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Il commento alla parola di Dio- Domenica 20 settembre 2009

Venticinquesima domenica del tempo ordinario

 

20 settembre 2009

 

I piccoli e i veri grandi secondo Gesù

 

di padre Antonio Rungi

Celebriamo oggi la XXV Domenica del tempo ordinario e al centro della nostra preghiera e riflessione c’è il testo del Vangelo ritorna sul discorso della passione, morte e risurrezione del Signore che Gesù Maestro. Il mistero pasquale è ancora al centro della parola di Dio di questa domenica di settembre. Ma il discorso introduttivo di Gesù alla sua imminente passione non fa scattare l’interesse del Gruppo dei Dodici che tra loro stanno discutendo di altre cose, umanamente più concrete e redditizie, cioè chi era il più grande tra di loro, cioè il più importante e il primo. C’è qui un’evidente aspirazione al comando alla primazia dell’uno nei confronti degli altri del gruppo. Una cosa che evidentemente contrasta con l’autentico messaggio di Cristo, che è umile, si è fatto servo, assumendo la natura. Egli propone la via dell’abbassamento e dell’umiltà e i discepoli propongono la logica del potere e della supremazia, in netta opposizione allo stile del Maestro Gesù Cristo.

Per mediare un discorso di umiltà e per ricondurre i discepoli alla logica del vangelo Gesù deve proporre un modello di comportamento, che gli individua nell’essere o diventare bambini, nel senso più autentico del termine. Egli infatti, dice senza mezzi termini «se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E preso un bambino lo pose al centro del loro dibattito, delle loro fatue ed inutili discussioni e propone nel bambino il riferimento educativo e mentale per operare nella logica del vangelo, per accogliere Dio nella propria vita. La prospettiva della semplicità, dell’umiltà, della fragilità è quella che mette la base della relazione con Dio e con i fratelli. Dio si accoglie in un cuore semplice e aperto al dialogo, al confronto, come i bambini che sono aperti alla vita e si affacciano alla vita. «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». Il testo del Vangelo di Marco che ascoltiamo oggi, certamente è molto più ricco ed articolato e nella sua interezza propone altri importanti richiami alla fede e all’azione. Leggere questo brano e meditarlo ci aiuta a ridimensionare le nostre attese ed aspettative personali e sociali, specie quando ci dobbiamo confrontare con gli altri. La ricorsa ai primi posti è una malattia soprattutto dei nostri giorni e l’orgoglio e la superbia la sperimentiamo, purtroppo, in tante situazioni, anche in quelle che dovrebbero presentare il volto più autentico del messaggio cristiano. In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Strettamente connessa con il brano del Vangelo è la prima lettura, tratta dal Libro della Sapienza, in cui nuovamente ci viene presentato il discorso della figura del Messia, prefigurato qui, come in altri testi dell’AT come persona mite, coraggiosa, vessata con sofferenze e prove, per verificare la sua divinità. In questo brano ritroviamo in anticipo la figura di Cristo, l’esatta immagine del Crocifisso e del redentore, sia nella sua itineranza di maestro e sia soprattutto nel momento della sua morte in croce. “[Dissero gli  empi:] «Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo e si oppone alle nostre azioni; ci rimprovera le colpe contro la legge e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta. Vediamo se le sue parole sono vere, consideriamo ciò che gli accadrà alla fine. Se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti, per conoscere la sua mitezza e saggiare il suo spirito di sopportazione. Condanniamolo a una morte infamante, perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà».

Ci ritornano in mente le parole di Cristo dalla Croce: Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? La morte di Cristo è l’atto d’amore più grande che il Signore ha compiuto per noi. Sulla croce è tutto solo, con la sua sofferenza, espressione di un amore immenso che solo alla luce di questo unico ed irripetibile evento della salvezza del genere umano può essere letta e accettata nel mondo giusto. Ogni altra spiegazione al dolore e alla sofferenza umana non trova motivo di esistere. Si soffre e si accetta la sofferenza solo per amore. E Dio questo amore lo ha manifestato a noi sulla Croce, la sua croce. Nel segno della croce non si possono fare discorsi dei più grandi e dei più piccoli, ma solo di giustizia e solidarietà. Cristo ha scelto la via del Calvario per dare a noi uomini una grande lezione di vero amore. Purtroppo questa lezione non l’abbiamo ancora appresa, forse abbiamo iniziato come i bambini a fare i primi passi in questa direzione; ma il cammino è lungo e difficile da percorrere se non ci mettiamo in quella dinamica della disponibilità alla volontà di Dio e alla solidarietà.

Ciò ci introduce ad un altro importante discorso: nella croce di Cristo l’umanità è stata pacificata; ma la pace non sta purtroppo né dentro di noi, né fuori di noi, né intorno a noi, né nel mondo intero. E come ai tempi dell’apostolo Giacomo costui teneva ad evidenziare le cose che non andavano e l’origine di ogni male, passione e divisione tra le persone, così oggi ritorna come rimprovero cocente questo messaggio che ci invita a superare le divisioni, le guerre e gelosie. In un mondo in cui domina l’odio, il terrorismo, come abbiamo registrato in questi giorni con la morte di sei nostri militari in Afghanistan, questo messaggio sia di auspicio per un mondo più umano, meno conflittuale e più pacificato. “Fratelli miei, dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. Invece la sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia.
Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni”.

E’ proprio vero che dove c’è spirito di contesa e gelosia che solo guerra e disordine, E questo in tutti gli ambienti. Quante volte abbiamo sperimentato con nostra personale sofferenza tutto questo, potendo fare ben poco per eliminare dai nostri ambienti di rivalità e concorrenza quella insaziabile sete e fame di potere e di primeggiare. Il frutto dell’odio non più che essere una guerra su tutti i fronti, che non si sana mettendo al posto dei cosiddetti dittatori di turni altri che sono più dittatori di chi li ha preceduti. Il peggio dicevano gli antichi deve sempre ancora venire. E mi sembra che questa nostra umanità invece di andare nella direzione della pace, va verso la guerra globale e globalizzata, con grande danno per tutti, in quanto in regime di pace è più facile potenziare la pace, in un sistema di pensiero e di azioni bellici si potenziano i conflitti e l’assurda pretesa di governare sugli altri in modo autoritario. Il motto dei romani “divide et impera”, dividi e comanda, metti l’uno contro l’altro, fa capolino nelle nostre realtà quotidiane, ma anche a livello generale.

Sia questa la nostra umile preghiera di oggi: “O Dio, Padre di tutti gli uomini, tu vuoi che gli ultimi siano i primi e fai di un fanciullo la misura del tuo regno; donaci la sapienza che viene dall’alto, perché accogliamo la parola del tuo Figlio e comprendiamo che davanti a te il più grande è colui che serve”.

 

La parola di Dio di Domenica 13 settembre

Ventiquattresima domenica del tempo ordinario

 

13 settembre 2009

 

Signore Gesù, Tu sei il nostro Salvatore.

 

di padre Antonio Rungi

Celebriamo oggi la XXIV domenica del tempo ordinario e al centro della nostra riflessione c’è il testo del Vangelo di Marco con la celebre confessione della divinità di Cristo da parte di Pietro, capo del collegio degli apostolo, e parimenti l’assegnazione del compito a Pietro da parte di Gesù di guidare la chiesa. Stiamo a Cesarea di Filippo e qui avviene questo dialogo tra Gesù e i suoi discepoli. Il Maestro, già a conoscenza di tutto, chiede agli apostoli cosa pensi la gente di lui. Nel testo del Vangelo di Marco sono riportate alcune definizioni del Cristo o identificazioni con personaggi biblici ben precisi dell’AT e NT. Ma Gesù vuol sapere esattamente qual è il pensiero degli apostoli nei suoi riguardi, se effettivamente hanno compreso chi fosse. La riposta di Pietro è eloquente: tu sei il consacrato l’Unto del Signore. Il Cristo, il Messia. E’ la confessione della fede di Pietro e del gruppo dei discepoli di Cristo Salvatore. “In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà». Dal testo del vangelo è comprensibile quale conseguenze ne deriva il fatto che uno accetti Cristo come redentore. La conseguenza è la sequela, è l’impegno per un mondo nuovo capace di uscire dall’individualismo e dall’egoismo e di assumersi il peso delle responsabilità, che sono espresse dalla croce. La sequela di Cristo non ammette compromessi, essa chiede una disponibilità totale alla volontà di Dio fino alla croce e alla morte. Siamo capaci di questa sequela? Sappiamo davvero metterci in cammino con Cristo sulla via del Calvario? O piuttosto pensiamo ad un Dio che è solo gioia, benessere, assenza di dolore, un essere superiore capace di soddisfare tutte le nostre esigenze materiali. La croce a cui fa accenno Cristo e che deve essere accettata e porta non può essere strumento di scandalo o di rifiuto, ma di gioia e di liberazione. La via della Croce l’ha seguita prima Lui e dopo di Lui tutti coloro che seriamente vogliono fare un discorso di fede cristiana, di abbandono in Dio. Non si tratta solo nella fede di riconoscere Cristo come l’inviato del Padre, ma di testimoniarlo con una degna condotta di vita cristiana che vuol dire capacità di amare fino al sacrificio supremo.

