Archivi Mensili: febbraio 2015

LA BEATA MARIA CRISTINA BRANDO, SANTA IL 17 MAGGIO 2015

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Casoria (Na). La beata Maria Cristina Brando il 17 maggio sarà canonizzata  

di Antonio Rungi  

La beata Maria Cristina Brando, fondatrice delle Suore Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato,  domenica, 17 maggio 2015, da Papa Francesco, sarà canonizzata in Piazza San Pietro a Roma. A darne l’annuncio ufficiale è stato lo stesso Papa, oggi, 14 febbraio 2015, durante il Concistoro che si è celebrato nella Basilica Vaticana. Maria Cristina Brando (al secolo Adelaide Brando) nacque a Napoli il 1° maggio 1856. Fin da piccola soleva ripetere spesso: “Debbo farmi santa, voglio farmi santa”. E santa si è fatta davvero, con il riconoscimento ufficiale di questo cammino compiuto nel tempo relativamente breve della sua esistenza di quasi 50 anni. Dopo varie esperienze in diversi istituti religiosi costretta a lasciarli per motivi di salute, nel 1878 si sentì ispirata da Dio a fondare un nuovo istituto, le Suore Vittime espiatrici di Gesù Sacramentato. Nel 1897 la Beata Maria Cristina emise i voti temporanei. Il 20 luglio 1903 la Congregazione delle Suore Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato ottenne l’approvazione canonica dalla Santa Sede e il 2 novembre dello stesso anno la Fondatrice, insieme con molte suore, emise la professione perpetua. Dopo una breve, sofferta vita, tutta dedicata al culto eucaristico, la Beata Maria Cristina entrò il 20 gennaio 1906 nella vita eterna. “La sua –disse Papa Giovanni Paolo II, in occasione della beatificazione – è una spiritualità eucaristica ed espiatrice, che si articola in due linee come “due rami che partono dallo stesso tronco”: l’amore di Dio e quello del prossimo. Il desiderio di prendere parte alla passione di Cristo viene come “travasato” nelle opere educative, finalizzate a rendere le persone consapevoli della loro dignità e ad aprirsi all’amore misericordioso del Signore”. Il carisma della fondatrice continuano a viverlo le sue figlie spirituali, guidate oggi da Madre Carla Di Meo, e che sono presenti in varie comunità in Italia e nel mondo. Scrive oggi, Madre Carla Di Meo: “Papa Francesco , nel Concistoro di oggi, ha annunciato la data per la canonizzazione di Santa Maria Cristina Brando: 17 Maggio 2015, ore 10,00, piazza San Pietro. Con esultanza ringraziamo il Signore e prepariamoci alla partenza per il grande evento. Ci dobbiamo fare onore perché saremo solo noi italiani, ci saranno due sante della Palestina e una francese, quindi è doveroso una massiccia presenza italiana perché siamo in casa. Confido molto sul vostro contributo e soprattutto sulle vostre capacità organizzative. Domani, 15 Febbraio, alle ore:18,00, solenne celebrazione di ringraziamento presieduta da sua Ecc.za Monsignor Lucio Lemmo, vescovo della diocesi di Napoli. Al termine, ci sposteremo nella villetta in via A. Diaz, ai piedi della statua  di santa Maria Cristina, dove, a perenne ricordo, pianteremo un albero di ulivo e una pianta di edera, simboli che la Beata scelse per lo stemma  dell’istituto. Col cuore commosso e colmo di santa letizia vi invito tutti. Tengo molto alla vostra presenza. Più siamo e più la festa sarà bella”.

Dal bollettino ufficiale della Santa Sede di oggi, leggiamo:

“Al termine del rito di creazione dei nuovi cardinali, il Santo Padre Francesco ha tenuto Concistoro Ordinario Pubblico per la Canonizzazione delle Beate: 

– GIOVANNA EMILIA DE VILLENEUVE, Religiosa, Fondatrice della Congregazione delle Suore dell’Immacolata Concezione di Castres; 

– MARIA DI GESÙ CROCIFISSO (al secolo: Maria Baouardy), Monaca Professa dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi;

– MARIA ALFONSINA DANIL GHATTAS, Religiosa, Fondatrice della Congregazione delle Suore del Rosario di Gerusalemme. 

