riflessione

Il commento alla parola di Dio di domenica 23 agosto 2009

Ventunesima domenica del tempo ordinario

 

23 agosto 2009

 

La sequela di Cristo impegna per tutta la vita

 

di padre Antonio Rungi

Celebriamo oggi la XXI domenica del tempo ordinario e il Vangelo di Giovanni, centro della nostra riflessione e meditazione di oggi ci riporta ai discorsi di Gesù. Questa volta il Signore cerca di capire chi è davvero dalla sua parte, premesso che già è a conoscenza della situazione interiore di ciascuno degli apostoli e dei discepoli, leggendo di fatto nei loro pensieri e nei loro cuori, e domanda se vogliono continuare a stare con Lui o andarsene via, come già alcune avevano fatto. La sua parola, l’essere vicino a lui non è un gioco, non è un divertimento del momento, né una positiva esperienza di una giornata, ma ci vuole fedeltà, costanza, forte impegno. Chiede Gesù a suoi discepoli la totale disponibilità al suo progetto di salvezza, alla sua persona. Chiede, in altri termini, la fede, la fiducia non di un istante, ma per sempre. Il testo del Vangelo, ricco come sempre, di spunti di meditazione per la condizione spirituale di ciascuno di noi, ci fa ipotizzare tre categorie di persone: quelle che seguono Cristo con coraggio, convinti, senza pretendere nulla; quelle che lo seguono in attesa di qualche evento ed ulteriore segnale che potesse volgere a loro favore; quelle che seguito Cristo per un tempo, non ne avvertono più la necessità, se ne vanno via e non vogliono sentire più discorsi. Tre categorie, in sintesi si possono delineare: quella dei credenti, degli pseudo-credenti e di non credenti o apostati. Di fronte alla scelta di Dio e di Cristo nella nostra vita è lecito domandare oggi a noi ciò che Gesù chiede a Pietro, quale capo del collegio degli apostoli e sapere dalla sua viva voce cosa intendono fare per il futuro, visto che diversi discepoli per la parola coraggiosa ed impegnativa di Cristo lo avevano abbandonato. Domanda di rito: volete andare via anche voi? La risposta poteva essere sì, anche noi vogliamo andare via, vogliamo abbandonarti, non abbiamo più interessi, né motivazioni che ci spingono a stare con te. Invece Pietro interviene a titolo personale e del gruppo ed esprime il suo pensiero e la sua prospettiva di vita in compagnia del Maestro: “Signore da chi andremo tu solo hai parole di vita eterna”. Aveva capito che il linguaggio di Cristo era di ben altra consistenza rispetto ai tanti maestri del suo tempo. Egli ha un orizzonte di eternità che prospetta ai suoi fidati amici. Ecco perché che chi aveva in qualche modo già entrato nella dinamica della grazia e del dono della fede, conta su Gesù, investe su di Lui, scommette sulla sua persona non per una vincita di un premio (forse c’era anche questa attesa, a leggere attentamente il vangelo nella sua completezza) ma per un premio che ha sapore di eternità. La parola di Cristo li affascina e senza quella Parola, cioè senza Dio (Gesù Cristo è la Parola di Dio, è il Verbo, la Parola Incarnata) non si può vivere. Non c’è puoi orientamento, non ci sono più certezze, tutto diventa precario, soggettivo, relativo, ognuno va per la sua strada, ognuno pensa ed agisce come crede, è anarchia morale e spirituale, caos che non porterà progressivamente all’ordine, ma aumenterà il disordine. E’ quello che avviene oggi a livello morale e in tanti settori. L’uomo vive come se Dio non esistesse e quindi si legittima da solo ogni assurdo comportamento che offende da dignità di se stesso e degli altri esseri umani e della stessa creazione nel suo complesso. Leggendo il testo del Vangelo di Giovanni, oggi comprendiamo quando al di fuori di un riferimento religioso, di una morale cristiana o naturale l’uomo tende a smarrirsi ed oltre a perdere il senso di Dio, perde anche il senso di se stesso, della vita, delle cose che fa e non ha più vere e rassicuranti prospettive. Magari si inventa e alimenta delle illusioni, costruisce un mondo di favole e di chimere che si sciolgono come neve al sole, per poi motivare che il tutto era stato falsamente impostato o programmato. Il programma di Cristo è ben leggibile nelle sue parole di verità, nella precisione di ciò che intende realizzare. Nel Vangelo troviamo il suo progetto di vita per il mondo e per chi in questo mondo vuole fare la scelta per il Signore. “In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

