Archivi Mensili: giugno 2012

Santa Maria Capua Vetere (Ce). La Chiesa e il Convento della Madonna delle Grazie

madonnadellegraziesmcv.jpgDSC05470.JPGLa Chiesa della Madonna delle Grazie è una struttura dei padri Francescani e con l’annesso convento, costituisce un complesso architettonico moderno, sorto nel XX secolo, quale esigenza di una presenza francescana nella città sammaritana. Il Convento facente parte della Provincia religiosa dei frati minori di Napoli, oggi è una residenza, non più una fraternità, in quanto sono soltanto due i religiosi che compongono la stessa comunità: padre Berardo e padre Masseo  entrambi di origine sammaritana. Sono questi due religiosi che portano avanti la parrocchia e le altre opere pastorali tipiche dell’apostolato dei francescani. La parrocchia si estende nella zona nord-est di Santa Maria Capua Vetere, quella in crescente sviluppo abitativo e sociale, con circa 3000 abitanti, con vari parchi e condomini, con presenze significative da un punto di vista storico, archeologico, istituzionale e sociale, quale l’Università, l’anfiteatro romano e attività commerciali e sportive di vario genere. Da qualche anno è stato attivato anche il Centro culturale francescano, su iniziativa di padre Berardo Buonanno.
Il centro culturale sammaritano è un Centro di aggregazione che partendo dal messaggio solidaristico francescano, offre una serie di attività ludico-culturali aperte a tutti. Tra i progetti perseguiti con maggiore attenzione la realizzazione di una biblioteca dove si è avviata la Lectura Dantis sammaritana. Al momento la biblioteca raccoglie circa 5000 volumi grazie a donazioni, acquisti, ma soprattutto al recupero di volumi destinati al macero in conventi francescani ormai dismessi. Oltre ad opere di grande interesse religioso quali Opera Omnia di S. Tommaso, Opere sul Francescanesimo, Storia della Chiesa e pregevoli manoscritti del ‘500-‘600 ci sono enciclopedie come quella Britannica, la Treccani, classici latini e greci, saggi di Storia dell’arte, libri di narrativa, favole etc. Anche qui i protagonisti sono i giovani della parrocchia, ma anche della fraternità francescana.
La chiesa e le opere annesse rappresentano il cuore dell’attività pastorale della parrocchia dedicata alla S.Maria delle Grazie.
La chiesa con l’attiguo convento sorge sulle rovine della Basilica dei SS. Stefano ed Agata edificata, seconda la tradizione, nel VI secolo da Germano, Vescovo di Capua e nei documenti è citata come “ecclesia S. Stephani ad catabulum” per la vicinanza ad un rudere di epoca romana, ritenuto una stalla per le bestie dell’Anfiteatro capuano.
La chiesa è costruita in forme neoromaniche su disegno dell’architetto samaritano Nicola Parisi. La facciata si presenta con una ripartizione ottenuta tramite piatte lesene che individuano tre zone affiancate; la parte il corpo centrale è a sua volta ripartito in tre parti verticalmente con al centro un arco estremamente allungato che inquadra il portale incassato ornato di cornici multiple, intagliate a fogliami. Nella lunetta, al di sopra dell’architrave, vi è un rilievo in stucco che rappresenta un angelo che dispiega un cartiglio recante l’iscrizione: D. O. M. / IN HONOREM / B. M. V. GRATIARUM. Più in alto, un altro rilievo in stucco che rappresenta la Deposizione di Cristo, copia di un quadro di Murillo, il cui corpo è sorretto da S. Francesco. Il frontespizio superiore triangolare è decorato da eleganti cornici e da archetti pensili, che corrono orizzontalmente lungo tutta la facciata. Un rosone in vetro, finestroni centinati e fasce con motivi geometrici arricchiscono il frontespizio della chiesa. Sul basamento del portale appare l’iscrizione: ARCH. N.PARISI / AD. 1908 – 1916. L’impianto planimetrico è ad aula di forma rettangolare leggermente irregolare. Realizzato in tufo, l’edificio presenta coperture con volta a crociera. All’interno è da segnalare l’arco trionfale a tutto sesto sostenuto da pilastri compositi. L’intradosso è arricchito da due cornici, a foglie d’acanto e fasce bicolori, che poggiano su capitelli corinzi sormontati da pulvini. I pilastri sono a fasce bicolori; di colore grigio, le semicolonne. L’abside minore dell’antica basilica è incorporata nell’attuale chiesa e corrisponde alla cappella della Madonna delle Grazie, mentre l’abside maggiore è visibile dal giardino del convento.

