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PADRE ANTONIO RUNGI, 40 ANNI DI VITA SACERDOTALE, IL 6 OTTOBRE 2015

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Padre Antonio Rungi, 40 anni di vita sacerdotale

Martedì 6 ottobre 2015, padre Antonio Rungi, sacerdote passionista della comunità del Santuario della Civita, in Itri (Lt), ricorda i suoi 40 anni di vita sacerdotale a servizio della Chiesa, della Congregazione dei Passionisti e dell’intero popolo di Dio.
La fausta ricorrenza sarà ricordata con una solenne concelebrazione eucaristica che padre Antonio Rungi presiederà, alle ore 19.00, nella Chiesa delle Suore di Gesù Redentore della Stella Maris di Mondragone, dove padre Rungi ha svolto il suo ministero sacerdotale per circa 30 anni, dal 1978 al 2003 e dal 2007 al 2011. E dove ancora oggi esercita il suo ministero come assistente spirituale delle Suore.
Alla celebrazione parteciperanno i parenti, i conoscenti, i sacerdoti, le suore, gli amici, gli studenti e quanti si vorranno aggiungere ad essi per condividere un momento di ringraziamento al Signore per il dono della vocazione alla vita sacerdotale, elargita a padre Rungi.
Dei 40 anni di vita sacerdotale, intensamente e generosamente vissuti come figlio spirituale di San Paolo della Croce, circa 30 sono stati al servizio della Chiesa locale di Sessa Aurunca e della comunità passionista di Mondragone (Ce), ricoprendo vari uffici e ruoli: Direttore dell’Ufficio Comunicazioni sociali, Responsabile della Pagina diocesana di Avvenire, Direttore dell’Ufficio pastorale del turismo, sport e spettacolo, cappellano delle Suore di Gesù Redentore, delle Suore Stimmatine, collaboratore della parrocchia san Rufino in Mondragone e di altre parrocchie, missionario e predicatore, docente di Teologia Morale e di altre discipline nell’Istituto Scienze religiose di Sessa Aurunca, docente nelle scuole statali, dove ancora oggi svolge il suo servizio e il suo ministero tra i giovani del Liceo Scientifico di Mondragone, insegnando Filosofia, Pedagogia e Scienze Umane. Docente di Teologia Morale al Magistero di Scienze Religiose di Capua e dell’Istituto Scienze Religiose di Teano.
Sono questi alcuni degli impegni come sacerdote e missionario ed educatore che padre Antonio Rungi ha svolto a Mondragone e nella Diocesi di Sessa Aurunca, ma si è pure prodigato tantissimo per la vita culturale, sociale e spirituale del territorio del litorale domiziano ed in particolare della parrocchia San Giuseppe Artigiano.
Nella comunità passionista di Mondragone è stato Direttore del Collegio San Giuseppe Artigiano, Direttore delle colonie estive, più volte vice-superiore della comunità e incaricato in vari settori della vita passionista.
Direttore della Rivista Presenza Missionaria Passionista dal 1990 al 2011 è giornalista pubblicista dal 1993 ed ha collaborato con varie Riviste e Quotidiani di ispirazione cristiana.
Ha partecipato a diverse trasmissioni televisive della Rai, di Radio Vaticana, Radio Maria, Teleradio Padre Pio. Di questo grande santo beneventano è stato figlio spirituale negli anni 1958-68.
Dei rimanenti 11 anni di vita sacerdotale, padre Rungi, i primi tre, dal 6 ottobre 1975, quando fu ordinato a Napoli nella Chiesa dei Passionisti di Santa Maria ai Monti, da monsignor Antonio Zama, li ha vissuti nella comunità passionista di Napoli, ultimando gli studi per la Laurea in Teologia e svolgendo attività di predicazione e di collaborazione nella Parrocchia di San Paolo in Casoria.
Successivamente si è Laureato in Filosofia all’Università di Napoli e in Materie Letterarie all’Università di Cassino.
Nella stessa comunità di Napoli vi è ritornato a febbraio 2003 fino al maggio 2007 nell’Ufficio di Superiore provinciale dei Passionisti della Provincia dell’Addolorata (Basso Lazio e Campania) e guidando in quegli anni, saggiamente, gli oltre 100 sacerdoti e religiosi passionisti della Provincia religiosa e del Vicariato del Brasile, durante il mandato, concluso alla fine di aprile 2007.
In questo periodo, oltre a visitare sistematicamente le comunità passioniste del Basso Lazio e Campania e del Brasile, ha ricoperto l’Ufficio di Vice-presidente della Cism-Campania, la Conferenza dei superiori maggiori degli istituti religiosi maschili. Dal 1978 sempre impegnato nella scuola e nell’insegnamento, non ha mai tralasciato, tranne per un anno, questo ambito della pastorale e della formazione dei giovani.
Negli ultimi quattro anni di vita sacerdotale, dal 6 ottobre 2011, padre Antonio Rungi ha svolto il suo ministero sacerdotale nella comunità passionista di Itri-città e poi del Santuario della Civita, svolgendo un intenso ministero di predicazione itinerante e di assistenza spirituale alle Suore di varie Congregazioni.
Qui, attualmente vive, svolge il suo servizio scolastico a Mondragone e continuando ad assicurare la predicazione tipica della Congregazione dei Passionisti, ovunque viene chiamato e richiesto.

