Papa Francesco

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DELLA XXIX DEL T.O.- 21 OTTOBRE 2018

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XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)
Domenica 21 Ottobre 2018

Il potere e la gloria di Cristo Crocifisso

Commento di padre Antonio Rungi

Nel tempo ordinario dell’anno liturgico, sembra fuori luogo parlare di Cristo Crocifisso.

Eppure la liturgia di questa XXIX domenica del tempo ordinario ci porta proprio a riflettere sul mistero centrale della nostra fede, che è la Pasqua di Cristo, morto e risorto per la nostra salvezza.

E’ Gesù stesso che forma la coscienza e l’intelligenza dei suoi discepoli a questo evento, apparentemente drammatico della vita di Gesù, ma in realtà l’opera più grande e stupenda dell’amore di Dio nei confronti dell’umanità, come soleva ripetere san Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti.

Gesù, infatti, nel brano del Vangelo di Marco di questa domenica, cerca di preparare gli apostoli allo scandalo della croce, ma anche di dare indicazioni precise circa la sua missione, che poi deve essere la missione di ogni suo vero discepolo: “il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.

La missione di Cristo richiede adesione e risposta da parte dei discepoli, impegnati in altri discorsi: “Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».

Molti apostoli di Gesù, sull’esempio del Maestro, per testimoniare la fede in Lui moriranno martiri, in varie parti del mondo, a partire dal principe degli apostoli, San Pietro, morto martire a Roma e poi, di seguito tutti gli altri, fino ad essere inserito come martire anche un apostolo aggiunto, Paolo di Tarso, che non aveva conosciuto Gesù, anzi lo aveva perseguitato mandando a morte i cristiani, lui acerrimo nemico della nuova religione portata da Cristo. Fu poi Paolo a scrivere che non ci sia altro vanto che nella croce di Cristo, per ogni discepolo di questo unico e irripetibile Maestro.

Tuttavia, prima degli eventi della morte e risurrezione di Cristo, gli apostoli, come tutti gli esseri umani, ragionavano e programmavano, prospettavano il loro futuro come sistemazione e posti da occupare, più o meno prestigiosi nel Regno di Cristo, pensato e immaginato come un potere temporale.

Umanamente erano giustificati, ma non come discepoli di un Maestro che aveva fatto capire esattamente per cui era venuto e verso quale meta era diretto. Evidentemente stavano nei loro ragionamenti e non seguivano il pensiero del Maestro. Ecco perché si rivolgono al Maestro con la pretesa di chi deve ricevere una ricompensa, riconoscimento visibile del loro essere parte integrante del progetto di Cristo. Ad esprimere apertamente il loro pensiero sono i due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo».

Gesù ascolta e segue con attenzione ciò che stanno dicendo e chiedendo, per cui risponde subito: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Ebbene, cosa potevano chiedere degli esseri umani avidi di potere e di sistemazione? La richiesta è riportata testualmente nel brano del Vangelo: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».

Sedere nella gloria, cosa significava per loro? Significava occupare il primo posto nella scala del potere regale. E i primi posti erano, infatti e lo sono ancora, quelli che si pongono a lato, di chi presiede e di chi comanda.

Destra e sinistra, in questo caso non sono in opposizione, ma in convergenza. Potremmo capire il perché tante volte nel potere politico opposti schieramenti si mettano insieme per comandare e governare, sotto un leader, perché comunque c’è un interesse, e non un servizio, se non altro quello di dimostrare di essere capaci e più bravi e meritevoli degli altri. E il pensiero di Cristo è chiaro in merito: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono”.

Alla conclusione del dialogo tra Gesù e i due apostoli troviamo questo invito a bere il calice e a rimandare la sistemazione definitiva, quella eterna, dei discepoli al giudizio del Padre, alla fine della loro vita. Sta di fatto che Gesù non promette posti e sistemazione ai suoi amici e seguaci, anzi chiede il sacrificio, l’accettazione della prova e della croce e la capacità di donarsi per una causa come quella del vangelo, soprattutto la scelta del servizio e non del comando: “Tra voi, tra i discepoli, però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». Gesù modello supremo servizio alla causa dell’uomo, mediante il dono della vita.

Il modello di ispirazione di questo fondamentale atteggiamento è quello che troviamo espresso, anche nel brano della seconda lettura di questa domenica, tratto dalla lettera agli Ebrei.

Questo modello è Gesù Figlio di Dio “sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli e che ha preso parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato”. Di fronte a questo modello di comportamento, siamo chiamato ad accostarci “con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno”.

Accostarci, chiedere ed ottenere: è il cammino di conversione alla Croce di Cristo, il vero potere e la vera gloria di cui dobbiamo affannosamente cercarne il possesso.

E, infatti, nel brano della prima lettura di oggi, tratto dal profeta Isaia, che ci presenta la persona del Servo sofferente di Javhè ci viene ricordato, parlando del futuro Messia, nostro Signore Gesù Cristo che “al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità”.

E’ scolpita qui l’immagine e l’effige più vera e rispondente alla missione di Cristo sulla terra, che è quella di Gesù in Croce, di Gesù che offre la vita per noi, davanti alla quale dobbiamo umilmente prostrarci e riconoscere i nostri peccati, come diciamo oggi nella preghiera della colletta: “Dio della pace e del perdono, tu ci hai dato in Cristo il sommo sacerdote che è entrato nel santuario dei cieli in forza dell’unico sacrificio di espiazione; concedi a tutti noi di trovare grazia davanti a te, perché possiamo condividere fino in fondo il calice della tua volontà e partecipare pienamente alla morte redentrice del tuo Figlio”. Amen.

 

P.RUNGI. COMMENTO ALLA XXVIII DOMENICA – 14 OTTOBRE 2018

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XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

DOMENICA 14 OTTOBRE 2018

INVESTIRE PER L’ETERNITA’