Antonio Rungi

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DSC05456.JPGPARROCCHIA SANTA MARIA DELLE GRAZIE
SANTA MARIA CAPUA VETERE (CE)

NOVENA IN ONORE DELLA MADONNA DELLE GRAZIE

1.O Vergine Santa, che dopo tanti secoli ci avete mostrato di nuovo da codesta venerata immagine il vostro materno sorriso, noi ci prostriamo al vostro altare e vi porgiamo il nostro saluto. Vi salutiamo con l’Angelo piena di grazia. Vi salutiamo con la Chiesa, Madre della divina grazia. Vi salutiamo con i Padri della Chiesa, canale di tutte le grazie.
Accogliete il nostro filiale omaggio e arricchite l’anima nostra della grazia necessaria a vivere una vita veramente cristiana, conforme agli insegnamenti del vostro divin Figlio. (Ave Maria).

2.Quale gioia è per noi, Vergine Santa, inginocchiarci al vostro altare, dove si inginocchiarono i nostri antenati, i nostri padri nella fede. Davanti alla vostra immagine, noi, valicando gli spazi del tempo, ci sentiamo uniti ad essi, nella fede e nell’amore a voi.
Aumentate con la vostra grazia questa fede e quest’amore, perché possiamo renderci sempre più degni della vostra materna protezione. (Ave Maria).

3.Fu certo, o Vergine Santa, disposizione ammirabile della divina Provvidenza che del magnifico e grandioso tempio innalzato dal Vescovo San Germano sia rimasta superstite l’edicola che contiene la vostra venerata immagine. Ciò perché era prestabilito sorgesse qui un tempio in vostro onore e si aprisse una fonte di grazia in questa valle benedetta.
Accogliete, o Madre, col vostro materno sorriso quanti vengono a dissetarsi a questa fonte celestiale, esaudite le loro preghiere e confortateli della vostra grazia. (Ave Maria).

4.Come è bello pensare o Vergine Santa che qui, dove un tempo imperversava il ruggito delle fiere, echeggi ora la melodia della preghiera, che alla dissipazione chiassosa dei giochi del circo, sia subentrato il devoto raccoglimento delle sacre celebrazioni, che dalla furia omicida dei gladiatori sia subentrata l’opera salutare dei sacerdoti che promuovono il vostro culto ed esortano tutta l’umanità alla santità della vita.
Oh Maria Vergine piena di grazia concedete a tutti abbondanti beni spirituali per le anime nostre. (Ave Maria).

5.O dolcissima Madre è per noi motivo di grande gioia chiamarvi con il titolo di Madonna delle grazie, che tra i tanti è il più dolce, il più bello. Nella vita cristiana e per la nostra vita soprannaturale, la grazia è quel che è l’aria per la vita soprannaturale. Di questa grazia Voi siete la celeste tesoriera e dispensatrice, tale vi ha costituita il Signore per la vostra generosa cooperazione all’opera dell’umana redenzione.
Concedeteci, o Madre, l’abbondanza di questa grazia perché possiamo raggiungere la nostra eterna salvezza. (Ave Maria).

6.La prima grazia che concedeste al mondo, o Vergine, fu il consenso dato da voi all’Incarnazione nel vostro seno del Figlio di Dio. I Padri della Chiesa dicono che i momenti che passarono tra la proposta dell’Angelo e la vostra risposta furono momenti di trepida attesa. Tutto il mondo era in attesa, e quando voi pronunciaste il Fiat fu un giubilo, un’allegrezza in cielo e in terra. La grazia faceva il suo ingresso nel mondo in persona del Figlio di Dio e, voi eravate l’Arca Santa che Lo portava e Lo donava all’umanità in attesa del Liberatore promesso.
Vi ringraziamo di questo immenso beneficio e promettiamo col vostro aiuto di esserne sempre più degni. (Ave Maria).