Nativo di Airola, in provincia di Benevento, nella Diocesi di Cerreto-Telese-Sant’Agata dei Goti, dove nasceva 64 anni, accolto nelle braccia della Serva di Dio Concetta Pantusa, entra tra i passionisti da ragazzo, nel 1964 a soli 13 anni. Emette la professione religiosa il 1 ottobre 1967 insieme ad altri suoi confratelli, a Falvaterra (Fr). Segue gli studi liceali e filosofici a Ceccano, dal 1967 al 1971 e quelli teologici a Napoli, dal 1971 al 1979 quando si Laurea in Teologia.
Circa 15.000 articoli scritti per giornali, riviste, blog, siti internet, oltre 3.000 predicazioni svolte in Italia e all’estero, autore di libri di vario genere, di preghiere, di commenti alla Parola di Dio, grande comunicatore attraverso i new media, i suoi testi sono letti e commentati da migliaia di persone ogni settimana.
Per ricordare questo giorno speciale per lui, padre Rungi, come è solito fare nelle grandi circostanze e ricorrenze, ha composto una preghiera, da vero pastore che ha a cuore il bene supremo delle anime: “Signore, Buon Pastore, mite ed umile di cuore, Ti ringrazio per il dono della vita sacerdotale che mi hai voluto assicurare in questi 40 anni di totale servizio alle anime, che hai affidato alla mia cura pastorale. Rinnovo oggi le mie promesse sacerdotali che mi hanno impegnato nella sincerità del cuore e della mente in tutti questi anni, che Tu, Signore, mi hai concesso con tanta generosità. Ti chiedo perdono se, eventualmente, senza mio volere, non ho corrisposto pienamente alla vocazione sacerdotale e donami la grazia di portare a compimento l’opera che Tu, Gesù, Buon Pastore, hai iniziato in me 40 anni fa. Amen”.

Padre Antonio Rungi, inoltre, ringrazierà il Signore, la Madonna e San Paolo della Croce, al Santuario della Civita, nei prossimi giorni e in data da stabilire ad Airola, nel suo paese natio, che ha portato e porta nel cuore con grande affetto e nostalgia, perché in questa sua città, tra i suoi genitori, parenti, amici e figure esemplari di religiosi passionisti di Monteoliveto è nata e si è consolidata la vocazione alla vita religiosa e sacerdotale, che ha raggiunto traguardi rilevanti e significativi, di 51 anni da passionista e di 40 anni da sacerdote. Augurissimi padre Antonio per tanti anni ancora di vita sacerdotale e missionaria.

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 27 SETTEMBRE 2015

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XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

ESSERE DALLA PARTE DI CRISTO E VIVERE IL VANGELO CONCRETAMENTE 

Commento di padre Antonio Rungi.