La figura del Cristo umiliato e sofferente, il Servo dolente delineato nei suoi scritti dal profeta Isaia la comprendiamo bene alla luce del testo della prima lettura di oggi, in cui si parla appunto delle sofferenze del futuro messia di Israele. Esattamente quello che si è verificato nella vita di Cristo. E ciò è un’ulteriore conferma che Cristo vero uomo e vero Dio è davvero il salvatore annunciato dai profeti anche sotto le vesti dell’uomo dei dolori. “Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi  strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso. È vicino chi mi rende giustizia: chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. Chi mi accusa? Si avvicini a me. Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole?”.

Leggere questo testo alla luce dell’evento della Croce assume un significato molto preciso riferito a Cristo Crocifisso. La sofferenza di Cristo non è stata vana, anche se la è stata la cattiveria dell’umanità a schiacciare solo nel corpo la persona di Cristo, ad umiliarlo, a condannarlo a morte e a vederlo morire su un patibolo tra i più abietti del tempo. La dignità del Crocifisso, del Servo sofferente di Jahvé è un forte monito a ciascuno di noi per accettare di buon grado il dolore e la prova, ben sapendo che ogni sofferenza non è vana né per la propria vita, né per quella degli altri. La sofferenza più della gioia ha valore di eternità e di vita oltre la stessa sconfitta e debolezza. Apprendere dal Crocifisso il linguaggio dell’amore e della solidarietà è quanto ci viene detto in modo molto chiaro dall’Apostolo Giacomo nel brano della sua lettera che ascoltiamo come seconda lettura della parola di Dio oggi. Il crocifisso si identifica con i poveri, gli emarginati, i sofferenti e gli umiliati della terra. Chi vuole rimuovere Cristo Crocifisso non solo dai locali pubblici, come sempre più assurdamente viene chiesto in varie parti della nostra Patria, vuol dire che vuole rimuovere dalla sua coscienza la realtà dell’amore, del dolore, dell’oblazione, del sacrificio e della solidarietà. E’ come prendere i poveri e buttarli via da un progetto do società ove solo i ricchi contano e solo chi vive bene ha diritto di cittadinanza. San Giacomo apostolo un scatto di orgoglio per quanti si professano cristiani e dicono di avere fede. Uno scatto di orgoglio che si traduce in opere ed azioni di vera carità e di concretezza nell’operare per gli altri. “A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede».

E’ evidente che la fede in Cristo chiede un impegno concreto e fattivo per gli altri. Non basata solo proclamare la fede, va vissuta. E la fede senza la carità-speranza è una fede improduttiva per la salvezza eterna, ma anche nel tempo. Solo chi partendo dalla fede agisce per amore degli altri avrà una corrispondenza tra il dire e il fare. Spesso parliamo molto, ma agiamo poco, parliamo bene ed agiamo molto male, contrariamente a quello che diciamo di far fare agli altri. Si mettono i pesi sulle spalle degli altri e noi non siamo in grado di portarne neppure uno tra i più leggeri di questi pesi. Dobbiamo concretamente aiutare chi si trova nel bisogno. E quanti hanno le risorse necessarie se non lo fanno renderanno conto a Dio del loro operare a favore esclusivo di se stessi senza considerare i bisogno fondamentali degli altri come il cibo.

Sia questa la nostra preghiera di oggi che eleviamo al Signore con forti proposito di vero cambiamento interiore ed etico: O Padre, conforto dei poveri e dei sofferenti,
non abbandonarci nella nostra miseria: il tuo Spirito Santo ci aiuti a credere con il cuore, e a confessare con le opere che Gesù è il Cristo, per vivere secondo la sua parola e il suo esempio, certi di salvare la nostra vita solo quando avremo il coraggio di perderla”.


Il commento alla parola di Dio.

Ventitreesima domenica del tempo ordinario

 

6 settembre 2009

 

Apriamo la nostra mente ed il nostro cuore al Signore

 

di padre Antonio Rungi

Celebriamo oggi la XXIII domenica del tempo ordinario ed il Vangelo ci riporta il miracolo della guarigione del sordo-muto operato da Gesù verso il mare della Galilea in pieno territorio della Decapoli. Questo particolare miracolo assunse un significato speciale, sia nei gesti, sia nelle parole e sia nei contenuti. E’ d’altra parte lo stesso schema che il sacerdote usa nell’amministrare il battesimo ai bambini, agli adulti, a conclusione del rito del battesimo, quando ripetendo gli stessi gesti e parole di Gesù, invita al neo-battezzato ad aprirsi con il cuore e la mente alla fede e alla parola. In questo miracolo di Gesù è interessante evidenziare l’atteggiamento di speciale benevolenza di Gesù verso coloro che oggi vengono chiamati i diversamente abili e che spesso incontrano tante difficoltà nel realizzare le loro legittime aspirazioni ad una vita umana e sociale. I limiti della non comunicazione e del non ascolto sono evidenti in molte situazioni della vita quotidiana. Relazionarsi ad un sordo muto non basta conoscere il linguaggio dei segni, ma soprattutto è necessario conoscere il linguaggio dell’amore e della disponibilità. In termini metaforici qui ci troviamo di fronte ad una situazione che la sapienza popolare ha fissato i detti molti significativi e che vale la pena citare in questa riflessione sulla parola di Dio. Non c’è peggiore sordo di chi non vuole sentire e di cieco che non vuole vedere. Evidentemente di fronte ad un cambiamento radicale della nostra vita che ci viene proposto dalla Parola di Dio, dai consigli delle persone che vogliono il nostro bene, spesso facciamo finta di non ascoltare e di non vedere. Preferiamo il silenzio piuttosto che la comunicazione anche della propria debolezza e dello stato di bisogno. Il muto e sordo del Vangelo esprime questa situazione spirituale ed interiore di molti che credono di credere e credono di essere credibili. Spesso non credo e non sono credibili, perché alla base del loro modo di pensare e di agire non c’è Dio, ma se stessi, c’è quell’io espressione dell’orgoglio e della superbia umana che rende sordi agli altri e non mette in reale comunicazione con le persone. Immaginiamo quanto questo sia deleterio e profondamente distruttivo quando l’incomunicabilità avviene con l’Altro per eccellenza che è Dio. Venendo meno ogni riferimento religioso, morale, spirituale, etico, l’uomo si assurge a dio di se stesso, entra in questo autismo di chiusura nel circuito della propria personalità, non sempre aperta o capace di apertura. La maggiore difficoltà del mondo di oggi è proprio questa incomunicabilità. Sembra una cosa paradossale, ma è la verità. Più mezzi e strumenti tecnici abbiamo a disposizione, quali computer, cellulari, sociali network e meno comunichiamo davvero e in profondità. Le nostre comunicazioni sono ostacolate non solo dagli strumenti, spesso mal funzionanti, ma dal vero difetto della comunicazione che sta dentro di noi: la paura di aprirsi agli altri, perché non sai cosa trovi e chi davvero l’altro. E se le sorprese oggi non sono rare nell’ambito del mondo reale, con tante fratture e rotture di rapporti affettivi e sociali, nel mondo del virtuale sono ricorrenti e rischiose. C’è un dialogo tra sordi, tra non vedenti, perché la virtualità della comunicazione non favorisce la vera e sicura conoscenza dell’altro. Ecco perché che dal virtuale è necessario passare alla realtà e confrontarsi con essa. Questo confronto non può avvenire per un credente se una base comune di fede, di valori su cui convergere. Il testo del vangelo di oggi è molto chiaro nei passaggi essenziali che portano al discorso della fede e della risposta individuale a Dio che chiama alla comunicazione con lui. Il sordo muto guarito, è guarito non solo nel fisico, ma soprattutto nell’intimo, perché ha incontrato Cristo e con Lui ha instaurato un dialogo, basato sull’ascolto e sulla comunicazione. D’ora in poi quell’uomo potrà ascoltare la parola del Signore e trasmetterla con la vita e la comunicazione globale agli altri. Penso che oggi siamo tutti un po’ sordi alla parola di Dio e poco disposti a rischiare di persona per comunicare e trasmettere questa parola di vita e verità. Preferiamo il silenzio, la chiusura in noi stessi o al massimo nel gruppo ristretto degli amici e dell’associazionismo di tipo religioso. La parola di Dio deve essere proclamata da tutti, con la competenza necessaria e soprattutto con una forte esperienza spirituale alla base. Non si tratta di fare i professori della parola di essere i testimoni della parola. E per parlare degnamente è necessario ascoltare ripetutamente. “In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».  In poche parole dovremmo provare la stessa gioia ed avere lo stesso coraggio del sordomuto guarito e di quanti sperimentano ogni giorno il miracolo della parola che avviene dentro di loro di comunicare agli altri l’esperienza di un incontro che ti cambia la vita. come quella di Gesù. Questa prospettiva messianica di salvezza, come apertura a Dio nella totalità della persona è preannunciato nel testo del profeta Isaia che oggi ascoltiamo come prima lettura della parola di Dio. Qui viene lanciato un chiaro messaggio di speranza e di fiducia in Dio, che solo uomini e donne di vera fede accolgono e rendono operativo nella loro vita e nella vita del loro tempo. I tempi difficili di oggi non sono molto diversi dai tempi problematici nel periodo in cui visse il grande profeta dell’A.T. “Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi». Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d’acqua”. Solo un ordine morale basato sulla fiducia illimitata in Dio può creare davvero prospettive di vita e di sviluppo per l’umana società, anche di oggi. Chi pensa di poter fare a meno di Dio ha scritto la sua sentenza: la morte di tutto ciò che da vero senso alla vita dell’uomo e di conseguenza della società. Un mondo senza Dio è un mondo alla deriva morale e di relazioni umane e internazionali. Perciò giustamente San Giacomo nella seconda lettura di oggi, tratta dalla sua unica lettera che fa parte dei testi canonici e quindi della Bibbia, ci scrive cose interessanti da un punto di vista religioso, umano, sociale, di diritto, sulle quali è opportuno riflettere con grande attenzione e assumere da esse la lezione per la vita di relazione che siamo chiamati ad alimentare nella famiglia, nella parrocchia, nel mondo del lavoro, ovunque siamo ed operiamo: “Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali. Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi? Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?”.

