Archivi Mensili: febbraio 2015

FRATTAMAGGIORE (NA). LA PRIMA FESTA DI SAN GABRIELE DELL’ADDOLORATA.

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Frattamaggiore (Na). La festa in onore di San Gabriele dell’Addolorata nella Chiesa del SS.Redentore. La prima volta in questa storica chiesa frattese. 

di Antonio Rungi 

L’origine della devozione a san Gabriele dell’Addolorata a Frattamaggiore, che oggi richiama molti fedeli nella Chiesa del SS.Redentore, risalgono al 2004, quando un componente della famiglia Vitale ritrova per caso un’immagine di San Gabriele dell’Addolorata a Napoli, in un stato di abbandono. La persona con conosceva il santo e dato il singole e speciale rinvenimento di informò chi fosse, anche perché da subito si affidò alla sua protezione, ma anche promise al santo di farlo conoscere nella sua città, Frattamaggiore. Dopo alcuni anni, la festa è stata resa possibile nella Chiesa del Redentore con la presenza di un sacerdote passionista, padre Antonio Rungi, che ha benedetto la reliquia del santo, ricevuto in dono dal Santuario di San Gabriele dell’Isola del Gran Sasso, Teramo. Nel 2014 fu benedetto un artistico quadro che raffigura san Gabriele. Negli anni tanti sono stati i pellegrinaggi organizzati per far visita al Santo nella sua sede.

Si è costituito presso la parrocchia, con il pieno consenso e la totale disponibilità del parroco, don Antonio, il gruppo del “Gabrielini” che promuovono il culto e la devozione a san Gabriele dell’Addolorata in Frattamaggiore e nei paesi viciniori. Il gruppo è composto da oltre 50 membri ed è seguito personalmente dal Rettore del santuario dell’Isola del Gran Sasso. Un gruppo in crescita, anche per queste molteplici iniziative poste in essere dai devoti del santo, per l’intercessione del quale, il Signore ha fatto vari miracoli.

Luogo di preghiera, incontro e formazione per i Gabrielini è la Chiesa Parrocchiale del SS. Redentore, ubicata nel Comune di Frattamaggiore (NA) alla Via Carmelo Pezzullo.

Questa chiesa fu voluta ed eretta a spese di Monsignor. Carmelo Pezzullo, seniore e protonotario apostolico. Veramente egli nel 1908 aveva pensato di fondare a sue spese nel santuario dell’Immacolata una collegiata di 12 canonici e di 6 ebdomadarii, ma non essendo stata accettata la sua domanda dalla Sacra Congregazione Concistoriale, gli sorse nell’animo l’idea di impiegare il suo denaro in un’opera, la quale perseguisse “scopi più pratici” ed in conseguenza fosse destinata alle “necessità del popolo” con la costruzione di una nuova chiesa.

Non mancavano chiese nella città di Frattamaggiore, ma da qualche tempo si sentiva il bisogno di un’altra parrocchia, specialmente nella parte occidentale della città, dove da più anni si andava estendendo la parte urbana con nuovi fabbricati e progressivo aumento dei cittadini. Lì era sorto il nuovo Canapificio, lì lo sbocco della nuova via di circonvallazione, lì il nuovo stabilimento canapicolo del Comm. Carmine Pezzullo, lì un nuovo attivo fervore di intelligenza e di lavoro. Monsignor Carmelo Pezzullo sin dal 1908 affidò l’incarico di redigere il progetto della nuova chiesa all’Ing.re Antimo Spena da Grumo Nevano. Il suolo fu donato dal Commendatore Carmelo Pezzullo fu Sosio ed il 2 novembre del 1908 fu benedetta e posta la prima pietra da monsignor Francesco Vento, vescovo di Aversa, durante il pontificato di Pio X.

Nonostante lotte e liti giudiziarie con una proprietaria vicina, la quale ne chiese, a costruzione avanzata, addirittura l’abbattimento per un suo preteso violato diritto, tuttavia si espletavano le pratiche canoniche per lo smembramento dell’antica ed unica parrocchia di S. Sosio e l’erezione della nuova parrocchia.

Finalmente il 18 luglio 1912, ottenutosi il Rescritto Papale, la nuova chiesa fu consacrata da Monsignor Settimio Caracciolo. E l’11 gennaio 1913 il Sac. Vitale Sosio da Giuseppe fu immesso nel possesso canonico della nuova parrocchia.

Da allora la Chiesa del SS.Redentore in Frattamaggiore è divenuta punto di riferimento spirituale per i fedeli della zona della Ferrovia, ma anche per numerosi passanti che si trovano a transitare davanti a questo luogo di preghiera molto apprezzato e frequentato nel corso dell’anno.

In questa storica chiesa di Frattamaggiore il giorno 27 febbraio 2015, per la prima volta, è stata celebrata la festa di San Gabriele dell’Addolorata, religioso passionista, compatrono della gioventù italiana e patrono principale dell’Abruzzo.

A presiedere la solenne liturgia eucaristica, animata dai canti della schola cantorum parrocchiale, è stato padre Antonio Rungi, passionista, ex-superiore provinciale dei passionisti, che è ben noto nella città di Frattamaggiore per il suo impegno missionario ed apostolico.

Oltre 300 fedeli hanno partecipato alla liturgia, tra cui moltissimi giovani, ed hanno avuto modo di seguire con speciale attenzione la incisiva omelia tenuta dal noto predicatore passionista della comunità del santuario della Madonna della Civita, in Itri (Latina).

Padre Rungi ha sottolineato l’importanza della devozione ai santi, come occasione per operare concretamente il bene nella propria vita e sviluppare una vita virtuosa. Oltre a tracciare le linee essenziali della vita di San Gabriele dell’Addolorata dalla nascita alla morte e allo sviluppo della devozione all’Isola del Gran Sasso e in tutto il mondo, padre Rungi ha parlato di tre pilastri della santità di Gabriele dell’Addolorata, ovvero di tre fari di luce che hanno illuminato il cammino di questo giovane santo del secolo XIX, morto appena a 24 anni ed elevato agli onori degli altari nel 1920: la devozione all’Eucaristia e a Gesù Crocifisso, la devozione alla Madonna Addolorata, la carità fervida ed operosa.

A conclusione dell’intera celebrazione, padre Rungi ha rivolto a San Gabriele la preghiera composta dallo stesso padre Rungi e poi ha impartito la benedizione a tutti i presenti con la reliquia del santo. Poi, processionalmente si è recato nella cappella laterale della Chiesa, dove è stato esposto solennemente al culto dei fedeli il quadro di San Gabriele e qui nuovamente ha pregato ed ha permesso ai fedeli di baciare la reliquia e sostare in preghiera davanti all’immagine del santo del sorriso e dei giovani, il grande cultore ed apostolo della Madonna Addolorata.

 

 

 

 

 

 

 

 

LA DIMENSIONE PASQUALE DELLA VITA CONSACRATA

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RITIRO MENSILE

SUORE ANCELLE DEL SACRO CUORE DI CATERINA VOLPICELLI

FRATTAMAGGIORE 26 FEBBRAIO 2015 

LA DIMENSIONE PASQUALE DELLA VITA CONSACRATA

 Il ritiro spirituale di oggi si colloca nel cammino quaresimale e come tale è un forte richiamo alla dimensione pasquale della vita consacrata sulla quale rifletteremo in questo nostro incontro, valorizzando l’insegnamento di Papa Francesco e di San Giovanni Paolo II. Nell’anno della vita consacrata, risulta di grande utilità spirituale riflettere sul mistero pasquale e del suo rapporto con la vita dei consacrati oggi.