Come sempre ci vuole accostarsi al discorso religioso a Dio, non può farlo solo con la ragione, con la filosofia, con la ricerca scientifica, ma è necessario partire dalla fede. Noi come Pietro dobbiamo riconoscere che Cristo è “Il Santo di Dio”, cioè Dio stesso in persona che è presente nel mondo e che ritornerà da dove è venuto. L’inviato del Padre, il redentore prospetta ai suoi apostoli non solo lo scandalo della croce, ma la gioia della risurrezione e dell’ascensione al cielo. In poche parole, Cristo educa alla fede vera, indirizza verso il nucleo centrale della dottrina che Lui è venuta a far conoscere. Diciamo che svolge, attraverso la sua parola, una forma di catechesi o di evangelizzazione in cui va al cuore dei problemi e non si ferma all’apparenza, né tantomeno per accaparrarsi la simpatia della gente e il consenso manipola la verità, mistica o promette cose che non può mantenere. Cristo è chiaro e trasparente nel linguaggio è luce che illumina è maestro che forma e guida alla verità. Egli chiede fedeltà e coerenza. Come d’altra parte leggiamo, in un contesto completamente diverso, relativamente al Vecchio Testamento nella prima lettura della liturgia della parola di oggi, tratta dal Libro di Giosuè. “In quei giorni, Giosuè radunò tutte le tribù d’Israele a Sichem e convocò gli anziani d’Israele, i capi, i giudici e gli scribi, ed essi si presentarono davanti a Dio. Giosuè disse a tutto il popolo: «Se sembra male ai vostri occhi servire il Signore, sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrèi, nel cui territorio abitate. Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore». Il popolo rispose: «Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dèi! Poiché è il Signore, nostro Dio, che ha fatto salire noi e i padri nostri dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; egli ha compiuto quei grandi segni dinanzi ai nostri occhi e ci ha custodito per tutto il cammino che abbiamo percorso e in mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati. Perciò anche noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio». Come sempre nella storia e nella vita di ciascuno di noi o di una nazione che un momento in cui bisogna scegliere: la via di Dio o la via di altri dei. Il bene o il male, la sicurezza o l’incertezza, la fede dei propri avi o quella dell’autonomia individuale. Giosuè nel suo ruolo di guida del popolo di Israele, nella sua responsabilità e compito di sapere cosa pensasse quel popolo che Dio si era scelto e che era stato già contrassegnato da tanti benefici dall’Alto, chiede democraticamente, a modi di referendum, di sondaggio di opinione e di vera espressione di voto, cosa vogliono fare se continuare sua strada dell’Alleanza sinaitica oppure altra religione. Il popolo convinto di essere sulla strada giusta afferma senza mezzi termini: «Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dèi!”. Una dichiarazione di intenti che dovrebbe aiutarci a capire che quando si fanno delle scelte, bisogna poi mantenere. Non bisogna svendere la propria fede, i propri principi morali, religiosi per rincorrere altri modelli di vita o di religiosità. La parola data a Dio va mantenuta e rispettata, altrimenti diventiamo canne al vento che cambiano bandiere facilmente, senza trovare pace a nessuna parte. Le scelte fatte con convinzioni vanno mantenute a costo di grossi sacrifici e rinunce.  Ci aiuta in questo discorso il testo della lettera agli Efesini che ascoltiamo oggi come secondo brano biblico della liturgia della parola, con il riferimento alla sacralità del matrimonio e della famiglia. Tema molto attuale e dibattuto ai nostri giorni, falsamente interpretato da chi non vuole entrare nella logica dell’amore, del rispetto, della collaborazione che sottostà ad ogni scelta di vita coniugale e familiare. Di fronte alla crisi delle nostre famiglie, a tanti fallimenti nella vita coniugale, questa parola ci viene in aiuto e ad illuminarci perché possiamo tutti, a diverso titolo e grado, collaborare per il recupero della dignità del matrimonio, della famiglia, della donna, dei figli e dell’uomo. “Fratelli, nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!”. La dignità del matrimonio è evidenziata nell’analogia con la Chiesa e con la sua struttura. All’interno dell’uno e dell’altra deve circolare la carità e l’amore. Le regole sì, le leggi pure, ma alla base di tutto ci deve essere l’amore, la carità, quel sottomettersi l’uno all’altro che è indice di umiltà, volontà di collaborare per il bene della famiglia, senza presunzioni, arroganze, superbie, sopraffazioni. Consiglio a coniugi che vivono insieme, a quelli che sono in fase di separazione e che si sono spostai in chiesa con il sacramento nuziale di valutare attentamente queste parole prima di assumere qualsiasi decisione soprattutto se porta allo sfascio della famiglia e se nella famiglia ci sono bambini e minorenni. La sacralità e la dignità del matrimonio e della famiglia vanno sempre salvaguardate, tranne il caso in cui il sacramento non c’è mai stato, per cui l’atto posto in essere è nullo, ed è nullo perché davvero mancano i presupposti per essere vero.