Come sarebbe bello che tra noi uomini e cristiani ci fosse una vera uguaglianza, anche nel rispetto dei ruoli e delle funzioni di ciascuno. La corsa al prestigio, ai primi posti, all’eccellenza, al titolo, alla posizione dominante, all’essere rispettato, temuto, corteggiato è una malattia che investe l’anima e il modo di pensare di molti uomini e donne di tutti i tempi, compresi quelli presenti, più a rischio di visibilità e carrierismo e prestigio sociale, di ricerca di fama ed importanza a livello non più locale ma mondiale.

Via dai noi ogni favoritismo o soggiacenza ai potenti, ma nella logica del Vangelo ogni uomo sia davvero nostro fratello e venga rispettato solo ed esclusivamente per questo. Quanto cammino dobbiamo ancora fare in questo ambito dei rapporti umani e sociali!

Sia questa la nostra umile e sentita preghiera oggi, all’inizio della celebrazione eucaristica, ma che diventi stile di vita in ogni circostanza e situazione della vita: “O Padre, che scegli i piccoli e i poveri per farli ricchi nella fede ed eredi del tuo regno, aiutaci a dire la tua parola di coraggio a tutti gli smarriti di cuore, perché si sciolgano le loro lingue e tanta umanità malata, incapace perfino di pregarti, canti con noi le tue meraviglie”.

Il commento alla parola di Dio

Ventiduesima domenica del tempo ordinario

 

30 agosto 2009

 

La religione dell’apparenza e la religione del cuore.

 

di padre Antonio Rungi

Celebriamo oggi la XXII domenica del tempo ordinario e il Vangelo di Marco c’è un discorso molto severo di Cristo nei confronti del popolo di Israele e in particolare verso quanti onorano Dio solo con le labbra, ma non si lasciano prendere dal cuore, cioè dalla profondità della fede e della religione. Tanto è vero che Gesù condanna apertamente quanti tra i suoi conterranei e contemporanei sono molto attenti all’osservanza esterna della legge di Dio e trascurano invece comandamenti molto più importanti, quali la carità, la giustizia, la verità. Esemplari di una religiosità fatta solo di riti, di prescrizioni, di pura osservanza esteriore sono i farisei, ben conosciuti per il loro modo di agire ligio alle norme esteriori, ma pochi inclini all’amore, alla misericordia. Sono passati nella storia del pensiero cristiano e laico come coloro che salvano la faccia, ma nel privato, nella vita profonda del loro essere sono incapaci di gesti di bontà, misericordia, perdono. Non bisogna andare ai tempi di Gesù per ritrovare, in modo accentuato, oggi, le stesse categorie di persone che, in ogni ambito, compreso quello religioso, tendono solo a salvaguardare la faccia, a dare un’immagine perfetta di se stessi a livello esterno, ma che poi non sono capaci di riflettere nel cuore i valori e le cose che davvero contano davanti a Dio e ai fratelli. Il Vangelo di oggi ci impone una severa rilettura del nostro modo di credere, del nostro modo di esprimere e manifestare la fede, molte volte solo esteriorità, apparenze, manifestazioni, liturgie svuotate dal consapevole e sentita partecipazione alla vita della grazia. Una mentalità che affiora sempre più di un uso occasionale della fede, tipo usa e getta, tanto da fare determinate cose religiose (vedi i sacramenti dell’iniziazione cristiana e lo stesso matrimonio) solo per tradizione, solo perché si è fatto sempre così, senza capire a volte l’importanza della scelta che si sta facendo davanti a Dio. I tanti battezzati dove sono? I tanti bambini che hanno ricevuto e rivedono ogni anno la santa comunione, dove sono nelle nostre comunità parrocchiali. I tantissimi giovani che hanno ricevuto il sacramento della cresima, dove vanno, quale itinerario continuano a fare dopo questo sacramento. Le famiglie cristiane fondate sul sacramento del matrimonio dove sono più, quali risposte danno alla cultura della dissacrazione della famiglia e della sua repentina distruzione.  E tanti altri temi sensibili a livello religioso: come la preghiera, la partecipazione alla messa, alla confessione, alla vita della comunità ecclesiale, alle opere di bene, alla condivisione e alla solidarietà. Ecco c’è davvero molto da pensare e riflettere su questo brano della parola di Dio di oggi.
In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

Cristo ci invita ad un cambiamento radicale di marcia e di direzione ci invita ad una seria conversione del nostro cuore e della nostra vita. Non possiamo non fare attenzione a quanto troviamo scritto qui dentro, per la nostra personale santificazione e per la salvezza dell’umanità intera. Queste sono parole sante e santificanti. Sta a noi recepirle e metterle in pratica, eliminando tutto il male che sta nel nostro cuore e nella nostra vita. Sono dodici le parole che sono citate in questo testo e che indicano la depravazione morale in cui viene a trovarsi l’uomo quando agisce solo per fini indegni: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Vedo in questo numero dodici in negativo quello che può essere l’imperfezione totale, rispetto al numero 12 in positivo che viene indicato nella storia e nei simboli dell’antico e nuovo popolo d’Israele.

San Giacomo nel brano della seconda lettura di oggi ci riporta alla nostra responsabilità diretta che abbiamo rispetto all’accoglienza della parola di Dio e della sua pratica attuazione. Non possano essere tra quelli che ascolano solo, ma è necessario collocarsi tra quelli che operano in ragione e in risposta della parola ascoltata e meditata. I cristiani delle pie intenzioni ce ne sono tanti, quelli che alle pie intenzioni fanno corrispondere sante azioni ce ne sono pochi. Ecco perché la crisi di fede oggi non è più strisciante, marginale, ma evidente e consistente. . Una riposta concreta la troviamo in questo brano della parola di Dio che ci interpella. “Fratelli miei carissimi, ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce: presso di lui non c’è variazione né ombra di cambiamento. Per sua volontà egli ci ha generati per mezzo della parola di verità, per essere una primizia delle sue creature. Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi. Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo.

Una religione che proclama soltanto, annuncia, emette sentenze è una religione vuota se a queste cose non corrispondono fatti dei singoli e della comunità. Religione pura, infatti, ci ricorda san Giacomo, che è molto esplicito al riguardo, è senza peli sulla lingua, come si dice nel linguaggio comune, è questa: “visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo”.

