messa

Il commento alla parola di Dio.

Ventitreesima domenica del tempo ordinario

 

6 settembre 2009

 

Apriamo la nostra mente ed il nostro cuore al Signore

 

di padre Antonio Rungi

Celebriamo oggi la XXIII domenica del tempo ordinario ed il Vangelo ci riporta il miracolo della guarigione del sordo-muto operato da Gesù verso il mare della Galilea in pieno territorio della Decapoli. Questo particolare miracolo assunse un significato speciale, sia nei gesti, sia nelle parole e sia nei contenuti. E’ d’altra parte lo stesso schema che il sacerdote usa nell’amministrare il battesimo ai bambini, agli adulti, a conclusione del rito del battesimo, quando ripetendo gli stessi gesti e parole di Gesù, invita al neo-battezzato ad aprirsi con il cuore e la mente alla fede e alla parola. In questo miracolo di Gesù è interessante evidenziare l’atteggiamento di speciale benevolenza di Gesù verso coloro che oggi vengono chiamati i diversamente abili e che spesso incontrano tante difficoltà nel realizzare le loro legittime aspirazioni ad una vita umana e sociale. I limiti della non comunicazione e del non ascolto sono evidenti in molte situazioni della vita quotidiana. Relazionarsi ad un sordo muto non basta conoscere il linguaggio dei segni, ma soprattutto è necessario conoscere il linguaggio dell’amore e della disponibilità. In termini metaforici qui ci troviamo di fronte ad una situazione che la sapienza popolare ha fissato i detti molti significativi e che vale la pena citare in questa riflessione sulla parola di Dio. Non c’è peggiore sordo di chi non vuole sentire e di cieco che non vuole vedere. Evidentemente di fronte ad un cambiamento radicale della nostra vita che ci viene proposto dalla Parola di Dio, dai consigli delle persone che vogliono il nostro bene, spesso facciamo finta di non ascoltare e di non vedere. Preferiamo il silenzio piuttosto che la comunicazione anche della propria debolezza e dello stato di bisogno. Il muto e sordo del Vangelo esprime questa situazione spirituale ed interiore di molti che credono di credere e credono di essere credibili. Spesso non credo e non sono credibili, perché alla base del loro modo di pensare e di agire non c’è Dio, ma se stessi, c’è quell’io espressione dell’orgoglio e della superbia umana che rende sordi agli altri e non mette in reale comunicazione con le persone. Immaginiamo quanto questo sia deleterio e profondamente distruttivo quando l’incomunicabilità avviene con l’Altro per eccellenza che è Dio. Venendo meno ogni riferimento religioso, morale, spirituale, etico, l’uomo si assurge a dio di se stesso, entra in questo autismo di chiusura nel circuito della propria personalità, non sempre aperta o capace di apertura. La maggiore difficoltà del mondo di oggi è proprio questa incomunicabilità. Sembra una cosa paradossale, ma è la verità. Più mezzi e strumenti tecnici abbiamo a disposizione, quali computer, cellulari, sociali network e meno comunichiamo davvero e in profondità. Le nostre comunicazioni sono ostacolate non solo dagli strumenti, spesso mal funzionanti, ma dal vero difetto della comunicazione che sta dentro di noi: la paura di aprirsi agli altri, perché non sai cosa trovi e chi davvero l’altro. E se le sorprese oggi non sono rare nell’ambito del mondo reale, con tante fratture e rotture di rapporti affettivi e sociali, nel mondo del virtuale sono ricorrenti e rischiose. C’è un dialogo tra sordi, tra non vedenti, perché la virtualità della comunicazione non favorisce la vera e sicura conoscenza dell’altro. Ecco perché che dal virtuale è necessario passare alla realtà e confrontarsi con essa. Questo confronto non può avvenire per un credente se una base comune di fede, di valori su cui convergere. Il testo del vangelo di oggi è molto chiaro nei passaggi essenziali che portano al discorso della fede e della risposta individuale a Dio che chiama alla comunicazione con lui. Il sordo muto guarito, è guarito non solo nel fisico, ma soprattutto nell’intimo, perché ha incontrato Cristo e con Lui ha instaurato un dialogo, basato sull’ascolto e sulla comunicazione. D’ora in poi quell’uomo potrà ascoltare la parola del Signore e trasmetterla con la vita e la comunicazione globale agli altri. Penso che oggi siamo tutti un po’ sordi alla parola di Dio e poco disposti a rischiare di persona per comunicare e trasmettere questa parola di vita e verità. Preferiamo il silenzio, la chiusura in noi stessi o al massimo nel gruppo ristretto degli amici e dell’associazionismo di tipo religioso. La parola di Dio deve essere proclamata da tutti, con la competenza necessaria e soprattutto con una forte esperienza spirituale alla base. Non si tratta di fare i professori della parola di essere i testimoni della parola. E per parlare degnamente è necessario ascoltare ripetutamente. “In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».  In poche parole dovremmo provare la stessa gioia ed avere lo stesso coraggio del sordomuto guarito e di quanti sperimentano ogni giorno il miracolo della parola che avviene dentro di loro di comunicare agli altri l’esperienza di un incontro che ti cambia la vita. come quella di Gesù. Questa prospettiva messianica di salvezza, come apertura a Dio nella totalità della persona è preannunciato nel testo del profeta Isaia che oggi ascoltiamo come prima lettura della parola di Dio. Qui viene lanciato un chiaro messaggio di speranza e di fiducia in Dio, che solo uomini e donne di vera fede accolgono e rendono operativo nella loro vita e nella vita del loro tempo. I tempi difficili di oggi non sono molto diversi dai tempi problematici nel periodo in cui visse il grande profeta dell’A.T. “Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi». Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d’acqua”. Solo un ordine morale basato sulla fiducia illimitata in Dio può creare davvero prospettive di vita e di sviluppo per l’umana società, anche di oggi. Chi pensa di poter fare a meno di Dio ha scritto la sua sentenza: la morte di tutto ciò che da vero senso alla vita dell’uomo e di conseguenza della società. Un mondo senza Dio è un mondo alla deriva morale e di relazioni umane e internazionali. Perciò giustamente San Giacomo nella seconda lettura di oggi, tratta dalla sua unica lettera che fa parte dei testi canonici e quindi della Bibbia, ci scrive cose interessanti da un punto di vista religioso, umano, sociale, di diritto, sulle quali è opportuno riflettere con grande attenzione e assumere da esse la lezione per la vita di relazione che siamo chiamati ad alimentare nella famiglia, nella parrocchia, nel mondo del lavoro, ovunque siamo ed operiamo: “Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali. Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi? Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?”.