Sia questa la nostra preghiera che eleviamo al Signore dal profondo del nostro cuore: “O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli, concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti, perché fra le vicende del mondo
là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia”.

Signore facci assaporare la gioia di essere uniti, di essere in amici, di superare le incomprensioni, le divisioni, le lotte e questo in ogni luogo, m soprattutto nella famiglia, ove, oggi, maggiormente si avverte la fatica e il peso di continuare nel cammino intrapreso, promettendo amore eterno davanti a te. La vera gioia su questa terra è vivere vicino a Te Signore ed essere in pace con la nostra coscienza e con tutti.

 

La riflessione per la giornata mondiale della pace

Solennità della Madre di Dio

1 Gennaio 2009

La Madre di Dio e Madre nostra.

La Regina della pace.

di padre Antonio Rungi

Nell’ottava di Natale, nel primo giorno del nuovo anno, la Chiesa celebra solennemente Maria Madre di Dio: è una festa che si rifà alla proclamazione del dogma da parte del Concilio di Efeso nel 431 d.C., uno dei primi dogmi proclamati da un concilio ecumenico che lasciò adito a molte critiche da parte di coloro che non compreso esattamente il senso di questa affermazione di carattere teologico, ma soprattutto spirituale e pastorale. Essendo madre di Cristo ed essendo Cristo, Figlio di Dio, Maria è Madre di Cristo e Madre di Dio. E’ la theotokos. Il concilio, infatti, decretò che Gesù era una persona sola, non due persone distinte, completamente Dio e completamente uomo. La Vergine Maria è la Theotokos perché diede alla luce non un uomo, ma Dio come uomo. L’unione di due nature in Cristo si compì in modo che una non disturbò l’altra. Una maternità singolare quella della Madonna, che ella esercitò nella pienezza delle sue facoltà e capacità proprio nei confronti di Gesù, dalla sua nascita alla sua ascensione al cielo. Una maternità che Gesù stesso dalla Croce estende alla chiesa e all’umanità intera, quando affida alla custodia del discepolo prediletto, Giovanni, la sua Madre, mentre sta morendo sulla croce per la salvezza del genere umano. Missione quella di Maria nei confronti dell’umanità intera espressa nella preghiera dell’assemblea eucaristica all’inizio della celebrazione odierna: “O Dio, che nella verginità feconda di Maria hai donato agli uomini i beni della salvezza eterna, fa’ che sperimentiamo la sua intercessione, poiché per mezzo di lei abbiamo ricevuto l’autore della vita”. Tale intercessione la sentiamo particolarmente necessaria, urgente ed indispensabile in questo momento storico che stiamo vivendo. Un momento difficile a livello di guerre, cattiverie, ingiustizie, recessione economica, difficoltà di ogni genere nel mondo. Ecco perché all’inizio del nuovo anno la Chiesa affida proprio all’intercessione della Madonna l’intero anno, quello corrente è l’anno del Signore 2009, e celebra contestualmente la giornata mondiale della pace. E sul tema della pace è prevalentemente imperniata la parola di Dio di oggi, ben sapendo che la Madonna, presenta con Gesù Bambino e Giuseppe, dopo la nascita del Redentore, nella Grotta di Betlemme, è la Regina della pace e la Madre della Misericordia, la Madre della Grazia e che ottiene e concede le grazie di cui tutti abbiamo bisogno. Il testo del vangelo di Luca che oggi leggiamo ci fa assaporare nelle sua bellezza e tenerezza l’evento della nascita del Redentore dal grembo verginale di Maria e con la vigile protezione di San Giuseppe, padre putativo di Cristo: “In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo”.