La bellissima liturgia della parola di Dio di questa XXVI domenica del tempo ordinario, ci impegna a riflettere su alcuni importanti temi del nostro essere religiosi e credenti, che richiedono una nostra disponibilità personale e spirituale a lasciarci interpellare da simile parola. Se il nostro cuore non è disponibile a questo mettersi in discussione, a verificare il grado di aderenza e di risposta seria alla parola di Dio, serve a ben poco, ascoltarla, se poi non si traduce in stile di vita. Partendo oggi dal brano del vangelo di Marco, nella sua parte conclusiva del testo, è ben chiaro il discorso sulla nostra testimonianza di vita cristiana che dobbiamo evidentemente dare in tutte le situazioni d vita quotidiana. Il Vangelo vissuto passa, appunto, attraverso, quella sincera volontà di conversione che dobbiamo attuare in ogni situazione. Ecco perché ci viene indicato anche il modo concreto per farlo. Mediante paradossi, con ragionamenti per assurdo, il Vangelo ci spinge nella direzione della coerenza e della fedeltà, per essere davvero cristiani credenti e soprattutto credibili. Se tutto il nostro modo di essere e di fare, la nostra corporeità, il nostro stile di vita è motivo di scandalo per gli altri, cosa aspettiamo a cambiare vita e a comportarci bene?  Non illudiamo noi stessi dicendo che siamo perfetti, non facciamo nulla di male e tutto è apposto a livello di morale e di spiritualità. Avere il coraggio di trovare i difetti nella nostra vita, e non in quella degli altri, per fare esaltare i nostri pregi, i soli aspetti positivi, che pure ci saranno. Ecco, perciò, che è bene riflettere su questo passo del Vangelo e trarre delle conseguenze logiche: “Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue”. Per operare questo capovolgimento è necessario una speciale grazia, quella dell’umile ricerca della verità in noi stessi e negli altri, senza invidia o gelosia, senza pensare che il nostro operare sia migliore degli altri, se illuderci che solo il nostro bene è vero bene, mentre il bene che fanno gli altri è classificabile come male. Non è così. Il bene ha una sola origine e questa origine è in Dio, che è il Sommo Bene. Perciò, Gesù, di fronte alla meraviglia dei suoi discepoli che vedono anche altri fare le loro stesse cose buone, che fanno loro, come il cacciare i demoni, chiedono al Signore di impedirglielo. Ma Gesù replica, dicendo “non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi”. Anzi indica la via maestra per essere sulla via del bene e percorrerla davvero: è la strada del servizio, della carità, dell’amore, della misericordia, delle opere di misericordia, e dice: “Chiunque  vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa”. Ogni azione buona acquista il suo merito davanti a Dio e il Signore ci ricompenserà abbondantemente per tali opere, che non possono e non devono essere occasionali, ma sistematiche. Devono essere messe in cantiere nel nostro modo di pensare e di agire come costanti del nostro stile di vita. Non ci priviamo di fare il bene a tutti e non troviamo scuse o giustificazioni per non agire nella direzione del bene.

Strettamente legato a questa riflessione sul testo del Vangelo è la prima splendida lettura, tratta del libro dei Numeri, che uno dei libri più importanti della Bibbia, perché fa parte dei primi cinque libri, il Pentateuco, in cui troviamo l’essenza stessa della fede del popolo eletto. In questo brano si parla del dono della profezia, di cui non solo è dotato Mosè, ma a cui accedono altre persone, quali Eldad e Medad, che profetizzano nell’accampamento al posto di Mosè. Nel momento in cui altre persone notano questo comportamento, vanno a riferire a Mosè di quanto sta accadendo. E Mosè, prefigura di Cristo, cosa risponde a Giosuè, figlio di Num, che vuole impedire a questi neo-profeti che svolgano tale missione? Lo leggiamo nel brano: «Sei tu geloso per me?, dice Mosè a Giosuè. E prosegue: “Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!». Ecco la risposta più bella e confortante per quanti amano sinceramente Dio e con la parola e la vita parlano davvero in suo nome, cioè sono profeti certi e veri in base al loro modo di trasmettere la verità e vivere la verità. Essere profeti, allora, non è proprietà di qualcuno, ma tutti nella chiesa, in base al sacramento del Battesimo devono profetizzare nel nome del Signore. La loro vita deve parlare da sola di Dio. Ecco, ritorna il tema dell’annuncio, dell’evangelizzazione che poi non è un servizio alle ideologie, ma, come ci ha ricordato Papa Francesco, è servizio alla persona. L’annuncio diventa credibile quando si trasferisce su un piano operativo e si vive la carità nel servizio umile e disinteressato verso gli altri, come i ricchi; chi si chiude agli altri, vive in un mondo dorato, ovattato e protetto a livello solo economico e materiale va contro il vangelo, è in antitesi netta con l’insegnamento di Cristo che è dalla parte dei poveri, degli  ultimi, degli esclusi. Suonano di forte richiamo le parole dell’Apostolo Giacomo nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla sua intensissima lettera di denuncia che stiamo approfondendo in queste domeniche: “Ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! Le vostre ricchezze sono marce, i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme. Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco”. E a seguire la denuncia aperta dello sfruttamento: “Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore onnipotente. Sulla terra avete vissuto in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non vi ha opposto resistenza”. Quanta corruzione nel mondo, per motivi di soldi! Quante ingiustizie che si celano per non far emergere il marcio di una società e di un modo di pensare che è soltanto economia e non solidarietà. Anche i recenti scandali mondiali ci fanno riflettere, su come dio denaro, sia lo scopo principale di quanti non hanno cuore verso gli altri. Di fonte a queste forti parole di denuncia e di accusa, di condanna aperta della ricchezza che è fine a stessa, c’è solo da operare bene e pregare. Noi vogliamo essere dalla parte di quanti operano onestamente e pregano incessantemente per la giustizia sociale e per una vera uguaglianza tra tutti gli esseri umani, essendo tutti figli di uno tesso Padre, che è Dio.