COMMENTO DI PADRE ANTONIO RUNGI

La parola di Dio di questa XXVIII domenica del tempo ordinario ci pone di fronte a delle scelte coraggiose che tutti siamo chiamati a compiere e a fare in vista dei beni che contano, per chi crede, e che non riguardano investimenti terreni, ma quelli eterni. E’ il Vangelo di oggi a spingere la nostra riflessione in quella direzione.
Un ricco si rivolge a Gesù, visto che possedeva tutto ed era contento di quella che aveva e faceva, al punto tale che di fronte ad una serie di domande che Gesù gli pone, lui, questo uomo desideroso di possedere qualcosa più importante, dice di aver osservato tutte le norme morali, i vari comandamenti e di averlo fatto dalla giovinezza.
Evidentemente si trattava di una persona, adulta e matura, che incomincia a fare i conti non soltanto con le sue tasche piene di ogni bene materiale, ma con la sua anima. E’ quello che succede a tutti ad una certa età, quando incomincia a farsi strada l’idea della fine della propria vita. E magari se da giovane si era trascurato qualcosa della vita morale e religiosa, poi incomincia ad affiorare la moralità e la coscienza di fare di più e meglio.
Ci si pone la stessa domanda che oggi questa persona desiderosa di perfezionarsi rivolge a Gesù: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?».
Ebbene Gesù prende atto dell’onestà intellettuale e della bontà di quell’uomo, ma a questo punto, visto che voleva salire più su nel grado della perfezione dell’amore verso Dio e verso i fratelli, gli propone una scelta di vita radicale per mettersi sulla vera strada che porta all’eternità. E la proposta di Gesù, davanti a questo uomo ricco, attaccato ai beni della terra e alla sua agiatezza, è chiara: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Di fronte a questo inatteso comportamento dell’uomo Gesù sviluppa la sua riflessione sul tema della ricchezza e sulla difficoltà di abbondonare uno stile di vita agiata per donarsi totalmente alla causa della salvezza della propria anima. Il contrasto tra ricchezza e salvezza eterna è ben evidenziato dal Maestro. E Gesù lo dice apertamente agli apostoli che chiedono spiegazione al riguardo: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!».
I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio».
L’immagine e il paradosso che Gesù utilizza per dimostrare l’impossibilità di salvarsi da parte coloro che rimangono per tutta la vita attaccati alla ricchezza, non ammette ridimensionamenti. Gesù usa esattamente l’espressione del cammello per riferirsi ad un animale così enorme da non poter entrare nella cruna di un ago, cioè nel piccolo foro che ha l’ago dove si infila il cotone o al tempo di Gesù lo spago. Gesù vuole ribadire questa difficoltà, ma lascia spazio alla salvezza anche per i ricchi se si convertano. Tanto è vero che di fronte alla meraviglia generale di chi ascoltava il discorso di Gesù, la gente e gli apostoli più stupiti di prima dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Chiaro riferimento che la salvezza venuta a porta da Cristo sulla terra non esclude nessuno e tutti possono salvarsi se si lasciano toccare il cuore dalla generosità verso gli altri. Di fronte a questa prospettiva di salvezza assicurata a chi lascia ogni cosa, gli Apostoli chiedono vogliono avere una conferma diretta dal loro insegnante. E Pietro, come sempre, prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».
Dalla risposta che il Signore dà ai discepoli si comprende che la sequela di Cristo non sono solo riserva gioie, ma anche croci e dolori. Infatti, da sempre la chiesa è perseguita in tutto il mondo e in tutti i secoli, a partire dalla sua nascita e a tutt’oggi. Questa capacità di sacrificarsi per il Vangelo, apre la prospettiva a chi si dona per questa causa quella della vita eterna.
Gesù risponde così alla domanda fondamentale dell’inizio del brano evangelico. Il ricco non la condivide e va via, ma il discepoli che vogliono camminare con il Maestro e dietro di Lui, non possono non accogliere il messaggio e farne tesoro per metterlo in partica. D’altra parte, la parola di Dio, pronunciata dallo stesso Figlio di Dio, ha, come ci ricorda la seconda lettura di oggi, un duplice effetto, quell’ascolto e dell’accoglienza concreta di essa nella propria vita.
Abbiamo, infatti, ascoltato espressioni forti, attinenti all’incidenza della parola di Dio nella vita di chi l’accoglie e la fa davvero sua. Essa è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discernere i sentimenti e i pensieri del cuore.
Il confronto sistematico con la parola di Dio, diventa così giudizio autentico di come agiamo ora e cosa ci attenderà un domani: “Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto”. Il Signore conosce tutto e a Lui dobbiamo rendere conto, senza pensare che sarà un giudice terribile che non comprenderà le debolezze dei propri figli, come ogni padre e madre della terra.
Perciò, a conclusione di queste considerazioni sulla nostra vita da cristiani e di cristiani, chiediamo al Signore, mediante il grande mezzo della preghiera, quella sapienza di cui ci parla la prima lettura dei testi biblici di oggi e quella prudenza necessaria per agire bene: “Pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza. La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto, non la paragonai neppure a una gemma inestimabile, perché tutto l’oro al suo confronto è come un po’ di sabbia e come fango sarà valutato di fronte a lei l’argento. L’ho amata più della salute e della bellezza, ho preferito avere lei piuttosto che la luce, perché lo splendore che viene da lei non tramonta. Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile”.
Sulle parole armoniose di questo bellissimo inno dedicato alla sapienza vogliamo concludere la nostra riflessione con la preghiera della colletta di questa domenica: O Dio, nostro Padre, che scruti i sentimenti e i pensieri dell’uomo, non c’è creatura che possa nascondersi davanti a te; penetra nei nostri cuori con la spada della tua parola, perché alla luce della tua sapienza possiamo valutare le cose terrene ed eterne, e diventare liberi e poveri per il tuo regno”. Amen.

P.RUNGI – COMMENTO ALLA XXVII DOMENICA DEL T.O.- 7 OTTOBRE 2018

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XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Domenica 7 ottobre 2018

L’essere per la comunione e per un amore puro e innocente

Commento di padre Antonio Rungi

La parola di Dio di questa XXVII domenica del tempo ordinario ci fa riflettere sulla dignità della coppia umana e del matrimonio, come espressione di autentico amore, tra uomo e donna, secondo quanto stabilito dal Creatore, nell’atto della creazione.

Il libro della Genesi, che leggiamo come prima lettura oggi, ci riporta a questo momento della creazione della donna, successiva a quello dell’uomo, in quanto Dio stesso, che aveva già creato l’uomo si accorse che non era giusto che l’uomo fosse solo; per cui decise, per amore, di dargli un aiuto che gli corrispondesse. E così fece.

Il racconto biblico è molto significativo ed ogni parola e gesto ha una sua valenza di amore e di attenzione per la donna e verso la coppia, che così si costituisce nella pienezza di un amore vicendevole e di complementarietà. “

“Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo”.

A questo punto l’uomo prende consapevolezza e coscienza che si trova di fronte ad un essere uguale a lui, anche se con una struttura biologica e fisica diversa. Allora l’uomo disse: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta».

Due individualità singole, anche se uguali nella dignità e nel valore creazionale, non fanno coppia, né costituiscono di per sé la base di un amore reciproco. Bisogna quindi lavorare in quella prospettiva. Il superamento della solitudine individuale porta le due soggettività a prendere la decisione di fare coppia, in poche parole di mettersi insieme e fare famiglia.

Tanto è vero che il matrimonio naturale nasce da questo bisogno di superare l’individualità per formare una famiglia e costituire in comunione di vita due persone, due esseri umani con la stessa dignità e lo stesso peso rispetto alla vita e alla società: “Per questo l’uomo – leggiamo nel brano- lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne”.

Questa espressione finale “un’unica carne” significa esattamente un unico progetto di vita per la vita e per l’amore.

Un progetto che si deve costruire e realizzare giorno per giorno, in quanto nulla è dato per scontato tra gli esseri viventi ed umani, al punto tale che le decisioni assunte, vanno vissute nella quotidianità, superando i limiti e le difficoltà, insite nella relazione di coppia, soprattutto ai nostri giorni.

Ecco perché nel Vangelo di oggi, di fronte a delle richieste di alcuni farisei che lo vogliono mettere alla prova Gesù, circa la questione del divorzio, il Maestro replica con quanto è scritto nella legge mosaica, ma, nello stesso tempo, potenzia il discorso sulla dignità del matrimonio affermando i due principi basilari del matrimonio stesso: unità e indissolubilità, ovvero fedeltà e coerenza per tutta la vita.

Quindi è chiaro che non è lecito ripudiare la moglie o il marito, anche se Mosè aveva permesso di sottoscrivere l’atto di ripudio per la durezza del cuore di chi aveva deciso liberamente di vivere da sposato.

