Il commento alla parola di Dio- Domenica 20 settembre 2009

Venticinquesima domenica del tempo ordinario

 

20 settembre 2009

 

I piccoli e i veri grandi secondo Gesù

 

di padre Antonio Rungi

Celebriamo oggi la XXV Domenica del tempo ordinario e al centro della nostra preghiera e riflessione c’è il testo del Vangelo ritorna sul discorso della passione, morte e risurrezione del Signore che Gesù Maestro. Il mistero pasquale è ancora al centro della parola di Dio di questa domenica di settembre. Ma il discorso introduttivo di Gesù alla sua imminente passione non fa scattare l’interesse del Gruppo dei Dodici che tra loro stanno discutendo di altre cose, umanamente più concrete e redditizie, cioè chi era il più grande tra di loro, cioè il più importante e il primo. C’è qui un’evidente aspirazione al comando alla primazia dell’uno nei confronti degli altri del gruppo. Una cosa che evidentemente contrasta con l’autentico messaggio di Cristo, che è umile, si è fatto servo, assumendo la natura. Egli propone la via dell’abbassamento e dell’umiltà e i discepoli propongono la logica del potere e della supremazia, in netta opposizione allo stile del Maestro Gesù Cristo.

Per mediare un discorso di umiltà e per ricondurre i discepoli alla logica del vangelo Gesù deve proporre un modello di comportamento, che gli individua nell’essere o diventare bambini, nel senso più autentico del termine. Egli infatti, dice senza mezzi termini «se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E preso un bambino lo pose al centro del loro dibattito, delle loro fatue ed inutili discussioni e propone nel bambino il riferimento educativo e mentale per operare nella logica del vangelo, per accogliere Dio nella propria vita. La prospettiva della semplicità, dell’umiltà, della fragilità è quella che mette la base della relazione con Dio e con i fratelli. Dio si accoglie in un cuore semplice e aperto al dialogo, al confronto, come i bambini che sono aperti alla vita e si affacciano alla vita. «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». Il testo del Vangelo di Marco che ascoltiamo oggi, certamente è molto più ricco ed articolato e nella sua interezza propone altri importanti richiami alla fede e all’azione. Leggere questo brano e meditarlo ci aiuta a ridimensionare le nostre attese ed aspettative personali e sociali, specie quando ci dobbiamo confrontare con gli altri. La ricorsa ai primi posti è una malattia soprattutto dei nostri giorni e l’orgoglio e la superbia la sperimentiamo, purtroppo, in tante situazioni, anche in quelle che dovrebbero presentare il volto più autentico del messaggio cristiano. In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Strettamente connessa con il brano del Vangelo è la prima lettura, tratta dal Libro della Sapienza, in cui nuovamente ci viene presentato il discorso della figura del Messia, prefigurato qui, come in altri testi dell’AT come persona mite, coraggiosa, vessata con sofferenze e prove, per verificare la sua divinità. In questo brano ritroviamo in anticipo la figura di Cristo, l’esatta immagine del Crocifisso e del redentore, sia nella sua itineranza di maestro e sia soprattutto nel momento della sua morte in croce. “[Dissero gli  empi:] «Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo e si oppone alle nostre azioni; ci rimprovera le colpe contro la legge e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta. Vediamo se le sue parole sono vere, consideriamo ciò che gli accadrà alla fine. Se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti, per conoscere la sua mitezza e saggiare il suo spirito di sopportazione. Condanniamolo a una morte infamante, perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà».

Ci ritornano in mente le parole di Cristo dalla Croce: Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? La morte di Cristo è l’atto d’amore più grande che il Signore ha compiuto per noi. Sulla croce è tutto solo, con la sua sofferenza, espressione di un amore immenso che solo alla luce di questo unico ed irripetibile evento della salvezza del genere umano può essere letta e accettata nel mondo giusto. Ogni altra spiegazione al dolore e alla sofferenza umana non trova motivo di esistere. Si soffre e si accetta la sofferenza solo per amore. E Dio questo amore lo ha manifestato a noi sulla Croce, la sua croce. Nel segno della croce non si possono fare discorsi dei più grandi e dei più piccoli, ma solo di giustizia e solidarietà. Cristo ha scelto la via del Calvario per dare a noi uomini una grande lezione di vero amore. Purtroppo questa lezione non l’abbiamo ancora appresa, forse abbiamo iniziato come i bambini a fare i primi passi in questa direzione; ma il cammino è lungo e difficile da percorrere se non ci mettiamo in quella dinamica della disponibilità alla volontà di Dio e alla solidarietà.

Ciò ci introduce ad un altro importante discorso: nella croce di Cristo l’umanità è stata pacificata; ma la pace non sta purtroppo né dentro di noi, né fuori di noi, né intorno a noi, né nel mondo intero. E come ai tempi dell’apostolo Giacomo costui teneva ad evidenziare le cose che non andavano e l’origine di ogni male, passione e divisione tra le persone, così oggi ritorna come rimprovero cocente questo messaggio che ci invita a superare le divisioni, le guerre e gelosie. In un mondo in cui domina l’odio, il terrorismo, come abbiamo registrato in questi giorni con la morte di sei nostri militari in Afghanistan, questo messaggio sia di auspicio per un mondo più umano, meno conflittuale e più pacificato. “Fratelli miei, dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. Invece la sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia.
Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni”.

E’ proprio vero che dove c’è spirito di contesa e gelosia che solo guerra e disordine, E questo in tutti gli ambienti. Quante volte abbiamo sperimentato con nostra personale sofferenza tutto questo, potendo fare ben poco per eliminare dai nostri ambienti di rivalità e concorrenza quella insaziabile sete e fame di potere e di primeggiare. Il frutto dell’odio non più che essere una guerra su tutti i fronti, che non si sana mettendo al posto dei cosiddetti dittatori di turni altri che sono più dittatori di chi li ha preceduti. Il peggio dicevano gli antichi deve sempre ancora venire. E mi sembra che questa nostra umanità invece di andare nella direzione della pace, va verso la guerra globale e globalizzata, con grande danno per tutti, in quanto in regime di pace è più facile potenziare la pace, in un sistema di pensiero e di azioni bellici si potenziano i conflitti e l’assurda pretesa di governare sugli altri in modo autoritario. Il motto dei romani “divide et impera”, dividi e comanda, metti l’uno contro l’altro, fa capolino nelle nostre realtà quotidiane, ma anche a livello generale.

Sia questa la nostra umile preghiera di oggi: “O Dio, Padre di tutti gli uomini, tu vuoi che gli ultimi siano i primi e fai di un fanciullo la misura del tuo regno; donaci la sapienza che viene dall’alto, perché accogliamo la parola del tuo Figlio e comprendiamo che davanti a te il più grande è colui che serve”.

 

Il commento alla parola di Dio- Domenica 20 settembre 2009ultima modifica: 2009-09-19T16:26:00+02:00da pace2005
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