1.DALL’ESORTAZIONE VITA CONSECRATA DI GIOVANNI PAOLO II 

24. La persona consacrata, nelle varie forme di vita suscitate dallo Spirito lungo il corso della storia, fa esperienza della verità di Dio-Amore in modo tanto più immediato e profondo quanto più si pone sotto la Croce di Cristo. Colui che nella sua morte appare agli occhi umani sfigurato e senza bellezza tanto da indurre gli astanti a coprirsi il volto (cfr Is 53, 2-3), proprio sulla Croce manifesta pienamente la bellezza e la potenza dell’amore di Dio. Sant’Agostino lo canta così: «Bello è Dio, Verbo presso Dio […]. È bello in cielo, bello in terra; bello nel seno, bello nelle braccia dei genitori, bello nei miracoli, bello nei supplizi; bello nell’invitare alla vita e bello nel non curarsi della morte; bello nell’abbandonare la vita e bello nel riprenderla; bello nella Croce, bello nel sepolcro, bello nel cielo. Ascoltate il cantico con intelligenza, e la debolezza della carne non distolga i vostri occhi dallo splendore della sua bellezza». La vita consacrata rispecchia questo splendore dell’amore, perché confessa, con la sua fedeltà al mistero della Croce, di credere e di vivere dell’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. In questo modo essa contribuisce a tener viva nella Chiesa la coscienza che la Croce è la sovrabbondanza dell’amore di Dio che trabocca su questo mondo , è il grande segno della presenza salvifica di Cristo. E ciò specialmente nelle difficoltà e nelle prove. È quanto viene testimoniato continuamente e con coraggio degno di profonda ammirazione da un gran numero di persone consacrate, che vivono spesso in situazioni difficili, persino di persecuzione e di martirio. La loro fedeltà all’unico Amore si mostra e si tempra nell’umiltà di una vita nascosta, nell’accettazione delle sofferenze per completare ciò che nella propria carne «manca ai patimenti di Cristo» (Col 1, 24), nel sacrificio silenzioso, nell’abbandono alla santa volontà di Dio, nella serena fedeltà anche di fronte al declino delle forze e della propria autorevolezza. Dalla fedeltà a Dio scaturisce pure la dedizione al prossimo, che le persone consacrate vivono non senza sacrificio nella costante intercessione per le necessità dei fratelli, nel generoso servizio ai poveri e agli ammalati, nella condivisione delle difficoltà altrui, nella sollecita partecipazione alle preoccupazioni e alle prove della Chiesa.

 

2.LE DOMANDE DI PAPA FRANCESCO (DAL TESTO RALLEGRATEVI)

 

Accogliamo le sollecitazioni che il Papa ci propone per guardare noi stessi e il mondo con gli occhi di Cristo e restarne inquieti.

 

• Volevo dirvi una parola e la parola è gioia. Sempre dove sono i consacrati, i seminaristi, le religiose e i religiosi, i giovani, c’è gioia, sempre c’è gioia! È la gioia della freschezza, è la gioia del seguire Gesù; la gioia che ci dà lo Spirito Santo, non la gioia del mondo. C’è gioia! Ma dove nasce la gioia?

• Guarda nel profondo del tuo cuore, guarda nell’intimo di te stesso, e domandati: hai un cuore che desidera qualcosa di grande o un cuore addormentato dalle cose? Il tuo cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca o l’hai lasciato soffocare dalle cose, che finiscono per atrofizzarlo? Dio ti attende, ti cerca: che cosa rispondi? Ti sei accorto di questa situazione della tua anima? Oppure dormi? Credi che Dio ti attende o per te questa verità sono soltanto “parole”?

Noi siamo vittime di questa cultura del provvisorio. Io vorrei che voi pensaste a questo: come posso essere libero, come posso essere libera da questa cultura del provvisorio?

 

• Questa è una responsabilità prima di tutto degli adulti, dei formatori: dare un esempio di coerenza ai più giovani. Vogliamo giovani coerenti? Siamo noi coerenti! Al contrario, il Signore ci dirà quello che diceva dei farisei al popolo di Dio: “Fate quello che dicono, ma non quello che fanno!”. Coerenza e autenticità!

 

• Possiamo domandarci: sono inquieto per Dio, per annunciarlo, per farlo conoscere? O mi lascio affascinare da quella mondanità spirituale che spinge a fare tutto per amore di se stessi? Noi consacrati pensiamo agli interessi personali, al funzionalismo delle opere, al carrierismo. Mah, tante cose possiamo pensare… Mi sono per così dire “accomodato” nella mia vita cristiana, nella mia vita sacerdotale, nella mia vita religiosa, anche nella mia vita di comunità, o conservo la forza dell’inquietudine per Dio, per la sua Parola, che mi porta ad “andare fuori”, verso gli altri?

 

• Come siamo con l’inquietudine dell’amore? Crediamo nell’amore a Dio e agli altri? O siamo nominalisti su questo? Non in modo astratto, non solo le parole, ma il fratello concreto che incontriamo, il fratello che ci sta accanto! Ci lasciamo inquietare dalle loro necessità o rimaniamo chiusi in noi stessi, nelle nostre comunità, che molte volte è per noi “comunità-comodità”?

• Questa è una bella, una bella strada alla santità! Non parlare male di altri. “Ma, padre, ci sono problemi…”: dillo al superiore, dillo alla superiora, dillo al vescovo, che può rimediare. Non dirlo a quello che non può aiutare. Questo è importante: fraternità! Ma dimmi, tu parlerai male della tua mamma, del tuo papà, dei tuoi fratelli? Mai. E perché lo fai nella vita consacrata, nel seminario, nella vita presbiterale? Soltanto questo: pensate, pensate… Fraternità! Questo amore fraterno.

 

• Ai piedi della croce, Maria è donna del dolore e al contempo della vigilante attesa di un mistero, più grande del dolore, che sta per compiersi. Tutto sembra veramente finito; ogni speranza potrebbe dirsi spenta. Anche lei, in quel momento, ricordando le promesse dell’annunciazione avrebbe potuto dire: non si sono avverate, sono stata ingannata. Ma non lo ha detto. Eppure lei, beata perché ha creduto, da questa sua fede vede sbocciare il futuro nuovo e attende con speranza il domani di Dio. A volte penso: noi sappiamo aspettare il domani di Dio? O vogliamo l’oggi? Il domani di Dio per lei è l’alba del mattino di Pasqua, di quel giorno primo della settimana. Ci farà bene pensare, nella contemplazione, all’abbraccio del figlio con la madre. L’unica lampada accesa al sepolcro di Gesù è la speranza della madre, che in quel momento è la speranza di tutta l’umanità. Domando a me e a voi: nei Monasteri è ancora accesa questa lampada? Nei monasteri si aspetta il domani di Dio?

 

• L’inquietudine dell’amore spinge sempre ad andare incontro all’altro, senza aspettare che sia l’altro a manifestare il suo bisogno. L’inquietudine dell’amore ci regala il dono della fecondità pastorale, e noi dobbiamo domandarci, ognuno di noi: come va la mia fecondità spirituale, la mia fecondità pastorale?  

 

• Una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo. Ecco la domanda che dobbiamo porci: abbiamo anche noi grandi visioni e slancio? Siamo anche noi audaci? Il nostro sogno vola alto? Lo zelo ci divora (cf. Sal 69, 10)? Oppure siamo mediocri e ci accontentiamo delle nostre programmazioni apostoliche di laboratorio? [81] 

 

3.IL VANGELO DELLA TRASFIGURAZIONE

 

«Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Pietro prese allora la parole e disse a Gesù: ‘ Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè una per Elia ‘.Egli stava ancora parlando quando una nube luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva:‘ Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo ‘.All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: ‘Alzatevi e non temete ‘. Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo. E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro:‘ Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti ‘» (Mt 17, 1-9).

 

VC, 15: L’episodio della Trasfigurazione segna un momento decisivo nel ministero di Gesù. È evento di rivelazione che consolida la fede nel cuore dei discepoli, li prepara al dramma della Croce ed anticipa la gloria della risurrezione. Questo mistero è continuamente rivissuto dalla Chiesa, popolo in cammino verso l’incontro escatologico col suo Signore. Come i tre apostoli prescelti, la Chiesa contempla il volto trasfigurato di Cristo, per confermarsi nella fede e non rischiare lo smarrimento davanti al suo volto sfigurato sulla Croce. Nell’uno e nell’altro caso, essa è la Sposa davanti allo Sposo, partecipe del suo mistero, avvolta dalla sua luce.