Non ci resta altro da fare che andare all’origine di questa nostra religione e fede, non solo nel senso biblico e storico, ma nel senso personale e familiare. Se oggi siamo ancora cattolici o diciamo di esserlo bisogna che questo nostro modo di vivere la cattolicità sia espresso con comportamenti consoni alla fede alla quale apparteniamo. Non si può accettare una parte ed escludere l’altra. Ogni regola, ogni legge, ogni consiglio è utile per la nostra santificazione come ricorda il testo della prima lettura odierna, tratto dal Libro del Deuteronòmio. Emerge qui di nuovo la figura del grande condottiero verso la libertà, quel Mosé che il Signore scelse come guida di Israele dalla schiavitù dell’Egitto alla Terra Promessa: “Mosè parlò al popolo dicendo: «Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi. Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo. Le osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente”. Infatti quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E quale grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi do?».

Quelle che Dio ha consegnato a Mosè, i dieci comandamenti, sono norme giuste, che servono a mantenere unito un popolo, a farlo camminare nella moralità e nella verità, sia nel tempo presente e soprattutto in vista di quella Terra promessa che è l’eternità. Dio non ha abbandonato mai il suo popolo. Dio ha fatto sentire ad Israele la sua vicinanza, con indicare la strada giusta da percorrere se vuole salvarsi. Osservare la legge di Dio a partire da quelle dieci norme, è garanzia per tutti di vita e benedizione, di pace e riconciliazione, di onestà e rettitudine, di rispetto di se stessi e degli altri, della difesa del bene comune e del bene personale, della famiglia, della donna, della proprietà, della fedeltà, delle buone e rette intenzioni. In poche parole la vita incentrata su Dio evita la ricorsa che l’uomo fa per raggiungere beni e benesseri che non lo possono appagare perché come dice il grande Agostino, il nostro cuore è inquieto finquando non trova Dio e riposa nel cuore di Dio. Non avrai altro Dio, se non il Dio che ha manifestato il suo amore, inviando a noi il suo Figlio Gesù e sacrificandolo per noi sulla croce.

Sia questa la nostra preghiera che esprima la nostra volontà di ricominciare e ricominciare davvero o di continuare il cammino con maggiore cognizione dei nostri diritti e doveri di fedeli: “Guarda, o Padre, il popolo cristiano radunato nel giorno memoriale della Pasqua, e fa’ che la lode delle nostre labbra risuoni nella profondità del cuore: la tua parola seminata in noi santifichi e rinnovi tutta la nostra vita.

 

Messaggio di Padre Antonio Rungi

PadreRungi-blog.jpgComunicazione importante

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Da qualche amico mi è stato segnalato che su questo mio blog, soprattutto di notte, vengono inserite informazioni immorali e di dubbia provenienza, nei blog di aggiornamento sistematico che viene fatto dal server. Sono informazioni e segnalazioni che non mi appartengono e non mi apparterranno mai. Ringrazio quanti mi hanno segnalato questo modo improprio, illegale ed immorale di segnalare automaticamente su blog di altri informazioni di dubbia provienienza e con il chiaro intento di mettere in difficoltà il mio lavoro di sacerdote, di teologo morale. Sappiamo i rischi della rete e quindi dobbiamo usare tutte le stategie per difenderci da quanti in rete ci sono per fare il male e non il bene. Noi siamo dalla parte di coloro che lavoriamo in questo settore per il bene, per la diffusione del Vangelo, per la moralità, per tante altre cause di natura culturare ed informativa seria. Vi invito a segnalarmi eventuali altri abusi su questo mio blog, in modo da denunciare alle autorità competenti violazioni di ogni genere.

Con i consigli degli esperti ho provveduto ad eliminare la barra laterale degli aggiornamenti automatici dei blog del sistema. Quindi non dovrei aver più problemi.

Comunque se riscontrate qualche anomalia segnalatemi direttamente la cosa, come hanno fatto amici che mi conoscono, mi stimano e sanno effettivamente chi sono e cosa faccio. Sono un sacerdote, teologo morale, professore e giornalista. Quindi lavoro in un campo di massima serietà e moralità e non potrei mai essere dalla parte di coloro che sono contro questi valori. Non sponsorizzo nessuna causa che va contro la morale, la religione, la vita, la giustizia, il rispetto della legge.

La mia e-mail è la seguente: antonio.rungi@tin.it

Ringrazio di cuore chi mi ha segnalato ieri ed oggi abusi che si stavano perpretando su questo blog a mia insaputa.

Padre Antonio Rungi

 

Il commento alla parola di Dio di domenica 23 agosto 2009

Ventunesima domenica del tempo ordinario

 

23 agosto 2009

 

La sequela di Cristo impegna per tutta la vita

 

di padre Antonio Rungi

Celebriamo oggi la XXI domenica del tempo ordinario e il Vangelo di Giovanni, centro della nostra riflessione e meditazione di oggi ci riporta ai discorsi di Gesù. Questa volta il Signore cerca di capire chi è davvero dalla sua parte, premesso che già è a conoscenza della situazione interiore di ciascuno degli apostoli e dei discepoli, leggendo di fatto nei loro pensieri e nei loro cuori, e domanda se vogliono continuare a stare con Lui o andarsene via, come già alcune avevano fatto. La sua parola, l’essere vicino a lui non è un gioco, non è un divertimento del momento, né una positiva esperienza di una giornata, ma ci vuole fedeltà, costanza, forte impegno. Chiede Gesù a suoi discepoli la totale disponibilità al suo progetto di salvezza, alla sua persona. Chiede, in altri termini, la fede, la fiducia non di un istante, ma per sempre. Il testo del Vangelo, ricco come sempre, di spunti di meditazione per la condizione spirituale di ciascuno di noi, ci fa ipotizzare tre categorie di persone: quelle che seguono Cristo con coraggio, convinti, senza pretendere nulla; quelle che lo seguono in attesa di qualche evento ed ulteriore segnale che potesse volgere a loro favore; quelle che seguito Cristo per un tempo, non ne avvertono più la necessità, se ne vanno via e non vogliono sentire più discorsi. Tre categorie, in sintesi si possono delineare: quella dei credenti, degli pseudo-credenti e di non credenti o apostati. Di fronte alla scelta di Dio e di Cristo nella nostra vita è lecito domandare oggi a noi ciò che Gesù chiede a Pietro, quale capo del collegio degli apostoli e sapere dalla sua viva voce cosa intendono fare per il futuro, visto che diversi discepoli per la parola coraggiosa ed impegnativa di Cristo lo avevano abbandonato. Domanda di rito: volete andare via anche voi? La risposta poteva essere sì, anche noi vogliamo andare via, vogliamo abbandonarti, non abbiamo più interessi, né motivazioni che ci spingono a stare con te. Invece Pietro interviene a titolo personale e del gruppo ed esprime il suo pensiero e la sua prospettiva di vita in compagnia del Maestro: “Signore da chi andremo tu solo hai parole di vita eterna”. Aveva capito che il linguaggio di Cristo era di ben altra consistenza rispetto ai tanti maestri del suo tempo. Egli ha un orizzonte di eternità che prospetta ai suoi fidati amici. Ecco perché che chi aveva in qualche modo già entrato nella dinamica della grazia e del dono della fede, conta su Gesù, investe su di Lui, scommette sulla sua persona non per una vincita di un premio (forse c’era anche questa attesa, a leggere attentamente il vangelo nella sua completezza) ma per un premio che ha sapore di eternità. La parola di Cristo li affascina e senza quella Parola, cioè senza Dio (Gesù Cristo è la Parola di Dio, è il Verbo, la Parola Incarnata) non si può vivere. Non c’è puoi orientamento, non ci sono più certezze, tutto diventa precario, soggettivo, relativo, ognuno va per la sua strada, ognuno pensa ed agisce come crede, è anarchia morale e spirituale, caos che non porterà progressivamente all’ordine, ma aumenterà il disordine. E’ quello che avviene oggi a livello morale e in tanti settori. L’uomo vive come se Dio non esistesse e quindi si legittima da solo ogni assurdo comportamento che offende da dignità di se stesso e degli altri esseri umani e della stessa creazione nel suo complesso. Leggendo il testo del Vangelo di Giovanni, oggi comprendiamo quando al di fuori di un riferimento religioso, di una morale cristiana o naturale l’uomo tende a smarrirsi ed oltre a perdere il senso di Dio, perde anche il senso di se stesso, della vita, delle cose che fa e non ha più vere e rassicuranti prospettive. Magari si inventa e alimenta delle illusioni, costruisce un mondo di favole e di chimere che si sciolgono come neve al sole, per poi motivare che il tutto era stato falsamente impostato o programmato. Il programma di Cristo è ben leggibile nelle sue parole di verità, nella precisione di ciò che intende realizzare. Nel Vangelo troviamo il suo progetto di vita per il mondo e per chi in questo mondo vuole fare la scelta per il Signore. “In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

