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COMMENTO ALLA PRIMA DOMENICA DI AVVENTO – 29 NOVEMBRE 2015

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I DOMENICA DI AVVENTO (ANNO C)

Domenica 29 novembre 2015

Vegliamo e preghiamo nell’attesa del  Redentore

Commento di padre Antonio Rungi

Inizia oggi il nuovo anno liturgico 2015/ 2016 e parimenti la preparazione al Santo Natale del 2015. La prima domenica di Avvento, infatti, costituisce il progetto iniziale di un cammino spirituale che intendiamo fare in questo anno che è speciale per il motivo ben noto della celebrazione del Giubileo della misericordia, indetto da papa Francesco e che inizierà martedì, 8 dicembre 2015 e si concluderà il 20 novembre 2016. La parola di Dio di questa prima domenica di Avvento viene in nostro aiuto e soccorso per indirizzare il cammino di questo tempo forte dell’anni liturgico ed il cammino giubilare, L’uno e l’altro cammino si pongono sulle orme di Cristo, il Messia, di Giovanni Battista, il Precursore e di Maria, la Madre purissima di Cristo, nostro salvatore. La seconda lettura di oggi ci offre l’incipit per questo itinerario di fede che vogliamo sinceramente svolgere, anche in quell’ottica del giubileo inteso come pellegrinaggio interiore di ogni autentico uomo che cerca Dio con la sincerità del proprio cura. San Paolo Apostolo, infatti, nella prima lettera ai Tessalonicési, scrive testualmente “Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi. Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate –, possiate progredire ancora di più. Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù”. Il cammino dell’Avvento e quello Giubilare richiede la presa di coscienza di ciò che è urgente fare per la nostra persona conversione e purificazione. Le regole del vangelo sono regole che aprono il cuore di ogni credente alla misericordia e al perdono. Cristo che si incarna nel grembo verginale di Maria è il Figlio di Dio e il Redentore dell’umanità. Il nome del Redentore è “Misericordia”. Gesù, infatti, è il volto della misericordia del Padre. Con questo spirito vogliamo iniziare a prepararci a Natale 2015 e al Giubileo, fissando, fin d’ora, il nostro sguardo sul volto luminoso di Gesù Bambino e sul volto dolcissimo della Vergine Maria e del volto purissimo di San Giuseppe. Lo stesso profeta Geremia nella prima lettura di questa domenica di Avvento ci invita a riflettere sul tema della venuta del Salvatore che noi, annualmente, ricordiamo, nella liturgia, con la solennità del santo Natale del 25 dicembre: “Ecco, verranno giorni – oràcolo del Signore – nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda.  In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra. In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia”. Nell’accogliere questo grido di speranza, quello suono del corno della pace e della giustizia, ci guardiamo intorno a noi e scorgiamo quanto sia urgente, nel nostro tempo, tradurre l’annuncio della venuta del Signore in un’era di pace e di riconciliazione per tutta l’umanità Le tante afflizioni di questi ultimi mesi non ci lasciano sereni e tranquilli e come cristiani vogliamo davvero impegnarci su serio nel tradurre le parole in comportamenti e opere di bene, che poi sono indicate nelle opere di misericordia corporale e spirituale.

Il forte monito che ci viene dal Vangelo di questa domenica, che parla del giudizio universale e della preparazione personale ed ecclesiale ad esso, ci chiede di essenziali cose da fare e farle davvero e seriamente: la preghiera e la vigilanza cristiana, al fine di evitare ogni forma di dissipazione e di distrazione dalle cose che non sono indirizzare verso la vita eterna. In Vangelo, infatti, ci rammenta di stare attenti a noi stessi,  a che i nostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non ci piombi addosso all’improvviso; per cui, dobbiamo vegliare in ogni momento pregando, perché troviamo la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al tribunale di Dio.

Lavorare seriamente e convintamente per non lasciare spazio alle forze del male che seminano terrore, morte, paura quando nella vita viene a mancare una visione di fede e di speranza in Colui che è venuto a salvarci e a non a condannarci, è venuto per servire e non per essere servito.

Vogliamo cantare e gridare con gioia quello che ci viene ricordato nel Salmo responsoriale di questa prima domenica di penitenza e di conversione per tutti noi: “Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri. Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi, perché sei tu il Dio della mia salvezza. Buono e retto è il Signore, indica ai peccatori la via giusta; guida i poveri secondo giustizia, insegna ai poveri la sua via. Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà per chi custodisce la sua alleanza e i suoi precetti. Il Signore si confida con chi lo teme: gli fa conoscere la sua alleanza” (Sal 24).