Come sarebbe bello che tra noi uomini e cristiani ci fosse una vera uguaglianza, anche nel rispetto dei ruoli e delle funzioni di ciascuno. La corsa al prestigio, ai primi posti, all’eccellenza, al titolo, alla posizione dominante, all’essere rispettato, temuto, corteggiato è una malattia che investe l’anima e il modo di pensare di molti uomini e donne di tutti i tempi, compresi quelli presenti, più a rischio di visibilità e carrierismo e prestigio sociale, di ricerca di fama ed importanza a livello non più locale ma mondiale.

Via dai noi ogni favoritismo o soggiacenza ai potenti, ma nella logica del Vangelo ogni uomo sia davvero nostro fratello e venga rispettato solo ed esclusivamente per questo. Quanto cammino dobbiamo ancora fare in questo ambito dei rapporti umani e sociali!

Sia questa la nostra umile e sentita preghiera oggi, all’inizio della celebrazione eucaristica, ma che diventi stile di vita in ogni circostanza e situazione della vita: “O Padre, che scegli i piccoli e i poveri per farli ricchi nella fede ed eredi del tuo regno, aiutaci a dire la tua parola di coraggio a tutti gli smarriti di cuore, perché si sciolgano le loro lingue e tanta umanità malata, incapace perfino di pregarti, canti con noi le tue meraviglie”.