Di seguito il testo delle brevi biografie delle tre Beate, come presentate nel corso del Concistoro dal Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi : 

1. La Beata Giovanna Emilia De Villeneuve nacque in Francia, a Tolosa, nel 1811. A Castres fondò la Congregazione delle Suore dell’Immacolata Concezione per l’educazione delle bambine e delle ragazze povere, per gli ammalati e per le missioni in terre lontane. Morì di colera il 2 ottobre 1854. Fu beatificata dal Papa Benedetto XVI, nel 2009. 

2. La Beata Maria di Gesù Crocifisso (al secolo: Maria Baouardy) nacque ad Abellin, un villaggio dell’Alta Galilea, presso Nazareth, nel 1846, da genitori arabi. Fu battezzata nella Chiesa Greco-Cattolica Melchita. Fin dalla giovinezza sperimentò molte tribolazioni insieme a straordinari fenomeni mistici. In Francia entrò nel Carmelo di Pau. Per la fondazione di nuovi Carmeli fu inviata in India e poi a Bettlemme, dove morì nel 1878. Fu beatificata dal Papa San Giovanni Paolo II, nel 1983. 

3. La Beata Maria Alfonsina Danil Ghattas nacque a Gerusalemme nel 1843. Ancora quindicenne entrò nella Congregazione delle Suore di San Giuseppe dell’Apparizione. Svolse un intenso apostolato a favore delle giovani e delle madri cristiane. Ebbe una speciale vicinanza mistica alla Madre di Dio. Fondò la Congregazione delle Suore del Santissimo Rosario di Gerusalemme, alla quale appartenne. Morì nel 1927 e fu beatificata dal Papa Benedetto XVI, nel 2009. 

Nel corso del Concistoro, il Papa ha decretato che le Beate: Giovanna Emilia de Villeneuve, Maria di Gesù Crocifisso Baouardy e Maria Alfonsina Danil Ghattas, assieme alla Beata Maria Cristina dell’Immacolata Concezione (al secolo Adelaide Brando), fondatrice della Congregazione delle Suore Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato – la cui canonizzazione fu decisa nel concistoro del 20 ottobre 2014 – siano iscritte nell’Albo dei Santi domenica 17 maggio 2015.

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO – SESTA DOMENICA T.O. – 15 FEBBRAIO 2015

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SESTA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

15 FEBBRAIO 2015

 

Una storia di sofferenza. Una storia di guarigione

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

Il vangelo è pieno di racconti di storie di sofferenze e, parimenti, storie di guarigioni di ogni genere. Da un lato, delle persone che soffrono anche indicibilmente; dall’altro, Gesù che opera le guarigioni, invocate e chieste in tanti modi a lui, con semplici gesti, con dialoghi, con il silenzio, con un contatto con gli abiti del Maestro.

Storie che si intrecciano e ci rammentano la grandezza di Dio e la povertà e la debolezza dell’uomo.

I miracoli sono e saranno sempre possibili e si verificheranno se la fede sarà grande e totale in Dio, nostro salvatore.

Oggi, nel vangelo di Marco, in questa sesta domenica del tempo ordinario, alla vigilia dell’inizio della Quaresima del 2015, incontriamo la storia della sofferenza di un lebbroso, che viene guarito da Gesù e che una volta ottenuto questo grande dono, non si tiene il dono per se stesso, ma lo proclama con forza a tutti coloro che egli incontra, nonostante il divieto assoluto da parte di Gesù di non dire niente di quanto accaduto a nessuno. Invece, è talmente grande la gioia in lui e il senso di riconoscenza da parte di questo lebbroso, al punto tale che viola il comando del Signore: il bene non si può tacere, lo si deve gridare forte al mondo intero; perché il male più facilmente si conosce e si sa, e più facilmente lo si pubblicizza e diffonde, soprattutto ai nostri giorni con i potentissimi mezzi della tecnica.

Qui è la voce diretta di una persona guarita che grida forte il suo bisogno di dire grazie a Dio e di farlo sapere agli altri. Questo è l’atteggiamento più giusto di chi riceve un miracolo da Dio e spesso non sa gridarlo con la forza della fede.

Nel miracolo del lebbroso guarito c’è tutta una liturgia che la chiesa ha fatto sua nei casi in cui, mediante la grazia, opera, con l’azione dello Spirito santo, la guarigione del corpo e dello spirito delle persone affette da malattie.

Cosa fece Gesù di fronte alla richiesta di purificazione da parte del lebbroso? “Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: Lo voglio, sii purificato!”.