APPELLO DI P.RUNGI. ITALIANI, VIGILIAMO TUTTI SUL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA

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Un nuovo accorato appello di padre Antonio Rungi, religioso passionista, teologo morale, “per far celebrare e svolgere il Giubileo della Misericordia in modo regolare e senza paure, preoccuazioni ed ansie, dopo quanto è successo in Francia sul versante del terrorismo di matrice islamica”. Padre Rungi chiede a tutti gli italiani, di qualsiasi religione, origine e provenienza di “vigilare tutti insieme sul Giubileo della Misericordia che inizia il prossimo 8 dicembre, in occasione della solennità dell’Immacolata, con l’apertura della porta santa, nella Basilica Vaticana, durante il solenne rito presieduto da Papa Francesco. Il Papa – prosegue padre Rungi nel suo appello a tutti gli italiani – ci ha chiesto di aprire le porte, di non blindarle, in quanto la Chiesa è il luogo del riparo e del rifugio e non il luogo della reclusione e di sbarramenti di qualsiasi genere, e noi tutti, nel massimo rispetto di quanto ci ha chiesto il Papa, splancheremo non solo le porte fisiche delle cattedrali di Roma e di tutta Italia, in occasione del Giubileo, ma soprattutto le porte del nostro cuore per accogliere tutti nel perdono e nella riconciliazione. Tuttavia, con grande senso di responsabilità personale e collettiva, vigileremo, in sintonia con le forze dell’ordine, italiane e vaticane e di altre nazioni, affinché questo evento ecclesiale, di portata mondiale, non sia turbato da nessun fatto di sangue, di guerra, di violenza, di terrorismo o disturbato da fatti esterni. Presteremo maggiore attenzione e saremo accorti e sensibili ad ogni eventuale segnale di disturbo, che possa, eventualmente, turbare il cuore di quanti, in questo anno santo, sono seriamente intenzionati a fare un cammino spirituale. Non andremo a Roma o in pellegrinaggio per fare una passeggiata o gita turistica, ma solo e soltanto per motivi di fede e di partecipazione convinta e numerosa alle varie celebrazioni. Il Giubileo si farà e si farà affidandoci al Signore, ma anche alla saggia e prudente preparazione degli uomini addetti alla sicurezza della nazione, in questo momento difficile per il problema del terrorismo.  Quindi, tutti uniti, senza paure per partecipare alle celebrazioni di inizio e prosieguo dell’anno giubilare a Roma e in altre parte d’Italia. Non lasciamo solo il Papa a credere nella forza dell’amore, della misericordia, del perdono, della pace e della non violenza. Come credenti, appartenenti alla stessa fede, alla stessa cultura e civiltà di Papa Francesco, vogliamo rinnovare il nostro proposito di bene, perchè quest’anno santo, che ci accingiamo a celebrare, nella Chiesa, vicini a Papa Francesco, in sintonia con il mondo civile, sia per noi e per tutti un anno di vera misericordia, riconciliazione e pace, compresi  per quanti non sono cristiani e lottano, con le armi dell’amore e della giustizia sociale, per un mondo migliore e in pace su tutta la Terra”

COMMENTO ALLA SOLENNITA’ DI CRISTO RE DELL’UNIVERSO

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XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B

Domenica 22 Novembre 2015

Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo,

conforto e speranza nel nostro cammino verso l’eternità

Commento di padre Antonio Rungi

Con questa domenica si conclude l’anno liturgico 2014/15 e si conclude con la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo. Una domenica di sintesi e di ricapitolazione, di revisione del cammino spirituale compiuto in questo anno di grazia, durante il quale si sono verificati tanti eventi ecclesiali che non possiamo dimenticare; come non possiamo dimenticare i tanti drammi vissuti in questo anno, con guerre, violenze, attentati terroristici ed altre forme di conflittualità sociale a livello globale. In Cristo, Re dell’Universo cerchiamo una sintesi di quanto bene si è fatto e di quanto male si è lasciato alle spalle, con la speranza che non ritorni in forme più o meno esplicite o velate. Gesù, infatti, “sacrificando se stesso, immacolata vittima di pace sull’altare della Croce, operò il mistero dell’umana redenzione; assoggettate al suo potere tutte le creature, offrì alla tua maestà infinita il regno eterno e universale: regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace” (Prefazio). Gesù, assiso alla gloria del cielo, è la meta del nostro pellegrinaggio terreno. Egli è anche il modello di vita, al quale dobbiamo conformare le nostre vite, per essere un giorno accolti, dal Lui stesso, nel suo regno di luce e di pace. Perciò con animo grato al Signore ci rivolgiamo a Lui con questa preghiera iniziale della santa messa di questa solennità: “O Dio, fonte di ogni paternità, che hai mandato il tuo Figlio per farci partecipi del suo sacerdozio regale, illumina il nostro spirito, perché comprendiamo che servire è regnare,  e con la vita donata ai fratelli confessiamo la nostra fedeltà al Cristo, primogenito dei morti   dominatore di tutti i potenti della terra. E’ Gesù stesso che nel brano del vangelo di oggi, nel momento in cui si trova sotto processo, Lui l’innocente, davanti a Pilato si esprime con chiarezza e precisone circa la sua regalità e quindi della tipologia del suo regno. “Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».  Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Il Regno di Dio non è di questo mondo, né può esserlo, supera questa realtà e si colloca nell’eternità. Un Regno che non ha fine e non ha scopi terreni, come ci ricorda la prima lettura di oggi, tratta da libro del profeta Daniele, nella quale viene descritta la visione del profeta circa la figura del Messia: “Guardando nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto”. Cristo Re dell’Universo, emerge così in modo chiaro dai testi biblici, su cui mediamo in questa solennità. Il potere di Cristo è potere su tutto e su tutti, che non è dominio, ma solo amore, verità, giustizia, carità, oblazione, croce e liberazione; il suo è un potere per sempre e non solo temporaneo o localizzato; è un potere eterno e il suo regno non tramonta mai, perché è fondato sull’amore, su Dio che amore. Il suo regno non sarà distrutto, perché non è un potere terreno o temporale, ma un  potere che ha origine in Dio e come tale è un potere indistruttibile. Certo a paragone dei regni umani e dei poteri umani, questo regno di Gesù sconvolge tutti i piani e va oltre i limiti: perché il suo Regno lo consolida non con le armi di nessun genere, ma con la misericordia e il perdono, con il vero amore che si fa croce e servizio fino ad obbedire pienamente alla volontà del Padre. E come ci fa meditare il salmo responsoriale, tratto dal Salmo 92 “Il Signore regna, si riveste di maestà: si riveste il Signore, si cinge di forza. È stabile il mondo, non potrà vacillare. Stabile è il tuo trono da sempre, dall’eternità tu sei”.