Il commento alla parola di Dio di domenica 23 agosto 2009

Ventunesima domenica del tempo ordinario

 

23 agosto 2009

 

La sequela di Cristo impegna per tutta la vita

 

di padre Antonio Rungi

Celebriamo oggi la XXI domenica del tempo ordinario e il Vangelo di Giovanni, centro della nostra riflessione e meditazione di oggi ci riporta ai discorsi di Gesù. Questa volta il Signore cerca di capire chi è davvero dalla sua parte, premesso che già è a conoscenza della situazione interiore di ciascuno degli apostoli e dei discepoli, leggendo di fatto nei loro pensieri e nei loro cuori, e domanda se vogliono continuare a stare con Lui o andarsene via, come già alcune avevano fatto. La sua parola, l’essere vicino a lui non è un gioco, non è un divertimento del momento, né una positiva esperienza di una giornata, ma ci vuole fedeltà, costanza, forte impegno. Chiede Gesù a suoi discepoli la totale disponibilità al suo progetto di salvezza, alla sua persona. Chiede, in altri termini, la fede, la fiducia non di un istante, ma per sempre. Il testo del Vangelo, ricco come sempre, di spunti di meditazione per la condizione spirituale di ciascuno di noi, ci fa ipotizzare tre categorie di persone: quelle che seguono Cristo con coraggio, convinti, senza pretendere nulla; quelle che lo seguono in attesa di qualche evento ed ulteriore segnale che potesse volgere a loro favore; quelle che seguito Cristo per un tempo, non ne avvertono più la necessità, se ne vanno via e non vogliono sentire più discorsi. Tre categorie, in sintesi si possono delineare: quella dei credenti, degli pseudo-credenti e di non credenti o apostati. Di fronte alla scelta di Dio e di Cristo nella nostra vita è lecito domandare oggi a noi ciò che Gesù chiede a Pietro, quale capo del collegio degli apostoli e sapere dalla sua viva voce cosa intendono fare per il futuro, visto che diversi discepoli per la parola coraggiosa ed impegnativa di Cristo lo avevano abbandonato. Domanda di rito: volete andare via anche voi? La risposta poteva essere sì, anche noi vogliamo andare via, vogliamo abbandonarti, non abbiamo più interessi, né motivazioni che ci spingono a stare con te. Invece Pietro interviene a titolo personale e del gruppo ed esprime il suo pensiero e la sua prospettiva di vita in compagnia del Maestro: “Signore da chi andremo tu solo hai parole di vita eterna”. Aveva capito che il linguaggio di Cristo era di ben altra consistenza rispetto ai tanti maestri del suo tempo. Egli ha un orizzonte di eternità che prospetta ai suoi fidati amici. Ecco perché che chi aveva in qualche modo già entrato nella dinamica della grazia e del dono della fede, conta su Gesù, investe su di Lui, scommette sulla sua persona non per una vincita di un premio (forse c’era anche questa attesa, a leggere attentamente il vangelo nella sua completezza) ma per un premio che ha sapore di eternità. La parola di Cristo li affascina e senza quella Parola, cioè senza Dio (Gesù Cristo è la Parola di Dio, è il Verbo, la Parola Incarnata) non si può vivere. Non c’è puoi orientamento, non ci sono più certezze, tutto diventa precario, soggettivo, relativo, ognuno va per la sua strada, ognuno pensa ed agisce come crede, è anarchia morale e spirituale, caos che non porterà progressivamente all’ordine, ma aumenterà il disordine. E’ quello che avviene oggi a livello morale e in tanti settori. L’uomo vive come se Dio non esistesse e quindi si legittima da solo ogni assurdo comportamento che offende da dignità di se stesso e degli altri esseri umani e della stessa creazione nel suo complesso. Leggendo il testo del Vangelo di Giovanni, oggi comprendiamo quando al di fuori di un riferimento religioso, di una morale cristiana o naturale l’uomo tende a smarrirsi ed oltre a perdere il senso di Dio, perde anche il senso di se stesso, della vita, delle cose che fa e non ha più vere e rassicuranti prospettive. Magari si inventa e alimenta delle illusioni, costruisce un mondo di favole e di chimere che si sciolgono come neve al sole, per poi motivare che il tutto era stato falsamente impostato o programmato. Il programma di Cristo è ben leggibile nelle sue parole di verità, nella precisione di ciò che intende realizzare. Nel Vangelo troviamo il suo progetto di vita per il mondo e per chi in questo mondo vuole fare la scelta per il Signore. “In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