 

Da questa luce sono raggiunti tutti i suoi figli, tutti ugualmente chiamati a seguire Cristo riponendo in Lui il senso ultimo della propria vita, fino a poter dire con l’Apostolo: «Per me il vivere è Cristo!» (Fil 1, 21). Ma un’esperienza singolare della luce che promana dal Verbo incarnato fanno certamente i chiamati alla vita consacrata. La professione dei consigli evangelici, infatti, li pone quale segno e profezia per la comunità dei fratelli e per il mondo. Non possono perciò non trovare in essi particolare risonanza le parole estatiche di Pietro: «Signore, è bello per noi stare qui!» (Mt 17, 4). Queste parole dicono la tensione cristocentrica di tutta la vita cristiana. Esse, tuttavia, esprimono con particolare eloquenza il carattere totalizzante che costituisce il dinamismo profondo della vocazione alla vita consacrata: “Come è bello restare con Te, dedicarci a Te, concentrare in modo esclusivo la nostra esistenza su di Te!”. In effetti, chi ha ricevuto la grazia di questa speciale comunione di amore con Cristo, si sente come rapito dal suo fulgore: Egli è il «più bello tra i figli dell’uomo» (Sal 45 [44], 3), l’Incomparabile.

 

4.«Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!»

 

VC,16. Ai tre discepoli estasiati giunge l’appello del Padre a mettersi in ascolto di Cristo, a porre in Lui ogni fiducia, a farne il centro della vita. Nella parola che viene dall’alto acquista nuova profondità l’invito col quale Gesù stesso, all’inizio della vita pubblica, li aveva chiamati alla sua sequela, strappandoli alla loro vita ordinaria e accogliendoli nella sua intimità. È proprio da questa speciale grazia di intimità che scaturisce, nella vita consacrata, la possibilità e l’esigenza del dono totale di sé nella professione dei consigli evangelici. Questi, prima e più che una rinuncia, sono una specifica accoglienza del mistero di Cristo, vissuta all’interno della Chiesa.

Nell’unità della vita cristiana, infatti, le varie vocazioni sono come raggi dell’unica luce di Cristo «riflessa sul volto della Chiesa».26 I laici, in forza dell’indole secolare della loro vocazione, rispecchiano il mistero del Verbo Incarnato soprattutto in quanto esso è l’Alfa e l’Omega del mondo, fondamento e misura del valore di tutte le cose create. I ministri sacri, da parte loro, sono immagini vive di Cristo capo e pastore, che guida il suo popolo nel tempo del «già e non ancora», in attesa della sua venuta nella gloria. Alla vita consacrata è affidato il compito di additare il Figlio di Dio fatto uomo come il traguardo escatologico a cui tutto tende, lo splendore di fronte al quale ogni altra luce impallidisce, l’infinita bellezza che, sola, può appagare totalmente il cuore dell’uomo. Nella vita consacrata, dunque, non si tratta solo di seguire Cristo con tutto il cuore, amandolo «più del padre e della madre, più del figlio o della figlia» (cfr Mt 10, 37), come è chiesto ad ogni discepolo, ma di vivere ed esprimere ciò con l’adesione «conformativa» a Cristo dell’intera esistenza , in una tensione totalizzante che anticipa, nella misura possibile nel tempo e secondo i vari carismi, la perfezione escatologica.

Attraverso la professione dei consigli, infatti, il consacrato non solo fa di Cristo il senso della propria vita, ma si preoccupa di riprodurre in sé, per quanto possibile, «la forma di vita, che il Figlio di Dio prese quando venne nel mondo».27 Abbracciando la verginità , egli fa suo l’amore verginale di Cristo e lo confessa al mondo quale Figlio unigenito, uno con il Padre (cfr Gv 10, 30; 14, 11); imitando la sua povertà, lo confessa Figlio che tutto riceve dal Padre e nell’amore tutto gli restituisce (cfr Gv 17, 7.10); aderendo, col sacrificio della propria libertà, al mistero della sua obbedienza filiale, lo confessa infinitamente amato ed amante, come Colui che si compiace solo della volontà del Padre (cfr Gv 4, 34), al quale è perfettamente unito e dal quale in tutto dipende.

Con tale immedesimazione «conformativa» al mistero di Cristo, la vita consacrata realizza a titolo speciale quella confessio Trinitatis che caratterizza l’intera vita cristiana, riconoscendo con ammirazione la sublime bellezza di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo e testimoniandone con gioia l’amorevole condiscendenza verso ogni essere umano.

5.Dal Tabor al Calvario

 

VC, 23. L’evento sfolgorante della Trasfigurazione prepara quello tragico, ma non meno glorioso, del Calvario. Pietro, Giacomo e Giovanni contemplano il Signore Gesù insieme a Mosè ed Elia, con i quali — secondo l’evangelista Luca — Gesù parla «della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme» (9, 31). Gli occhi degli apostoli dunque sono fissi su Gesù che pensa alla Croce (cfr Lc 9, 43-45). Lì il suo amore verginale per il Padre e per tutti gli uomini raggiungerà la sua massima espressione; la sua povertà arriverà allo spogliamento di tutto; la sua obbedienza fino al dono della vita. I discepoli e le discepole sono invitati a contemplare Gesù esaltato sulla Croce, dalla quale «il Verbo uscito dal silenzio», nel suo silenzio e nella sua solitudine, afferma profeticamente l’assoluta trascendenza di Dio su tutti i beni creati, vince nella sua carne il nostro peccato e attira a sé ogni uomo e ogni donna, donando a ciascuno la nuova vita della risurrezione (cfr Gv 12, 32; 19, 34.37). Nella contemplazione di Cristo crocifisso trovano ispirazione tutte le vocazioni; da essa traggono origine, con il dono fondamentale dello Spirito, tutti i doni e in particolare il dono della vita consacrata. Dopo Maria, Madre di Gesù, questo dono riceve Giovanni, il discepolo che Gesù amava, il testimone che insieme a Maria si trovava ai piedi della Croce (cfr Gv 19, 26-27). La sua decisione di consacrazione totale è frutto dell’amore divino che lo avvolge, lo sostiene, gli riempie il cuore. Giovanni, accanto a Maria, è tra i primi della lunga schiera di uomini e donne, che dagli inizi della Chiesa fino alla fine, toccati dall’amore di Dio, si sentono chiamati a seguire l’Agnello immolato e vivente, dovunque Egli vada (cfr Ap 14, 1-5).

 

6.Trovati, raggiunti, trasformati (DALLA LETTERA “RALLEGRATEVI”

 

5. Il Papa ci chiede di rileggere la nostra storia personale e verificarla nello sguardo d’amore di Dio, perché se la vocazione è sempre sua iniziativa, a noi si addice la libera adesione all’economia divino-umana, come relazione di vita nell’agape, cammino di discepolato, « luce nel cammino della Chiesa».

La vita nello Spirito non ha tempi compiuti, ma si apre costantemente al mistero mentre discerne per conoscere il Signore e percepire la realtà a partire da Lui. Nel chiamarci Dio ci fa entrare nel suo riposo e ci chiede di riposare in Lui, come processo continuo di conoscenza d’amore; risuona per noi la Parola tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose (Lc 10, 41).

Nella via amoris noi avanziamo nella rinascita: la vecchia creatura rinasce a nuova forma. Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura (2Cor 5, 17).

 

Papa Francesco indica il nome di questa rinascita: « Questa via ha un nome, un volto: il volto di Gesù Cristo. Lui ci insegna a diventare santi. Lui nel Vangelo ci mostra la strada: quella delle Beatitudini (cf. Mt 5, 1-12). Questa è la vita dei Santi: persone che per amore di Dio nella loro vita non hanno posto condizioni a Lui ».

La vita consacrata è chiamata a incarnare la Buona Notizia, alla sequela di Cristo, il Crocifisso risorto, a far proprio il « modo di esistere e di agire di Gesù come Verbo incarnato di fronte al Padre e di fronte ai fratelli ».