Ma il volere di Dio è diverso. Infatti nella Genesi è scritto esattamente che l’uomo una volta che decide di mettere su famiglia deve camminare per questa strada, in quanto l’uomo non ha potere ed autorità di dividere quello che Dio ha unito.

Chiaro riferimento alla sacralità del matrimonio cristiano che è unico ed indissolubile.

Discorso molto dedicato ai nostri giorni, che deve confrontarsi con la pluralità delle culture, delle fedi, del modo di intendere e vivere la scelta coniugale nella società e nella chiesa di ieri, di oggi e di sempre.

Possono cambiare alcune forme esteriori, ma la sostanza del discorso e dell’argomentazione di Gesù rimane inalterata.

Infatti è Gesù stesso che ribadisce ai discepoli il suo pensiero e il suo insegnamento in merito.

Leggiamo nel brano del Vangelo che una volta rientrati a casa, i discepoli interrogarono di nuovo Gesù su questo argomento del matrimonio, del divorzio, dell’infedeltà coniugale. Ed Egli disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».

In poche parole, rompere il vincolo o patto coniugale è frantumare la famiglia, che è la base della società e della stessa comunità cristiana. Si ribadisce il totale rifiuto del divorzio nella prospettiva cattolica, anche se, oggi, si va verso un’accoglienza pastorale dei divorziati come cammino spirituale necessariamente da farsi, perché la Chiesa, come scrive Papa Francesco, non deve chiudere le porte in faccia a nessuno.

Per essere accogliente, anche nella pastorale familiare, la Chiesa deve assumere come modello di comportamento quello dei bambini, citati nella parte finale del Vangelo di oggi.

Gesù a chi rifiuta una visione di chiesa dell’innocenza e della semplicità ribadisce che lo stile vero di una chiesa vera è quella rappresentata iconograficamente dai bambini: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso. E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro».

E allora quale deve essere lo stile di ogni cristiano? E’ abbracciare la semplicità, l’innocenza, la purezza, è benedire e sanare.

Concetti che troviamo espressi nel secondo brano della parola di Dio di oggi, tratto dalla lettera agli Ebrei.

Gesù Redentore e Salvatore, coronato di gloria e che è vicino ad ogni uomo della terra. Quel Gesù che non si vergogna di chiamarci fratelli, anche se degli esseri umani sono stati a condannarlo ad una morte infamante.

Dalla croce e con la croce, Gesù ha riportato nel solco dell’amore, del perdono e della fratellanza universale tutto il genere umano. Egli è davvero l’unico punto di convergenza e di unificazione di tutte le genti e di tutti i rapporti umani, a partire da quelli familiari.

Sia questa la nostra comune preghiera, oggi, domenica, giorno del Signore: “Dio, che hai creato l’uomo e la donna, perché i due siano una vita sola, principio dell’armonia libera e necessaria che si realizza nell’amore; per opera del tuo Spirito riporta i figli di Adamo alla santità delle prime origini, e dona loro un cuore fedele, perché nessun potere umano osi dividere ciò che tu stesso hai unito”. Amen.

P.RUNGI. IL COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 23 SETTEMBRE 2018

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XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)
Domenica 23 settembre 2018

La classifica che conta davanti a Dio. In serie A del Paradiso si arriva con l’umiltà.

Commento di padre Antonio Rungi

In questa XXV domenica del tempo ordinario, la nostra riflessione parte dal testo del Vangelo, che è quello di più immediata comprensione ed attualizzazione nella vita dei singoli, come della comunità ecclesiale, sociale ed umana.

L’idea di fondo che Gesù vuol far passare ai discepoli è quella del servizio e non quella del potere, quella dell’ultimo posto e non quella del primo posto, in quanto nella classifica divina ciò che conta non è il primo in ordine di importanza, ma il primo in ordine di santità, di amore e disponibilità verso gli altri.

Gesù sviluppa questa sua riflessione e rivolge questo monito ed esortazione ai suoi dodici apostoli durante il viaggio di attraversamento della Galilea.

Egli come sempre conversa con i suoi discepoli e li prepara a quello che sta per succedere da lì a poco, a conclusione della sua missione terrena, indicando il termine ultimo di questo cammino, che è il Calvario, la croce e la morte.

Diceva infatti, loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà».

Ma i discepoli, intenti in altri ragionamenti e calcoli terreni, come tutti gli esseri umani, non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.

La lezione della croce non era stata recepita dai distratti discepoli, al punto tale che non chiesero spiegazioni.

Gesù conoscendo le sue pecorelle, quando giunse a Cafàrnao e fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?».

Beh, era ovvio che non potevano rispondere e quindi tacevano, in quanto non stavano affatto ad ascoltare la parola del Maestro e il suo insegnamento circa la croce e la risurrezione che si avvicinava sempre di più per Lui.

L’evangelista Marco, infatti, come ottimo osservatore e cronista, riporta l’argomento del discorrere degli apostoli: “Per la strada avevano discusso tra loro chi fosse più grande”.

Mentre Gesù parla di sofferenza, loro parlano di potere, di chi doveva occupare il posto più prestigioso vicino a Gesù, chi doveva essere considerato e classificato come primo.

Ebbene, Gesù si siede e chiama a se il gruppo al quale fa questo discorso: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».

Per far capire il discorso dell’umiltà, Gesù usa uno stratagemma che colpisce sempre: prese “un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Accogliere Cristo è vivere nell’umiltà, nella semplicità, nel servizio, nella disponibilità piena al progetto di Dio, che è  Croce, ma soprattutto risurrezione e vita.

La logica di Dio è la logica del dono e non del potere e del primeggiare sugli altri, per far valere la propria autorità, ma mettersi al servizio ed essere la chiesa che si inginocchia davanti alle sofferenze dei fratelli e lenisce le piaghe e le ferite del corpo e dello spirito.

Il modello di ispirazione per ogni azione rispondente al disegno di Dio è Cristo, il Servo sofferente, il Crocifisso.

Anche in questa domenica si parla appunto della sofferenza di Gesù, come ci è riportato nel brano della prima lettura di oggi, ricavato dal Libro della Sapienza: [Dissero gli empi:] «Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo e si oppone alle nostre azioni; ci rimprovera le colpe contro la legge e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta”.

Queste insidie le tesero contro Gesù i sommi sacerdoti, il sinedrio e quanti non accettavano il Maestro per quello che diceva e faceva. Da qui la condanna a morte. La prova di questa struttura mentale votata alla distruzione e all’annientamento dell’avversario religioso e politico, la troviamo nelle parole che seguono: “Vediamo se le sue parole sono vere, consideriamo ciò che gli accadrà alla fine. Se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti, per conoscere la sua mitezza e saggiare il suo spirito di sopportazione. Condanniamolo a una morte infamante, perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà».

Esattamente quello che ha vissuto Gesù durante il processo, la condanna a morte, il viaggio al Calvario, la morte in croce. Ma lui ha vinto tutto questo odio con l’amore che promana dalla sua croce e dalla sua risurrezione.

L’odio porta alla divisione, alla separazione, alla guerra e al conflitto di interesse di qualsiasi genere.

San Giacomo Apostolo ci mette in guardia da tutto quello che divide e separa nella vita di ogni cristiano, rammentando che “dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni”. E l’apostolo va all’origine di questi disastri spirituali, interrogandosi e interrogandoci: “Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi?”.