7.Per la vostra dignità incomparabile di Madre di Dio, la Santissima Trinità fece a gara per arricchirvi di tutte le grazie. E’ ben a ragione l’Angelo vi salutò piena di grazia. Piena nel tempo, perché non c’è stato istante in cui siete stata priva di grazia. Piena nel numero perché non c’è stata grazia che non vi sia stata concessa dal primo istante del vostro concepimento, fino alla vostra assunzione al cielo. La grazia ha inondata l’anima vostra in tutto, come il prisma riflette tuti i colori della luce così come l’anima vostra riflette tutte le sfumature della grazia.
Vergine Santa sia dato alle anime nostre di partecipare secondo i bisogni all’abbondanza delle vostre grazie. (Ave Maria).

8.La vostra materna sollecitudine nell’elargire le grazie di cui siete ripiena è dimostrata dalla visita alla vostra cugina santa Elisabetta. Quando apprendeste dall’Angelo che ella aveva miracolosamente concepito un figlio vi recaste sollecita alla sua dimora a prestarle i vostri umili servizi, voi costituita in tanta dignità. Al vostro arrivo la grazia investì in pieno la madre e il figlio che aveva nel seno. Elisabetta espresse commossa la sua meraviglia per tanta degnazione. Il nascituro esultò di gioia e di allegrezza: e voi prorompeste nel cantico meraviglioso del Magnificat, esaltazione stupenda dell’opera della grazia.
Visitate, o Madre, le anime nostre ed allietatele della vostra grazia come allietaste la casa di Elisabetta. (Ave Maria).

9.Ci è nota la sensibilità del vostro cuore materno, nel venire incontro ai nostri bisogni. Alle nozze di Cana non appena vi accorgeste dell’imbarazzo dei padroni di casa sussurraste all’orecchio del vostro divin Figlio: “Non hanno più vino”; Gesù rispose che non era venuta ancora la sua ora; ma la richiesta veniva da voi ed Egli non esitò a compiere il primo miracolo.
E quanti altri miracoli sono stati concessi per la vostra intercessione! La storia del cristianesimo ne è ripiena.
Vi salutiamo con la Chiesa mediatrice di tutte le grazie. Madre nostra intercedete per noi presso il trono dell’Altissimo ed otteneteci le grazie necessarie: la grazia di una fede viva ed operosa; la grazia di un amore ardente, la grazia di una carità generosa, la grazia di una vita buona e di una morte santa perché possiamo raggiungere la fecità eterna e lodare con voi per sempre la santissima Trinità. Così sia.

 

 

 

Un libretto di preghiere on-line per i maturandi

preghiere esamistato2012.jpgAlla vigilia degli esami di stato 2012 nelle scuole superiori, in cui è docente di ruolo in Filosofia e pedagogia, padre Antonio Rungi, religioso passionista e teologo morale, pubblica una seconda edizione, dopo il successo dello scorso, di un e-book (libretto telematico) in cui ha raccolto una  serie di preghiere “per sostenere spiritualmente il cammino culturale dei giovani in questo tempo di esami”. Il religioso precisa che si tratta di “un vero e proprio  libretto di preghiere tradizionali o recenti on-line che possono utilizzare gli studenti cattolici credenti e praticanti, o qualsiasi altro studente, per avere quel necessario sostegno spirituale in questo tempo di particolare bisogno di sostegno dall’alto. Si sa aggiunge il sacerdote che l’ansia e la preoccupazione per gli studenti più motivati e che si attendono risultati brillanti, frutto di un percorso serio di studi, ci vuole la necessaria serenità interiore e psicologica,per affrontare la maturità. La preghiera cristiana è di garnde aiuto da questo punto di vista. Preghiere indirizzare – afferma P.Rungi – comunque e sempre al Signore, attraverso la Vergine Santa, e con il patrocinio di alcuni tra i santi più venerati ed amati in Italia e nel mondo, quali San Giuseppe, San Pio da Pietrelcina, San Gabriele dell’Addolorata, Sant’Antonio di Padova, San Giuseppe Moscati. Santi venerati al Nord e al Sud e che nella classifica delle preghiere trovano diversa collocazione tra gli studenti che pregano in questa circostanza. Così come padre Pio è molto gettonato al Sud, Sant’Antonio lo è al Nord. Queste scelte sono motivate anche da fatto -precisa P.Rungi- che ci sono i riferimenti geografici quali San Giovanni Rotondo per Padre Pio e Padova per Sant’Antonio. Al di là dei santi a cui in questi giorni ci si voterà in modo speciale, molti ragazzi e soprattutto ragazze sono particolarmente attenti anche nel curarsi spiritualmente in occasione degli esami di maturità che, al di là di quanto si dice, rimane una delle prove più sentite della carriera scolastica, perché sono i primi veri esami in cui una persona ormai matura e non solo perché maggiorenne, deve dimostrare di possedere tutta quella cultura che ha acquisito nel corso degli anni di scuola superiore. E gli studenti sanno che si tratta di una prova che va affrontata con serietà, ma anche con la serenità. A ognuno di loro, circa 500.000 quest’anno, auguriamo –conclude padre Rungi- di sostenere un ottimo esame di stato per la soddisfazione propria, della famiglia, degli insegnanti, delle commissioni e per il bene dell’Italia che necessita di professionisti a tutti i livelli qualificati e preparati. Avere studenti preparati e maturi fa bene a tutti e sicuramente aiuta ad uscire anche dalla crisi mondiale, che riguarda in parte anche l’Italia. E penso ai vari studenti che hanno studiato nei vari licei o istituti professionali, specialmente commerciali, che hanno molto da apprendere e poi da applicare nello svolgimento della professione immediata o successiva. Quindi una prova davvero importante per il singolo studente e per la comunità sociale”.