La regalità di  Cristo capo, è stata trasmessa a noi meditante l dono del battesimo, con il quale siamo immersi nella Pasqua di morte e risurrezione di Cristo e mediante l’unzione con il crisma noi diventiamo in Cristo Re, Sacerdoti e Profeti. Infatti, ci ricorda l’Apostolo Giovanni nel Libro dell’Apocalisse che “Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen”. A questo Re unico, eccezionale, un Re di tutti e per tutti, vogliamo rendere lode ed esprime il nostro grazie , perché ci ha accompagnati nel corso di quest’anno liturgico a questo giorno, facendosi compagno di viaggio nel cammino della nostra vita, non senza dolori e gioie, come ai due discepoli di Emmaus, che dopo la lezione avuta da quel straniero nel cammino verso il villaggio, poi lo riconobbero nello spezzare il pane, mentre la notte calava sul giorno degli uomini e Lui, il Signore, la rendeva luminosa con il suo gesto d’amore, con il gesto dello spezzare il pace. A questo Re che si è spezzato per noi, si è frantumato tutto per noi Gli diciamo: Grazie Signore. Nostro unico scopo è di entrare a far parte per sempre del tuo regno eterno. Tu sei il nostro conforto. Tu sei la nostra speranza. Amen.

APPELLO DI P. RUNGI. NO A CELEBRAZIONI CENTRALIZZATE A ROMA PER L’ANNO SANTO, PER EVITARE RISCHI DEL TERRORISMO.

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COMUNICATO STAMPA

 APPELLO DI P. RUNGI. NO A CELEBRAZIONI CENTRALIZZATE A ROMA PER L’ANNO SANTO, PER EVITARE RISCHI DEL TERRORISMO.  

Ecco il testo dell’appello, che padre Antonio Rungi, passionista, teologo morale, rivolge al Santo Padre Papa Francesco, prima dell’inizio dell’Anno Santo della Misericordia. 

<<In seguito ai gravissimi attentati terroristici a Parigi, nella notte del 13 novembre 2015, durante i quali sono morte decine di persone e sono rimaste ferite tante altre, facendomi interprete di tanti fedeli  della Chiesa cattolica che è in Italia, chiedo al Santo Padre di non far svolgere a Roma le celebrazioni solenni per l’apertura dell’Anno Santo della Misericordia, che inizia il prossimo 8 dicembre 2015.

Ciò al fine di evitare possibili attacchi terroristici in Italia e particolarmente a Roma, durante l’anno giubilare, che secondo gli esperti non è esente da tali rischi. A tal fine, chiedo di sospendere tutte le celebrazioni con la partecipazione dei fedeli a tutte le manifestazioni in programma per tutto l’Anno giubilare, per garantire a tutti la serenità, la salute e la vita. Ciò non vuol dire che l’Anno giubilare della Misericordia non debba svolgersi. Anzi, al contrario, esso si deve svolgere regolarmente secondo quanto stabilito dallo stesso Papa Francesco nella Lettera del 1 settembre 2015, dove detta le regole per lo svolgimento del Giubileo non solo a Roma, ma anche in tutto il resto del mondo, che, per opportuna conoscenza, si riporta testualmente: “Per vivere e ottenere l’indulgenza i fedeli sono chiamati a compiere un breve pellegrinaggio verso la Porta Santa, aperta in ogni Cattedrale o nelle chiese stabilite dal Vescovo diocesano, e nelle quattro Basiliche Papali a Roma, come segno del desiderio profondo di vera conversione. Ugualmente dispongo che nei Santuari dove si è aperta la Porta della Misericordia e nelle chiese che tradizionalmente sono identificate come Giubilari si possa ottenere l’indulgenza. È importante che questo momento sia unito, anzitutto, al Sacramento della Riconciliazione e alla celebrazione della santa Eucaristia con una riflessione sulla misericordia. Sarà necessario accompagnare queste celebrazioni con la professione di fede e con la preghiera per me e per le intenzioni che porto nel cuore per il bene della Chiesa e del mondo intero”.

Quindi non è assolutamente necessario andare in pellegrinaggio a Roma per poter usufruire dei benefici spirituali dell’Anno Santo. Il tutto lo si può fare con maggiore serenità e senza rischi di alcun genere nelle proprie diocesi.

Le celebrazioni romane del Giubileo, con la partecipazione del Papa, si possono svolgere nella sola Basilica di San Pietro e garantendo a tutti i fedeli che vogliono parteciparvi spiritualmente di seguire gli avvenimenti mediante la televisione. In questo modo si evita di far convergere a Roma, milioni di pellegrini, mettendo a rischio la loro vita, visto quanto sta succedendo nel mondo ed ora, anche vicino casa nostra, sul versante del terrorismo, che non risparmia nessun, anzi sfrutta tutte le occasioni per fare propaganda di se stesso e di alimentare la paura in tutto il mondo. Non dobbiamo aver paura o lascarci condizionare da questi fenomeni nuovi che si registrano in tutto il mondo; ma è pur vero che bisogna evitare di offrire occasioni ai terroristi di potersi organizzare in anticipo e fare stragi, ovunque, come è successo a Parigi.

Sono certo che il Papa, sensibile alle richieste del popolo di Dio, vorrà molto ridimensionare le celebrazioni collettive per il Giubileo della Misericordia, indetto per la Chiesa e per gli uomini di buona volontà, proprio per riportare pace, fraternità, accoglienza reciproca e tolleranza, anche tra culture, popoli, nazioni, razze e religioni diverse di questa martoriata ed insanguinata casa comune, che per alcuni deve essere la sola ed unica casa per loro e non per tutti, compresi di quelli che non la pensano come loro, non professano la loro religione e non condividono il loro folle progetto politico a livello mondiale>>.

RIFLESSIONE SULL’ANNO DELLA VITA CONSACRATA ANNO DELLA MISERICORDIA

CONSACRATI PER ESSERE MISERICORDIOSI 

INTRODUZIONE

Il nostro itinerario di formazione 2015/2016 si svolge, potremmo dire, utilizzando un’espressione del Concilio Vaticano II, tra il già e il non ancora.

Il “già” è l’Anno della vita consacrata che si concluderà il 2 febbraio 2016.

Il “non ancora” è il Giubileo della Misericordia, che inizierà il prossimo 8 dicembre 2015, in coincidenza con la solennità dell’Immacolata Concezione e che si concluderà il 30 novembre 2016, solennità di Cristo Re dell’Universo.

