo. Fa’ che in ogni parte del mondo per tutti i tuoi figli ci sia sempre qualcosa da mangiare. Amen.” E stavamo, in tal modo a posto con la nostra coscienza.  Molto comodo, veramente molto comodo. Però da quel giorno qualcosa in noi è cambiato e Ve ne siamo grati, e così abbiamo cambiato anche la nostra preghiera quotidiana. E da allora, prima di pranzo e cena, Carolina ed io preghiamo insieme dicendo: “Signore, Ti ringraziamo per questo cibo. Facciamo che  in ogni parte del mondo per tutti i tuoi figli ci sia sempre qualcosa da mangiare. Amen.” E, prima della preghiera, mettiamo da parte, ogni giorno, un moneta da 50 centesimi. Non è assolutamente un sacrificio. Anzi, è questa  la  piccola gioia che ci accompagna da qualche anno. Sono pochi gli Euro che raccogliamo in 365 giorni. Li consegniamo a Voi, come ogni anno, certi che saranno bene utilizzati. Il Signore Vi accompagni sempre. Carolina e Antonio Conzo. Scauri, 5 agosto 2015″.
Commentando e valutando positivamente questa esperienza, il teologo morale, padre Antonio Rungi, passionista della comunità del Santuario della Civita, afferma: “A conti fatti sono circa 365 euro all’anno che questa coppia, mettendo da parte solo 50 centesimi al giorno, per ognuno di loro, senza grossi sacrifici, riesce a dare una discreta somma, a fine anno, proprio in estate, per salvare la vita dei bambini della Tanzania che muoiono di fame. Come dire che basterebbe rinunciare ad un caffè, a un quarto di pacchetto di sigarette, a sfizi di ogni genere, per sostenere queste ed altre cause umanitarie. Si sa -aggiunge padre Rungi – che per sostenere un bambino nell’alimentazione e negli studi per l’intero anno, in queste zone, sono sufficienti anche 30 euro o dollari al mese, pari ad un euro al giorno di risparmio che tutti potrebbero fare, non una tantum, ma avendo il pensiero quotidiano di mettere da parte 50 centesimi per ogni sposo ed ogni sposa e così come famiglia sostenere quelle associazioni caritative, con le adozioni a distanza, per salvare la vita a tanti bambini. In Italia circa 20 milioni le famiglie che possono permettersi questo risparmio quotidiano di un euro per questa nobile causa a sostegno dell’infanzia abbandonata e povera del mondo. Perché non provarci tutte? Basta un piccolo salvadanaio a vista di tutti in casa, magari, all’ingresso o all’uscita dell’abitazione e ogni giorno versare l’obolo della carità in questo contenitore familiare della solidarietà e della fratellanza universale. Proviamoci tutti a partire da domani o da oggi, con l’impegno di mantenere costante questo pensiero e soprattutto di mettere da parte una sommetta annuale per aiutare a salvare dalla fame e dalla morte tanti bambini in Africa o nel resto del mondo, dove maggiore è la povertà ed il bisogno materiale”.

COMMENTO ALLA XIX DOMENICA DEL T.O. – DOMENICA 9 AGOSTO 2015

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XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Domenica 9 agosto 2015

La forza dell’eucaristia che ci fa scalare le montagne della vita e della santità