La risposta è lapidaria: “Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni”.

In poche parole succedono tutte queste cose, perché siamo una frana umanamente e spiritualmente, per cui facciamo disastri ad ogni livello.

Per superare tutti questi umani limiti è necessario essere umili e guardare al Crocifisso, chiave di lettura per parlare di pace, giustizia e fratellanza.

Facciamo questo sforzo di confrontarci con il Maestro Crocifisso e Risorto e non con il potere umano, politico ed economico che, secondo un paganesimo sempre più diffuso in tutti gli ambienti, compresi quelli religiosi, è causa di guerra, divisioni e gelosie, calunnie e diffamazioni che portano all’infelicità di chi accusa e dell’accusato.

Sia questa la nostra umile preghiera in questa domenica: “O Dio, Padre di tutti gli uomini, tu vuoi che gli ultimi siano i primi e fai di un fanciullo la misura del tuo regno; donaci la sapienza che viene dall’alto, perché accogliamo la parola del tuo Figlio e comprendiamo che davanti a te il più grande è colui che serve”.

Diventiamo davvero grandi davanti a Dio, conquistiamo il primo posto nella classifica di Dio, mettendoci a servizio e donando la vita. In serie A, quella del Paradiso, si arriva con l’umiltà e il sorriso.

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DELLA XIII DOMENICA TO- 1 LUGLIO 2018

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XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)
Domenica 1 luglio 2018
 
Noi siamo per vivere in eterno con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo
 
Commento di padre Antonio Rungi
 
Oggi la parola di Dio ci porta a riflettere sulla vita e sulla morte, sullo scorrere del tempo e sull’eternità, sulla nostra condizione umana, ma anche sul nostro destino oltre il tempo, che è l’immortalità.
Il testo della prima lettura di oggi, tratto dal Libro della Sapienza, ci racconta chi realmente siamo, come eravamo e perché siamo diventati quello che siamo.
Prima cosa da sapere con assoluta certezza che “Dio non ha creato la morte e non gode della rovina dei viventi”.
Dio ci ha creato per un’eternità e non per un tempo limitato, in quanto Dio ha creato le cose perché vivano, perché esistano e non muoiono.
Il regno dei morti è sulla terra, quello del cielo è eterno. Infatti, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto ad immagine della sua natura.
Cosa sia successo, dopo questo atto creatore destinato solo alla vita, lo capiamo, nella parte finale del brano del Libro della Sapienza che ci accompagna oggi nel riflettere sulla vita e sulla morte: “per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo”.
E non si riferisce alla sola morte corporale, definita da San Francesco “Sorella”, ma a quella spirituale, la seconda morte, quella della vita della grazia e dell’interiorità dell’uomo. Di questa morte ne fanno esperienza coloro che le appartengono, cioè coloro che vivono nella anemia spirituale ed interiore, vivono nel peccato e non lavorano per la loro risurrezione interiore.
E per la salute fisica e spirituale sono tutti i miracoli compiuti da Gesù. Egli vuole portare consolazione e benessere esteriore ed interiore a quanti credono e sperano il Lui.
Nel testo del Vangelo di oggi, tratto da San Marco, è raccontata, infatti, la risurrezione della figlia del capo della Sinagoga, Gairo, “il quale, come vide Gesù, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Gesù, nel frattempo, nel suo itinerare tra la gente per portare salute, conforto ed aiuto, tra cui la guarigione di una donna affetta, da anni da emorragia, “quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo”. Gesù chiede a quel padre che si rivolge a Lui per salvargli la figlia, di avere solo fede. E questo lo dice per indicare quale strada dobbiamo percorrere per arrivare ad ottenere ciò che chiediamo al Signore. Ci vuole una fede sincera, forte e speranzosa nell’aiuto divino, altrimenti non si ottiene nulla. Ed infatti, la figlia di Gairo viene guarita per la fede incrollabile del padre di questa bambina.
Con quali gesti Gesù guarisce? Sono descritti in questo brano del vangelo, che è tra i più belli di quelli che leggiamo, anche perché riguarda una bambina. Infatti, Gesù giunse alla casa del capo della sinagoga e vide gente che piangeva e urlava forte, come capita in ogni situazione di morte, specie quelle inattese e che riguardano bambini e persone innocenti e buone.
Gesù, quindi entra nella casa di Gairo e dice loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme».
Gesù infatti non sta falsificando la realtà, ma sa benissimo che in suo potere riportare in vita i morti.
La gente quindi prende in giro Gesù, lo deridono. E lui non si arrabbia, né li maltratta, ma con grande gentilezza, vista la loro incredulità, li invita ad uscire fuori dalla casa della bambina morta. Non li vuole spettatori passivi di un evento, ma protagonisti nel credere.
Via tutti gli estranei, quelli che spesso, anche in certe morti dei nostri giorni e della nostra società, sono lì solo per salvare la faccia o fare la sceneggiata o per dovere di cronaca. Gesù prende “con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina”. La famiglia della bambina e la famiglia di Gesù, gli Apostoli. Cosa fa allora? “Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni”. Il miracolo è compiuto, la gente che derideva, era scettica e non credeva, fu presa da grande stupore. Alla fine dispose anche il da farsi subito: “raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare”. Segretezza e servizio di sostentamento fisico, dopo la dura prova affrontata la bambina.
Ben diversa è la guarigione dell’emorroissa, come viene definita questa donna. Di cui ci racconta il Vangelo di oggi: Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male. E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Da evidenziare in questo contesto il numero dodici, riportato due volte per i 12 anni di malattia della donna guarita e per i 12 anni della bambina riportata in vita. C’è tutto un simbolismo biblico in quel numero 12 che va capito e approfondito alla luce della storia della salvezza e della parola di Dio rivelata.
E come riflessione conclusiva sui testi biblici della prima lettura e del vangelo di Marco, ci viene in aiuto l’Apostolo delle Genti, San Paolo con il brano della sua seconda lettera ai Corinzi inserito nei testi biblici di oggi, il quale ci rammenta che “come siamo ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che cii abbiamo insegnato, così dobbiamo essere larghi anche nel fare il bene. Il modello di comportamento a cui ispirarci è Gesù. Infatti, noi conosciamo perfettamente chi è Cristo: “da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà”.
Concretamente cosa significa questo? Come dobbiamo agire nella vita di tutti i giorni, considerando tante reali situazioni e necessità? Un criterio operativo e morale viene detto con chiarezza in questo testo paolino: “Non si tratta di mettere in difficoltà alcuni per sollevare gli altri, ma che ci sia uguaglianza”. In poche parola la solidarietà, l’aiuto, la collaborazione tra i cristiani deve essere un fatto scontato. Infatti la nostra abbondanza, se c’è, deve supplire all’ indigenza di chi non ha nulla, perché anche la loro abbondanza, quando c’è, supplisca poi alla nostra indigenza, in caso di necessità. Quindi uguale trattamento e uguale preoccupazione tra i credenti in Cristo. Quali devono sapere che «colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno». La nostra felicità non dipende dal possedere e dall’avere sempre di più, ma dall’essere sempre migliori in tutto.
Sia questa la nostra preghiera, in comunione con tutta la Chiesa: “O Padre, che nel mistero del tuo Figlio povero e crocifisso hai voluto arricchirci di ogni bene, fa’ che non temiamo la povertà e la croce, per portare ai nostri fratelli il lieto annunzio della vita nuova”. Amen.