Come sempre ci vuole accostarsi al discorso religioso a Dio, non può farlo solo con la ragione, con la filosofia, con la ricerca scientifica, ma è necessario partire dalla fede. Noi come Pietro dobbiamo riconoscere che Cristo è “Il Santo di Dio”, cioè Dio stesso in persona che è presente nel mondo e che ritornerà da dove è venuto. L’inviato del Padre, il redentore prospetta ai suoi apostoli non solo lo scandalo della croce, ma la gioia della risurrezione e dell’ascensione al cielo. In poche parole, Cristo educa alla fede vera, indirizza verso il nucleo centrale della dottrina che Lui è venuta a far conoscere. Diciamo che svolge, attraverso la sua parola, una forma di catechesi o di evangelizzazione in cui va al cuore dei problemi e non si ferma all’apparenza, né tantomeno per accaparrarsi la simpatia della gente e il consenso manipola la verità, mistica o promette cose che non può mantenere. Cristo è chiaro e trasparente nel linguaggio è luce che illumina è maestro che forma e guida alla verità. Egli chiede fedeltà e coerenza. Come d’altra parte leggiamo, in un contesto completamente diverso, relativamente al Vecchio Testamento nella prima lettura della liturgia della parola di oggi, tratta dal Libro di Giosuè. “In quei giorni, Giosuè radunò tutte le tribù d’Israele a Sichem e convocò gli anziani d’Israele, i capi, i giudici e gli scribi, ed essi si presentarono davanti a Dio. Giosuè disse a tutto il popolo: «Se sembra male ai vostri occhi servire il Signore, sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrèi, nel cui territorio abitate. Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore». Il popolo rispose: «Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dèi! Poiché è il Signore, nostro Dio, che ha fatto salire noi e i padri nostri dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; egli ha compiuto quei grandi segni dinanzi ai nostri occhi e ci ha custodito per tutto il cammino che abbiamo percorso e in mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati. Perciò anche noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio». Come sempre nella storia e nella vita di ciascuno di noi o di una nazione che un momento in cui bisogna scegliere: la via di Dio o la via di altri dei. Il bene o il male, la sicurezza o l’incertezza, la fede dei propri avi o quella dell’autonomia individuale. Giosuè nel suo ruolo di guida del popolo di Israele, nella sua responsabilità e compito di sapere cosa pensasse quel popolo che Dio si era scelto e che era stato già contrassegnato da tanti benefici dall’Alto, chiede democraticamente, a modi di referendum, di sondaggio di opinione e di vera espressione di voto, cosa vogliono fare se continuare sua strada dell’Alleanza sinaitica oppure altra religione. Il popolo convinto di essere sulla strada giusta afferma senza mezzi termini: «Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dèi!”. Una dichiarazione di intenti che dovrebbe aiutarci a capire che quando si fanno delle scelte, bisogna poi mantenere. Non bisogna svendere la propria fede, i propri principi morali, religiosi per rincorrere altri modelli di vita o di religiosità. La parola data a Dio va mantenuta e rispettata, altrimenti diventiamo canne al vento che cambiano bandiere facilmente, senza trovare pace a nessuna parte. Le scelte fatte con convinzioni vanno mantenute a costo di grossi sacrifici e rinunce.  Ci aiuta in questo discorso il testo della lettera agli Efesini che ascoltiamo oggi come secondo brano biblico della liturgia della parola, con il riferimento alla sacralità del matrimonio e della famiglia. Tema molto attuale e dibattuto ai nostri giorni, falsamente interpretato da chi non vuole entrare nella logica dell’amore, del rispetto, della collaborazione che sottostà ad ogni scelta di vita coniugale e familiare. Di fronte alla crisi delle nostre famiglie, a tanti fallimenti nella vita coniugale, questa parola ci viene in aiuto e ad illuminarci perché possiamo tutti, a diverso titolo e grado, collaborare per il recupero della dignità del matrimonio, della famiglia, della donna, dei figli e dell’uomo. “Fratelli, nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!”. La dignità del matrimonio è evidenziata nell’analogia con la Chiesa e con la sua struttura. All’interno dell’uno e dell’altra deve circolare la carità e l’amore. Le regole sì, le leggi pure, ma alla base di tutto ci deve essere l’amore, la carità, quel sottomettersi l’uno all’altro che è indice di umiltà, volontà di collaborare per il bene della famiglia, senza presunzioni, arroganze, superbie, sopraffazioni. Consiglio a coniugi che vivono insieme, a quelli che sono in fase di separazione e che si sono spostai in chiesa con il sacramento nuziale di valutare attentamente queste parole prima di assumere qualsiasi decisione soprattutto se porta allo sfascio della famiglia e se nella famiglia ci sono bambini e minorenni. La sacralità e la dignità del matrimonio e della famiglia vanno sempre salvaguardate, tranne il caso in cui il sacramento non c’è mai stato, per cui l’atto posto in essere è nullo, ed è nullo perché davvero mancano i presupposti per essere vero.