 

In concreto assumere il suo stile di vita, adottare i suoi atteggiamenti interiori, lasciarsi invadere dal suo spirito, assimilare la sua sorprendente logica e la sua scala di valori, condividere i suoi rischi e le sue speranze: « Guidati dall’umile e felice certezza di chi è stato trovato, raggiunto e trasformato dalla Verità che è Cristo e non può non annunciarla ».

Il rimanere in Cristo ci permette di cogliere la presenza del Mistero che ci abita e fa dilatare il cuore secondo la misura del suo cuore di Figlio. Colui che rimane nel suo amore, come il tralcio è attaccato alla vite (cf. Gv 15, 1-8), entra nella familiarità con Cristo e porta frutto: « Rimanere in Gesù! È un rimanere attaccati a Lui, dentro di Lui, con Lui, parlando con Lui ».

«Cristo è il sigillo sulla fronte, è il sigillo sul cuore: sulla fronte, perché sempre lo professiamo; sul cuore, perché sempre lo amiamo; è il sigillo sul braccio, perché sempre operiamo », la vita consacrata infatti è una continua chiamata a seguire Cristo e ad essere conformati a Lui. « Tutta la vita di Gesù, il suo modo di trattare i poveri, i suoi gesti, la sua coerenza, la sua generosità quotidiana e semplice, e infine la sua dedizione totale, tutto è prezioso e parla alla nostra vita personale».

 

L’incontro con il Signore, ci mette in movimento, ci spinge ad uscire dall’autoreferenzialità. La relazione con il Signore non è statica, né intimistica: « Chi mette al centro della propria vita Cristo, si decentra! Più ti unisci a Gesù e Lui diventa il centro della tua vita, più Lui ti fa uscire da te stesso, ti decentra e ti apre agli altri ». «Non siamo al centro, siamo, per così dire, “spostati”, siamo al servizio di Cristo e della Chiesa ».

 

La vita cristiana è determinata da verbi di movimento, anche quando è vissuta nella dimensione monastica e contemplativo-claustrale, è una continua ricerca.

«Non si può perseverare in un’evangelizzazione piena di fervore se non si resta convinti, in virtù della propria esperienza, che non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non conoscerlo, non è la stessa cosa camminare con Lui o camminare a tentoni, non è la stessa cosa poterlo ascoltare o ignorare la sua Parola, non è lo stessa cosa poterlo contemplare, adorare, riposare in Lui, o non poterlo fare. Non è la stessa cosa cercare di costruire il mondo con il suo Vangelo piuttosto che farlo unicamente con la propria ragione. Sappiamo bene che la vita con Gesù diventa molto più piena e che con Lui è più facile trovare il senso ad ogni cosa ». 

 

Papa Francesco esorta all’inquietudine della ricerca, come è stato per Agostino di Ippona: una « inquietudine del cuore che lo porta all’incontro personale con Cristo, lo porta a capire che quel Dio che cercava lontano da sé, è il Dio vicino ad ogni essere umano, il Dio vicino al nostro cuore, più intimo a noi di noi stessi ». È una ricerca che continua: «Agostino non si ferma, non si adagia, non si chiude in se stesso come chi è già arrivato, ma continua il cammino.

L’inquietudine della ricerca della verità, della ricerca di Dio, diventa l’inquietudine di conoscerlo sempre di più e di uscire da se stesso per farlo conoscere agli altri. È proprio l’inquietudine dell’amore».

 

 

FESTA DI SAN GABRIELE DELL’ADDOLORATA – 27 FEBBRAIO 2015

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Isola del Gran Sasso (TE). Festa di San Gabriele dell’Addolorata. Il santo del sorriso e della gioia cristiana, Esempio per i religiosi e per la gioventù. 

di Antonio Rungi 

Nell’anno dedicato da Papa Francesco alla vita consacrata, la festa in onore di San Gabriele dell’Addolorata, ad Isola del Gran Sasso (Teramo) dove il 27 febbraio del 1862, l’allora giovane studente passionista chiudeva i suoi occhi alla vita terra per aprirli nell’eternità, assume un significato speciale, sia per i passionisti di tutto il mondo che per i religiosi di ogni ordine e congregazione che, in questo anno, sono chiamati ad essere testimoni della gioia.

San Gabriele è l’esempio mirabile di come coniugare la vita consacrata con la gioia che viene dall’incontro con Cristo. La sua spiritualità è incentrata soprattutto nell’amore a Gesù Eucaristia, al Crocifisso e dalla Vergine Addolorata e alla letizia francescana. Non a caso, nativo di Assisi, al battesimo fu chiamato dai suoi benestanti genitori, Francesco, replicando il nome del più noto e stimato santo, Francesco d’Assisi. Lui, Francesco Possenti, apprese dal Povero d’Assisi, il senso gioioso e lieto della vita. E così visse per tutti i 24 anni che il Signore gli concesse nel cammino terreno, per poi portalo con sé nella gloria celeste, venerato oggi in tutto il mondo, come Il santo dei giovani, il santo dei miracoli, il santo del sorriso. Con questi tre appellativi è conosciuto San Gabriele dell’Addolorata in Abruzzo, di cui è il patrono principale, in Italia, ove è compatrono della gioventù, tra gli studenti che in lui trovano il loro protettore per eccellenza, soprattutto per quanti s accingono a sostenere gli esami di stato conclusivi dei corsi di studio; nel mondo ove la sua devozione si è diffusa attraverso l’opera missionaria dei suoi confratelli religiosi, i passionisti, fondati, nel XVIII secolo, dal grande mistico di Gesù Crocifisso, San Paolo della Croce.

Per San Gabriele dell’Addolorata, la scelta della vita religiosa  fu radicale fin dall’inizio. Aveva trovato finalmente la sua felicità. Scriveva ai familiari: “La mia vita è una continua gioia. Non cambierei un quarto d’ora di questa vita“. La sua fu una vita semplice, senza grandi gesta, contrassegnata dall’eroicità del quotidiano, che viveva da innamorato del Crocifisso e della Madonna. San Gabriele è il santo dei miracoli, invocato in ogni parte del mondo come potente intercessore presso Dio. Sulla sua tomba continuano ad accadere numerosi prodigi e sono tanti coloro che raccontano grazie e guarigioni da lui ottenute. Si contano a migliaia gli ex voto portati dai devoti al santuario in segno di riconoscenza. E ciò sia nel vecchio santuario che nel nuovo santuario consacrato recentemente e messo a disposizione degli oltre 2 milioni di fedeli che ogni anno, da tutte le parti del mondo raggiungono Isola del Gran Sasso e si fermano in preghiera davanti alle sacre spoglie di San Gabriele, conservate nella cripta del nuovo tempio dedicato a lui.

Per oggi, 27 febbraio 2015, come tutti gli anni sono attesi al Santuario migliaia di fedeli e devoti che onoreranno il santo della gioia e del sorriso. San Gabriele seppe vivere sempre con gioia ed entusiasmo la sua esistenza. Né le varie sofferenze della sua vita, né la morte in giovane età riuscirono a spegnere il suo sorriso.

Per la mattina di oggi, alle 6,30 nel santuario si ricorderà il transito di san Gabriele alla gloria del cielo. Diverse le celebrazioni eucaristiche in programma per questa giornata di festa, locale, regionale e in altre regioni e luoghi ove san Gabriele dell’Addolorata è stato eletto a protettore.

Questi gli appuntamenti canonici previsti per oggi e per i prossimi giorni e mesi nell’anno della vita consacrata: 27 Febbraio: festa liturgica di San Gabriele dell’Addolorata. Ore 6:30 celebrazione del transito. Seconda settimana di marzo: migliaia di studenti delle scuole superiori celebrano i “cento giorni” dagli esami. Secondo sabato di Luglio: festa del pellegrino. Ultima settimana di Agosto: migliaia di giovani di tutta Italia partecipano alla Tendopoli – Festa dei Giovani. Ultima Domenica di Agosto: festa popolare di San Gabriele. Secondo Sabato di Settembre: pellegrinaggio dell’Unitalsi abruzzese. Seconda Domenica di Ottobre: raduno delle Confraternite.