P.RUNGI. SOLENNITA’ DELL’ASCENSIONE DI N.S.GESU’ CRISTO- DOMENICA 13 MAGGIO 2018

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ASCENSIONE DEL SIGNORE (ANNO B)
GESU’ E’ ASCESO AL CIELO E SIEDE ALLA DESTRA DEL PADRE

Domenica 13 maggio 2018

Commento di padre Antonio Rungi

Oggi celebriamo la solennità dell’Ascensione al cielo di nostro Signore Gesù Cristo, che abbiamo contemplato in questi quaranta giorni del tempo pasquale come il Risorto in mezzo ai suoi discepoli, con i quali dialoga, mangia e si intrattiene, ma anche invia ed indica la strada della risurrezione nella logica della Pasqua sua e nostra. Oggi, infatti, si completa il cammino nel tempo del Redentore, morto e risorto, in quanto con la sua ascensione al cielo, Egli siede definitivamente alla destra del Padre, per poi, un giorno ritornare per giudicare i vivi e i morti, nel giudizio finale e nel secondo e definitivo avvento sulla terra. Nella preghiera inziale di questa solennità, la colletta, preghiamo con queste significative parole, che hanno attinenza al mistero della gloria: “Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre, per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro capo, nella gloria”. La chiesa pellegrina è in cammino verso l’eternità e tra il già e il non ancora continua a svolgere la sua missione nel nome del Signore su mandato esplicito del Cristo che ascende glorioso e vittorioso al cielo, come ci ricorda il brano del Vangelo di Marco che si proclama in questa solennità: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». E di fatto gli apostoli partirono e fecero esattamente quello che Gesù aveva loro ordinato di fare. Infatti “predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano”.

Nel brano degli Atti degli apostoli che riguarda proprio il momento in cui Gesù ascende al cielo è tratteggiata la storia della vita di Cristo, in modo sintetico, ma efficace, per capire esattamente chi era Cristo per i discepoli e per la chiesa delle origini e chi deve essere Cristo, per noi credenti del XXI secolo dell’era cristiana. Allora Gesù “si mostro vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio”. Poi, “mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».

Gesù torna in cielo e manda dal cielo il suo Spirito Paraclito, che procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. Tra Ascensione e Pentecoste si gioia la vita umana e spirituale del gruppo degli apostoli invitati da Gesù a restare in attesa del Paraclito e poi inviati nel mondo ad evangelizzare. Ed essi me saranno testimoni di Cristo a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra. La promessa di Cristo si è realizzata, se oggi, la Chiesa, il Vangelo e la conoscenza dell’unico salvatore del mondo hanno raggiunto gli estremi confini del mondo terrestre per oltrepassare la stessa terra e collocarsi come annuncio di vita e speranza nell’intero universo, sempre più alla portata della conoscenza dell’uomo, mediante la tecnologia di oggi.

Oltre il predicare e l’annunciare il vangelo in tutto il mondo ed invitare a conversione chi è lontano dalla fede e non conosce affatto Dio, c’è per ogni cristiano il diritto-dovere di testimoniare Cristo con una degna condotta di vita, come ci ricorda il brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla lettera di san Paolo Apostolo agli Efesini: comportarsi in maniera degna della chiamata che abbiamo ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandoci a vicenda nell’amore e avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace”.

Curare l’unità nella diversità dei carismi è un altro importante compito che spetta ad ogni credente e cattolico vero: Noi dobbiamo essere “un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siamo stati chiamati, quella della nostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti”.

La pluralità dei doni e dei carismi non ci deve spaventare, ma arricchirci e stimolarci a fare sempre di più e meglio a gloria di Dio: “A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo”.

Un cammino difficile quella dell’unità, ma tutti dobbiamo lavorare per raggiungerla ovunque siamo e qualsiasi cosa facciamo. Nulla ci deve portare lontano da Dio e dagli altri, ma tutti dobbiamo convergere verso un’unità vera e sostanziale che si fonda, si struttura nel tempo e organizzativamente come docilità allo Spirito Paraclito, che è accoglienza dei vari carismi che Egli suscita nella chiesa e per la chiesa.

Con il salmista eleviamo al Signore il nostro inno di lode e di ringraziamento per tutto quello che ci ha donato da sempre: “Popoli tutti, battete le mani! Acclamate Dio con grida di gioia, perché terribile è il Signore, l’Altissimo, grande re su tutta la terra. Ascende Dio tra le acclamazioni, il Signore al suono di tromba. Cantate inni a Dio, cantate inni, cantate inni al nostro re, cantate inni. Perché Dio è re di tutta la terra, cantate inni con arte. Dio regna sulle genti, Dio siede sul suo trono santo”.

A questo trono rivolgiamo oggi il nostro sguardo nella liturgia solenne dell’Ascensione al cielo di nostro Signore, perché con lo sguardo fisso sulle cose di lassù, ma operando con sapienza su questa terra, possiamo meritare anche noi di essere accolti tra i beati del cielo, dove Gesù è asceso e ci attende, perché è andato a preparare per ognuno di noi un posto in prima fila per tutti i suoi figli.

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 6 MAGGIO 2018

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VI DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)
 
Domenica 6 maggio 2018
 
Dio non fa preferenze di persone, noi invece sì.
 
Commento di padre Antonio Rungi
 
Gli Atti degli Apostoli ci offrono un bellissimo dialogo tra Pietro e Cornelio, il quale si rivolge a Pietro per entrare anch’egli nel cammino della fede. Non essendo cristiano, ma pagano, sente il bisogno di chiedere quello che avverte profondamente nel suo cuore: fare parte della comunità dei credenti. E come leggiamo nel brano della prima lettura di oggi, sesta domenica del tempo di Pasqua, ciò avviene in quel preciso momento. Pietro, responsabile, in primis, di avviare alla fede o di confermare nella fede, procede nella direzione che il Signore gli indicava non solo in questa circostanza, ma in ogni altra, quando avvertiva il desiderio sincero e profondo di chi non era cristiano e voleva di convertirsi al Dio vivendo, mediante il battesimo. Con questo modo di operare, aperto all’universalità della salvezza, qualcuno che si sentiva privilegiato, come i circoncisi, i quali “si stupirono che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare in altre lingue e glorificare Dio”.
D’altra parte, la consapevolezza che la salvezza portata da Cristo sulla terra era per tutti gli uomini, spinge Pietro e gli altri apostoli a procedere secondo il mandato del Divino Maestro di annunciare in vangelo, battezzare e portare alla fede quanti riconoscevano in Gesù il vero ed unico Messia e Salvatore del mondo. Ecco perché nel testo di oggi, Pietro giustamente afferma: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga». Allora Pietro disse: «Chi può impedire che siano battezzati nell’acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?». E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo”.
 