 

Verifichiamo il nostro cammino compiuto in questo anno.

 

Cosa ci chiedeva il Papa ai noi religiosi all’inizio dell’anno della vita consacrata?

 

1. Guardare il passato con gratitudine. In che modo?.  Papa Francesco ha raccomandato che ogni famiglia carismatica ricordi i suoi inizi e il suo sviluppo storico, per ringraziare Dio che ha offerto alla Chiesa così tanti doni che la rendono bella e attrezzata per ogni opera buona (cfr Lumen gentium, 12).

Questo anno doveva essere un’occasione anche per confessare con umiltà, e insieme con grande confidenza in Dio Amore (cfr 1 Gv 4,8), la propria fragilità e per viverla come esperienza dell’amore misericordioso del Signore; un’occasione per gridare al mondo con forza e per testimoniare con gioia la santità e la vitalità presenti nella gran parte di coloro che sono stati chiamati a seguire Cristo nella vita consacrata.

 

2. Vivere il presente con passione.  L’Anno della Vita Consacrata ci ha interrogato davvero sulla fedeltà alla missione che ci è stata affidata. I nostri ministeri, le nostre opere, le nostre presenze, rispondono a quanto lo Spirito ha chiesto ai nostri Fondatori, sono adeguati a perseguirne le finalità nella società e nella Chiesa di oggi? C’è qualcosa che dobbiamo cambiare? Abbiamo la stessa passione per la nostra gente, siamo ad essa vicini fino a condividerne le gioie e i dolori, così da comprendere veramente le necessità e poter offrire il nostro contributo per rispondervi? «La stessa generosità e abnegazione che spinsero i Fondatori – chiedeva già san Giovanni Paolo II di cui oggi facciamo la memoria liturgica – devono muovere voi, loro figli spirituali, a mantenere vivi i carismi che, con la stessa forza dello Spirito che li ha suscitati, continuano ad arricchirsi e ad adattarsi, senza perdere il loro carattere genuino, per porsi al servizio della Chiesa e portare a pienezza l’instaurazione del suo Regno». Fondatori e fondatrici erano affascinati dall’unità dei Dodici attorno a Gesù, dalla comunione che contraddistingueva la prima comunità di Gerusalemme. Dando vita alla propria comunità ognuno di loro ha inteso riprodurre quei modelli evangelici, essere con un cuore solo e un’anima sola, godere della presenza del Signore (cfr Perfectae caritatis,15). Santa Caterina Volpicelli in questo anno cosa ci ha detto, quale strada ci ha indicato per incontrare Cristo e i fratelli?

 

Vivere il presente con passione significa diventare “esperti di comunione”. In una società dello scontro, della difficile convivenza tra culture diverse, della sopraffazione sui più deboli, delle disuguaglianze, siamo chiamati ad offrire un modello concreto di comunità che, attraverso il riconoscimento della dignità di ogni persona e della condivisione del dono di cui ognuno è portatore, permetta di vivere rapporti fraterni.  Vivere la mistica dell’incontro: «la capacità di sentire, di ascolto delle altre persone. La capacità di cercare insieme la strada, il metodo», lasciandovi illuminare dalla relazione di amore che passa fra le tre Divine Persone (cfr  1 Gv 4,8) quale modello di ogni rapporto interpersonale.

 

3. Abbracciare il futuro con speranza.  La speranza di cui parliamo non si fonda sui numeri o sulle opere, ma su Colui nel quale abbiamo posto la nostra fiducia (cfr 2 Tm 1,12) e per il quale «nulla è impossibile» (Lc 1,37). È questa la speranza che non delude e che permetterà alla vita consacrata di continuare a scrivere una grande storia nel futuro, al quale dobbiamo tenere rivolto lo sguardo, coscienti che è verso di esso che ci spinge lo Spirito Santo per continuare a fare con noi grandi cose.

 

Non cedete alla tentazione dei numeri e dell’efficienza, meno ancora a quella di confidare nelle proprie forze. Scrutate gli orizzonti della vostra vita e del momento attuale in vigile veglia. Con Benedetto XVI vi ripeto: «Non unitevi ai profeti di sventura che proclamano la fine o il non senso della vita consacrata nella Chiesa dei nostri giorni; piuttosto rivestitevi di Gesù Cristo e indossate le armi della luce – come esorta san Paolo (cfr Rm 13,11-14) – restando svegli e vigilanti». Continuiamo e riprendiamo sempre il nostro cammino con la fiducia nel Signore.

 

 

II – Le attese per l’Anno della Vita Consacrata

 

Che cosa mi attendo in particolare da questo Anno di grazia della vita consacrata?

 

1. Che sia sempre vero quello che ho detto una volta: «Dove ci sono i religiosi c’è gioia». Che tra di noi non si vedano volti tristi, persone scontente e insoddisfatte, perché “una sequela triste è una triste sequela”.

 

3. Essere “esperti di comunione”. La comunione si esercita innanzitutto all’interno delle rispettive comunità dell’Istituto. Critiche, pettegolezzi, invidie, gelosie, antagonismi sono atteggiamenti che non hanno diritto di abitare nelle nostre case. È «la “mistica” di vivere insieme», che fa della nostra vita «un santo pellegrinaggio».

 

4. Uscire da sé stessi per andare nelle periferie esistenziali. «Andate in tutto il mondo» fu l’ultima parola che Gesù rivolse ai suoi e che continua a rivolgere oggi a tutti noi (cfr Mc 16,15).  Non ripiegatevi su voi stessi, non lasciatevi asfissiare dalle piccole beghe di casa, non rimanete prigionieri dei vostri problemi. Questi si risolveranno se andrete fuori ad aiutare gli altri a risolvere i loro problemi e ad annunciare la buona novella. Troverete la vita dando la vita, la speranza dando speranza, l’amore amando.