Come sempre ci vuole accostarsi al discorso religioso a Dio, non può farlo solo con la ragione, con la filosofia, con la ricerca scientifica, ma è necessario partire dalla fede. Noi come Pietro dobbiamo riconoscere che Cristo è “Il Santo di Dio”, cioè Dio stesso in persona che è presente nel mondo e che ritornerà da dove è venuto. L’inviato del Padre, il redentore prospetta ai suoi apostoli non solo lo scandalo della croce, ma la gioia della risurrezione e dell’ascensione al cielo. In poche parole, Cristo educa alla fede vera, indirizza verso il nucleo centrale della dottrina che Lui è venuta a far conoscere. Diciamo che svolge, attraverso la sua parola, una forma di catechesi o di evangelizzazione in cui va al cuore dei problemi e non si ferma all’apparenza, né tantomeno per accaparrarsi la simpatia della gente e il consenso manipola la verità, mistica o promette cose che non può mantenere. Cristo è chiaro e trasparente nel linguaggio è luce che illumina è maestro che forma e guida alla verità. Egli chiede fedeltà e coerenza. Come d’altra parte leggiamo, in un contesto completamente diverso, relativamente al Vecchio Testamento nella prima lettura della liturgia della parola di oggi, tratta dal Libro di Giosuè. “In quei giorni, Giosuè radunò tutte le tribù d’Israele a Sichem e convocò gli anziani d’Israele, i capi, i giudici e gli scribi, ed essi si presentarono davanti a Dio. Giosuè disse a tutto il popolo: «Se sembra male ai vostri occhi servire il Signore, sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrèi, nel cui territorio abitate. Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore». Il popolo rispose: «Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dèi! Poiché è il Signore, nostro Dio, che ha fatto salire noi e i padri nostri dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; egli ha compiuto quei grandi segni dinanzi ai nostri occhi e ci ha custodito per tutto il cammino che abbiamo percorso e in mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati. Perciò anche noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio». Come sempre nella storia e nella vita di ciascuno di noi o di una nazione che un momento in cui bisogna scegliere: la via di Dio o la via di altri dei. Il bene o il male, la sicurezza o l’incertezza, la fede dei propri avi o quella dell’autonomia individuale. Giosuè nel suo ruolo di guida del popolo di Israele, nella sua responsabilità e compito di sapere cosa pensasse quel popolo che Dio si era scelto e che era stato già contrassegnato da tanti benefici dall’Alto, chiede democraticamente, a modi di referendum, di sondaggio di opinione e di vera espressione di voto, cosa vogliono fare se continuare sua strada dell’Alleanza sinaitica oppure altra religione. Il popolo convinto di essere sulla strada giusta afferma senza mezzi termini: «Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dèi!”. Una dichiarazione di intenti che dovrebbe aiutarci a capire che quando si fanno delle scelte, bisogna poi mantenere. Non bisogna svendere la propria fede, i propri principi morali, religiosi per rincorrere altri modelli di vita o di religiosità. La parola data a Dio va mantenuta e rispettata, altrimenti diventiamo canne al vento che cambiano bandiere facilmente, senza trovare pace a nessuna parte. Le scelte fatte con convinzioni vanno mantenute a costo di grossi sacrifici e rinunce.  Ci aiuta in questo discorso il testo della lettera agli Efesini che ascoltiamo oggi come secondo brano biblico della liturgia della parola, con il riferimento alla sacralità del matrimonio e della famiglia. Tema molto attuale e dibattuto ai nostri giorni, falsamente interpretato da chi non vuole entrare nella logica dell’amore, del rispetto, della collaborazione che sottostà ad ogni scelta di vita coniugale e familiare. Di fronte alla crisi delle nostre famiglie, a tanti fallimenti nella vita coniugale, questa parola ci viene in aiuto e ad illuminarci perché possiamo tutti, a diverso titolo e grado, collaborare per il recupero della dignità del matrimonio, della famiglia, della donna, dei figli e dell’uomo. “Fratelli, nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!”. La dignità del matrimonio è evidenziata nell’analogia con la Chiesa e con la sua struttura. All’interno dell’uno e dell’altra deve circolare la carità e l’amore. Le regole sì, le leggi pure, ma alla base di tutto ci deve essere l’amore, la carità, quel sottomettersi l’uno all’altro che è indice di umiltà, volontà di collaborare per il bene della famiglia, senza presunzioni, arroganze, superbie, sopraffazioni. Consiglio a coniugi che vivono insieme, a quelli che sono in fase di separazione e che si sono spostai in chiesa con il sacramento nuziale di valutare attentamente queste parole prima di assumere qualsiasi decisione soprattutto se porta allo sfascio della famiglia e se nella famiglia ci sono bambini e minorenni. La sacralità e la dignità del matrimonio e della famiglia vanno sempre salvaguardate, tranne il caso in cui il sacramento non c’è mai stato, per cui l’atto posto in essere è nullo, ed è nullo perché davvero mancano i presupposti per essere vero.

Sia questa la nostra preghiera che eleviamo al Signore dal profondo del nostro cuore: “O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli, concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti, perché fra le vicende del mondo
là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia”.

Signore facci assaporare la gioia di essere uniti, di essere in amici, di superare le incomprensioni, le divisioni, le lotte e questo in ogni luogo, m soprattutto nella famiglia, ove, oggi, maggiormente si avverte la fatica e il peso di continuare nel cammino intrapreso, promettendo amore eterno davanti a te. La vera gioia su questa terra è vivere vicino a Te Signore ed essere in pace con la nostra coscienza e con tutti.

 

Dodicesima ed ultima meditazione degli esercizi spirituali

santasperanza.jpg12. Beata Vergine Maria, Madre della Santa Speranza.

Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione dogmatica Lumen Gentium, afferma che la beata Vergine «brilla ora sulla terra innanzi al peregrinante popolo di Dio, quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore» (cfr 2Pt 3,10) LG 68.

Queste parole si ritrovano quasi alla lettera nel Prefazio della messa della beata Vergine Maria assunta in cielo. La Chiesa considerando la funzione della beata Vergine nella storia della salvezza, spesso la invoca «speranza nostra» e «madre della speranza»: si rallegra per la natività della beata Vergine Maria «che è stata speranza e aurora di salvezza per il mondo intero»; meditando sulla sua maternità salvifica canta supplice: «Ave, speranza nostra, in te vinta è la morte, la schiavitù è redenta, ridonata la pace, aperto il paradiso»; nel mistero della gloriosa Assunzione della Madre di Dio scorge come la speranza sicura della salvezza, che risplende dinanzi a tutti i fedeli attraverso le asprezze della vita. Il 9 luglio in alcune Chiese particolari si celebra la memoria liturgica della beata Vergine Maria madre della santa speranza, come nella Congregazione della Passione, i Passionisti, fondata da San Paolo della Croce (Ovada, 1694-Roma,1775).

La devozione alla Vergine santissima, sotto il titolo di madre della santa Speranza, si sviluppò nella Congregazione dei Passionisti fin dai suoi inizi, a partire dal Fondatore San Paolo della Croce, ma promossa in modo speciale dal grande missionario p. Tommaso Struzzieri, divenuto poi vescovo, che ne portava con sé una immagine nelle missioni.

In seguito tale immagine, per opera del p. Giovanni Battista Gorresio, successore di san Paolo della Croce, fu riprodotta in serie e passò ad ornare le camere dei nostri religiosi, desiderosi di elevare ad essa lo sguardo e di invocarla nelle proprie necessità spirituali. La speranza che la Vergine presenta e a cui chiama è la croce che Gesù Bambino tiene in mano come segno del suo amore, manifestato a noi fino alla morte di croce.

Uno dei grandi devoti della Madonna della Santa Speranza fu il beato Domenico della Madre di Dio (Barberi). Nato a Viterbo nel 1792  a 22 anni entrò nei Passionisti. Ordinato sacerdote, cominciò la sua opera di predicazione in Italia, ma soprattutto in Inghilterra, dove ricondusse alla fede cattolica moltissimi fedeli e ministri, tra i quali anche John Henry Newman, futuro cardinale di Santa Romana Chiesa. Fu apprezzato dai Papi Leone XIII, che lo conobbe di persona quando era nunzio a Bruxelles, e Pio X, che ne ricordò la figura in una lettera del 1911.