Alla base dell’intervento di Gesù c’è la compassione, il “cum patire”, l’immergersi nella sofferenza dell’altro. Non è un atteggiamento di disprezzo, anzi, di grande attenzione, verso il richiedente della purificazione.

E’ lo stesso atteggiamento che dovremmo avere noi di fronte alla sofferenza, molte volte atroce, dei nostri fratelli che si trovano nel dolore. Capire, essere vicini e fare qualcosa per loro, se è nelle nostre possibilità. Il che significa che dobbiamo fare le stesse cose di Gesù. Egli ci dà l’esempio di come comportarci davanti a delle persone ammalate.

Gesù tende la mano tocca e dice parole di guarigione. Anche noi dobbiamo tendere la mano a chi sta nel bisogno, stendere i nostri arti superiori per aiutare chi si trova in necessità.

Gesù tocca il lebbroso, non ha paura di infettarsi. Anche noi non dobbiamo avere paura di sporcarci le mani per aiutare gli ammalati. Certo, oggi, per evitare la diffusione delle malattie contagiose è necessario usare prudenza ed igiene nelle cure, per non aggravare la situazione di malattia, ma mai dobbiamo tirarci indietro di fronte alle malattie da curare particolarmente quelle più gravi ed emarginanti.

Gesù parlò e la sua parola, per l’efficacia che portava in sé guarisce e purifica. Anche il nostro parlare e dire, specie davanti alle persone che soffrono, devono avere e possedere la loro efficacia. Devono nascere dall’amore e dalla tenerezza del nostro cuore. Solo l’amore può fare i miracoli di guarigione. Chi ama davvero, guarisce il suo cuore ed aiuta a guarire il cuore e il fisico degli altri.

Basta pensare alle parole di guarigione che il sacerdote pronuncia nel momento in cui assolve il penitente a conclusione della confessione, quando nota in quella persona il sincero pentimento e la volontà di non peccare più, di convertirsi a vita migliore e più santa.

In quel caso la purificazione dei nostri peccati è sicura ed accertata, perché le parole di assoluzione ci liberano dalla lebbra del cuore e della mente, che è il peccato e il deterioramento dell’anima.

Basta riflettere sulla formula dell’assoluzione sacramentale per rendersi conto di tutto questo. Il sacerdote tenendo stese le mani (o almeno la mano destra) sul capo del penitente, dice:  “Dio, Padre di misericordia,  che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e risurrezione del suo Figlio, e ha effuso lo Spirito Santo  per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace.  E io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre e del Figlio  e dello Spirito Santo”.

Il penitente risponde: Amen. Dopo l’assoluzione il sacerdote prosegue: “Lodiamo il Signore perché è buono”. Il penitente conclude: “Eterna è la sua misericordia”. Quindi il sacerdote congeda il penitente riconciliato, dicendo: “Il Signore ha perdonato i tuoi peccati. Va’ in pace”. In luogo del precedente rendimento di grazie e congedo il sacerdote può dire:  “La passione di Gesù Cristo nostro Signore, l’intercessione della beata Vergine Maria  e di tutti i santi, il bene che farai e il male che dovrai sopportare ti giovino per il perdono dei peccati, l’aumento della grazia e il premio della vita eterna. Va’ in pace”. Oppure potrà dire altre formule similari.

Nella guarigione del lebbroso, quindi possiamo ben dire di trovare tutto il rito di purificazione dal peccato che avviene mediante il sacramento della confessione.

E allora perché non ci lasciamo purificare dal Signore una volta per sempre?

Chi non ha questa esigenza spirituale, continuerà a vivere da lebbroso, chiaramente da un punto di vista spirituale, fuori della comunità cristiana, perché peccatore incallito e senza volontà ed intenti di convertirsi.

La drammaticità di questa situazione di emarginazione del lebbroso è espressa dalla prima lettura di oggi, tratta dal libro del Levitico, uno dei cinque fondamentali della Torah, che chiaramente ha risvolti di carattere non solo sanitario e legislativo, nel senso che prudenzialmente il lebbroso era tenuto lontano dalla città, perché la malattia era contagiosa e poi il lebbroso era considerato un peccatore pubblico e la malattia una punizione per i peccati commessi.

Il Signore parlò a Mosè e ad Aronne e disse: «Se qualcuno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola o macchia bianca che faccia sospettare una piaga di lebbra, quel tale sarà condotto dal sacerdote Aronne o da qualcuno dei sacerdoti, suoi figli. Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”. Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento».