 

5. Ogni forma di vita consacrata si interroghi su quello che Dio e l’umanità di oggi domandano.

 

I monasteri e i gruppi di orientamento contemplativo potrebbero incontrarsi tra di loro, oppure collegarsi nei modi più differenti per scambiarsi le esperienze sulla vita di preghiera, su come crescere nella comunione con tutta la Chiesa, su come sostenere i cristiani perseguitati, su come accogliere e accompagnare quanti sono in ricerca di una vita spirituale più intensa o hanno bisogno di un sostegno morale o materiale.

 

L’ANNO GIUBILARE DELLA MISERICORDIA.

MISERICORDIOSI COME IL PADRE

 

Il testo del vangelo (Lc 6,36-38)

 

“Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato;  date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio”.

 

Dal Vangelo di Luca 17, 3-4

 

“Se un tuo fratello pecca, rimproveralo; ma se si pente, perdonagli. E se pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice: Mi pento, tu gli perdonerai».

 

Sant’Agostino- DISCORSO 114- SULLA REMISSIONE DEI PECCATI

 

Si deve perdonare a un fratello ogni qual volta ci offende e si pente.

 

1. Il santo Vangelo, come abbiamo udito mentre veniva letto, ci ha dato degli ammonimenti circa il perdono dei peccati. Su questo tema dovete essere richiamati dal nostro discorso. Poiché noi siamo i servitori della parola, non nostra, ma appunto di Dio nostro Signore, che nessuno serve senza riceverne gloria, che nessuno disprezza senza incorrere nel castigo. Nostro Signore Gesù Cristo, dunque che, rimanendo nel Padre, ci ha fatti e, fattosi uomo per noi, ci ha rifatti, Dio nostro Signore in persona ci dice, come abbiamo udito: Se un tuo fratello ti avrà fatto del male, rimproveralo; se si pentirà, perdonalo; e anche se ti offende sette volte al giorno e verrà da te per dirti: Mi dispiace, perdonalo. Dicendo: Sette volte al giorno non volle che s’intendesse se non “tutte le volte”, per evitare che, se uno fosse offeso otto volte, non volesse perdonare. Che significa dunque: Sette volte? Significa: Sempre, ogni qual volta uno farà del male e se ne pentirà. Perché questo è il significato della frase: Sette volte al giorno ti loderò, come sta scritto in un altro salmo: La sua lode sarà sempre nella mia bocca. E perché invece di “sempre” troviamo scritto “sette volte” c’è un motivo sicurissimo: tutto il tempo si svolge in sette giorni che se ne vanno e che tornano.

 

Si deve concedere perdono al fratello per riceverlo da Dio.

 

2. Chiunque dunque tu sia che pensi a Cristo e desideri di ricevere quel che ha promesso, non devi essere pigro a fare ciò ch’egli ha comandato. Che cosa ha promesso? La vita eterna. E che cosa ha comandato? Perdona tuo fratello. Fa’ conto che ti abbia detto: “Tu che sei uomo, perdona un uomo, affinché, io che sono Dio, venga da te”. Ma tralasciamo o meglio lasciamo per il momento di parlare delle promesse divine più sublimi grazie alle quali il nostro Creatore ci renderà uguali ai suoi angeli, affinché viviamo eternamente in lui e con lui e di lui; per non parlare dunque per il momento di ciò, non vuoi ricevere da parte del tuo Dio la stessa cosa che ti comanda di dare a un tuo fratello? La stessa cosa – ripeto che ti si comanda di dare a un tuo fratello, non vuoi forse riceverla da Dio tuo Signore? Dimmi se non la vuoi e allora non darla. Quale è questa cosa, se non che tu dia il perdono a chi te lo chiede, se tu chiedi che venga accordato a te quando lo chiedi? Oppure, se tu non hai nulla da farti perdonare, io oso dire: “Non perdonare”. Tuttavia non avrei dovuto dire neppure ciò. Anche se non hai nulla da farti perdonare, devi perdonare lo stesso; poiché perdona anche Dio che non ha nulla che gli si possa perdonare.

 

Sull’esempio di Dio dobbiamo rimettere i debiti.

 

3. Tu però dirai: “Ma io non sono Dio, sono un peccatore”. Sia ringraziato Dio che ammetti d’aver dei peccati. Perdona dunque affinché sia perdonato a te. Tuttavia ci esorta lo stesso nostro Dio d’imitare lui. Innanzitutto ci esorta lo stesso Cristo nostro Signore del quale l’apostolo Pietro dice: Il Cristo è morto per noi, lasciandoci l’esempio affinché seguiamo la sua condotta. Eppure egli non aveva certamente alcun peccato, ma è morto per i nostri peccati e ha sparso il suo sangue per la remissione dei peccati. Prese su di sé per noi il peccato, che non avrebbe dovuto addossarsi, per liberarci dal debito. Non era lui che doveva morire, ma eravamo noi che non dovevamo vivere. Perché? Perché eravamo peccatori. Né a lui era dovuta la morte né a noi la vita. Prese su di sé ciò che a lui non era dovuto, e diede a noi ciò che non ci era dovuto. Ma poiché si tratta della remissione dei peccati, affinché non crediate che sia per voi una cosa gravosa imitare il Cristo, ascoltate l’Apostolo che dice: Perdonandovi a vicenda, come Dio ha perdonato a voi per mezzo di Cristo. Siate dunque – sono parole dell’Apostolo, sue non mie – siate dunque imitatori di Dio 6. È forse da superbi imitare Dio? Imitatori di Dio! Forse è da superbi. Siccome siete figli molto amati. Sei chiamato figlio: se rifiuti l’imitazione, perché cerchi l’eredità?.

 

Il peccatore perdoni il peccatore.