San Gabriele è conosciuto nel mondo come Francesco Possenti, figlio di un professionista di rispettata famiglia. Francesco crebbe, vivendo la vita di un tipico adolescente, amava la danza , la caccia, e le ragazze, ma sentiva che nella sua vita mancava ancora qualcosa. Si rivolse a Gesù e alla sua Madre Addolorata e sentì interiormente la chiamata alla vita religiosa Passionista. Come Passionista crebbe di giorno in giorno nell’amore di Nostro Signore e di Maria, da lui venerata sotto il titolo dell’Addolorata, bruciando le tappe della santità e raggiugendo in poco tempo la perfezione della virtù cristiana. Morì di tubercolosi alla giovane età di 24 anni, il 27 febbraio 1862. San Gabriele che così rapidamente da una vita mondana conformò indissolubilmente la sua vita alla Passione di Nostro Signore,  mostra a tutti i cristiani che chiunque, con un pizzico di coraggio, può aspirare alle più alte vette della santità.

Nato: 1° marzo 1838 ad Assisi, emetteva la professione religiosa il 22 settembre 1857 a Morrovalle. Trasferito ad isola del Gran sasso, ove si preparava, nella preghiera e negli studi al sacerdozio, moriva il 27 febbraio 1862. Fu dichiarato venerabile il 14 maggio 1905, beatificato il 31 maggio 1908 e  canonizzato il 13 maggio 1920.

P.RUNGI. IL CAMMINO DELLA CONVERSIONE IN DIECI REGOLE ETICHE E RELIGIOSE

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IL CAMMINO DELLA CONVERSIONE:

DALLO STATO DI PECCATO ALLO STATO DI GRAZIA.

DIECI REGOLE PER CONVERTIRSI DAVVERO

A cura di padre Antonio Rungi, passionista

 

1.LA CONDIZIONE  DEL PECCATORE

– Sto bene con me stesso quando pecco

– Mi sento libero e posso fare tutto senza regole di alcun genere

– Non ho bisogno di Dio e di nessuno

– Non credo nella confessione

– Peccare mi dà gioia e soddisfazione

– I peccati non esistono, sono invenzioni della Chiesa

– Non ho bisogno di pentirmi, in quanto faccio tutto bene.

– Non prego, se non me stesso

– Odio, uccido, offendo, rubo, violento, abuso di tutto e di tutti e sono contento.

– Amo me stesso e non altro dio al di fuori me.

 

2. LA CONDIZIONE  DEL PELLEGRINO DEL PERDONO

– Non sto bene con me stesso, quando pecco e sbaglio.

– Sono schiavo dei mie limiti e debolezze quanto non osservo regole etiche di alcun genere.

– Incomincio ad avvertire la necessità di Dio nella mia vita.

– Incomincio il cammino sacramentale della confessione.

– Peccare mi mette angoscia, sofferenza e tristezza.

– Incomincio ad avere netta la coscienza del peccato

– Avverto la necessità di pentirmi, in quanto sbaglio continuamente.

– Incomincio a pregare ed affidarmi alla misericordia di Dio Padre e di Cristo Redentore.

– Mi sforzo di non fare del male a nessuno.

– Sono altruista ed inizio a fare del bene a chi ne ha bisogno davvero.

 

3. LA CONDIZIONE DEL CONVERTITO.

– Sto bene con me stesso quando sto a posto con la mia coscienza.

– Sono libero, quando osservo pienamente i precetti di Cristo e della Chiesa.

– La fede in Dio è il respiro della mia vita.

– Ogni settimana confesso i miei peccati mortali e veniali con la confessione sacramentale

– Il peccato non entra più facilmente nella mia vita, lottando contro passioni e tentazioni.

– Ho piena consapevolezza del bene e del male morale ed agisco di conseguenza.

– Faccio continuamente atti di pentimento per i miei errori momentanei o permanenti.

– Prego continuamente dalla mattina alla sera e in tutti gli ambienti che frequento giornalmente.

– Faccio del bene a tutti, senza discriminare nessuno, tutti per me sono degni di amore e tenerezza del cuore.

– Sono sensibile alle sofferenze degli altri e non mi tiro mai indietro nel dare una mano e risollevare la persona in disagio morale, fisico e spirituale in cu si trova.

SECONDA DOMENICA DI QUARESIMA – 1 MARZO 2015

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SECONDA DOMENICA DI QUARESIMA

1 MARZO 2015

La fede ci trasfigura nel Cristo Redentore

Commento di padre Antonio Rungi

La seconda domenica di Quaresima ci presenta nel vangelo di oggi  Gesù che sale sul monte Tabor, dove davanti ai suoi tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, si trasfigura, cambia sembianze rispendendo ai loro occhi di luce incommensurabile e di una bellezza unica. La bellezza della gloria dei cieli, del paradiso, che gli apostoli possono contemplare ed assaporare in un modo tutto speciale, al punto tale che di fronte a questa gioia e bellezza infinita, chiedono al Signore, che si presenta in questa visione con Elia e Mosè, di restare per sempre lì, di continuare a vivere la bellissima situazione di pace che si presenta ai loro occhi. Ma non sarà possibile, perché Gesù, dopo il monte Tabor, dovrà salire su un altro e non minore, per importanza, monte, quello del Calvario, dove offrirà la sua vita in riscatto dell’umanità e per ridare la pace nel mistero della redenzione del genere umano che si compie con la sua morte e risurrezione. Il testo del Vangelo di Marco di oggi ci descrive con precisione questo momento di Gesù e degli apostoli, soprattutto la necessità di scendere da quel monte e andare verso Gerusalemme, dove verrà portato a compimento il mistero della salvezza dell’umanità. “In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti”. Il mistero della trasfigurazione di Cristo, inserito nella recita del santo rosario, nei misteri della luce, da san Giovanni Paolo II, ci riporta all’altro momento fondamentale della vita di Gesù che è la sua morte in croce e la sua risurrezione. Tale mistero è congiunto a quello della glorificazione di Cristo sul calvario nel momento in cui Gesù muore sulla croce per noi. Ecco perché Gesù vuole che i tre apostoli conservino nel loro cuore la gioia contemplata sul onte Tabor, per attingere da essa, poi, la forza di continuare a seguire Cristo nel momento del dolore e della morte. Gesù si prepara e prepara gli apostoli allo scandalo della Croce. Li fortifica mediante il dono della preghiera e della contemplazione. San paolo Apostolo lo sottolinea nel brano della lettera ai Romani che oggi leggiamo come seconda lettura della liturgia della parola di questa domenica:Fratelli, se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!”. Gesù Cristo è morto per noi e che è risorto per noi sta alla destra di Dio Padre, ove continua a seguire con amore le sorti di questa umanità, non sempre in sintonia di cuore e di mente con il Salvatore”. Per essere in tale sintonia abbiamo bisogno di una fede forte, sincera e coraggiosa che sappia guardare in faccia la realtà e leggerla alla luce di questo meraviglioso dono che abbiamo ricevuto dal Signore e che è la fede. Quella fede che ha caratterizza la vita del patriarca Abramo che offrì in obbedienza alla voce di Dio il suo figlio Isacco ricevuto e per essere padre di nuove generazioni di credenti. Il racconto della libro della Genesi ci insegna ad avere solo sete e fame del nostro Dio che è gioia.In quei giorni, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò». Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito». Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. L’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce».

Alcune importati e approfondite riflessioni sui testi della parola di Dio ci aiuteranno a capire il nostro mondo e quello degli altri e tutti insieme correre speditamente verso la pace.