Commento di padre Antonio Rungi

Per la terza domenica consecutiva ci viene presentato, nel capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, il tema del pane della vita, che è Gesù Cristo stesso. Questa insistenza della parola di Dio su questo argomento sta a significare la centralità del tema del discorso del pane di vita nell’insegnamento d Gesù, recepito dall’apostolo prediletto, Giovanni, e inserito nel testo del suo vangelo, il quarto, quello che viene classificato come teologico e non cronologico. Infatti, in questo vangelo troviamo sistematiche riflessioni di carattere filosofico e teologico che non troviamo nei sinottici. Il tema del pane della vita, già presente, in modo consistente, nell’Antico Testamento, viene riscoperto e rilanciato nei discorsi di Gesù e che Giovanni inserisce nel suo testo, che è un inno di amore verso Gesù Redentore, Messia, Il Logos de Padre, il Verbo Incarnato, il Figlio di Dio, venuto a salvare l’umanità con la sua passione, morte e risurrezione. Nella prima lettura di oggi, di questa XIX Domenica del tempo ordinario dell’anno liturgico, il profeta Elia viene sostentato dal pane che il Signore gli dona attraverso l’intervento del suo messaggero celeste. Elia è stanco della vita e della missione e chiede di morire, piuttosto che vivere e continuare in quella sua impossibile missione in nome di Dio. Ma il Signore gli dona forza e lo incoraggia per continuare a camminare fino al Monte Oreb, il monte della preghiera e della contemplazione, il monte della difesa della fede. Ed Elia, oltre ad essere un uomo di Dio e di preghiera, pienamente consegnato alla volontà di Dio, è anche il difensore della fede del popolo d’Israele. Con il pane del Signore, Elia si rialza dalla sua stanchezza fisica e spirituale e riprende il cammino, nonostante le sue personali difficoltà e resistenze. La forza del pane del cielo, ci aiuta comunque a superare le difficoltà del momento e ci sostiene in quel progetto di santità personale, che nessuno può abbandonare per andare dietro a falsi dei e concezioni della vita. Anche noi, sull’esempio di Elia, ci dobbiamo far sostenere dal Padre celeste e pane del cielo, per le nostre quaresime, che sono tante, per l’intera nostra esistenza umana, che ha una meta chiara da raggiungere che è l’eternità, il monte della santità, la collina della gioia, il prato della felicità. Non dimentichiamo le parole di Gesù, del brano del vangelo di oggi, che devono essere il motto costante e lo slogan del nostro vivere da veri cristiani: “In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Il riferimento all’eucaristia è evidente in questo brano e in tutto il capitolo sesto del quarto vangelo. Ma è evidente che il vero pane è entrare in comunione con il Signore, mediante il dono della fede. La fede ci immette nel cammino che porta alla felicità vera in questa vita e per l’eternità.

La preghiera che la chiesa rivolge a Dio oggi, all’inizio della messa, è diretta ed esplicita e si inquadra nei testi biblici che ascoltiamo: “Guida, o Padre, la tua Chiesa pellegrina nel mondo, sostienila con la forza del cibo che non perisce, perché perseverando nella fede di Cristo giunga a contemplare la luce del tuo volto”.

San Paolo Apostolo, nella splendida lettera scritta ai cristiani di Efeso e che stiamo leggendo in queste domeniche, ci ricorda cose importanti da fare per essere buoni, veri e sinceri cristiani, soprattutto oggi, in un contesto in cui la fede in Dio e in Cristo è messa in discussione e la Chiesa è vista, da molti, ma non da tutti, come un elemento negativo. Noi, alla luce di questa saggia parola dell’Apostolo comprendiamo bene il da farsi e come regolarci nella nostra vita quotidiana da cristiani. Prima e fondamentale cosa che dobbiamo fare è quella di rattristare lo Spirito del Signore. Noi siamo facili a far soffrire Dio che tanto ci ama e ci guida. Altri fondamentali atteggiamenti che dobbiamo necessariamente assumere, non per mera convenienza, ma perché è l’essenza del comportamento di ogni vero credente sono i seguenti: eliminare ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Al contrario dobbiamo essere benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandoci a vicenda come Dio ci ha perdonato  in Gesù Cristo”. Infine, ci dobbiamo sforzare nel dare il buono esempio e nell’imitare di Cristo, ma anche nell’ imitarci reciprocamente nelle cose buone da fare e non certamente nelle cose cattive ed immorali. Spesso si segue il cattivo esempio e non tanto volentieri il buono esempio.. In poche parole, dobbiamo camminare nella carità. E il nostro modello di carità e di amore è Gesù Cristo che “ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore”. Forse è davvero il momento di riprendere tra le nostre mani quel celebre libretto di formazione cristiana “L’imitazione di Cristo” e attuare i consigli spirituali, ascetici, morali, relazionali per essere buoni imitatori di colui che è il modello unico e insostituibile per ogni cristiano, che è Gesù Cristo.

Sia questa la nostra umile preghiera che rivolgiamo al Signore con tutto il nostro cuore.

Dio, Tu che sei Amore,

dona a noi uno sguardo di carità

che si estenda all’intera umanità.

 

Non abiti nel nostro cuore

alcun sentimento di odio o cattiveria,

ma tutto, nella nostra vita,

sia espressione di un amore senza limiti.