 

4. Direi così, anche se tu non avessi alcun peccato, che desidereresti ti fosse rimesso. Ora invece chiunque tu sia, sei un uomo; anche se tu fossi giusto, sei un uomo; se sei un laico, sei un uomo; anche se sei un monaco, sei un uomo; fossi tu un chierico, sei un uomo; anche se tu fossi un vescovo, sei un uomo; anche nell’ipotesi che tu fossi un apostolo, sei sempre un uomo. Ascolta la voce d’un apostolo: Se noi diremo d’essere senza peccati, inganniamo noi stessi. Chi lo ha detto? Proprio quel grande Giovanni evangelista che nostro Signore il Cristo amava più di tutti gli altri, che mentre era a tavola con Gesù posava il capo sul suo petto; è proprio lui a dire: Se diremo. Non dice: “Se direte d’essere senza peccato”, ma: Se diremo d’essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi . Si unì nella colpa, per trovarsi unito anche nel perdono. Se diremo. Vedete chi lo dice. Se diremo d’essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se invece confesseremo i nostri peccati, egli che mantiene la sua parola ed è giusto, ci perdonerà i nostri peccati e ci libererà da tutte le nostre colpe. In che modo “libererà”? Perdonando. Non immaginiamo che non trovi colpe da punire ma ne trovi da perdonare. Se dunque abbiamo peccati, fratelli, concediamo il perdono a quelli che ce lo chiedono, concediamolo a coloro che si pentono. Non conserviamo nel nostro cuore l’inimicizia. Se infatti conserviamo ad oltranza l’inimicizia, questa corrompe lo stesso nostro cuore.

 

Nella preghiera si chiede perdono a Dio col patto di perdonare agli altri.

 

5. Desidero dunque che tu conceda il perdono poiché ti considero come uno che lo chiedi anche tu. Ne vieni pregato? Perdona. Tu ne vieni pregato e lo implorerai tu stesso. Se ne vieni pregato, perdona, come anche tu preghi di essere perdonato. Ecco: verrà il momento di pregare; con le parole che pronuncerai, ti metterò con le spalle al muro. Tu dirai: Padre nostro, che sei nei cieli. Ebbene, non sarai annoverato tra i figli, se non dirai: Padre nostro. Dirai dunque: Padre nostro, che sei nei cieli. Seguita: Sia santificato il tuo nome. Di’ ancora: Venga il tuo regno. Prosegui ancora: Sia fatta la tua volontà, come in cielo, così in terra. Vedi ora che cosa soggiungi: Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Dov’è la tua ricchezza? Ecco, tu chiedi l’elemosina. Tuttavia dopo aver detto: Dacci oggi il nostro pane quotidiano, di’ ancora ciò di cui si tratta, di’ quel che segue: Rimetti a noi i nostri debiti. Sei arrivato a ciò ch’io dicevo. Rimetti, è detto, i nostri debiti. Fai dunque ciò che segue. Rimetti a noi i nostri debiti. Con qual diritto? A qual patto? Con qual accordo? Leggendo quale impegno sottoscritto di proprio pugno? Come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Non ti basta il fatto che non condoni, ma tu menti per di più anche a Dio. È stata stabilita la condizione; è stabilita solidamente la legge. Perdona tu, come perdono io. Dio dunque non ti perdona, se tu non perdoni. Perdona, come perdono io. Tu vuoi che ti si dia il perdono quando lo chiedi, dàllo anche tu a chi te lo chiede. Questa preghiera l’ha dettata il giurisperito celeste. Non t’inganna. Chiedi conforme alla giustizia celeste, di’: Perdona, come perdoniamo anche noi. Fa’ però quel che dici. Chi mente nel pregare, si priva della grazia. Chi mente nel pregare, non solo perde la causa, ma trova il castigo. Se poi uno mente all’imperatore, quando verrà questi, quello verrà convinto che mente; quando invece tu menti nel pregare, vieni convinto dalla stessa preghiera. Poiché Dio, per convincerti, non ha bisogno di testimoni contro di te. Colui che ti ha dettato la preghiera è il tuo avvocato; se però menti, è tuo testimonio; se non ti correggi, sarà tuo giudice. Perciò non solo devi dire quella frase, ma devi pure metterla in pratica; poiché se non la dirai, per il fatto che chiedi contro la legge, non otterrai; se poi la dirai e non la metterai in pratica, sarai anche colpevole di menzogna. Non è possibile passar oltre questo versetto se quel che dici non è messo in pratica. Potremo forse cancellare questo versetto dalla nostra preghiera? Oppure volete che ci sia la frase: Rimetti a noi i nostri debiti e cancelliamo quella che segue: Come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori? Non dovrai cancellarla per non essere prima cancellato tu stesso. Nella preghiera dunque tu dici: Da’, dici: Perdona, affinché tu riceva ciò che non hai e ti siano perdonate le tue colpe. Vuoi ricevere? Da’. Vuoi essere perdonato? Perdona. È un breve dilemma. Ascolta Cristo in un altro passo: Perdonate e sarete perdonati. Date agli altri e Dio darà a voi. Perdonate e sarete perdonati. Che cosa perdonerete? Le offese commesse dagli altri contro di voi. Che cosa vi sarà perdonato? Vi saranno perdonate le offese commesse da voi. Ma voi: Date agli altri e Dio darà a voi. Voi, che desiderate la vita eterna, ristorate la vita temporale dei poveri; sostentate la vita temporale dei poveri e in cambio di questo seme tanto piccolo e terreno riceverete come messe la vita eterna. Amen.