CUBA. I PASSIONISTI DA OTRE 100 ANNI NELL’ISOLA CARAIBICA

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I PASSIONISTI A CUBA

di Antonio Rungi

In occasione del viaggio apostolico di Papa Francesco a Cuba e negli USA, diamo notizia ed informazioni circa la presenza dei passionisti delle Passioniste nell’Isola Caraibica. Un’isola divenuta importante nel mondo non solo per il regime comunista d Fidel Castro e del contrasto con gli Stati Uniti, dai quali sono stati divisi politicamente e diplomaticamente da 55 anni, per l’embargo attuato dagli USA nei suoi riguardi, ma anche per lo splendido luogo naturale che questa nazione rappresenta nel mondo, con un fascino tutto particolare, con tradizioni di culti e di religioni diverse e per la sua appetibilità da un punto di vista turistico. A Cuba la presenza degli italiani, lì stabilmente residenti, è consistente; ma più frequente è la presenza dei turisti italiani, che raggiungono questa isola non esclusivamente per conoscerla e visitarla, ma per altri ignobili scopi che contrastano con i valori della morale cristiana e laica.

In questa meravigliosa isola, i passionisti vi sono giunti oltre 100 anni fa, con l’apertura di una loro missione, curata dai passionisti della Spagna ed esattamente dalla Provincia religiosa della Sacra Famiglia, che dal 2013 è confluita nella Configurazione del Sacro Cuore (SCOR), costituita dalle seguenti ex-province: CORI (Spagna), FAM (Spagna, Cuba, El Salvador, Guatemala, Honduras, Mexico, Venezuela), SANG (Spagna, Bolivia, Cile, Equador, Panama), FID (Colombia), CORI-RES (Perù).

Fanno parte della prima schiera dei passionisti che hanno vissuto a Cuba, il Beato Niceforo di Gesù e Maria (Vincenzo) Díez Tejerina, che negli 1920 fu destinato dai superiori al convento di Santa Chiara (Cuba) perché facesse scuola, predicasse, confessasse, e dirigesse il canto. Fu lui a realizzare la bellissima chiesa e grandissima, in stile neo-gotico ad Havana nella Capitale di Cuba, nella zona della Vibora,   imitando la cattedrale di Burgos in Spagna e sistemando nella facciata la statua di Santa Gemma Galgani e lo stemma dei passionisti all’ingresso della portineria.

La presenza passionista a Cuba e in particolare a La Havana non si limita ai soli religiosi, ma nel corso degli XX secolo la presenza si estesa alle Monache passioniste e ai gruppi laicali della famiglia passionista. A conferma che il carisma di San Paolo della Croce ha avuto ampia diffusione in questa isola, santificata anche dalla presenza del Beato Niceforo Diez, martirizzato in Spagna a Damiel insieme ad altri  compagni, durante la rivoluzione comunista del 1936-39.

Tra le tante ricorrenze che i passionisti e le passioniste di Cuba stanno celebrando in questi anni, va ricordato anche il 26° anniversario della presenza delle Suore Passioniste di San Paolo della Croce, dove le vocazioni locali sono in crescita.

Il viaggio apostolico di Papa Francesco a Cuba, ove resterà quattro giorni, dal 19 al 23 settembre 2015, sarà anche per i passionisti e le passioniste una grande opportunità spirituale e pastorale per rinnovare il loro impegno di missionari e di missionarie della Passione di Cristo, secondo il cuore e l’insegnamento di Paolo della Croce, in una nazione sempre più aperta al mondo e alla chiesa cattolica, a favore di quei poveri che il Fondatore dei Passionisti diceva che bisogna portare scritti sulla fronte.