Sia questa la nostra preghiera che eleviamo al Signore dal profondo del nostro cuore: “O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli, concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti, perché fra le vicende del mondo
là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia”.

Signore facci assaporare la gioia di essere uniti, di essere in amici, di superare le incomprensioni, le divisioni, le lotte e questo in ogni luogo, m soprattutto nella famiglia, ove, oggi, maggiormente si avverte la fatica e il peso di continuare nel cammino intrapreso, promettendo amore eterno davanti a te. La vera gioia su questa terra è vivere vicino a Te Signore ed essere in pace con la nostra coscienza e con tutti.

 

Mondragone. Dai Passionisti la Festa della Virgo Fidelis

15072008(002).jpgL’annuale festa della Madonna Virgo Fidelis del 21 novembre, protettrice dell’Arma dei Carabinieri, quest’anno, si svolgerà nella Chiesa dei Passionisti di Mondragone, relativamente alla Compagnia di Mondragone. La celebrazione eucaristica alla quale parteciperà buona parte dei Carabinieri della Compagnia di Mondragone (la rimanente parte assicurerà, come sempre, il servizio), è in programma alle ore 17,30, durante la messa di orario della comunità parrocchiale. A presiedere la santa messa sarà il superiore-parroco, padre Luigi Donati, mentre i religiosi della comunità passionista assicureranno il ministero della confessione e della riconciliazione. La scelta della Chiesa dei Passionisti per la celebrazione della festa della Virgo Fidelis è motivata dalla coincidenza, in pari data, della festa della Presentazione di Maria al Tempio, che i Passionisti ricordano con speciale celebrazione. I Carabinieri ritornano a celebrare la festa della loro Protettrice nella Chiesa dei Passionisti a distanza di vari anni. Per lunghi tempi, fino a quando erano presenti le Suore Stimmatine, la celebrazione si svolgeva presso la loro Chiesa, poi in altre chiese e parrocchie della città ed ora anche nella chiesa parrocchiale di San Giuseppe Artigiano. Alla celebrazione la comunità parrocchiale si sta preparando per offrire una sentita e calorosa accoglienza ai Carabinieri della Compagnia di Mondragone che operano in un territorio con gravi problemi di ordine pubblico. La messa verrà animata dagli stessi Carabinieri, mentre la schola cantorum parrocchiale assicurerà i canti. La stessa festa della Madonna Virgo Fidelis verrà celebrata domenica prossima nella Chiesa di Maria SS.Assunta dei Pagani in Marcianise (Ce), di cui è parroco don Alfonso Marotta,con la celebrazione eucaristica delle ore 11.00, presieduta da padre Antonio Rungi, ex-superiore provinciale dei Passionisti di Napoli. Anche qui la celebrazione è molto sentita e partecipata, sia dai Carabinieri in servizio e sia dagli ex-Carabinieri che con i loro familiari si sono costituiti in una Associazione, composta da vari membri e presieduta dal Maresciallo in pensione Davide Morrone. Anche qui la comunità parrocchiale accoglie ogni anno in questa circostanza i Carabinieri che festeggiano la Protettrice, con una solenne celebrazione eucaristica animata dagli stessi militari e dalla Corale parrocchiale. Il titolo “Virgo Fidelis” che esprime in tutto significato della vita di Maria e della Sua missione di Madre e di Corredentrice del genere umano affidataLe da Dio, non ha mai avuto una risonanza universale e un culto particolare nella chiesa. Nella liturgia infatti non esiste una speciale festa. Il merito maggiore della diffusione e dell’affermazione del culto alla “Vergine Fedele” è della “Benemerita e Fedelissima” Arma dei Carabinieri d’Italia. Nell’Arma il culto alla “Virgo Fidelis” iniziò subito dopo l’ultimo conflitto mondiale per iniziativa di S.E. Mons. Carlo Alberto Ferrero di Cavallerleone, Ordinario Militare d’Italia, e di P. Apolloni S.J., Cappellano Militare Capo. Lo stesso Comandante Generale prese a cuore l’iniziativa e bandì un concorso artistico per un’opera che raffigurasse la Vergine, Patrona dei Carabinieri. Lo scultore architetto Giuliano Leonardi rappresentò la Vergine in atteggiamento raccolto mentre, alla luce di una lampada legge in un libro le parole profetiche dell’Apocalisse: “Sii fedele sino alla morte” (Apoc.2,10). La scelta della Madonna “Virgo Fidelis”, come celeste Patrona dell’Arma, è indubbiamente ispirata alla fedeltà che, propria di ogni soldato che serve la Patria, è caratteristica dell’Arma dei Carabinieri che ha per motto: “Nei secoli fedele”. L’8 dicembre 1949 Sua Santità Pio XII di v.m., accogliendo l’istanza di S.E. Mons. Carlo Alberto di Cavallerleone, proclamava ufficialmente Maria “Virgo Fidelis Patrona dei Carabinieri”, fissando la celebrazione della festa il 21 novembre, in concomitanza della presentazione di Maria Vergine al Tempio e della ricorrenza della battaglia di Culqualber.