Volendo applicare questo testo alla lebbra spirituale, al peccato che è dentro di noi e nelle nostre azioni, anche noi dovremmo gridare forte, impuro, impuro, per non trasmettere il male spirituale agli altri.

Invece, oggi, si grida forte la propria debolezza, e si pubblicizzano le proprie vergogne morali, con i vari giorni e manifestazioni di orgoglio dell’immoralità e non della santità.

In questo nostro tempo, quanti lebbrosi ci sono, spiritualmente e moralmente che stanno infettando il mondo con la loro malizia e perversione. E’ tempo di conversione, è tempo di gridare forte al Signore: “Purificami o Signore e sarò più bianco della neve.

Il volto del lebbroso non è soltanto il volto della sofferenza e della debolezza, ma anche il volto di una precisa richiesta di aiuto.

Come non prestare attenzione ai tanti lebbrosi del mondo d’oggi che chiedono aiutano e non trovano nessuno che li aiuti davvero?

San Paolo Apostolo, ci ammonisce fraternamente oggi con il breve, ma intenso brano della seconda lettura della liturgia della parola di Dio, tratto dalla  prima lettera ai Corìnzi, nella quale scrive: “Fratelli, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza. Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo”.

Tutto si deve fare per la gloria di Dio, senza dare scandalo, cercando di piacere a Lui e a tutti i fratelli in tutto, imitando nelle parole e nelle opere Gesù Cristo.

Sia questa la nostra preghiera comunitaria oggi: “Risanaci, o Padre, dal peccato che ci divide, e dalle discriminazioni che ci avviliscono; aiutaci a scorgere anche nel volto del lebbroso l’immagine del Cristo sanguinante sulla croce, per collaborare all’opera della redenzione e narrare ai fratelli la tua misericordia”.

A tale preghiera si aggiunga questa mia preghiera della sofferenza, adatta al tempo che stiamo vivendo e che ci apprestiamo a vivere, che la Quaresima, tempo di purificazione e di conversione:

 

Signore che sei morto sulla croce per noi,

insegnaci a portare con santa rassegnazione

le nostre croci quotidiane.

 

Non sempre siamo predisposti e preparati

a seguirti sulla via del Calvario,

 ma Tu, dal cielo, ove regni in eterno

con il Padre e lo Spirito Santo,

comprendi le nostre debolezze

e la nostra fragilità di fronte al male,

che spesso ci accompagna senza lasciarci un attimo di pace.

 

Gesù, conforta quanti sono nel dolore,

i bambini, i giovani, gli adulti e gli anziani

e volgi uno sguardo speciale sul dolore di tanti tuoi figli,

eletti alla dignità del presbiterato o chiamati alla vita consacrata.

 

Nessuno soffra da solo

 senza il conforto amorevole di qualcuno,

ben sapendo che il giudizio finale riguarderà la carità.

 

Tu ti indentifichi nella persona che soffre,

invitando noi uomini di questo mondo

a visitare gli ammalati,

a confortare gli afflitti,

ad avere uno sguardo d’amore

verso le croci di tanti uomini

e donne che sono nel dolore.

 

Uomo della croce, che ben conosci il patire, 

sii vicino agli afflitti e ai derelitti,

non abbandonare l’opera delle tue mani

e attraverso Maria, la Vergine Addolorata,

accogli la nostra umile preghiera di aiuto

e soccorso nella malattia. Amen.

NAPOLI. E’ MORTO PADRE STANISLAO RENZI, PASSIONISTA

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Napoli. E’ morto padre Stanislao Renzi, passionista