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 20 SETTEMBRE 2015

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DOMENICA 20 SETTEMBRE 2015

I primi e gli ultimi secondo l’insegnamento di Gesù

Commento di padre Antonio Rungi

Il testo del Vangelo di Marco di questa XXV domenica del tempo ordinario ci racconta dei suoi viaggio nella Galilea e tra le altre cose che dice egli affronta il tema della sua sofferenza. In questi viaggi, gli apostoli che sono vicino a Gesù e che avrebbero dovuto capire, da tutta una serie di discorsi, di allusioni, di chiare espressioni che Lui si avviava verso la morte in croce, verso il supplizio più tremendo che la storia delle violenze possa ricordare, essi, i discepoli discorrono tra loro di altre cose, più umane e terrene, più di interesse economico e di potere e parlando di chi dovrà comandare, essere il primo, avere il potere nel regno di Dio. Sono le contraddizioni della vita, sono le contraddizioni delle persone che seguono il Signore e quindi abbracciano la religione per avere sicurezze, posti, occupare ruoli. Gesù invece parla di Croce, parla del servizio umile e disinteressato al quale tutti quanti siamo invitati a prendere parte in questo mondo, senza illuderci, senza illudere. Gesù non illude i suoi apostoli e discepoli, anzi dice apertamente a cosa va incontro, non nasconde la verità su una sua apparente sconfitta, quella della morte in croce, ma li chiama in causa per assumersi tutta la responsabilità del discepolo che si pone ala sequela del maestro non per comandare ed essere il primo, ma per servire e dare la vita, scegliendo l’ultimo posto nella gerarchia dei potere umano e civile, religioso, che spesso affascina anche i più stretti collaboratori del Signore, visto come ragionano e come la pensano circa la loro futura sistemazione.  Il testo del Vangelo di Marco è di grande insegnamento sul modo di procedere in ordine all’adesione a Cristo e al sistema di pensiero che deve guidare un vero cristiano: essere servi, essere ultimi, e non cercare il potere la gloria, il primo posto. E se gloria di vuole cercare, sia          quella della Croce, del donare la vita per i propri amici. E per raggiungere questa alta meta di vera spiritualità e moralità cristiana, bisogna prendere esempi dai bambini. Gesù, infatti, quando arriva a Cafarnao e sta in casa con i suoi discepoli, cosa fa?Prese un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». Accogliere Cristo come bambini, nella semplicità del cuore, della mente e del pensiero. I bambini non aspirano al comando, al potere, vivono con semplicità la loro esistenza di infanti, senza coltivare sogni di potere che non si realizzeranno mai. Un sogno possibile per tutti è quello di prendere la croce e seguire Cristo sulla via del Calvario. Questo sogno è già prefigurato nel brano della prima lettura di oggi, tratto dal Libro della Sapienza dove si parla del giusto condannato ad una morte infamante. E’ storia del Crocifisso che molti secoli prima è prefigurata nei brani della sacra scrittura, al punto tale che il Messia, quello vero, dovrà necessariamente passare per la via della sofferenza e dell’umiliazione. Quello, appunto, che è capitato a Gesù. Chi progetta il male nella sua mente non fa che poi il male nella vita e concretamente. E gli empi di cui parla il testo della Sapienza sono tutti coloro, che in secoli successivi, hanno poi decretato la morte in croce del Signore. Infatti a Gesù gli hanno teso insidie gli empi del suo tempo, perché il suo insegnamento era di rimprovero per il loro modo di agire e di comportarsi a livello personale e sociale. La sincerità del parlare di Cristo lo portò alla condanna. Ed egli con umiltà accettò la prova e sopportò ogni umiliazione per amore dell’umanità, Lui il Figlio di Dio, venuto in questo mondo per salvarci. Una salvezza che richiede anche la nostra e risposta di fede e di amore verso il Signore e verso il nostro prossimo. San Giacomo apostolo, nella sua lettera che ci sta accompagnando in queste domeniche, ci rammenta cose importanti che dobbiamo necessariamente fare se vogliamo predisporre tutti gli atti per salvarci. Si tratta si evitare tutte quelle forme di aggressività, violenza, denigrazione, umiliazione e divisioni, che alimentano le persone che sono senza Dio e non hanno fede. Chi ha fede, sa capire, amare e perdonare e si libera da tutto ciò che è perversione umane e degradazione morale. L’invito dell’Apostolo accogliamolo con sincerità di intenti e di volere ed operiamo im modo che nella nostra vita non ci siano gelosia e spirito di contesa, disordine e ogni sorta di cattive azioni. D’altra parte da dove vengono le guerre e le liti che ci sono in mezzo a noi? Non vengono forse dalle nostre passioni che fanno guerra nelle nostre membra? Siamo pieni di desideri e non riusciamo a possedere; si uccide, si è invidiosi, ci si combattete e fa guerra su tutti fronti e contro tutti. Non abbiamo tante cose perché non abbiamo l’umiltà di chiedete; e se chiediamo si chiedono cose non buone, perché si chiedono cose soddisfare cioè le nostre passioni. E allora quale risposta positiva dobbiamo dare a queste tendenze nefaste e distruttive che albergano in noi e in tutte le realtà?. Dobbiamo chiedere la sapienza che viene dall’alto, che è anzitutto  pura,  pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Tale sapienza costruire ponti di pace e non alza muri di guerra e di ingiustizie, come si sta registrando in questi giorni davanti al dramma dei rifugiati e degli immigrati. Il cristiano non può restare insensibile a questi drammi di oggi, ma deve attivarsi nella logica della sapienza che viene dal cielo e che ci fa essere buoni ed accoglienti. Sia questa la nostra preghiera oggi: Signore, donaci la sapienza che viene dall’alto, perché accogliamo la parola del tuo Figlio e comprendiamo che davanti a te il più grande è colui che serve e non colui che spadroneggia sulle persone e sulle nazioni umiliando la dignità di tanti fratelli e sorelle nella fede e in umanità.