Fu uomo di vasta erudizione, come dimostrano molte sue opere filosofiche, teologiche e ascetiche. Morì a Reading nel 1849. È sepolto a Sutton-Oak nel ritiro di Sant’Anna, presso Liverpool. Fu sempre amante tenerissimo della Madre di Dio, dalla quale come lui stesso afferma nella sua autobiografia, ripeteva ogni grazia a favore celeste: quello soprattutto di essere mandato a predicare la fede cattolica tra i popoli protestanti.

Dalla sua mariologia vi propongo una riflessione su Maria Madre della Santa Speranza.

Fra gli altri titoli che con ragione convengono a Maria, vi è quello di “Madre della santa Speranza”. E’ la speranza quella virtù, la quale, come un’ancora, tiene forti le navi delle nostre anime nel pelago burrascoso di questo secolo infelice; è quel conforto che ci è rimasto dopo la caduta; quel sollievo che ci sostiene nel nostro abbattimento, che ci dà coraggio nell’esercizio delle virtù cristiane. Si definisce dai teologi virtù divinamente infusa, con la quale noi con certa fiducia aspettiamo da Dio la vita eterna ed i mezzi che ad essa conducono. Maria, come Madre della Speranza, certamente la possedette in grado eroico in tutta la sua estensione. Ella invece di porre, come purtroppo si fa dagli uomini, la sua fiducia nelle persone di questo mondo, non la collocò in altri che nel solo Dio; altro non aspettò, né altro cercò se non la vita eterna e ciò che ad essa conduce. Questa terra con tutto ciò che in essa si ammira o che forma ordinariamente il desiderio degli illusi figli di Adamo, era per lei come se non vi fosse. La terra era un deserto per Maria, per cui gli Angeli stessi qua­si sorpresi per il distacco del suo cuore da ogni cosa creata, sembrava che dicessero: « Chi è mai costei che se ne ascende dal deserto, ripiena di delizie, appoggia­ta sopra il suo diletto? » (Ct 8, 5). Maria, sebbene ricolma di eccelse grazie ed esente dal fomite della colpa, pure non poneva in se stessa e nelle sue forze la confidenza, ma solo in Dio, dal quale sapeva discendere ogni bene ottimo ed ogni dono per­fetto. In Dio ella ripose sempre la sua confidenza in mezzo ai pericoli, alle persecuzioni, quando fu costretta a fuggire perfino dal paese nativo; in Dio sperò anche nel tempo della morte del suo divin Figlio, della disper­síone degli Apostoli; in Dio sperò inoltre nelle perse­cuzionì eccitate contro la Chiesa nascente, tenera e amabile sposa del suo dìvin Figlio. Armata di questa confidenza, si mantenne sempre costante in tutte le vi­cende più disastrose, anzi sostenne anche gli altri, che, abbattuti, facevano ricorso a lei, come a madre: dan­do confidenza ai deboli, porgendo la mano benigna ai caduti, animando i forti a confidare sempre di più. Né dobbiamo credere che al presente ella si sia di­menticata di esercitare tale ufficio di materna pietà. No, certamente. Anche al presente, dall’alto soglio, dove è assisa, stende la sua mano materna per solleva­re i caduti; apre il suo seno per dare loro confidenza; va ella incontro a loro per animarli a risorgere, « si mostra loro ben disposta e va loro incontro con ogni benevolenza » (Sap 6, 16); fa coraggio ai buoni; impe­tra loro intrepidezza in mezzo alle vicende umane, perché non soccombano; anima i pastori, ravviva il gregge di Cristo. In una parola ella si dimostra sem­pre a tutti faro di speranza, cioè Madre della santa Speranza.

Nella celebrazione della memoria della Madonna, la Madre di Cristo è venerata:

        perché alimentò continuamente la virtù della speranza nel corso della sua vita terrena;

        «ripose ogni fiducia» nel Signore;

        «attese nella speranza e generò nella fede il Figlio dell’uomo, annunziato dai profeti»;

        perché, assunta in cielo, è divenuta «la speranza dei fedeli»;

        è l’«aiuto dei disperati» e assiste, ristora e consola tutti coloro che ricorrono a lei

        perché risplende dinanzi a tutti i figli di Adamo come «segno di sicura speranza e consolazione» «finché splenda glorioso il giorno del Signore».

        Maria può giustamente dire di se stessa: Io sono la madre del bell’amore e della santa speranza. In me è la grazia per ogni via e verità, in me ogni speranza di vita e di virtù.

Preghiera

 

Santa Maria della Speranza,

mantieni viva la nostra attesa

O Madre di speranza e Madre nostra

a te noi rivolgiamo il nostro sguardo;

addita sempre a noi il Salvatore,

nell’ora della gioia e della prova.

Ci hai donato l’atteso di ogni tempo

tante volte promesso dai profeti.

Ora noi con fiducia domandiamo

la forza che dà la vita al mondo nuovo.

Sei apparsa come aurora del nuovo giorno

che ha visto Dio venire sulla terra.

Ora noi attendiamo il suo ritorno

lottiamo per l’avvento del suo regno.

Univi al tuo dolore la speranza

vivendo nell’amore la lunga attesa.

Ora noi con impegno lavoriamo

al nuovo rifiorire della terra.

Speravi quando tutti erano incerti

che Cristo risorgesse dalla morte.

Ora noi siamo certi che il Risorto

è vita per il mondo ora e sempre.

 

E dalla liturgia delle ore di questa memoria ricaviamo la preghiera conclusiva di questa meditazione: “Signore, che alla Chiesa pellegrina sulla terra hai dato nella Beata Vergine un pegno di sicura speranza, fa che quanti sono oppressi dal tedio della vita, trovino in Lei rifugio e conforto e quanti disperano di salvarsi, si aprano a una fiducia nuova. Amen.

 

 

 

Undicesima meditazione degli esercizi spirituali

11. PRESENTAZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

Origine e carattere della festa.

La Presentazione di Maria è  fra le feste più care al clero e alle persone consacrate a Dio. Si celebra il 21 novembre con data fissa. Come  in Oriente è nato il culto della Madonna, così in Oriente è sorta questa festa, che si celebra già dal secolo VII. La Francia fu la prima ad accoglierla, alla corte romana di Avignone, nel 1372. Carlo V nel 1374 espresse il desiderio che fosse celebrata in tutto il regno.

Come dicevo all’inizio, questa è una festa particolarmente sentita tra i religiosi. E, infatti, la Presentazione al tempio della beata Vergine Maria fu molto cara a san Paolo della Croce, perché gli ricordava la sua consacrazione a Dio per la fondazione della Congrega­zione della Passione di Gesù Cristo. Nato ad Ovada il 3 gennaio 1694 morì a Roma il 18 ottobre 1775. Egli volle, tra l’altro, che la prima casa dei Passionisti, aperta nel 1737 sul Monte Argentario (Grosseto), la prima Provincia religiosa (maggio 1769) e il pri­mo monastero delle Religiose passioniste fossero dedicati alla Presentazione di Maria santissima.

La Presentazione è stata anche la prima patrona della Congregazione dei Passionisti, cob decreto nel Capitolo generale del 1775.

 

Con tale festa,  la Chiesa cattolica e specialmente i cristiani d’Oriente, ricorda quella «dedicazione» che Maria fece di se stessa a Dio fin dall’in­fanzia, mossa dallo Spirito Santo, della cui grazia era stata ricolma nella sua Immacolata Concezione.

La Presentazione di Maria al Tempio trova la sua radice e il suo fondamento nella tradizione ebraica e nel fatto che, come tutti gli Ebrei osservanti, anche Gioachino e Anna, genitori della Vergine, come più tardi farà la stessa Madre di Gesù, hanno portato al Tempio Maria Bambina, per offrirla al Signore, facendo dono di due tortore o di due colombi.

La festa vuole ricordare anche tutto il periodo che va dalla natività sino al fidanzamento con Giuseppe e all’annunciazione. Nel celebrarla la Chiesa intende illuminare il silenzio che grava sul primo periodo della vita di Maria e presentarlo come tempo della sua preparazione alla sublime vocazione di Madre di Dio.

Per la memoria della festa, si ricorre all’apocrifo Protovangelo di Giacomo (risalente al III secolo) che ne parla così: «Tutte le fanciulle della città prendono le fiaccole ed un lungo corteo luminoso accompagna la bambina su in alto, “nel tempio del Signore”. Qui il sacerdote l’accoglie dicendo: “Il Signore ha magnificato il tuo nome in tutte le generazioni: in te, nell’ultimo dei giorni, Egli manifesterà la sua redenzione ai figli di Israele… Maria stava nel tempio del Signore come una colomba allevata, e riceveva il cibo per mano di un angelo».