In primo luogo siamo invitati in questa Quaresima a trasfiguraci mediante la fede in Gesù Cristo, cambiando il nostro modo di vivere, rinnovandoci dal profondo del nostro cuore, per far sì che questi santi giorni che il Signore ci dona da vivere, siano davvero promettenti di pace spirituale. Inoltre, non c’è rinnovamento se la nostra fede è tiepida e ferma nel suo progressivo cammino verso un maggiore e fiducioso abbandono in Dio. Infine, non ci può essere trasfigurazione se non ci facciamo aiutare da Cristo, dalla sua parola che è vita, dalla parola del Dio vivente che per sua natura ci porta a contemplare e a riflettere. Docili alla parola del Signore, attimo per attimo ci trasfigureremo per essere davvero nuove e rinnovate creatura, capaci di atti generosi come Abramo e soprattutto con la stessa potenzialità del Cristo che per amore nostro ha dato la sua vita sulla croce. Sia questa, allora la nostra costante preghiera, in questo giorno del Signore: “O Padre, che ci chiami
ad ascoltare il tuo amato Figlio, nutri la nostra fede con la tua parola
e purifica gli occhi del nostro spirito, perché possiamo godere la visione della tua gloria. Amen.

PADRE CHERUBINO DE FEO INIZIA L’80° ANNO DI VITA

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ITRI (LT). PADRE CHERUBINO DE FEO INIZIA IL SUO 80° ANNO DI VITA. GLI AUGURI DI TUTTI A NOTO SACERDOTE, APOSTOLO DI ITRI E DELLA CIVITA.

Il 25 febbraio 2015, padre Cherubino De Feo, noto sacerdote passionista del Santuario della Civita e di Itri- città inizia il suo 80 anno di vita. A festeggiarlo saranno i suoi confratelli del Santuario, padre Antonio Rungi, padre Emiddio Petringa (Superiore e Rettore), padre Francesco Vaccelli. Per la fausta ricorrenza sarà presente nella comunità del Santuario della Civita l’attuale superiore provinciale dei Passionisti del Basso Lazio e Campania, padre Mario Caccavale, già parroco di Campodimele e di San Michele Arcangelo di Itri, persona ben nota alla comunità itrana e all’arcidiocesi di Gaeta.

Padre Cherubino di Gesù Bambino, al battesimo Nicola De Feo, è nato s Lareana Cilento in provincia di Salerno, il 25 febbraio 1936, da Luigi e Matilde Oricchio, i suoi genitori entrambi defunti. Tra i passionisti entra da piccolo e dopo gli anni di formazione, nella scuola apostolica di Calvi Risorta e del Noviziato, emette la professione religiosa il 4 ottobre 1953 a Falvaterra. Gli studi in preparazione al sacerdozio li segue in vari conventi del Lazio, della Puglia e della Campania. E’ stato ordinato sacerdote a Napoli, nella Chiesa dei Passionisti il 18 marzo 1961. Dopo il sacerdozio è stato in vari conventi dei passionisti con vari incarichi, tra cui Calvi Risorta, poi Falvaterra, dove ha svolto negli anni sessanta l’ufficio di vice maestro e parimenti il ruolo di missionario. Ha partecipato ad una ventina d missioni popolari, come catechista del mattino e della sera, rivelando una forte propensione verso la comunicazione delle verità di fede con linguaggio accessibile a tutti. Appassionato della storia locale, nazionale, della vita consacrata, ricercatore assiduo di notizie ed informazioni sulle chiese locali e sulla chiesa universale, padre Cherubino conserva ancora oggi tale passione, attingendo le informazioni necessaria dai media moderni, quali internet, con suo pc portatile, che utilizza da circa  un anno. Buona parte della vita sacerdotale di padre Cherubino è stata vissuta e continua ad essere vissuta ad Itri. Nel convento dei passionisti di Itri-città, che si trova sulla cosiddetta zona dei Cappuccini, in quanto, prima dei passionisti era convento dei Cappuccini, giunse nel 1969 e da allora non ha mai cambiato convento e residenza. Solo 26 anni fa per esigenze del servizio al Santuario della Civita, dai superiori del tempo, fu spostato al santuario, dove attualmente vive con i confratelli. Negli anni 1969-1986 ha ricoperto l’ufficio di parroco di Santa Maria Maggiore in Itri formando varie generazioni di cristiani della comunità itrana, dando risalto ed importanza alla devozione e alla festa della Madonna della Civita.

Padre Cherubino verrà festeggiato dai suoi confratelli del Santuario e di altre comunità, in quanto l’inizio dell’ottantesimo anno di vita di questo conosciuto e stimato sacerdote passionista è un fatto importante per lui e per quanti lo stimano e ne apprezzano il generoso servizio alla Chiesa, nella Congregazione della Passione di Gesù Cristo, fondata da San Paolo della Croce. Noto per la sua passione per il canto, per la liturgia e per le funzioni religiose solenne, padre Cherubino è un’istituzione al Santuario della Civita, ma anche al convento dei passionisti di Itri, ove assicura, nei mesi invernali, la messa feriale quotidiana delle ore 7,30; mentre è presieduta da lui la messa solenne e cantata delle ore 10,30 al Santuario della Civita dei giorni festivi e domenicali.

“Sento il dovere –scrive padre Antonio Rungi – di fare i miei sinceri auguri, a nome mio personale e di tutti i confratelli della Provincia dell’Addolorata, al carissimo padre Cherubino, che, nonostante la sua veneranda età, e qualche problema di salute che inevitabilmente affiora con l’età, mantiene la stessa freschezza e gioia nel servire il Signore quale ministro dell’Eucaristia, della riconciliazione e liturgista. La sua testimonianza di vita sacerdotale e missionaria è un esempio per tutti i passionisti, soprattutto per i giovani, che possono ricevere da lui glli stimoli necessari per amare il ministero sacerdotale e coltivare la passione per la cultura, la storia, il bello che l’arte sacra può trasmettere a cuori ed animi sensibili come lui. Augurissimi padre Cherubino. Il Signore e la Madonna della Civita possano concederti  tanti anni ancora di vita ed in ottima salute, nonostante tutti i limiti dell’età dei più forti, che la Sacra Scrittura considera gli ottantenni”.

P.RUNGI. LA PREGHIERA PER LA QUARESIMA 2015

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Carissimi amici, vi affido questa mia preghiera della Quaresima, composta questa mattina per tutti noi, perché la possiate pregare ogni giorno, per questi quaranta giorni in preparazione alla Pasqua. Impegnatevi a recitarla come proposito di bene spirituale per voi e per tutti. Ci conto. Passate parola e testo, non dimenticandovi citare e soprattutto di pregare per l’autore.

Preghiera della Quaresima

Composta da padre Antonio Rungi, passionista 

Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio vivente,

che Ti sei ritirato nel deserto, per quaranta giorni,

a pregare e a fare penitenza,

in vista dell’annuncio del tuo Regno

e dell’invito alla conversione della gente,

fa che questo tempo di Quaresima che Tu ci doni,

porti nel nostro cuore il rinnovamento spirituale

di cui abbiamo tutti quanti bisogno.

 

Allontana da noi ogni male

e donaci la forza di superare ogni tentazione

che l’antico e sempre nuovo accusatore

provoca in noi per allontanarci dal tuo amore.

 

Dona a noi, in questi santi giorni

di preghiera, conversione e carità sincera,

di essere coerenti con il santo vangelo

della misericordia e dell’amore,

senza offendere la dignità di nessuno,

ma tutti protesi verso il bene assoluto, che sei Tu.

 

Sostienici nella nostra sincera volontà

di pentirci da tutti i nostri peccati

della vita presente e dei tempi passati,

perché nulla possa ostacolare il nostro cuore

e la nostra mente

nello sperimentare la vera gioia del pentimento,

della riconciliazione con Dio e con i fratelli.

 

Fa di questo tempo di penitenza  il momento favorevole,

per vivere la solidarietà  fraterna

come segno distintivo di ogni buon cristiano,

incamminato sulla via della santità.

 

Nulla e nessuno turbi il nostro cuore

ed i nostri propositi di bene

che intendiamo mantenere

non solo in questo tempo,

ma per tutta la nostra esistenza terrena.