 

AIROLA (BN). DIECI ANNI FA LA RIAPERTURA DELLA CHIESA SAN MICHELE. CRONACA E PROTAGONISTI DELLO STORICO EVENTO

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AIROLA (BN). DECIMO ANNIVERSARIO DALLA RIAPERTURA DELLA CHIESA DI SAN MICHELE A SERPENTARA. LA CRONACA E I PROTAGONISTI DELLO STORICO EVENTO.

di Antonio Rungi

Il 4 settembre 2015 è stato ricordato il decimo anniversario della riapertura al culto della Chiesa parrocchiale di San Michele a Serpentara, in Airola (Bn). Fu per interessamento del Vescovo, monsignor Michele De Rosa, dell’allora superiore provinciale dei padri passionisti della Provincia religiosa dell’Addolorata, padre Antonio Rungi, nativo della stessa Airola e del compianto padre Stefano Pompilio, morto Il 7 gennaio 2011, che si rese possibile la riapertura al culto della Chiesa, dopo 25 anni di chiusura, in seguito al disastroso terremoto del 23 novembre 1980 in Irpinia e nel Sannio. L’impegno maggiore per la riapertura fu assunto da padre Antonio Rungi, allora provinciale, in occasione della Festa di Santa Maria Goretti del 2005, e in modo speciale durante la processione della Santa che sostando nella piazzetta di San Michele fu accolta dai fedeli della parrocchia con uno striscione: “Vogliamo la riapertura della Chiesa di San Michele”.

I lavori stavano a buon  punto, ma dietro sollecito di padre Rungi, l’allora parroco,  padre Stefano Pompilio,  chiese al Vescovo di riaprire la Chiesa. Cosa che avvenne, domenica 4 settembre 2005, prima della festa in onore del titolare della stessa Chiesa, San Michele Arcangelo. Così riprendeva il suo cammino spirituale e pastorale la Chiesa e la parrocchia San Michele a Serpentara affidata ai padri Passionisti di Monteoliveto.

Si legge, infatti nella cronaca di dieci anni fa: “Domenica 4 settembre 2005 la comunità parrocchiale ha avuto la gioia di riappropriarsi del luogo di culto con la contemporanea ripresa delle attività parrocchiali in tutta la comunità, che, fino allora, si erano svolte nella sola Chiesa di San Carlo, altro importante luogo di culto che ricade nel territorio della parrocchia. E’ stato monsignor Michele De Rosa, Vescovo di Cerreto-Telese-Sant’Agata de’ Goti a “riconsacrare” la Chiesa, dopo i consistenti restauri effettuati in questi ultimi anni, durante una solenne celebrazione eucaristica, dai lui presieduta, e alla quale hanno partecipato autorità religiose, civili e militari della zona, tra cui il Superiore provinciale, del tempo, padre Antonio Rungi, il superiore dei passionisti di Monteoliveto, il parroco padre Stefano Pompilio, altri sacerdoti della città, il primo cittadino di Airola, Biagio Supino e il Comandante della Polizia Municipale, Pasqualino Pompeo Rungi”.