Ma al di là della poesia, quello che conta è il fatto che quella Bambina era destinata a divenire la Dimora ove il Figlio di Dio e lo Spirito Santo vennero ad abitare in mezzo agli uomini; come tale la Presentazione è il simbolo di una verità più alta: quella della totale consacrazione a Dio fin dai primi istanti della sua esistenza.

La Chiesa, fin dai primi tempi, ha venerato la sublime santità di Maria e ha riferito a lei numerosi passi biblici dell’Antico Testamento, là dove Maria è presentata come “dimora della Sapienza in mezzo agli uomini”: in questa prospettiva viene chiamata Sede della Sapienza, perché in lei abita la Sapienza di Dio che è Cristo, e in lei cominciano a manifestarsi le meraviglie di Dio, che lo Spirito compie in Cristo e nella Chiesa.

Intesa come Tempio di Dio, Maria è salutata non solo come la Madre dei credenti, ma anche come la Donna dei tempi nuovi, perché in Lei si realizzano le promesse dei profeti, e, per la sua mediazione, lo Spirito Santo mette in comunione Dio con gli uomini.

 

Dal Catechismo della Chiesa Cattolica n. 724, leggiamo:

“In Maria, lo Spirito Santo manifesta il Figlio del Padre divenuto Figlio della Vergine. Ella è il roveto ardente della teofania definitiva: ricolma di Spirito Santo, mostra il Verbo nell’umiltà della sua carne ed è ai poveri e alle primizie dei popoli, che lo fa conoscere”

 

Ricordando la Presentazione della Vergine al Tempio, è importante meditare sul legame strettissimo che esiste tra Maria e la Chiesa, quello cioè della sua inestimabile santità. Guardare a Lei vuol dire guardare al modello più fulgido della vita cristiana, che non solo ubbidisce alla Legge, ma diventa punto di riferimento per il nostro camminare nel Tempio del Signore, che è la Chiesa.

Lo dice il Concilio: “I fedeli del Cristo si sforzano ancora di crescere nella santità per la vittoria sul peccato; e per questo innalzano gli occhi a Maria, la quale rifulge come modello di virtù davanti a tutta la comunità degli eletti” (Lumen Gentium 65). Non si può dimenticare che, il 21 novembre, nella festa della Presentazione al Tempio, si celebra anche la Giornata delle claustrali come invito alla gratitudine per quelle sorelle che vivono la loro consacrazione di vita nella preghiera, nella meditazione e nel nascondimento. Queste sorelle, vere antenne sul monte del Signore, sono nel cuore della Chiesa e la arricchiscono con la loro verginità e incessante preghiera. Senza di loro la Chiesa sarebbe molto più povera! A loro va in modo speciale il mio pensiero in questo momento, con la gratitudine verso ciascuno di loro. Ho avuto ed ho la gioia di conoscere vari monasteri di claustrali: le passioniste di Napoli e di Alvignanello (Vt), le Carmelitane dei Ponti Rossi a Napoli, le Clarisse di Airola (Bn), mio paese d’origine. La loro preghiera e il loro sostegno spirituale è di grande aiuto per me e per tutti noi.

 

Dalle « Lettere » di san Paolo della Croce, sacerdote (Lett., vol. 1, pp. 349‑350)

 

Grandezze di Maria santissima e come si debba onorare

 

Le ricchezze di questa sovrana Signora sono tante e così grandi, che solo quel gran Dio che l’ha arricchi­ta di così alti tesori le conosce. Quella grande ferita d’amore, di cui fu dolcemente piagato il suo purissimo cuore, fin dal primo istante della sua immacolata concezione, crebbe tanto in tut­to il corso della sua vita, finché penetrò tanto dentro, che ne fece partire dal corpo quell’anima santissima. Così, questa morte d’amore, più dolce della stessa vi­ta, diede fine a quel gran mare di dolori, che questa gran Madre patì in tutto il corso della sua santissima vita; non solamente nella santissima Passione di Ge­sù, ma anche nel vedere tante offese che si facevano dagli uomini ingrati alla divina Maestà. Così, dunque, facciamo festa e giubiliamo in Dio, nostro Bene, go­dendo che sia esaltata sopra tutti i cori degli Angeli, collocata alla destra del suo divin Figliolo. In quel gran cuore santissimo di Gesù si può godere delle glo­rie di Maria santissima, amandola col Cuore purissi­mo del divin Figliolo, e, se Gesù glielo permette, fare un volo nel Cuore purissimo di Maria e giubilare con lei e rallegrarsi che siano finite tante pene, tanti dolo­ri, e domandare grazia dì starsene sempre immersa nell’immenso mare del divino Amore, da cui esce quell’altro mare delle pene di Gesù e dei dolori di Ma­ria. Lasciamoci penetrare da queste pene, da questi dolori, e lasciamo che si temperi bene la spada o lan­cia o dardo, acciò penetri più a fondo la ferita d’amo­re; perché tanto più sarà penetrante la ferita d’amore, tanto pìù presto uscirà dal carcere la prigioniera.

Io sono un abisso di tenebre, né so parlare di tali meraviglie. Chi pìù vuol piacere a Maria santissima, bisogna che più si umilii, più si annichili, perché Ma­ria fu la più umile fra tutte le creature, e perciò piac­que a Dio più di tutti per la sua umiltà. Preghi Marìa santissima che non tardi più ad im­petrarle la grazia di essere veramente umile e tutta virtuosa, tutta fuoco d’amore; le dica che se vuole far la carità di ferirle il cuore con un acuto dardo d’amo­re, che penetri ben a fondo la spada o lancia, sta in mano sua. La preghi anche per me e per i presenti bi­sogni della santa Chiesa e di tutto il mondo e per le anime del purgatorio, e massime per chi siamo più ob­bligati di pregare; per questa minima Congregazione, che Maria santissima la protegga e la provveda di san­ti operai, perché lei è la tesoriera delle grazie e sua di­vina Maestà vuole che passino per le sue mani.

 

Dopo la Presentazione.

Maria non resta al tempio, perché nessuno meglio di Gioacchino e Anna sono preparati ad educare la Madre di Dio; ma vi ritorna spesso per essere iniziata alla legge mosaica, per unirsi ai sacrifici offerti a Dio ogni giorno e pregarlo di inviare presto il Messia promesso e tanto atteso.
Conoscendo pienamente i misteri del Figlio di Dio… Maria contempla e adora Gesù Cristo in tutte le figure della liturgia mosaica. Al tempio è come circondata da Cristo, lo vede dappertutto e, in certo senso, ella è la pienezza della legge poiché compie al momento del declino della Legge, ciò che questa non aveva ancora potuto consumare dalla sua istituzione. Vedendo le vittime del tempio, Maria sospira per la morte della vittima annunziata dai profeti, per la morte di colui che salverà il mondo e che sarà ad un tempo sacerdote, vittima e tempio del suo sacrificio. Maria adempie senza saperlo in quel tempo le funzioni sante del sacerdozio che avrebbe esercitato sul Calvario… è il sacerdote universale, il sommo sacerdote della Legge, il Pontefice magnifico, che immola in anticipo, spiritualmente, Gesù Cristo alla gloria del Padre… E, come offre a Dio se stessa, in tutto quello che è e in tutto quello che sarà, offre, nello stesso tempo, tutta la Chiesa.
La Legge richiamava il Messia… La Santissima Vergine lo chiama con maggiore potenza ed efficacia, più dei Patriarchi e dei Profeti, per la sua inimitabile santità, per le sue qualità auguste, per l’ardore della carità verso gli uomini e per l’amore ardentissimo e veemente per il Verbo incarnato, del quale già contempla la bellezza affascinante, nelle comunicazioni del Verbo stesso, delle quali il Padre si compiace favorirla.

Preghiera:

“Rallegratevi con me voi tutti che amate il Signore, perché, ancora piccolina, piacqui all’Altissimo”.
Nell’Ufficio cantato in tuo onore ci rivolgi, o Maria, questo invito e quale festa meglio di questa lo giustificherebbe? Quando, piccola più per l’umiltà che per l’età, candida e pura salivi i gradini del tempio, il cielo dovette riconoscere che ormai le compiacenze dell’Altissimo erano per la terra. Gli Angeli, in una pienezza di luce mai vista, compresero le tue grandezze incomparabili, e la maestà di un Tempio in cui Dio raccoglieva un omaggio superiore a quello dei nove cori angelici, la prerogativa augusta del Vecchio Testamento di cui eri figlia e i cui insegnamenti perfezionavano in te la formazione della Madre di Dio. Tuttavia la santa Chiesa ti dichiara imitabile per noi in questo mistero della Presentazione, come in tutti gli altri, o Maria. Degnati particolarmente benedire i privilegiati che la grazia della vocazione fa abitare qui in terra nella casa del Signore e siano essi pure il fertile ulivo (Eccli. 24, 19) nutrito dello Spirito Santo col quale oggi ti paragona san Giovanni Damasceno.