Dal Libro dei Numeri apprendiamo il linguaggio della pace e facciamo nostro l’augurio di pace che il testo sacro ci offre nella semplicità del suo dire e nella sostanza del suo contenuto: “Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro: Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò».

Vorremmo che questo testo fosse concretamente attuato oggi in Israele e per Israele impegnata nuovamente in una guerra contro i palestinesi, per la questione della striscia di Gaza e del problema Hamas, gruppo terroristico che guida la rivolta in Palestina. Nella Terra di Gesù due popoli in perenne conflitto, quando dovrebbero fare ogni sforzo per vivere in pace. Gerusalemme stessa indica appunto la città della pace. Ma di pace Gerusalemme ha visto ben poco prima e dopo la venuta di Cristo. Per questa città e per il mondo intero invochiamo la pace in questo inizio del nuovo anno e ci affidiamo alla Vergine Santa, Madre di Dio e Madre nostra. Mai più la guerra, ma solo pace e solo serenità nell’umanità.  Ci sia di sostegno in questo universale di pace un grande apostolo, Paolo di Tarso, una volta persecutore dei cristiani, e poi, convertito, un degno discepolo di Cristo e portavoce nel mondo della sapienza del vangelo. Il testo della lettera ai Gàlati  ci immette in questa riflessione teologica sulla pace: “Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge , per riscattare quelli che erano sotto la Legge , perché  ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio”. Dio nostro Padre e noi suoi figli, eredi per grazia, fratelli tra noi in Cristo Redentore. Sono questi i contenuti essenziali di una verità fondamentale che ci porta ad incontrare i vicini e i lontani con l’animo dell’amore e della tolleranza ed accoglienza e mai con l’odio, il rifiuto e l’emarginazione. In Cristo l’uomo è sostanzialmente fratello al suo simile, perché figli dello stesso Padre che è Dio.

Nella giornata mondiale della pace, concludo questa mia riflessione, augurando a tutto un felice e sereno anno nuovo, con la bellissima preghiera del Servo di Dio Giovanni Paolo II per la pace. In essa troviamo le nostre più sincere e profonde aspirazioni di pace per questo mondo e per l’anno nuovo: “Dio dei nostri Padri, grande e misericordioso, Signore della pace e della vita, Padre di tutti. Tu hai progetti di pace e non di afflizione, condanni le guerre e abbatti l’ orgoglio dei violenti. Tu hai inviato il tuo Figlio Gesù ad annunziare la pace ai vicini e ai lontani, a riunire gli uomini di ogni razza e di ogni stirpe in una sola famiglia. Ascolta il grido unanime dei tuoi figli, supplica accorata di tutta l’umanità: mai più la guerra, spirale di lutti e di violenza; minaccia per le tue creature in cielo, in terra e in mare. In comunione con Maria, la Madre di Gesù, ancora ti supplichiamo: parla ai cuori dei responsabili delle sorti dei popoli, ferma la logica della ritorsione e della vendetta, suggerisci con il tuo Spirito soluzioni nuove, gesti generosi ed onorevoli, spazi di dialogo e di paziente attesa più fecondi delle affrettate scadenze della guerra. Concedi al nostro tempo giorni di pace. Mai più la guerra”. Amen.