La Parrocchia San Michele a Serpentara in Airola (Bn), nella Diocesi campana di Cerreto-Telese-Sant’Agata de’ Goti  fu istituita nel 1513, a monte,  e in seguito trasferita a valle, in mezzo alla comunità civile di Airola, che realizzò l’attuale chiesa di San Michele, opera datata 1873. Da allora la Chiesa fu ampliata, abbellita, migliorata insieme alle piccole opere parrocchiali annesse. Così si presentava nel 1980 quando avvenne il disastroso sisma dell’Irpinia. La Chiesa, allora, subì ingenti danni e la ricostruzione fu lenta, fino a trascorrere di fatto 25 anni. La parrocchia, affidata dal 1979 alla comunità passionista di Airola in Monteoliveto, conta circa 1000 persone, distribuite in 250 nuclei familiari, e si estende nella zona antica della città, tra i rioni di San Michele, Santa Caterina e San Carlo. Primo parroco passionista fu il compianto, padre Leonardo Fiore, e a seguire padre Amedeo De Francesco, l’ex padre Pasquale Gravina, padre Ludovico Izzo, e successivamente come amministratore parrocchiale, padre Antonio Graniero. Per oltre un decennio fu padre Stefano Pompilio a guidare questa comunità cristiana di antica data, che si estende nel centro storico di Airola. Attuale parroco della medesima Chiesa è padre Pasquale Gravante, passionista, che dall’ottobre 2011 è responsabile di questa comunità parrocchiale, le cui attività pastorali e spirituali si svolgono nella sola chiesa di San Michele a Serpentara..

Ricade sul suo territorio il frequentatissimo Santuario in onore della Madonna Addolorata, situato su un’amena collina, ristrutturato e sistemato, la cui festa ricorre il 15 settembre con data fissa. Da alcuni anni, riprendendo un’antica tradizione, il trasferimento della statua della Madonna Addolorata dal Santuario alla Chiesa di San Michele a Serpentara si effettua, nella prima domenica di settembre, e qui rimane per quasi tutto il tempo dei solenni festeggiamenti, molto sentiti nell’intera Valle Caudina.

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 13 SETTEMBRE

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XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Domenica 13 settembre 2015

 

La fede nel Redentore ci impegna ad operare nell’amore ed accettare la croce.

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

La fede nel Redentore ci impegna ad operare nell’amore ed accettare la croce, è questa in sintesi il contenuto più significativo di tutta la parola di Dio di questa XXIV domenica del tempo ordinario. La fede e la carità, i sapere soffrire con Cristo, sono i punti cardini dei tre testi biblici che ascoltiamo nella celebrazione eucaristica alla vigilia di due grandi ricorrenze annuali: la Festa dell’Esaltazione della Croce e la Memoria della Madonna Addolorata.

Il richiamo al Messia Crocifisso, a Gesù Cristo Salvatore viene riportato nel testo del Profeta Isaia, che costituisce il noto brano del Servo sofferente di Javhe, e nel brano del Vangelo di oggi, tratto da San Marco. Due forti richiamo alla centralità del mistero della Passione e morte in croce del Signore su quale ogni cristiano dovrebbe riflettere spesso e soprattutto agire di conseguenza. Andiamo per ordine, partendo proprio dal testo di Isaia. Guardando al Messia sofferente, a Gesù Cristo, Isaia prefigura nei dettagli la passione di Cristo: “Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi”. E’ l’Ecce Homo del racconto della Passione che noi leggiamo nella Domenica delle Palme, nel Venerdì Santo. E sul tema della passione di Cristo, ritorna il Vangelo di oggi. Gesù vuole sapere la gente che cosa pensa di lui e chi vede in lui. Questa indagine conoscitiva o sondaggio di opinione, non serve a Lui, per inorgoglirsi, ma vuole sapere direttamente dalle persone, mediante gli intervistatori del momento che sono gli apostoli, quale percezione hanno della persona di Cristo e del suo messaggio. Vuole conoscere la risposta d’amore e di fede in loro. A che livello e grado è questa loro conoscenza e consapevolezza. Le risposte e le percezioni della persona di Cristo sono molteplici. Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».