di Antonio Rungi

All’età di 80 anni, da poco compiuti, nelle prime ore del 5 febbraio 2015, a Napoli, nel convento dei padri passionisti di Santa Maria ai Monti è morto padre Stanislao Renzi, religioso della Congregazione di San Paolo della Croce (Passionisti). Padre Stanislao dell’Addolorata (al secolo Tommaso Renzi), di fu Vincenzo e di fu Enrica Fantaccione, era nato a Castrocielo (Fr), nell’attuale diocesi di Sora-Aquino e Pontecorvo, il 20 novembre 1934. Tra i passionisti professa a Falvaterra (Fr) il 22 novembre 1950 e viene ordinato sacerdote a Roma il 31 maggio 1958. Tra i passionisti ha ricoperto molti ed importanti incarichi: consultore alla vita comunitaria e spirituale dal 1972 al 1982, superiore provinciale della Provincia dell’Addolorata (Basso Lazio e Campania) dal 1982 al 1988; consultore generale dal 1988 al 1994; nuovamente superiore provinciale dal 1998 al 2003; vice- provinciale dal 2003 al 2007, durante il provincialato di padre Antonio Rungi; superiore delle case religiose; docente di filosofia al Liceo dei passionisti di Ceccano, direttore dello studentato teologico di Napoli dal 1970 al 1978. In ambito ecclesiale è stato collaboratore della segreteria della Fies, la federazione delle case di esercizi spirituali; consultore in una congregazione vaticana. Ha guidato molti capitoli generali di vari istituti religiosi femminili; redattore della Rivista Tempi dello Spirito, autore di numerosi scritti di vita spirituale. Noto per la sua  esperienza nel campo del governo, era una persona richiesta per le sue competenze. Sacerdote di grande cultura ed umanità, ha posto al centro della sua vita di religioso passionista, e di guida spirituale, il mistero del Cristo Crocifisso e dei dolori di Maria Addolorata. Predicatore di esercizi spirituali, conferenziere, ha lasciato una traccia significativa nella storia della Provincia dell’Addolorata e della Congregazione dei Passionisti. Apprezzato per il suo stile generoso, per la sua affabilità e disponibilità, sapeva coniugare alla serietà del ruolo, quella dell’amicizia sincera. Attaccato profondamente alla Congregazione dei Passionisti di cui è stato uno dei membri più rappresentativi nell’ultimo trentennio, lascia un vuoto profondo nel suo istituto. Da anni soffriva di diabete e si curava per questa malattia. Sorella morte lo ha preso con sé questa mattina, 5 febbraio 2015, nel sonno, addormentandosi serenamente in Cristo, in attesa della risurrezione finale.

I funerali solenni di padre Stanislao Renzi, si svolgeranno, domani pomeriggio, 6 febbraio 2015, alle ore 15.00, nella Chiesa dei Passionisti di Napoli, dove ha trascorso moltissimi anni della sua vita religiosa e sacerdotale, da direttore dello studentato negli anni 70-78, poi da consultore e provinciale negli anni 78-88; poi nuovamente come provinciale negli anni 1998-2003, e negli ultimi due anni, 2012-2014 quando è stato trasferito da Roma, dalla Scala Santa, al Convento dei passionisti di Santa Maria ai Monti in Napoli. Il Signore lo accolga nelle braccia della sua misericordia e gli dia il premio del servo fedele e laborioso.

Ecco uno schema di meditazione sull’attesa del Signore, elaborato dal compianto padre Stanisalo Renzi.

ASPETTARE CRISTO NELL’ATTEGGIAMENTO DEL POVERO
L’attesa che caratterizza l’Avvento presuppone un atteggiamento spirituale:
l’essere poveri davanti a Dio come all’unico Salvatore, all’unica salvezza.

Significato di povero nella Bibbia: mendicante, insignificante, debole, gracile.

Umile: attende tutto da Dio (Maria: lo sguardo del Signore s’è posato sull’umile sua
serva).

La chiave di lettura della povertà è Gesù Cristo: attende tutto dal Padre.
G.C. si fece povero per voi, pur essendo ricco, affinché voi diventaste ricchi grazie
alla sua povertà (2Cor 8,9); così ci viene manifestata la grazia di G.C., misericordia di
Dio a noi partecipata.