 

 

 

 

 

La festa della santa famiglia

Festa della Santa Famiglia

28 Dicembre 2008

La madre di tutte le famiglie

di padre Antonio Rungi

A pochi giorni dalla solennità del Natale, oggi, prima dopo del tempo natalizio celebriamo la festa della santa famiglia di Nazaret, composta da tre straordinarie persone: Gesù, Giuseppe e Maria. E’ la famiglia di Dio fatto carne nel grembo verginale di Maria. La famiglia di Gesù, ma anche la famiglia delle famiglie, nel senso che è il modello perfetto di ogni famigli cristiana o comunque tale in ragione della scelta di una vita insieme che i coniugi intendono fare accedendo al matrimonio. In un tempo di profonda crisi di identità delle famiglie italiane, con separazioni, divorzi e convivenze di ogni genere, proporre all’attenzione delle nostre famiglie questa singolare, speciale ed unica famiglia nel vero senso del termine significa dare slancio all’azione missionaria ed apostolica oltre che pastorale proprio nel campo familiare, quello che più necessita di impegno costante e punti forza essenziali per recuperare la famiglia cristiana. La ricchezza della parola di di Dio di questa domenica post-natalizia ci aiuta ad entrare nel mistero della famiglia di Nazaret ed attingere da essa il necessario sostegno morale e spirituale per continuare ad andare avanti nelle nostre famiglie, segnate da tante sofferenze, difficoltà ed emergenze. Nella prima lettura tratta dal libro della Genesi viene narrata la nascita per certi versi miracolosi del figlio di Abramo, Isacco. Il testo sacro ci immette in questa singolare esperienza di paternità e maternità fatta da Abramo e Sara, che fu una straordinaria benedizione per loro. “In quei giorni, fu rivolta ad Abram, in visione, questa parola del Signore: «Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande». Rispose Abram: «Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco». Soggiunse Abram: «Ecco, a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede». Ed ecco, gli fu rivolta questa parola dal Signore: «Non sarà costui il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede». Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza».Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia. Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso. Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato. Abramo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito”. I figli sono doni di Dio ed è una gioia grande quando vengono al mondo ed allietano quelle famiglie nelle quali questi novelli fiori d’umanità vengono alla luce con la nascita. Capire che il figlio è un dono e non un diritto ed una pretesa da conseguire violando anche le leggi sacrosante della natura o dell’etica cristiana e familiare significa pregare perché il dono della maternità e della paternità non venga meno a nessuno. Invece, sappiano quanta sofferenza c’è in quelle coppie ove il figlio non è venuto. Il recente documento pontificio Dignitas personae ci apre nuovi orizzonti di riflessione e meditazione sul grande tema della dignità umana e della vita umana. In esso vengono affrontati i temi più attuale e scottanti del problema della procreazione assistita e di tante altre questioni attinenti alla vita di coppia, matrimoniale e familiare, alla difesa e promozione della vita umana dal concepimento al suo naturale termine. Anche la seconda lettura tratta dalla Lettera agli Ebrei ritorna sulla figura di Abramo, presentato qui come l’uomo di fede per eccellenza. Tanto fu forte la sua fiducia in Dio che ebbe il dono della paternità in età avanzata per lui e per la sua moglie Sarà. “Fratelli, per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare. Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo”. La figura di Abramo è anche presentato come il padre nella fede per il popolo di Israele, tanto che i suoi figli spirituali nella fede fu una moltitudine immensa. La linea di trasmissione della fede di generazione in generazione ha avuto origine in Abramo ed è seguita in Isacco. A conferma che il dono della fede e l’accoglienza e la trasmissione di essa avviene all’interno di una famiglia naturale e on c’è da meravigliarsi che i propri genitori trasmettano ai figli la fede ricevuta. Anzi proprio questo retroterra e questa pregressa esperienza di fede aiuta ad accogliere con maggiore responsabilità quel dono che è rivolto a tutti, ma che richiede la risposta continua di ognuno. In ultimo il testo del Vangelo ci presenta un quadro familiare di grande effetto ed efficacia per la comprensione del mistero del Salvatore. Siamo al momento della presentazione del Signore al tempio ed aspettare questo grande e atteso evento è il vecchio Simeone che oggi occupa la scena principale del vangelo sulla sacra famiglia. “Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui”. Il vecchio Simeone riconosce in Gesù il vero ed atteso salvatore ed è felice che il Signore gli ha permesso di vedere il giorno del Signore. E’ la persona della gratitudine, ma anche della profezia, del coraggio e dell’assenza di ogni paura soprattutto della morte che nel Bambino Gesù già vede la vittoria su di essa. Ora questo santo uomo di Dio che aveva atteso per anni la venuta del messia può lasciare felice la terra per incontrare per sempre il Signore nell’eternità. Nelle nostre famiglie si educhi al senso dell’eterno, alla prospettiva dell’immortalità e della bontà di Dio che si manifesta in noi in Gesù Cristo, Verbo incarnato del Padre, nel quale riponiamo ogni nostra attesa e speranza, soprattutto quella della salvaguardia della famiglia da ogni minaccia presente e futura. In questo difficile momento storico per la tenuta delle famiglie cristiane la santa famiglia di Nazaret  dia la forza e il coraggio per superare ogni difficoltà, affinché le famiglie camminino nel segno della gioia e della speranza cristiana. La nostra preghiera sia questa: “O Dio, nostro Padre, che nella santa Famiglia ci hai dato un vero modello di vita, fa’ che nelle nostre famiglie fioriscano le stesse virtù e lo stesso amore, perché, riuniti insieme nella tua casa, possiamo godere la gioia senza fine”. Amen.