 

Maria, la Madre della vera e perpetua Quaresima,

con il suo esempio ed il suo insegnamento

di silenzio, ascolto e penitenza,

ci indichi la strada per incontrare Gesù

nel cammino verso il doloroso Calvario

e il Cristo Risorto nella gioia della Santa Pasqua. Amen

LE SACRE CENERI – COMMENTO DI PADRE ANTONIO RUNGI – 18 FEBBRAIO 2015

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Mercoledì delle Ceneri 

18 febbraio 2015 

Perdonaci Signore abbiamo peccato 

Commento alla liturgia di padre Antonio Rungi 

La coscienza del proprio peccato ci pone davanti a Dio, all’inizio di questo cammino quaresima, con il desiderio profondo di rinnovarci, convertirci, fare penitenza. E’ questo il senso della Quaresima, tempo forte dell’anno liturgico, che inizio oggi con la celebrazione delle Sacre Ceneri. Al centro di questa giornata c’è, infatti, il rito della imposizione delle ceneri che, normalmente, omettendo l’atto penitenziale iniziale della santa messa, viene svolto subito dopo l’omelia del sacerdote che è d’obbligo in questa giornata di digiuno e di penitenza per ogni cristiano, sinceramente incamminato verso la Pasqua 2015 e la Pasqua eterna, quella che più conta davanti a Dio. Con queste parole il sacerdote si rivolge a noi, prima di ricevere le ceneri: “Raccogliamoci, fratelli carissimi, in umile preghiera, davanti a Dio nostro Padre, perché faccia scendere su di noi la sua benedizione e accolga l’atto penitenziale che stiamo per compiere”. Ed aggiunge la preghiera di benedizione delle ceneri e delle persone: “O Dio, che hai pietà di chi si pente e doni la tua pace a chi si converte, accogli con paterna bontà la preghiera del tuo popolo e benedici questi tuoi figli, che riceveranno l’austero simbolo delle ceneri, perché, attraverso l’itinerario spirituale della Quaresima, giungano completamente rinnovati a celebrare la Pasqua del tuo Figlio, il Cristo nostro Signore. Egli vive e regna nei secoli dei secoli”. Oppure con un’altra preghiera dello stesso tono in cui il sacerdote dice: “O Dio, che non vuoi la morte ma la conversione dei peccatori, ascolta benigno la nostra preghiera: benedici queste ceneri, che stiamo per imporre al nostro capo, riconoscendo che il prezioso corpo tornerà in polvere; l’esercizio della penitenza quaresimale ci ottenga il perdono dei peccati e una vita rinnovata a immagine del Signore risorto. Egli vive e regna nei secoli dei secoli”.    E a seguire, subito questa preghiera, mentre il popolo santo di Dio intona i canti penitenziali ad hoc, il sacerdote ad uno ad uno impone sulla testa ai fedeli che si accostano processionalmente all’altare, il l’austero simbolo delle ceneri. Due i testi utilizzati per l’imposizione delle ceneri: “Convertitevi, e credete al Vangelo”, oppure “Ricordati che sei polvere, e in polvere tornerai”. La conversione e la nostra precarietà e temporalità terrena ci mettono di fronte ad un grandissimo atto di responsabilità personale: quello di camminare in santità di vita, lontano dal peccato, perché tutto passa e solo Dio resta per l’eternità. Siamo polvere e in polvere ritorneremo, per farci riflettere sulla vita e sulla morte. Se acquisiamo sempre di più la consapevolezza della nostra precarietà terrena, forse saremo più responsabili delle nostre azioni e valuteremo attentamente il nostro comportamento dovendo rendere conto a Dio dell’intera nostra esistenza. Coscienti dei nostri limiti e peccati, abbiamo bisogno in questo giorno penitenziale di chiedere perdono a Dio dei nostri peccati e farlo con sincerità, con una volontà nuova di camminare sulla via del bene, abbandonando qualsiasi sentiero del male e del peccato. Con il salmo 50, possiamo elevare a Dio la nostra umile preghiera di sincero pentimento e di riconoscimento delle nostre colpe, che Lui e soltanto Lui può lavarci e purificarci nel sangue suo preziosissimo versato sulla croce per noi, in remissione dei nostri peccati: “Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa,  dal mio peccato rendimi puro. Sì, le mie iniquità io le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto. Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non scacciarmi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito”. E il profeta Gioele, nella bellissima prima lettura della liturgia di questa giornata delle Ceneri, ci sollecita un cammino di conversione che sia profonda, che parta dal cuore. Non serva una conversione esteriore ed apparente, ci vuole quella interna, quella profonda, quella che ti cambia in un attimo e ti fa decidere per il Signore per tutta la vita, abbandonando ogni compromesso con il male e il peccato. Allora ritorniamo a Dio con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceriamoci il cuore e non le vesti, ritorniamo al Signore, nostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male”. E un appello alla conversione generale, nessuno è escluso da quella convocazione, ricorda il Profeta: “Radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti; esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dal suo talamo”. Al profeta Gioele, gli fa eco, il grande esperto di conversione vera, san Paolo Apostolo, che nella sua seconda lettera ai cristiani di Corinto, rivolgendosi ad essi con cuore paterno, scrive: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio”. Ed aggiunge: “Vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho esaudito  e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!”.

La Quaresima è questo tempo favorevole per la riconciliazione e il perdono da chiedere a Dio e chiedere ai fratelli che abbiamo offeso, oppure da dare se ci hanno offeso. Non facciamo passare invano questo tempo della Quaresima 2015. Potrebbe essere l’ultima opportunità, l’ultimo round del grande combattimento della vita, in attesa di vedere Dio. Questo tempo favorevole si concretizza con una nuova condotta di vita da assumere subito, proprio a partire da questa giornata delle sacre Ceneri, senza rimandare a tempi successivi. E’ una questione di vita o di morte della nostra anima, che se non respira l’aria della grazia e della misericordia, si atrofizza e muore. E la morte dell’anima è peggiore di quella del corpo. Siamo spesso come cadaveri vaganti, senza spirito e senza anima, vuoti di senso e di significato, svuotati della grazia di Dio e pieno solo di egoismo e di noi stessi. Svuotare il nostro cuore del nostro io, per riempirlo solo e soltanto di Dio.

E allora andiamo direttamente a quanto ci chiede Gesù di fare oggi e sempre. Il suo insegnamento morale lo ricaviamo dal testo del Vangelo di questa giornata, tratto dal vangelo di Matteo: «Stiamo attenti a non praticare la nostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. E quando preghiamo, non dobbiamo essere simili agli ipòcriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente.  E quando digiuniamo, come oggi, come nel venerdì santo o in altre ricorrenze spirituali, non dobbiamo essere malinconici come gli ipòcriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. Molte volte ci assoggettiamo a diete ferree per motivi di salute e di estetica. Perché non digiunare per fare del bene spirituale a noi stessi e destinare il ricavato dei nostri digiuni ai fratelli che sono costretti a digiunare sempre, perché non hanno nulla da mettere sotto i denti. Sono queste le contraddizioni del mondo di oggi e di sempre, che dobbiamo superare con una degna condotta di vita solidale e aperta ai bisogni degli altri. Una Quaresima che si limiti al solo aspetto spirituale, sarà un tempo propizio, ma monco nella sua essenza, che è di apertura alla solidarietà, espressa con quel primo obbligo morale che il Signore ci chiede di attuare: l’essere generosi e altruisti nel donare ciò che si ha, per aiutare i fratelli che sono nel bisogno e nella necessità. La Quaresima è vera se opera e fa fare il bene.