Il farsi povero è la kenosis (Fil 2,5-11): svuotamento nell’assumere la condizione
umana e umiliazione nell’obbedienza fino alla morte di croce.
* Gesù è colui che non è e non vive come affermazione assoluta di sé, non fa della
sua vita una “rapina” in funzione dell’affermazione di sé.  Per questo è colui che è
interamente dato via e si mette a servizio degli altri per arricchirli della sua povertà.
* La logica dell’incarnazione: un vuoto che non è destinato a rimanere una
privazione, ma che arricchisce.
G.C. si propone come modello ai discepoli: imparate da me che sono mite e umile
di cuore.
Che cos’è l’umiltà? Ha un carattere relativo alla diversità delle persone e delle
libertà personali.
Non tanto virtù, quanto fondamento di tutte le altre virtù. Sottrarla alla soggettività
e al devozionalismo: essa nasce dal Cristo, maestro dell’umiltà (S. Agostino). = Egli ci
insegna a vivere guidandoci a una realistica conoscenza di noi stessi.
È la coraggiosa conoscenza di sé davanti a Dio, che ha manifestato la sua umiltà
nell’abbassamento del Figlio.
* È una ferita portata al proprio narcisismo: ci riconduce a ciò che siamo in realtà,
al nostro humus, alla nostra creaturalità e così ci guida nel cammino del nostro
divenire homo. “O uomo, riconosci di essere uomo; tutta la tua umiltà consista nel
conoscerti” (S. Agostino).
*Umiltà davanti a Dio: non autoaffermazione, non credersi al centro del mondo,
espropriarsi di sé per essere ricchi di Dio; essa fa dell’uomo il terreno su cui la grazia
può sviluppare la propria fecondità. L’uomo sa di aver ricevuto tutto da Dio e di essere
amato anche nella propria limitatezza e negatività, perciò si abbandona a Lui, vive
della sua misericordia come un mendicante.
= L’umiltà diviene volontà di sottomissione a Dio e ai fratelli nell’amore e nella
gratitudine. È relativa all’amore. “Là dov’è l’umiltà, là è anche la carità” (S. Agostino).
In questo senso è anche elemento essenziale alla vita in comune: “rivestitevi di umiltà
nei rapporti reciproci” (1Pt 5,5); “stimare gli altri, con tutta umiltà, superiori a se
stessi” (Fil 2,3); “non cercare cose alte, ma piegarsi a quelle umili” (Rm 12,16).
Solo così può avvenire l’edificazione comunitaria, che è sempre condivisione delle
debolezze e delle povertà di ciascuno.
Solo così viene combattuto e sconfitto l’orgoglio, che è il “grande peccato” (Sal
19,14) o forse, meglio, il grande accecamento che impedisce di vedere in verità se
stessi, gli altri e Dio.
Oremus del sabato II settimana d’Avvento.
-Più che sforzo di autodiminuzione, l’umiltà è allora evento che sgorga dall’incontro
fra il Dio manifestato in Cristo e una precisa creatura. Nella fede l’umiltà di Dio svelata
da Cristo diviene umiltà dell’uomo.
-Umiltà è accettare l’umiliazione: dagli altri, i più vicini a noi; dalla vita che ci
contraddice e ci sconfigge; accettazione della nostra povertà più profonda (limiti,
debolezze, carattere, egoismo…). Così è luogo per conoscere se stessi in verità e
imparare l’obbedienza come Cristo. “Bene per me se sono stato umiliato, ho imparato
i tuoi comandamenti” (Sal 119,71).

Attendere Cristo-luce
Sorga in noi lo splendore del Cristo
– AT: la nube luminosa (manifestazione della gloria di Dio) si posava sul tabernacolo,
accompagnava il popolo nel deserto, riempiva il tempio
– NT: La luce del volto di Dio splende in tutta la sua bellezza sul volto di Gesù Cristo
– Nel mistero del Verbo incarnato trova luce il mistero dell’uomo (VS)
– Ci è dato comprendere la preziosità della nostra esistenza inserita nel Cristo
Vinca le tenebre del male
– Ci faccia discernere il bene dal male nell’ambiguità del nostro tempo.
– Che la luce del Cristo trionfi sulle potenze sataniche della tenebra (come nell’agonia
e nella morte di Gesù).
– Chiediamo di darci la grazia dell’amore fraterno, che trasferisce dalla tenebra alla
luce (1Gv 2,9).
– Chiediamo di impostare la nostra vita nella verità e non nella menzogna.
– Chiediamo d’essere liberati dagli idoli che ci siamo costruiti.
– Ci riveli al mondo come figli della luce.
– Chiediamo di essere, con la nostra vita, testimoni non solo davanti a Dio, ma anche
davanti agli uomini: di poter compiere opere buone che diano gloria al Padre che è nei
cieli. Queste opere sono soprattutto quelle della carità (cf Mt 25,31-46) e
dell’autentica libertà che si manifesta e vive nel dono di sé. Sino al dono totale di noi
stessi, come ha fatto Gesù che sulla croce «ha amato la Chiesa e ha dato se stesso
per lei» (Ef 5,25).

Significatività della vita religiosa come singoli e come comunità.
«Se un tempo eravate tenebra — ci ammonisce l’apostolo Paolo —, ora siete luce nel
Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce» (Ef 5,8).
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