La riflessione per la solennità del Natale

18122008(005).jpgSolennità del Natale

25 Dicembre 2008

La luce che emana Gesù Bambino

di padre Antonio Rungi

E’ Natale anche quest’anno e ringraziamo il Signore che ci dona la possibilità e la gioia di celebrarlo in questo anno 2008 che volge al termine. Natale si sa ti prende tutto e prende tutti, nonostante che sembra andare in pensione un modo di celebrare e vivere il Natale come qualche anno fa. Il fascino e la tenerezza di questa festa rimangono intatti anche per gli uomini supertecnologici del terzo millennio dell’era cristiana. La grotta di Betlemme e il Bambino Gesù non può essere clonato e raddoppiato, né riprodotto in forma vituale. Natale è e rimane unico come festa e come contenuti e a questi contenuti religiosi che ci rifacciamo per celebrare anche quest’anno degnamente il Natale del Redentore dell’umanità. E non c’è modo più bello per celebrarlo che riportarsi davanti al Bambino Gesù e dialogare con lui. Egli ha dato tutto per noi, Egli si aspetta qualcosa da noi. Il Natale non è solo ricevere è soprattutto dare, e dare una cosa più importante rispetto a tutto il resto: dare amore e darlo nel modo più pieno ed autentico possibile, senza calcola pesi e misure, ma facendo spaziare i nostri pensieri, sentimenti ed azioni nel grande mare della bontà e generosità. Come ai tempi del profeta Isaia che guarda al tempo del Messia come tempo di luce, pace e gioia, così ai nostri giorni vorremo che il Natale, ovunque si celebra,  possa portare tanta luce, tanta gioia, tanta serenità nella vita delle persone. “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Questa umanità deve riscoprire la grande luce che viene da Cristo, unico salvatore del mondo. Se non si riappropria del messaggio che viene da Betlemme difficilmente questa umanità ritroverà le ragioni della speranza e della pace.  Si sa che dove c’è Dio davvero c’è tanta pace e serenità. Dove Egli manca del tutto o è stato accanato per rincorrere idoli di varia natura c’è solo tristezza, malinconia e assenza di prospettiva. Oggi dobbiamo rallegrarci tutti nel Signore perché è nato nel mondo il Salvatore. Oggi la vera pace è scesa a noi dal cielo. E’ questa la verità delle verità, la notizia delle notizie, la novità delle novità che a distanza di 2008 anni ha tutta la sua validità, autenticità e verità.Di questa grande verità di fede ci parla l’Apostolo Paolo in questa giornata di vera festa per tutti i cristiani. La sua parola assume più rilevanza perché stiamo celebrando l’anno paolino del bimillenario della nascita di Paolo di Tarso. Ecco così ci ricorda in questa giornata solennissima: “Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone” Il programma di vita e risurrezione che reca con se il Natale del Signore sta tutto fissato in questi pochi, ma densi versi di etica personale e sociale. Disattendere ad un simile impegno significa non celebrare degnamente il Natale di quest’anno. Bisogna ripartire dalla moralità personale per auspicare e attendere la moralità di tutti gli altri. E siamo in un tempo che di moralità in senso vero solo pochi possono permettersi di farlo con cognizione di causa e corrispondenza di