 

PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA – 22 FEBBRAIO 2015

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Prima  Domenica di Quaresima

22 febbraio 2015

Convertirsi alla pace con la preghiera e il digiuno quaresimale

Commento di padre Antonio Rungi

All’inizio del cammino quaresimale di questo 2015, c’è un forte appello della parola di Dio a convertirsi alla pace con se stessi e con gli altri. La pace con se stessi passa attraverso la conversione e l’allontanamento dal male morale con distanziarsi dal peccato. La pace con gli altri la si costruisce nel dialogo, nel rispetto e nella collaborazione. In un tempo in cui il terrorismo di varia origine e con varie finalità minaccia il mondo, la parola di questa domenica prima di Quaresima, per noi cristiani e per quanti credono in Dio o comunque sono mossi dalla buona volontà. L’appello alla conversione ci viene rivolto direttamente da Gesù nel brano del Vangelo di oggi, tratto dall’evangelista Marco, in cui Gesù si ritira nel deserto a pregare e dove è tentato dal Diavolo, senza cedere di un passo alle tentazioni, da un punto di vista umano, che pure potevano toccare la persona di Cristo. Egli resiste con la preghiera e la penitenza, per quaranta giorni (la quarantena o quaresima) e ci insegna a mettere le basi per fronteggiare qualsiasi tentazione e qualsiasi male nella nostra vita, compreso quello dell’orgoglio e della superbia, quella della supremazia sugli altri che scatenano guerre di ogni genere. Uscito fortificato umanamente da questa esperienza Gesù, inizia il suo ministero pubblico e dopo che Giovanni fu arrestato, andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Il vangelo si sa è la buona notizia, è la notizia della gioia per eccellenza. Non a caso Papa Francesco ci ha consegnato in questo tempo difficile per la chiesa e per il mondo di annunciare il Vangelo della gioia, senza paura o temendo chi questo vangelo lo vuole bloccare, perché mosso da altri interessi. Il vangelo della gioia è il vangelo della pace, quella pace alla quale si deve convertire questa umanità, afflitta da tante guerre e violenze e che, oggi, in modo particolare ha bisogno di ritrovare a livello planetario, per non rischiare una terza guerra mondiale su vasta scala. Ecco perché è di grande utilità per quanti credono in Dio e in primo luogo per noi cattolici costruire ponti di pace e non di separazione e divisioni. Nessuna persona può e deve essere esclusa dalla nostra umana comprensione e condivisione, perché solo così possiamo davvero tessere la rete della pace alla quale dobbiamo lavorare giorno e notte instancabilmente e soprattutto utilizzare gli strumenti come la preghiera, il digiuno e la ricerca della giustizia e della verità in ogni momento e in ogni attività della nostra vita di singolo o membro dell’umana società.

Sono di grande efficacia le parole pronunciate da Papa Francesco nell’omelia della messa per l’insediamento dei nuovi cardinali, domenica 15 febbraio 2015: “La strada della Chiesa, dal Concilio di Gerusalemme in poi, è sempre quella di Gesù: della misericordia e dell’integrazione. Questo non vuol dire sottovalutare i pericoli o fare entrare i lupi nel gregge, ma accogliere il figlio prodigo pentito; sanare con determinazione e coraggio le ferite del peccato; rimboccarsi le maniche e non rimanere a guardare passivamente la sofferenza del mondo. La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero; la strada della Chiesa è proprio quella di uscire dal proprio recinto per andare a cercare i lontani nelle “periferie” essenziali dell’esistenza; quella di adottare integralmente la logica di Dio; di seguire il Maestro che disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Lc 5,31-32)”.

In questa visione di accoglienza, misericordia, perdono dobbiamo camminare per costruire un mondo di pace, quell’iride di pace ed arcobaleno della pace che ci viene descritto nel brano della prima lettura di oggi, tratto dal libro della Genesi, ove si parla della situazione ambientale del post-diluvio, con la significativa presenza di Noè, il padre della rinascita e della speranza dell’umanità, distrutta dal potenza del male e purificata dalle acque distruttive e rigeneratrici:Dio disse a Noè: «Questo è il segno dell’alleanza, che io pongo tra me e voi e ogni essere vivente che è con voi, per tutte le generazioni future. Pongo il mio arco sulle nubi, perché sia il segno dell’alleanza tra me e la terra. Quando ammasserò le nubi sulla terra e apparirà l’arco sulle nubi, ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e ogni essere che vive in ogni carne, e non ci saranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne».

Riflettendo proprio sul tema del diluvio e della rinascita che san Pietro, nel brano della sua lettera che oggi ascoltiamo ci richiama all’attenzione il mistero centrale della nostra fede che è il Cristo salvatore, nel quale veniamo inseriti mediante il sacramento del battesimo. Scrive, infatti, l’Apostolo Pietro:Carissimi, Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito. E nello spirito andò a portare l’annuncio anche alle anime prigioniere, che un tempo avevano rifiutato di credere, quando Dio, nella sua magnanimità, pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l’arca, nella quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell’acqua”. E poi la sottolineatura del significato e valore del battesimo come sacramento della rinascita e della risurrezione della persona, toccata nella sua natura dal peccato, ma redenta con la morte e risurrezione di Cristo: “Quest’acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi; non porta via la sporcizia del corpo, ma è invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo. Egli è alla destra di Dio, dopo essere salito al cielo e aver ottenuto la sovranità sugli angeli, i Principati e le Potenze”.

Quale atteggiamento allora, dobbiamo assumere, noi che siamo battezzati di fronte alle tante sfide del mondo di oggi: l’atteggiamento di chi vuole convertirsi alla gioia, alla pace, all’amore e alla tolleranza ogni giorno della propria vita, senza discriminare nessuno n questo suo cammino di rinnovamento, rinascita, conversione. Sia questa la nostra preghiera, allora, all’inizio della Quaresima 2015: “O Dio, nostro Padre, con la celebrazione di questa Quaresima, segno sacramentale della nostra conversione, concedi a noi tuoi fedeli di crescere nella conoscenza del mistero di Cristo e di testimoniarlo con una degna condotta di vita”.

Quale condotta è degna di definirsi degna? Lavorare per la pace, la giustizia, l’amore e la fraternità universale. La Quaresima ci aiuti spiritualmente a portare avanti a livello personale il nostro progetto di pace interiore e spirituale, mediante una vita di preghiera e di purificazione, che sono i punti di partenza individuale per estendere il valore della pace ad altri ambiti della nostra vita quotidiana, sociale ed ecclesiale. Nessuno assuma le sembianze del Diavolo, divenendo zizzania e mettendo guerra invece che pace e concordia in ogni luogo in cui si trova.

PREGHIERA A SANTA MARIA CRISTINA BRANDO

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PREGHIERA A SANTA MARIA CRISTINA BRANDO

COMPOSTA DA PADRE ANTONIO RUNGI 

Anima, eminentemente eucaristica,

Santa Maria Cristina Brando,

mi rivolgo a te, in questo momento,

per ottenere da Dio la grazia

di cui necessito per la mia ed altrui salute. 

Davanti al Santissimo Sacramento dell’Altare

hai trascorso la tua breve vita,

in una preghiera incessante e sentita,

gustando la dolcezza dell’amore eucaristico

che ha riempito il tuo cuore

di anima consacrata alla sua gloria. 

Dal cielo, ove ora godi per sempre

della visione beatifica della Santissima Trinità,

insieme a Maria, la tua e nostra madre dolcissima,

proteggi il popolo che ricorre a te fiducioso

per avere il conforto nell’ora della prova. 

Insegnaci, o anima santa,

ad amare con tutto il cuore e la mente

il tuo dolce Gesù,

nel santissimo sacramento dell’altare,

divenendo adoratore perenne di Lui,

nelle chiese di tutto il mondo

e nel volto sofferente di tanti nostri fratelli e sorelle. 

Ti chiediamo di proteggere dal cielo

i bambini, i giovani, gli anziani

e soprattutto gli ammalati,

tu che hai assaporato il patire

in ogni momento della tua vita. 

Santa della gioia eucaristica,

rivolgi il tuo sguardo d’amore

verso i religiosi di tutto il mondo

perché, sul tuo esempio,

siano testimoni della gioia perenne. 

Dal tuo amato Gesù ottieni  al nostro tempo

giorni di pace e di serenità, perché nessuno sulla terra

possa temere le tenebre del male morale, personale e sociale,

ma sperimentare solo solidarietà tra tutti gli esseri umani. Amen.