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 15 NOVEMBRE 2015

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XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) 

DOMENICA 15 NOVEMBRE 2015 

Dall’angoscia alla vita per sempre 

Commento di padre Antonio Rungi 

Nelle ultime domeniche dell’anno liturgico, la parola di Dio ci fa riflettere sui novissimi, sulle ultime cose che si verificheranno, quando il Signore verrà a giudicare i vivi ed i morti, secondo quanto noi professiamo nel Credo. Si tratta di un aspetto importante della nostra fede che non possiamo sottacere, anche se ci possono far preoccupare le cose che ascoltiamo nei testi biblici, del cosiddetto genere apocalittico, ovvero di una modalità comunicativa nella quale è evidente la dimensione escatologica del nostro credere nel mondo che verrà. Credere nella terra e nei cieli nuovi che Cristo, nel suo secondo e definitivo avvento realizzerà come ricapitolazione di tutto ciò che fino allora sarà svolto. Già nella prima lettura della parola di Dio di questa XXXIII domenica del tempo ordinario, tratta dal libro di Daniele, si fa riferimento a questo mondo che verrà. Sarà l’Arcangelo Michele a fare pulizia sulla terra Quel momento, “”sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre”. Un evidente richiamo alla morte, al giudizio di Dio e alla risurrezione per la vita (il paradiso) o per la morte (l’inferno). Un futuro eterno positivo per quanti fecero; un futuro eterno triste per quanti fecero il male. Nella preghiera iniziale della santa messa di oggi, la Colletta, ci rivolgiamo al Signore con queste parole:  O Dio, che vegli sulle sorti del tuo popolo, accresci in noi la fede che quanti dormono nella polvere si risveglieranno; donaci il tuo Spirito, perché operosi nella carità attendiamo ogni giorno la manifestazione gloriosa del tuo Figlio, che verrà per riunire tutti gli eletti nel suo regno”.

Strettamente ancorato al testo della prima lettura è il Vangelo di oggi, tratto da San Marco, ove è descritto il giudizio universale, con forti accenti apocalittici. Il brano della Vangelo che sarà oggetto di meditazione e di approfondimento catechetico ed omiletico, richiede una personale riflessione su di esso ed una risposta coerente con quanto vi è scritto in esso. E’ Gesù stesso che svolge per noi una catechesi sulle ultime cose che accadranno su questo mondo: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”. La fine della storia di questo mondo è descritta in questo modo terribile. E ciò non solo per metterci angoscia e preoccupazione, ma per responsabilizzarci di fronte alla vita, alla storia, all’eternità che si avvicina sempre di più per tutti. Il dopo della distruzione è descritto con l’avvento di Cristo, il suo secondo ritorno, quello definitivo: “Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo”.

Cosa fare di fronte a questo monito, ad questo invito a prepararci ad incontrare Dio? Dobbiamo imparare la lezione della natura, del cosmo. Gesù, infatti, sottolinea, nel brando del Vangelo di oggi: “ Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte”.

Da questa lezione di Cristo, ne consegue la presa coscienza della precarietà e della provvisorietà della vita umana sulla terra. Gesù dice: “In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”.

La parola di Dio è fedele ed eterna. Non bisogna entrare nel panico se le cose non vanno secondo le nostre umane aspettative. E’ importante aprirsi a Dio, in quanto la nostra fine è segnata nel registro della vita, ma a noi non è dato sapere il giorno e l’ora in cui accadrà. Perciò, dobbiamo essere vigilanti, in pace con tutti e soprattutto nella grazia. Ecco perché il brano del vangelo di questa domenica si incentra sul questo beve passo della Scrittura, con chiari intenti apocalittici:  “Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre”.

Vigilanti nell’attesa della seconda e definitiva venuta di Cristo.

In questa vigilante attesa, dobbiamo comportarci in modo degno della nostra vocazione. Nel brano della Lettera agli Ebrei di questa domenica, leggiamo, infatti, che “ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati”. Come dire che dobbiamo vivere la nostra dimensione sacerdotale, quella comune e quella ministeriale con la coscienza di chi sa che è in cammino e non di chi già è arrivato. Il modello di ogni cristiano e soprattutto di ogni sacerdote è Gesù Cristo che “avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi. Infatti, con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati. Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato”.

Quante volte sentiamo parlare di fine del mondo in questi ultimi anni. Non è una novità. Sempre si è pensato alla fine del mondo come immediato, imminente, soprattutto quando ci sono stati fatti eclatanti. Certamente, in base alla fede nella quale siamo stati educati e formati, sappiamo benissimo che questo accadrà. Quando? Nessuno lo sa, neppure Gesù, diceva Lui, quando ha vissuto sulla terra. Quindi vivere con l’angoscia della fine del mondo, significa non vivere; ma vivere con il pensiero rivolto all’eternità, alle cose nuove che verranno, in senso positivo, ci aiuta a vivere meglio ciò che di temporale e spaziale ha assegnato il Signore a ciascuno di noi. Quindi dall’angoscia e dalla paura dobbiamo uscire per vivere nella speranza e nella gioia, sapendo che il giorno del Signore, sarà il giorno della gioia e della gloria, perché Cristo che verrà a giudicare i vivi e morti porterà solo speranza a questa umanità.

 

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA XXXII – 8 NOVEMBRE 2015

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XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)
Domenica 8 novembre 2015