vita. Nel racconto della nascita di Gesù così come viene presentata dall’evangelista Luca troviamo il modo più immediato e concreto per rispondere alla chiamata del Signore che viene della Grotta di Betlemme. Questo modo è l’atteggiamento di quanti vanno alla grotta del Signore a partire dai pastori lì presenti a vegliare il loro gregge, fino a giungere ai tre sapienti dell’Oriente, i Re Magi, di cui si farà memoria liturgica nella solennità dell’Epifania. “In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama». Dopo essere arrivati al Natale 2008 e aver ascoltato nuovamente il canto degli angeli che riconoscono a Dio la Gloria e la pace agli uomini della terra purché essi vivono in sintonia con questo piccolo, grande Dio che nasce a Betlemme nel grembo purissimo di Maria Santissima. L’atteggiamento migliore è non aver paura di incontrare il Signore nella confessione dei nostri peccati, nella ascoltare e mettere in pratica la parola di Dio e nella partecipazione all’Eucaristia. Bisogna rimuovere tutti gli ostacoli di natura individuale e comunitaria affinché Cristo entri davvero nella storia di ognuno di noi, come entro nella vita della sua e nostra dolcissima madre Maria Santissima. Non possiamo assolutamente sbarrare la porta al Signore che viene, mettendo gli ostacoli della nostra presunzione, del nostro egoismo, dell’indifferenza, dell’assenza di un barlume di fede. Quella luce che brillò nella notte di Betlemme deve rifulgere con la stessa intensità nella grotta aperta del nostro cuore e della nostra intelligenza. L’effetto immediato di questa luce accecante e potente sono bene espressi ed indicati dal profeta Isaia che anche oggi, solennità del Natale, ci sostiene spiritualmente con la parola che sgorga dal cuore di un vero uomo di Dio. La luce di Cristo moltiplica la gioia ed aumentata la letizia, vengono interrotti i vari pesi che opprimono l’uomo, subentra la pace tra le nazioni e tutto acquista un nuovo senso e si dirige verso un nuovo orizzonte, quello di Cristo unico salvatore. Geù è, infatti, il consigliere mirabile, è il Dio potente, è il Padre per sempre, è il Principe della pace. Il suo potere e la pace non avranno fine. Nel mistero del Verbo incarnato, infatti, è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del fulgore di Cristo, perché conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle realtà invisibili. Il quel natale di 2008 fa non eravamo fisicamente presenti all’evento, ma da quell’evento, unico e irripetibile della storia della salvezza siamo nati noi, nuove creature redente dal Salvatore, nato nella piccola e gelida grotta. Non resti freddo il nostro cuore davanti a simile grande mistero della salvezza, ma ognuno viva questo Natale con la consapevolezza che Dio è con noi sempre e non ci abbandona mai, soprattutto nell’ora della prova e del dolore. Buon Natale a tutti nella gioia di questo Gesù che tanta tenerezza ci dona ogni anno in questa santa ed attesa festa dell’amore, della speranza, del perdono e della riconciliazione. Sia il Natale davvero questo festa a cui tutti avvertiamo il bisogno di partecipare e dare il nostro contributo per la sua positiva riuscita in ogni luogo e situazione.