Dio non fa quindi preferenze verso qualcuno. Questo atteggiamento e comportamento, purtroppo, lo abbiamo noi esseri umani e mortali che agiamo in base a simpatie e a quant’altro che ci porta a preferire alcuni e a scartare gli altri. Questo avviene nella società, ma anche nella chiesa, in quelle comunità e realtà, i cui alcuni si sentono migliori degli altri o più santi e in diritto di ricevere qualcosa di più da Dio, rispetto a chi alla fede ci è arrivato in tempi successivi e dopo una profonda e sincera conversione. E’ chiaro il messaggio che oggi ci viene inviato e che dobbiamo recepire, soprattutto nel contesto, della multicultura e intercultura a livello religioso, che caratterizza la nostra società globalizzata. Nessuno si deve sentire un prescelto da Dio e un prediletto, ma tutti dobbiamo avere la consapevolezza che “Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga”. A Dio sono gradite ed accette le persone che amano, sperano e sono giuste.
 
E sul tema dell’amore sono, infatti, incentrati i testi giovannei relativi alla seconda lettura e al Vangelo della sesta domenica di Pasqua, che potremmo definire dell’amore di Dio.
Leggiamo, infatti, nel brano della prima lettura di San Giovanni Apostolo che Dio è amore e a questo amore deve alimentarsi l’amore fraterno, frutto di un amore sincero verso Cristo, nostro Redentore.
San Giovanni ci invita ad amarci gli uni gli altri, “perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio”. Questo amore trova la sua piena manifestazione nel fatto che “Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui”.
In cosa consiste, allora, l’amore cristiano? Consiste nel fatto che “non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”.
Gesù Cristo Crocifisso e risorto dai morti è il punto di riferimento dell’amore vero di ogni credente e di ogni persona di buona volontà, che vuole percorre la strada della santità.
Ecco perché nel testo del Vangelo di oggi, Gesù, rivolgendosi ai suoi discepoli, raccomanda importanti cose da fare, se lo si accetta qual è il Messia, il Maestro e il Salvatore: “Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”.
Amore e gioia sono strettamente legati nella vita di un cristiano e Gesù lo ribadisce in questo brano del vangelo, ponendo l’attenzione sul fatto che dal vero amore scaturisce la vera gioia nel Signore.
E l’amore e la gioia sono legati all’osservanza dei comandamenti, sintetizzati nell’unico grande comandamento: “che vi amiamo gli uni gli altri come Lui ci ha amato”.
E come si esprime concretamente questo amore? Gesù risponde in prima persona e con il sacrificio della sua vita: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi”.
L’amore è coinvolgimento, condivisione, confidenza, apertura di se stesso agli altri. E quello che ci ha insegnato Gesù, nello scegliere noi e tutti i suoi discepoli, quando afferma: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri”.
Fondamentale dovere di quanti si professano cristiani è, quindi, amarsi, come ci ha amato Cristo.
Ma sappiamo quanto sia difficile viverlo concretamente questo amore, dove ci sono gelosie, invidie, arrivismi, interessi personali, aspirazioni incompatibili con il messaggio della croce di Cristo.
Cose che, purtroppo, si verificano nelle famiglie, nelle comunità ecclesiali, religione, nella società civile e nella globalizzazione dell’indifferenza, come ci ricorda Papa Francesco.
In questa domenica siamo invitati, perciò, a recuperare l’amore in ogni luogo e soprattutto in quei luoghi dove si parla di amore, ma non si vive l’amore e di amore, ma solo di ciò che apparentemente è amore.
Sia questa la nostra preghiera, oggi, nel giorno di festa che per antonomasia è il giorno in cui maggiormente dobbiamo vivere l’amore verso Dio e verso i fratelli con un cuore profondamente improntato al vangelo della carità: “O Dio, che ci hai amati per primo e ci hai donato il tuo Figlio, perché riceviamo la vita per mezzo di lui, fa’ che nel tuo Spirito impariamo ad amarci gli uni gli altri come lui ci ha amati, fino a dare la vita per i fratelli”.

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DELLA TERZA DOMENICA DI PASQUA

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III DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)
Domenica 15 aprile 2018
Gesù il catechista dei suoi discepoli
Commento di padre Antonio Rungi
La terza domenica di Pasqua ci presenta una nuova apparizione di Gesù agli apostoli. Si tratta dell’apparizione successiva a quella identificativa del Maestro, operata dai discepoli di Emmaus, che riconobbero Gesù nello spezzare il pace. Chiaro riferimento alla celebrazione eucaristica che era ed è il segno distintivo di comunità cristiana all’inizio dell’attività apostolica della Chiesa, che nasce dalla Pasqua di Cristo.
L’evangelista Luca ci descrive esattamente come avvenne questo nuovo incontro tra gli sperduti discepoli e Gesù. Loro non aveva ancora compreso nulla di quanto era successo, dopo la morte di Gesù. Non erano pronti a capire il mistero della risurrezione. E Gesù si erge a formatore dei suoi apostoli, ricordando loro quanto già aveva detto in precedenza prima di morire sulla croce.
La coscientizzazione della risurrezione di Gesù non ancora c’era stata nella mente e nel cuore degli apostoli, al punto tale che non riconoscono Gesù quando appare loro, hanno paura, pensano di trovarsi di fronte ad un fantasma. Ma Gesù disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi”. A questo punto di convincono tutti che e Gesù. Egli per consolidare questo loro atto di fede e di riconoscimento della sua persona come Risorto, Gesù chiede qualcosa da mangiare. I discepoli gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro”. Pane e pesce, i due segni distintivi della celebrazione della Pasqua dei primi cristiani. Segni che sono arrivati a noi con un significato preciso e attinente al mistero dell’eucaristia, memoriale della Pasqua del Signore.
Poi Gesù cerca di far recuperare la memoria delle cose dette agli apostoli prima che salisse al Calvario: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Solo dopo questo affettuoso e tenero richiamo al loro passato di apostoli vicino a loro maestra, “si aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».
Dopo la Pentecoste, gli Apostoli fecero esattamente quello che il Signore aveva detto loro, come ci attestano gli Atti, scritti dallo stesso san Luca, in cui sono riportati i primi impegni missionari del gruppo dei Dodici. Ne ascoltiamo una breve relazione nel brano di oggi, prima lettura, di questa terza domenica di Pasqua. E’ Pietro, il capo del collegio apostolico a prendere la parola e ad evangelizzare. Segno evidente che l’autorevolezza di Pietro rimane certa nella chiesa e di conseguenza tutti i suoi successori che sono i Romani Pontefici. Nel Vangelo è Gesù stesso che istruisce gli Apostoli, negli Atti e Pietro che trasmette alla gente che lo ascolta il nucleo essenziale e principale dell’annuncio della buona novella, consistente nella morte e risurrezione di Gesù. Da questo mistero deve nascere un impegno per tutti coloro che sono già cristiani o che lo desiderano diventare: bisogna convertirsi e cambiare vita per ottenere la remissione dei propri peccati. Chiaro appello alla conversione dei singoli e della comunità dei credenti.
Una conversione che passa attraverso il cambiamento di mentalità e di stile di vita, come è esplicitato nel breve brano della lettera di San Giovanni, seconda lettura di oggi, nel quale ci viene raccomandato di non peccare. Purtroppo, sappiamo che non è così, in quanto tutti pecchiamo. E allora bisogna disperarsi? Assolutamente no. Ci viene ricordato che “se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo”.
La morte e risurrezione di Gesù è avvenuta per la remissione dei nostri peccati, per riprendere un dialogo con il Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, un Dio che è amore e misericordia. A questo Dio dobbiamo manifestare il nostro amore, con un modo semplice: osservando i suoi comandamenti. Siccome l’amore è conoscenza, è relazione, chi dice di conoscere Dio e poi non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto”.
Lo stretto rapporto tra conoscenza, amore e corrispondenza nella vita è delineato con parole molto semplici ed efficaci.
Non abbiamo altre scusanti, quando diciamo di amare Dio, di avere fede, di essere cristiani, cattolici, se poi non osserviamo con esattezza la legge di Dio, da quella impresa nella creazione e nella natura umana, a quella rivelata nel corso delle varie teofanie che hanno interessato il popolo di Dio e poi la Chiesa, nata dal costato squarciato del Cristo morto sulla Croce e poi risorto e asceso al cielo. Con tutta la Chiesa sparsa nel mondo e che oggi, giorno del Signore, celebra la Pasqua settimanale, vogliamo pregare con questa orazione della colletta: O Padre, che nella gloriosa morte del tuo Figlio, vittima di espiazione per i nostri peccati, hai posto il fondamento della riconciliazione e della pace, apri il nostro cuore alla vera conversione e fa’ di noi i testimoni dell’umanità nuova, pacificata nel tuo amore.