 

Dio, Tu che sei carità,

insegnaci ad amare con cuore retto e sincero

ogni uomo e donna di questa terra,

senza pregiudizi e posizione critica

nei confronti di chi non è con noi o come noi.

 

Dio, Tu che sei amore infinito,

metti nelle nostre parole e nelle nostre azioni

pensieri e gesti che siano attenzione

e sensibilizzazione verso i più poveri

e bisognosi del mondo.

 

Dio, Tu che sei amore provvidente,

non far mancare a nessuno il tuo aiuto,

soprattutto nel tempo dell’aridità,

materiale e spirituale,

quando il desiderio di Te

non trova risposta al di fuori di Te.

 

Dio, Tu che sei amore che si dona,

libera il nostro cuore dai legacci dell’egoismo

e dalla concentrazione sul nostro io.

 

Fa che ogni nostra azione sia espressione

di amore, attenzione e predilezione

per il prossimo più prossimo,

quello che incrociamo lungo le strade

della nostra vita quotidiana.

 

Dio, Tu che sei l’agape eterna,

accogli nella gioia del tuo regno

tutti coloro che hanno vissuto con amore,

per amore e nell’amore su questa terra,

prendendo ad esempio

il tuo Figlio  prediletto,

nel quale Ti sei compiaciuto dall’eternità.

 

Dio, che sei l’amore, donaci amore,

ora e sempre,

e facci partecipe dell’agape eterna

insieme a Maria e a tutti i santi del cielo. Amen.

(Preghiera di padre Antonio Rungi)

COMMENTO ALLA FESTA DELLA TRASFIGURAZIONE – 6 AGOSTO 2015

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Festa della Trasfigurazione di Gesù

6 Agosto 2015

 

Trasfigurarsi con la preghiera

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

Il 6 agosto di ogni anno, con data fissa, celebriamo la festa della Trasfigurazione di nostro Signore Gesù Cristo sul Monte Tabor, davanti a testimoni come Elia e Mosè e davanti agli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni. Questa festa è meglio  conosciuta come la festa del SS. Salvatore e in alcune zone come la Festa del Volto Santo di Gesù.

E’ una festa importante da un punto di vista cristiano, molto sentita dal popolo santo di Dio, perché ci riporta ad uno dei momenti più belli vissuti da Gesù e dai tre apostoli sul monte della gloria. E’ la festa del paradiso, ma anche della Passione di Cristo. Una festa che ci offre l’opportunità in questo mese di agosto di riflettere sul significato non solo della trasfigurazione di Cristo, ma sulla nostra trasfigurazione. Ogni tempo è favorevole perché nella nostra vita ci possiamo e dobbiamo trasfigurare, cioè cambiare in meglio il nostro visto spirituale, ma l’estate ha una carica in più, perché questo possa avvenire, trasformandoci in attenti cristiani che danno spazio alla vita spirituale e che salgono sul monte, insieme a Gesù, a contemplare e a pregare. L’importanza della preghiera e della contemplazione per ogni cristiano è fuori discussione. Senza la preghiera che è il respiro e l’ossigeno dell’anima, difficilmente possiamo affrontare il buon combattimento della vita quotidiana. Certo Gesù, dove aver manifestato la sua gloria, al punto tale che i tre privilegiati apostoli chiedono al Signore di continuare a stare lì, ritornano nel volto della sua umanità e nel volto della sua sofferenza. Riprende il cammino e scende giù a valle, perché l’attende la scalata di un’altra importante montagna, quella del calvario, alla quale fa riferimento riportando alla realtà anche i suoi gioiosi e felici discepoli.

Sull’esempio di Gesù, anche noi dobbiamo scendere dall’esperienza della contemplazione, dell’isolamento, del silenzio, della tranquillità, dai nostri veri o presunti paradisi e non solo spirituali, in quanto ci attende la vita di ogni giorno con le sue gioie e i suoi affanni, con le sue croci e con i vari calvari da salire. La sequela di Cristo passa attraverso l’assunzione della croce. Chi vuol venire dietro a me prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Ecco l’essere vicino a Gesù, dopo la trasfigurazione sperimentata nella preghiera e nella contemplazione, magari nel silenzio e nella solitudine di un eremo, di un convento, di un ritiro, si può trasformare in un tempo per stare a valle, vicino alle sofferenze degli altri. Oppure, in opposizione allo stile di vita di Gesù, si può trasformare in un tempo di distrazioni, che normalmente ci offre, soprattutto il mese di agosto, dimenticandoci di Dio e della carità verso gli ultimi e i sofferenti. Non si comprende il Tabor senza comprendere la valle delle lagrime, come recitiamo nella preghiera mariana della Salve Regina. “A te sospiriamo, gementi e piangenti in questa valle di lagrime”.