Ma non è forse ogni cristiano, per il suo battesimo, cittadino e membro della Chiesa, vero santuario di Dio del quale il tempio di Gerusalemme è soltanto figura?

Per la tua intercessione ci sia  possibile seguirti da vicino nella tua felice Presentazione, per meritare di essere noi pure presentati, al tuo seguito, all’Altissimo nel tempio della sua gloria”

 

Decima meditazione degli esercizi spirituali

10. Maria Vergine, aiuto dei cristiani

 

Dal Libro della Genesi

“Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe:questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno».

 

La parola di Dio ci aiuta a capire il senso di questa festa

Maria è adombrata in questa sua funzione e missione a favore dell’umanità, fin da principio, dopo il peccato originale. E’ il protovangelo che apre una prospettiva di salvezza messianica in cui un ruolo importante assume la Madonna

 

– Nel libro della Genesi  risuonano le minacciose parole di Dio rivolte al Serpente e il primo annuncio della futura vittoria del Figlio della Donna. Maria ci aiuta a vincere il male e ciò che è danno vero per l’umanità.

 

Nell’Apocalisse è narrata in forma profetica la lotta del grande drago o serpente antico contro la Donna vestita di sole, coronata di dodici stelle  e «contro il resto della sua discendenza, contro quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù»,  cioè contro la Chiesa adombrata anche nel segno della Vergine Madre.

 

– Nel brano del Vangelo, Gv 2,1-11, ricorda l’aiuto che Maria presta incessantemente alla Chiesa, raffigurata nei discepoli che credono in Gesù (cfr v. 11) e nei commensali del banchetto nuziale (cfr v. 2).

 

– Il titolo Maria  «Aiuto dei cristiani» è di antica origine. I cristiani si sono sempre rivolti alla Madonna nelle numerose vicende personali e della storia.

 

La storia di una festa e devozione

– Fu Pio VII († 1823),  ha istituire ufficialmente la festa in onore di Maria “aiuto dei cristiani”, fissandola al 24 maggio, in seguito a vicende personali che lo videro prima cacciato da Roma con la forza delle armi, tenuto prigioniero sotto stretta custodia, mentre la Chiesa pregava per lui, fino al giorno del suo ritorno a Roma il 24 maggio. 1814.

 

– Tale festa  si è diffusa ovunque specialmente nelle Congregazioni religiose. Sono i Salesiani, fondati da san Giovanni Bosco († 1888), ad averla maggiormente promossa ovunque sono stati e sono presenti nel mondo. Una festa che è passata con il titolo di Maria Ausiliatrice. 

 

Quale tipo di aiuto viene ai cristiani da parte di Maria?

Due gli aiuti essenziali:

– La Madonna offre questo aiuto nutrendo la fede dei cristiani, ancorata all’insegnamento degli Apostoli; alimentando la carità e sostenendo la speranza.

 

-Maria soccorre i cristiani nelle loro necessità, perché camminino sicuri tra le tante tempeste della vita sia personale che familiare.

 

A Maria si attribuiscono tanti significativi interventi per salvare le singole persone, intere popolazioni e la stessa chiesa nelle difficoltà storiche di cui abbiamo notizia. Singolare è la battaglia di Lepanto il 7 ottobre 1571. Papa Pio V vide l’intervento della Madonna invocata prima e durante la battaglia che permise alla flotta cristiana di superare quella islamica e bloccare l’avanzata dell’Islam in Europa. Da qui il titolo di Regina delle Vittorie inserito anche nella supplica alla Madonna del Rosario di Pompei da parte del Beato Bartolo Longo.

 

Il magistero e la dottrina

 

LG: “Nella Chiesa, Maria occupa, dopo Cristo, il posto più alto e il più vicino a noi”.

Il posto più alto: Maria nel mistero della salvezza occupa una posizione singolare, unica, dovuta al fatto che ella è la Madre di Gesù, il Verbo incarnato, il Redentore dell’umanità. Con il suo “si” all’annunciazione, Maria ha consentito l’irrompere di Dio nel mondo, divenendo così mediatrice e cooperatrice di Cristo (cfr LG 60-61).

 

Il posto più vicino a noi: la nostra vita è profondamente influenzata dall’esempio e dall’intercessione di Maria. Modello eletto di santità, Maria guida i passi dei credenti nel cammino verso il Paradiso. Mediante la sua prossimità alle vicende della nostra storia quotidiana Maria ci sostiene nelle prove, ci incoraggia nelle difficoltà, sempre additandoci la meta dell’eterna salvezza e dandoci l’esempio di una vita totalmente dedicata all’ascolto del Signore e alla risposta obbediente alla sua chiamata.

 

Giovanni Paolo II (RM)

Maria, presente nella Chiesa come Madre del Redentore, partecipa maturamente a quella «dura lotta contro le potenze delle tenebre», che si svolge durante tutta la storia umana. E per questa sua identificazione ecclesiale con la «donna vestita di sole» (Ap 12,1), si può dire che «la Chiesa ha già raggiunto nella beatissima Vergine la perfezione, per la quale è senza macchia e senza ruga»; per questo, i cristiani, innalzando con fede gli occhi a Maria lungo il loro pellegrinaggio terreno, «si sforzano ancora di crescere nella santità». Maria, l’eccelsa figlia di Sion, aiuta tutti i suoi figli – dovunque e comunque essi vivano – a trovare in Cristo la via verso la casa del Padre. Pertanto, la Chiesa, in tutta la sua vita, mantiene con la Madre di Dio un legame che abbraccia, nel mistero salvifico, il passato, il presente e il futuro e la venera come madre spirituale dell’umanità e avvocata di grazia.

 

Benedetto XVI (Discorsi). Con Dio, con Cristo, con l’uomo che è Dio e con Dio che è uomo, arriva la Madonna. Questo è molto importante. Dio, il Signore, ha una Madre e nella Madre riconosciamo realmente la bontà materna di Dio. La Madonna, la Madre di Dio, è l’ausilio dei cristiani, è la nostra permanente consolazione, è il nostro grande aiuto.

Nella Madonna riconosciamo tutta la tenerezza di Dio e, quindi, coltivare e vivere questo gioioso amore della Madonna, di Maria, è un dono della cattolicità molto grande.

La Teologia

Dio, Padre di misericordia, in molti modi manifesta la sua presenza nella Chiesa, a sostegno e difesa della cristianità tutta. Al Padre si giunge solo attraverso la mediazione universale del Figlio. Tale mediazione non esclude, anzi suscita nelle creature una varia cooperazione partecipata da un’unica sorgente. Secondo tale piano divino il primo posto è occupato dalla Vergine Maria. Concependo Cristo, generandolo, nutrendolo, soffrendo, cooperò in modo del tutto singolare all’opera di salvezza. Nell’economia della salvezza la maternità ecclesiale di Maria perdura senza soste e continuerà fino a quando gli eletti non abbiano conseguito la gloria finale. “Tale funzione subordinata la Chiesa non dubita di riconoscerla apertamente, sperimentandola continuamente”.

 

Gli impegni di vita

Benedetto XVI. Non dobbiamo essere sempre nelle nuvole, nelle altissime nuvole del Mistero, dobbiamo essere anche con i piedi per terra e vivere insieme la gioia di essere una grande famiglia: la piccola grande famiglia della parrocchia; la grande famiglia della diocesi, la grande famiglia della Chiesa universale.  La Verità si esprime nella bellezza e dobbiamo essere grati per questa bellezza e cercare di fare tutto il possibile perché rimanga presente, si sviluppi e cresca ancora. Così mi sembra che arrivi Dio, in modo molto concreto, in mezzo a noi.

 

Preghiera di Pio XII alla Madonna

 

Noi confidiamo che le tue pupille misericordiose si abbassino sulle nostre miserie e sulle nostre angosce, sulle nostre lotte e sulle nostre debolezze; che le tue labbra sorridano alle nostre gioie e alle nostre vittorie. Noi abbiamo la vivificante certezza che i tuoi occhi, i quali hanno pianto sulla terra irrigata dal Sangue di Gesu’, si volgono ancora verso questo mondo in preda alle guerre, alle persecuzioni, all’oppressione dei giusti e dei deboli; e noi, fra le tenebre di questa valle di lacrime, attendiamo dal tuo celeste lume e dalla tua dolce pieta’ sollievo alle pene dei nostri cuori, alle prove della Chiesa e della nostra patria. Amen.