Come è facile intuire dal tutto il testo e contesto del vangelo di Marco, Gesù non è soddisfatto di tali risposte, anche perché Egli sa chi è davvero e non vuole creare confusione nelle persone. Perciò si rivolge direttamente agli apostoli e chiede espressamente a loro, a coloro che gli stanno più vicino, lo ascoltano, vivono con Lui, la domanda non di prassi, ma una domanda vera, che nasce dal desiderio di Cristo di conoscere con esattezza chi ha intorno, che persone sono i suoi apostoli e in che ruolo e missione lo vedono, e chiede con una domanda diretta: «Ma voi, chi dite che io sia?». Penso che in quel momento non ci siano stati tentennamente, la risposta è immediata, perché è la roisposta del cuore, dell’amore, della compartecipazione, della reale sensibilizzazione degli apostoli sulla missione di Gesù. Ed allora cosa succede? L’evangelista Marco, fa la cronaca di quel momento e scrive: Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E’ la professione di fede di Pietro che a nome di tutto il gruppo e come capo di quel collegio, riconosce in Gesù l’Unto, il consacrato di Dio. Gesù allora, d fronte a questa esatta perezione che gli apostoli hanno della sua persona e della sua missione cosa fece? “Ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere”. Entra in gioco il mistero del dolore, della Croce, si ripresenta la figura del Servo Sofferente di Jahvè. Gesù non ha paura di dire la verità e di preparare almeno i discepoli allo scandalo della Croce, quella croce che fu ed è la salvezza del mondo, perché su quella croce fu appeso il redentore del mondo. Il testo del vangelo ci racconta del dramma e dell’angoscia di Pietro di fronte a questo sconvolgente annuncio del Signore, della sua imminente morte in croce. E cosa fece? Pietro prese in disparte Gesù  e si mise a rimproverarlo. Un discepolo che rimprovera il Maestro di fronte all’annuncio della Passione, di fonte al dramma della Croce? La risposta di Gesù non si fa attendere ed “Egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».

E’ proprio così. La mentalità dell’uomo è quella del rifiuto di ogni prova e dolore, della stessa sofferenza e morte. E’ nella natura umana pensare così e rifiutare ogni prova della vita. Gesù invece di offre una grande lezione di vita, affermando che è nella croce la vera gioia, quando questa è accettata per amore e diventa segno e strumento di redenzione, come è stata la sua croce. Ecco, perché il dialogo tra Gesù, gli apostoli e le altre persone che lo seguivano va oltre, ed Egli coglie l’occasione per fare una catechesi sulla sequela e sull’essere cristiani. Il vangelo ci ricorda che “convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà». Sta tutto qui l’essenza del cristiano. Dare la vita per gli altri, non pensare a salvare solo la propria pelle, magari distruggendo, in qualsiasi modo quella degli altri. Gesù e il modello di donazione a cui si devono ispirare e conformare tutti i cristiani. Di fronte a questo grande mistero della fede nel Redentore, è quanto mai ovvio che l’Apostolo Giacomo, nel brano della seconda lettura della parola di Dio di questa domenica si domandi e ci domanda: “A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha opere? Quella fede può forse salvarlo?”. La risposta è negativa, una fede fatta solo di parole e di proclami non salva. La fede necessita di azioni, di opere, di concretezza nell’agire. Ecco perché, l’Apostolo fa l’esempio: “Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta.

Una verità assoluta quella affermata da San Giacomo. Muore dentro di noi la fede, quando non la viviamo, la  pratichiamo, non l’annunciamo e soprattutto non la testimoniamo vivendo il vangelo della carità, dell’accoglienza, dell’amore misericordioso, del perdono, sella solidarietà. Il questi giorni il Santo Padre, Papa Francesco, sta continuamente chiedendo un impegno concreto a favore di quanti sperimentano il dramma della guerra e sono profughi e rifugiati in tante parti dell’Europa e del mondo. Non chiudiamo il cuore, come cristiani, a questa pressante richiesta di aiuto umanitario, ma apriamo tutte le porte di ogni istituzione religiosa ed ecclesiastica per vivere concretamente il vangelo della carità, per fare della fede, una vita vissuta nell’amore e nel servizio, fino a dare la vita per coloro che non sono i nostri amici, ma sono solo i nostri fratelli in umanità.