Stare a valle, ridiscendere dal monte ha anche esso un significato cristiano, se scendendo dopo l’esperienza della preghiera noi possiamo incontrare i volti sofferenti dei nostri fratelli ed asciugare  le loro lagrime, spesso nascoste per dignità da questi nostri fratelli e sorelle che sono nella sofferenza e che, per non essere di peso agli altri si tengono tutto per sé custodendo gelosamente, come Maria che conservava tutto nel suo cuore, le loro piccole o grandi sofferenze. Trasfigurarsi con la preghiera è salire con Gesù sul Monte Tabor e contemplare la gioia eterna del volto luminoso di Dio, ma anche salire il Monte del calvario, dove la preghiera di Gesù sull’altare della Croce è espressa attraverso le sette parole che il Maestro pronuncia mentre sta a offrire il suo sangue per noi, per redimerci da ogni colpa ed aprirci le porte del Paradiso, una volta per sempre, e non solo per un breve tempo, come quello sperimentato dagli apostoli sul Monte della gioia. Scrive san Giovanni Paolo II, Papa, nell’Esortazione apostolica “Rosarium Virginis Mariae”, nel presentare i contenuti teologici del mistero luminoso della Trasfigurazione che “Mistero di luce per eccellenza è poi la Trasfigurazione, avvenuta, secondo la tradizione, sul Monte Tabor. La gloria della Divinità sfolgora sul volto di Cristo, mentre il Padre lo accredita agli Apostoli estasiati perché lo ascoltino (cfr Lc 9, 35 e par) e si dispongano a vivere con Lui il momento doloroso della Passione, per giungere con Lui alla gioia della Risurrezione e a una vita trasfigurata dallo Spirito Santo”.

Sia questa la nostra preghiera, oggi, davanti al volto luminoso di Gesù sul Monte Tabor  e del volto sanguinante del Salvatore sul monte del Calvario:

 

Sul monte del dolore,

Tu, Signore della Croce,

sei salito per amore,

salvando il mondo intero

dalla vera sofferenza.

 

Gesù, vittima pasquale,

che ti sei donato al Padre,

in totale obbedienza

alla sua volontà,

fa che la nostra vita

sia in obbedienza

alla volontà di Dio.

 

O, Gesù, morente sulla Croce,

non permettere a questo mondo

di dimenticare il tuo dolore,

causando morte e distruzione

in odio alla religione.

 

Guarda dalla Croce

coloro che portano tante croci,

dalle più leggere alle più pesanti,

senza lamentarsi mai.

 

Proteggi la sofferenza innocente

di tanti bambini, donne ed uomini

che soffrono in ogni parte della terra,

senza avere il minimo conforto

da quella carità fraterna

che spegne il fuoco

di ogni sofferenza.

 

Fa che noi, viandanti della croce

e con la croce,

pellegrini del dolore,

che si lamentano

di ogni minimo dolore,

sappiamo guardare alla tua Croce

e nella preghiera di ringraziamento,

rinnovare l’ impegno di seguirti 

fino al Calvario,

ben sapendo che chi vuole venire dietro a Te,

deve prendere la sua croce,

ogni giorno

e camminare speditamente

verso le alte mete

dell’amore e dell’oblazione.

 

Signore della Croce,

donaci la forza

di portare con dignità

le nostre croci quotidiane,

quelle che Tu ci doni

per amore e per purificazione,

quelle che ci arrivano inaspettate,

dalla nostra condizione umana.

 

 

Signore della Croce,

abbi pietà di noi peccatori,

di noi che abbiamo

messo sulle spalle degli altri

le nostri croci

perché incapaci di amare e di sacrificarci per gli altri.

 

 

Signore della Croce,

dona pace al nostro cuore

inquieto e irrequieto, finquando,

rassegnandosi alla tua volontà,

non riposa in Te per l’eternità. Amen 

(Preghiera di padre Antonio Rungi)