Padre Rungi ricorderà vittime del lavoro e della strada.

DSC05841.JPGUn elenco di oltre 200 defunti dal 2 novembre 2007 al 2 novembre 2008 l’elenco delle vittime della strada o morti bianche che in questo anno sono decedute in incidenti di vario genere è stato stilato da padre Rungi, sulle miglia di morti sia sul lavoro che sulle strade. Nell’annuale ricorrenza della Commorazione dei Defunti, domani mattina, padre Antonio Rungi, teologo morale campano, celebrerà la santa messa alle ore 8,30 nella Chiesa delle Suore di Gesù Redentore con questa particolare intenzione. I nomi delle vittime sono state indicate in un apposito elenco che verrà distribuito tra i fedeli.
“Nomi di defunti di cui ha parlato la cronaca quotidiana e che sono bambini, giovani, padri e madri di famiglia, anziani – precisa padre Rungi- ultimi dei quali proprio nella giornata di oggi 1 novembre, solennità di Tutti i Santi, che abbiamo conosciuto attraverso la stampa o le immagini della Tv. Molti di quei volti soprattutto bambini e giovani ci sono rimasti nella mente e nel cuore. La preghiera cristiana per ognuno di loro è d’obbligo sempre, ma soprattutto in questa giornata di particolari ricordi. Tra i nostri cari vogliamo inserire nella preghiera di domani tutti coloro che in Italia sono morti per incuria,  superficialità, per incidenti sul lavoro e stradali, per scarsa attenzione alla dignità di ogni persona umana, tra i quali avranno un posto speciale le tante morti bianche di quest’anno, i tanti lavorati e lavoratrici, padri e madri di famiglia, che sono deceduti per cause varie. In questa circostanza di particolare dolore vogliamo essere vicino proprio alle famiglie che hanno perso i loro cari sul lavoro e sulle strade, senza alcuna loro responsabilità, ma per una serie di circostanze negative che le hanno portato alla morte in quanto si sono trovate in quella particolare e situazione ambientale o lavorativa. Per questi defunti sarà fatta una speciale menzione durante la celebrazione eucaristica e la preghiera dei fedeli, che domani sono interamente dedicate alla commemorazione di quanti sono passati, secondo la fede cattolica, a miglior vita, lasciando molte volte prematuramente questo mondo in seguito a terribili incidenti di cui abbiamo conoscenza perché informati sistematicamente dai mass-media”.