La carità genera la provvidenza e la conserva per sempre

Commento di padre Antonio Rungi

La carità genera la provvidenza e la conserva per sempre. E’ questa la sintesi della parola di Dio di questa XXXII domenica del tempo ordinario, ad un mese esatto dal grande giubileo della misericordia, indetto da Papa Francesco e che inizia l’8 dicembre prossimo. Partendo, appunto dal testo della prima lettura, nella quale troviamo il Profeta Elia come mendicante per le case di Sarepta, che incontra la generosità di una donna, vedova, con un figlio, per poi passare agli altri testi sulla carità, l’accoglienza e la generosità che sono messi alla nostra attenzione e meditazione in questa domenica, possiamo ben dire con assoluta certezza che solo l’amore cambia il cuore delle persone e il mondo. Acqua e pane di cui viene rifornito Elia da questa povera donna vedova, esprimono un gesto di amore e di carità sincera nei confronti dell’uomo di Dio che, poi, proprio perché può molto presso il Signore, assicura a quella casa il cibo non solo per pochi giorni, ma per sempre. Un gesto di generosità ha un valore di eternità, non si ferma al momento in cui lo facciamo. Davanti a Dio ha un valore immenso.  E la generosità di un’altra donna, anche questa vedova, è messa in risalto nel vangelo di oggi. Nel brano che, infatti, leggiamo in questa domenica, tratto dal Vangelo di Marco, Gesù, dopo la catechesi nel mettere in guardia i suoi discepoli dal lievito dei farisei, condannandoli apertamente per la loro ipocrisia e per la loro osservanza esteriore della legge, si mette ad osservare, da un punto molto preciso, di fronte al tesoro, tutte le persone che lasciano la loro offerta per il tempio di Gerusalemme. E cosa nota? “Come la folla vi gettava monete”. Osserva con rammarico “che tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo”. Poteva essere un fatto scontato, ovvio. Invece Gesù coglie l’occasione per fa notare ai suoi discepoli una cosa importante e che esplicita e manifesta subito con la sua parola di verità:«In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». I gesti di generosità vera e di amore verso Dio e verso il prossimo sono totali, non ammettono il superfluo, ma l’essenziale, ciò che è indispensabile alla propria salute e vita. Chi sa donare a Dio e agli altri questo è sulla strada della verità e della santità. La raccomandazione che ne deriva, è espressa da Gesù nei versetti iniziali del brano del Vangelo di oggi: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».

Questo  monito oggi ha attinenza non solo con il mondo dei non credenti, ma anche con il nostro mondo, il mondo dei cristiani, dei cattolici. Un mondo fatto solo di apparenza, di esibizione,  di mostrarsi ricchi, benestanti e potenti, sfruttando la povera gente.

Quante persone, immoralmente e illegalmente si mangiano, i sacrifici delle persone oneste, che spesso sono private delle cose essenziali e disperate si tolgono la vita o fanno una vita da miseri e da affamati.

Gesù condanna apertamente la spettacolarizzazione della fede e l’ostentazione nel fare il bene.

Se il bene deve essere fatto, come è giusto che sia, lo si faccia nella umiltà e semplicità, senza ostentare superiorità di alcuni genere. Il modello di questo donarsi agli altri, fino al sacrificio totale della propria vita è Gesù stesso e sul suo esempio sono i martiri del tempo di Gesù e della primitiva chiesa, ma anche i martiri di due millenni di era cristiana che hanno testimoniato la loro fede in Gesù Cristo vivendo in gravi disagi e difficoltà, confidando pienamente nella protezione del cielo.

Nel brano della seconda lettura, tratto dalla Lettera agli Ebrei, si comprende perfettamente in quale posto dobbiamo collocarci assumendo come esempio di vita Gesù Redentore. A questo Gesù, mite ed umile, ci dobbiamo ispirare. E per poter realizzare questo sogno possibile basta da osservare e metterle in pratica alcune cose fondamentali: la giustizia, la carità, l’onestà e la rettitudine nei comportamenti umani e sociali, forti della parola di Dio che nel Salmo 145 ci rammenta alcune importanti aspetti della vita di relazione con Dio e sintetizzati nella Colletta di questa Domenica XXXII del tempo ordinario. Infatti nella preghiera iniziale dell’assemblea eucaristica domenicale, preghiamo con queste parole aperte alla speranza e alla fiducia nel Signore:  O Dio, Padre degli orfani e delle vedove, rifugio agli stranieri, giustizia agli oppressi,  sostieni la speranza del povero che confida nel tuo amore, perché mai venga a mancare la libertà e il pane che tu provvedi, e tutti impariamo a donare sull’esempio di colui che ha donato se stesso, Gesù Cristo nostro Signore.  

 

P.RUNGI. I DIECI COMANDAMENTI GIUBILARI

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ITRI (LT). P. RUNGI. I DIECI COMANDAMENTI GIUBILARI

Ad un mese dall’apertura del Giubileo della Misericordia, indetto da Papa Francesco e che avrà inizio l’8 dicembre 2015 a Roma, padre Antonio Rungi, religioso passionista, ha composto un decalogo giubilare, nel quale, indicando dieci regole di comportamento, fissa l’attenzione sui contenuti essenziali per una degna celebrazione dell’anno santo.
I dieci comandamenti giubilari sono fissati in questi suggerimenti ed inviti ad agire a livello personale e comunitario.

 

1. Non avrai altro scopo nella vita che quello di servire Dio.

2. Ricordati che sei un peccatore e devi convertiti a Cristo Salvatore.

3. Non offendere nessuno con le parole e le azioni.

4. Ricordati di perdonare a chi ti ha offeso e di chiedere perdono se hai offeso tu.

5. Non pensare solo a te stesso, ma anche ai fratelli che sono in necessità.

6. Ricordati di fare il bene sempre, anche quando non sei ricambiato su questa terra e dai tuoi parenti.

7. Non essere arrogante, presuntuoso e altezzoso, ma sii umile, disponibile e amorevole verso tutti.

8. Ricordati che il Paradiso lo si conquista facendo il bene ed amando Dio e i fratelli.

9. Non essere, ipocrita, falso e infedele, ma sii coerente con te stesso.

10. Ricordati che la verità viene sempre a galla e che in Dio tutto sarà luce e trasparenza assoluta nell’eternità futura.

“Sono convinto -scrive padre Rungi in una Nota personale – che il prossimo giubileo che è prima di tutto per la Chiesa e per i membri tutti della Chiesa è un forte invito alla conversione personale, alla fedeltà alla propria vocazione battesimale, alla pulizia morale e alla trasparenza nei nostri atti e comportamenti. Questo tempo propizio e di grazia deve far riflettere tutti nella Chiesa di Cristo in questo tempo di forti scossoni, ma sempre pronti a rendere ragione della gioia, della speranza, della fede e dell’amore verso Dio e verso i fratelli in ogni situazione, anche dolorosissima, della nostra vita e di quella della comunità dei credenti. Nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio e dalla sincera volontà di convertirci e fare sempre il bene, nonostante le piccole debolezze dell’esistenza”.