TUTTI SIAMO CHIAMATI ALLA SANTITA’. L’ESORTAZIONE APOSTOLICA DI PAPA FRANCESCO

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NUOVA ESORTAZIONE APOSTOLICA
DI PAPA FRANCESCO
SULLA CHIAMATA ALLA SANTITÀ
NEL MONDO CONTEMPORANEO

Sintesi e presentazione di padre Antonio Rungi

«Rallegratevi ed esultate» (Mt 5,12), in latino “Gaudete et exultate”(GeE), è la nuova Esortazione Apostolica di Papa Francesco, dedicata alla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo.
Un documento magisteriale composto da cinque capitoli, 177 numeri e 125 note esplicative, in cui è sintetizzato il pensiero di Papa Francesco sul cammino della santità, possibile sempre, anche ai nostri giorni, mediante altre vie ed esperienze, ma che necessita di essere riscoperto e messo al centro della vita di ogni cristiano.

Il Signore “ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente”.
Questa chiamata universale alla santità, come già aveva sottolineato il Concilio Vaticano II, “in realtà, fin dalle prime pagine della Bibbia è presente, in diversi modi”. Infatti “il Signore la proponeva ad Abramo: «Cammina davanti a me e sii integro» (Gen 17,1), come si leggiamo nel n.1 dell’Esortazione.

Questo nuovo testo, come sottolinea il Papa al n.2, non è “un trattato sulla santità, con tante definizioni e distinzioni che potrebbero arricchire questo importante tema, o con analisi che si potrebbero fare circa i mezzi di santificazione”, ma ha “l’ umile obiettivo di far risuonare ancora una volta la chiamata alla santità”, nella chiesa e nel mondo contemporaneo “cercando di incarnarla nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità. Perché il Signore ha scelto ciascuno di noi «per essere santi e immacolati di fronte a Lui nella carità» (Ef 1,4).

In sequenza capitolare sono trattati temi di carattere generale e argomenti specifici.

La chiamata alla santità è affrontata nel capitolo primo (dal n. 3 al n.34), con argomenti più particolareggiati, quali “i santi ci incoraggiano e ci accompagnano” (nn.3-5); “i santi della porta accanto” (nn.6-9), espressione tipica del linguaggio di oggi; “il Signore chiama” (nn.10-13), “anche per te” (nn.14-18); “la tua missione in Cristo” (nn.19-24); “l’attività di Cristo” (nn. 25-31); “più vivi e più umani” (nn.32-34).

Due sottili nemici della santità sono descritti nel capitolo secondo (dal n.35 al n.62), e sono identificati, primo nello gnosticismo attuale (n.36), “con una mente senza Dio e senza carne” (nn.37-39); “con una dottrina senza mistero” (nn.40-43); “i limiti della ragione” (nn.43-46); nel “Pelagianesimo attuale” (nn.47-48), caratterizzato da “una volontà senza umiltà” (nn.49-51); “un insegnamento della Chiesa spesso dimenticato” (nn.52-56); “i nuovi pelagiani” (nn.57-59); “il riassunto della Legge” (nn.60-62).

Alla luce del Maestro, è il titolo del terzo capitolo che va dal n.63 al n.109, nel quale, dopo l’introduzione (n.63), e “al controcorrente”(n.64), sono prese in esame le Beatitudini, a partire dalla prima di esse “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli (nn.67-70); a seguire “Beati i miti, perché avranno in eredità la terra”(nn.71-74); poi “Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati” (nn.75-76); poi “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati” (nn.77-79); continua con “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” (nn.80-82); poi con “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (nn. 83-86); sempre sul tema, troviamo “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (nn.87-89); e per concludere l’analisi delle beatitudini, “Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli” (nn.90-94).

Il capitolo continua con indicare “la grande regola di comportamento”, citata da Matteo (25,31-46) riguardante il giudizio universale con il richiamo alle opere di misericordia corporale (n.95); poi il richiamo all’impegno “per fedeltà al Maestro” (nn.96-99).
Sempre in questo ampio capitolo, sono citate “le ideologie che mutilano il cuore del Vangelo” (nn.100-103); ed è sottolineato “il culto che Lui (il Signore) più gradisce” (nn.104-109).

Alcune caratteristiche della santità del mondo attuale, sono messe in rilievo da Papa Francesco nel capitolo quarto dell’Esortazione che va dal n.110 al n.157.
In questo lungo capitolo, dopo l’introduzione (nn.110-111), sono indicate le vie possibili per raggiungere la santità oggi, come la “sopportazione, pazienza e mitezza” (nn.112-121); la “gioia e il senso dell’umorismo” (nn.122-128); l’“audacia e fervore” (nn.129-139); il vivere “in comunità” (nn.140-146); e stare “in preghiera costante” (nn.147-157).

Combattimento, vigilanza e discernimento sono gli argomenti trattati nel quinto ed ultimo capitolo dell’Esortazione “Gaudete ed exultate”, che Papa Francesco presenta con il suo tipico linguaggio immediato e facilmente recepibile.
Dopo la presentazione del capitolo (nn.158-159), entra nel merito del discorso sul Diavolo che è “Qualcosa di più di un mito” (nn.160-161), da cui bisogna difendersi.
Per cui bisogna essere “svegli e fiduciosi” (162-163), combattendo “la corruzione spirituale” (nn.164-165); facendo “il discernimento” (n.166), che è “un bisogno urgente (n.167-168) del nostro tempo; il tutto “sempre alla luce del Signore” (n.169).
Tale discernimento è “un dono soprannaturale” (nn.170-171), che va effettuato nella preghiera, perché in essa “Parla il Signore” (nn.172-174), con indicare una strada precisa quella de “la logica del dono e della croce (nn.174-177).

E in questo percorso di santità adatta ai nostri giorni e possibile a tutti una figura eminente guiderà i passi verso le alture più elevate di questo itinerario di ascesi cristiana, e questa è Maria “perché lei ha vissuto come nessun altro le Beatitudini di Gesù. Ella è colei che trasaliva di gioia alla presenza di Dio, colei che conservava tutto nel suo cuore e che si è lasciata attraversare dalla spada. È la santa tra i santi, la più benedetta, colei che ci mostra la via della santità e ci accompagna. Lei non accetta che quando cadiamo rimaniamo a terra e a volte ci porta in braccio senza giudicarci. Conversare con lei ci consola, ci libera e ci santifica” (GeE, 176).