La riflessione per domenica quarta di Avvento

Quarta Domenica di Avvento

21 Dicembre 2008

Maria, modello di accoglienza e disponibilità al Salvatore

di padre Antonio Rungi

Celebriamo oggi la quarta domenica di Avvento e la parola di Dio ci porta ad uno dei principali personaggi attinenti al Natale: a quella Maria di Nazareth che si rese disponibile al progetto di Dio per la salvezza dell’umanità. La preghiera iniziale dell’assemblea domenicale di oggi così recita e indirizza la nostra orazione: Dio grande e misericordioso, che tra gli umili scegli i tuoi servi per portare a compimento il disegno di salvezza, concedi alla tua chiesa la fecondità dello Spirito, perché sull’esempio di Maria accolga il Verbo della vitae si rallegri come madre di una stirpe santa e incorruttibile”. Il vangelo, infatti, ci porta direttamente in quella casa ove appare l’Angelo Gabriele a questa giovane e degna figlia di Israele per rivelarle il progetto di Dio e chiedere la sua collaborazione nel piano della redenzione, che parte proprio dal sì di Maria detto a Dio con tutta se stessa e la sua bellezza. Il testo di Luca che ci parla dell’Annunciazione ci immette già nel clima del Natale. D’altra parte a pochi giorni dell’annuale ricorrenza della nascita di Gesù Cristo, la parola di Dio, dopo aver proposto l’esempio di vita di Giovanni Battista, il precursore, nelle due domeniche precedenti dell’Avvento, oggi ci pone alla nostra attenzione la vita di Maria e il suo sì a Dio. Prepararsi a Natale vuol dire prendere a prestito ciò che la Madonna ci offre come modello di comportamento nei confronti dell’Onnipotente. “In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei”. Come per Maria, anche per noi tutto è possibile per rispondere alla chiamata di Dio, che è chiamata alla santità. Una chiamata che parte proprio da questo evento dell’annunciazione, in quanto il sì di Maria apre la possibilità a Dio di incarnarsi nella storia dell’uomo attraverso l’intervento dello Spirito Santo che adombrò della sua luce il grembo puro ed immacolato della Vergine Santa, dando vita alla vita biologica ed umana di Cristo, Figlio di Dio. Il Natale lo possiamo degnamente preparate, essendo ancora in tempo per farlo, se assumiamo un atteggiamento umile e di servizio a Dio, senza presunzione alcuna. Bisogna prepararsi in modo degno al Natale del Signore come ci ricorda anche il primo brano della parola di Dio di oggi, presentando a noi la figura del Re Davide, tratto dal secondo libro di Samuèle ed ove leggiamo: “Il re Davide, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato riposo da tutti i suoi nemici all’intorno, disse al profeta Natan: «Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda». Natan rispose al re: «Va’, fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te». Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: «Va’ e di’ al mio servo Davide: “Così dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele. Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo per Israele, mio popolo, e ve lo pianterò perché vi abiti e non tremi più e i malfattori non lo opprimano come in passato e come dal giorno in cui avevo stabilito dei giudici sul mio popolo Israele. Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”». Bisogna costruire la casa al Signore perché vi abiti per sempre e questa casa è la nostra anima, la nostra vita di grazia e di accoglienza della sua parola di vita eterna. Il Natale è preparare questa degna dimora al salvatore. E sappiamo che dove sta lui, la casa è stabile e duratura, resiste ad ogni urto, tempesta e violenza e non teme alcun attacco di qualsiasi genere. Siamo su un piano di quella fede profonda che porta ogni credente a relazionarsi a Dio in modo costante e fortemente motivato. Nel breve brano della seconda lettura di oggi troviamo il significato teologico di questa nostra attesa e speranza nel Signore. San Paolo apostolo nella sua lettera ai Romani scrive con grande semplicità, ma anche con profondità parola meravigliose per indicare un percorso di vita spirituale e morale per fa sì che Dio nel Natale lo si incontro davvero e per sempre nella persona del Cristo. “Fratelli, a colui che ha il potere di confermarvi nel mio vangelo, che annuncia Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per secoli eterni, ma ora manifestato  mediante le scritture dei Profeti, per ordine dell’eterno Dio, annunciato a tutte le genti perché giungano all’obbedienza della fede, a Dio, che solo è sapiente, per mezzo di Gesù Cristo, la gloria nei secoli. Amen”. Anche a noi uomini e donne del terzo millennio dell’era cristiana è svelato nuovamente il mistero dell’umana redenzione e nel Natale che ci apprestiamo a vivere e celebrare nella coscienza dei nostri limiti e delle nostre povertà possa il Signore Gesù porta a noi e a tutti la vera gioia e la vera speranza, come fu per Maria la Madre del Redentore e Madre Nostra. La liturgia di oggi ci aiuta a preparare il Natale nel modo migliore come preghiamo nel Prefazio di questa giornata a fissare il nostro sguardo su Maria e soprattutto su Gesù Cristo: “Egli fu annunziato da tutti i profeti, la Vergine Madre l’attese e lo portò in grembo con ineffabile amore, Giovanni proclamò la sua venuta e lo indicò presente nel mondo. Lo stesso Signore, che ci invita a preparare il suo Natale ci trovi vigilanti nella preghiera, esultanti nella lode”. Ringraziamento, gratitudine e riconoscenza siano questi i nostri atteggiamenti per preparare il Natale del 2008 nel modo migliore.