Come dire, a conclusione di tutto la riflessione fatta da Papa Francesco in questo documento sulla “chiamata alla santità nel mondo contemporaneo”, che non c’è vero santo nella Chiesa cattolica, che non sia stato, che è e che sarà imitatore della Beata Vergine Maria, non a caso invocata Regina degli Angeli e dei Santi.

Questa esortazione di Papa Francesco aiuterà tutti, Vescovi, sacerdoti, religiosi, fedeli laici a comprendere meglio, alla luce del Battesimo che tutti siamo chiamati ad essere santi e tutti, nel tempo, con la grazia di Dio, con lo sforzo quotidiano del nostro vivere le Beatitudini e di attuare le opere di misericordia corporale e spirituale dobbiamo raggiungere la santità, come l’hanno raggiunta i nostri fratelli e sorelle che godono della visione beatifica di Dio, ben sapendo che siamo «circondati da una moltitudine di testimoni» (Ap 12,1) che ci spronano a non fermarci lungo la strada, ci stimolano a continuare a camminare verso la meta. E tra di loro può esserci la nostra stessa madre, una nonna o altre persone vicine (cfr 2 Tm 1,5). Forse la loro vita non è stata sempre perfetta, però, anche in mezzo a imperfezioni e cadute, hanno continuato ad andare avanti e sono piaciute al Signore” (GeE, 3).

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DELLA DOMENICA DELLA DIVINA MISERICORDIA

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II DOMENICA DI PASQUA o della Divina Misericordia (ANNO B)
Domenica 8 aprile 2018

Perdono, riconciliazione e carità: questa è la Domenica

della Divina Misericordia

Commento di padre Antonio Rungi

Come è noto, San Giovanni Paolo II, Papa, ha dedicato la Domenica in Albis, ottava di Pasqua, alla Divina Misericordia.

Ed oggi noi celebriamo questa speciale Domenica per ricordare a noi che il Dio in cui noi crediamo è un Dio che ci perdona, perché ci ama profondamente e non vuole che nessuno dei suoi figli vada perduto nel fuoco eterno dell’Inferno.

In questa domenica, quindi, siamo chiamati a verificare lo stato di grazia in cui ci troviamo. Se viviamo nell’amicizia con Dio o continuiamo a vivere nel peccato, senza sentire il bisogno di chiedere perdono e di riconciliarci con Dio e con i fratelli.

Sappiamo pure che questa speciale Domenica, dedicata alla Divina Misericordia è stata il frutto di una rivelazione di Gesù a Santa Faustina Kowalska, polacca, da cui ha avuto poi origine la pratica della pietà popolare della coroncina della Divina Misericordia, che si è diffusa in tutto il mondo ed è pregata da milioni di cattolici in tutto il mondo ogni giorno alle ore 15.00, ora in cui Gesù Cristo è morto sulla croce per noi.

In questa Domenica vogliamo domandarci il perché di questo titolo assegnato al giorno del Signore, nell’ottava della Pasqua.

La risposta la troviamo nei testi biblici e soprattutto nel brano del Vangelo di San Giovanni in cui è descritta la prima apparizione di Gesù agli Apostoli nel Cenacolo, in assenza dell’Apostolo Tommaso.

Leggiamo, infatti, che “la sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Il mandato missionario ed apostolico al gruppo degli Undici è esplicitato nella sostanza e nella forma da Gesù stesso.

Si tratta di un mandato per la riconciliazione e per la remissione dei peccati. Da qui la titolazione della Domenica in Albis, come la Domenica della Divina Misericordia, in quanto è Dio che ci perdona i peccati, mediante il ministero che Gesù ha affidato agli Apostoli e alla sua chiesa e che la Chiesa continua secondo il dettame di Gesù.

Il Vangelo di questa Domenica non si limita solo a ricordare la prima apparizione di Gesù, ma anche quella successiva, a distanza di otto giorni, quando è presente anche Tommaso e il Gruppo degli Undici è al completo.

Sappiamo Tommaso, di fronte all’informazione che i suoi colleghi avevano dato a Lui circa la prima apparizione di Gesù, aveva avuto dubbi e sollevato riserve. Alla fine, tutto si chiarisce, a livello di fede e di adesione a Cristo, quando “otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Alla base di ogni discorso su Cristo, sulla Chiesa, sui sacramenti, in particolare quelli del Battesimo, della Comunione e della Confessione, che sono centrali nella celebrazione della Pasqua del Signore, c’è la fede e se manca la vede non si comprende nulla di ciò che è grazia e peccato, santificazione o dannazione, misericordia o odio.

Questo è il giorno fatto dal Signore, in cui siamo invitati a rallegrarci e a gioire, perché il suo amore è grande e la sua misericordia è infinita.

Ce lo ricorda il testo del Salmo 117, inserito nella liturgia di questa domenica in Albis come Salmo responsoriale: Dica Israele: «Il suo amore è per sempre». Dica la casa di Aronne: «Il suo amore è per sempre». Dicano quelli che temono il Signore:«Il suo amore è per sempre».

Un amore che per noi cristiani si manifesta, in quel tipico atteggiamento di fede, che è risposta a Dio nella carità e nella verità, come ci ricorda l’Apostolo Giovanni, nel brano della sua prima lettera di questa Domenica, collocata come seconda lettura della liturgia della parola:  “Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato”.

Ci identifichiamo e riconosciamo reciprocamente come figli di Dio “quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi”.

L’amore porta ad allontanarsi dal male, identificato con la mondanità, con il mondo del peccato. Infatti, “chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede. E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità”.

La misericordia di Dio sta in questo atto infinito dell’amore di Dio che ha sacrificato il suo Figlio sulla Croce e poi è risorto per ridare a noi la vita nuova della grazia e dell’amicizia con Dio e tra di noi.

Una comunità cristiana di persone risorte con Cristo a vita nuova, agisce di conseguenza, assumendo uno stile di vita comunionale, ecclesiale e davvero fraterno tra tutti i membri di essa e al di fuori di essa, come sottolinea il breve brano degli Atti degli Apostoli, oggetto di riflessione e meditazione biblica, inserito nella liturgia della parola come prima lettura di oggi: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune.  Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore”.

I frutti della conversione e della Pasqua si manifestano nella comunità con uno stile di carità che oltrepassa l’egoismo e l’interesse personale e si apre a tutti e generosamente ci si dona a tutti, nel servizio della diaconia e della chiesa che si fa serva come il suo Maestro, fattosi Servo per amore: “Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno”.

La Domenica della misericordia, non solo, quindi, ci fa capire la necessità di riconoscere umilmente i nostri peccati e cambiare vita, ma anche di impegnarsi in un servizio di carità che si attua mediante le opere di misericordia corporale e spirituale, come ci ricorda ripetutamente Papa Francesco: “La sofferenza dell’altro costituisce un richiamo alla conversione, perché il bisogno del fratello mi ricorda la fragilità della mia vita, la mia dipendenza da Dio e dai fratelli. (Messaggio per la Quaresima 2015).