Qui di seguito alcune preghiere che fanno parte dell’e-book

Preghiera per i maturandi

Signore Gesù, degno discepolo san Giuseppe,
tuo padre putativo e giuridico,
alla cui scuola imparasti il mestiere di artigiano,
a conclusione del quinquennio di studio da me frequentato
ti chiedo di aiutarmi a sostenere un buon esame di stato
per conseguire la tanta attesa maturità.

Sono più che mai convinto
che avrei potuto e dovuto fare molto di più
rispetto a quello che ho realizzato
in questi lunghi anni di impegno scolastico,
ma ora che il passato è alle spalle
e rimane solo la verifica finale
di questo itinerario culturale, umano, sociale e spirituale,
fa che i pochi o molti risultati raggiunti
non vengano da me sciupati con prove di esami
approssimative, scialbe e superficiali.

Fa che in questo tempo di esami
sia in grado di dare il meglio di me stesso
sia per una mia personale soddisfazione
e sia per essere riconoscente a quanti mi hanno sostenuto
in questo cammino di formazione e istruzione.

Assistimi durante i compiti scritti ed orali
con il tuo Santo Spirito, che è sapienza,
intelletto, consiglio, fortezza e scienza
perché il mio poco o molto sapere
si manifesti a quanti dovranno verificare
le mie conoscenze, competenze e capacità
nel modo migliore per me e per i miei esaminatori.

A conclusione dell’intero periodo di esami
spero dal profondo del cuore
di ricevere il meritato voto, frutto del mio studio,
del mio impegno e non di raccomandazioni
o sotterfugi e intrighi vari
che non fanno onore ad uno studente
retto di cuore, di sani principi morali
e con una chiara coscienza del suo operato. Amen.
(Padre Antonio Rungi)

Preghiera a San Pio da Pietrelcina

O diletto figlio di San Francesco d’Assisi e della terra sannita,
che fosti chiamato da Dio
a percorrere la strada stretta dei consigli evangelici
e ad assimilarti, ogni giorno, al mistero del Cristo Crocifisso,
ora che godi della visione beatifica di Dio
concedi ai tuoi devoti
le grazie spirituali di cui hanno bisogno.

Tu sacerdote di Cristo
che hai vissuto nella totale fedeltà a Lui,
concedi anche a noi di essere fedeli
ai nostri impegni cristiani e sociali.
Tu autentico devoto della Madre di Dio
che affidasti a Lei il tuo ministero sacerdotale
concedi a noi tuoi figli spirituali
di amare con la stessa intensità del tuo amore
la Madre di nostro Signore.

Tu che hai amato di intenso amore
la santa Chiesa ed il Sommo Pontefice
concedi ai cristiani del nostro tempo
di difendere dagli attacchi dei nemici di Cristo
la sua sposa castissima.

O San Pio da Pietrelcina
fa di tutti noi, mediante la tua intercessione presso il Signore,
degni discepoli dell’unico Maestro,
alla cui scuola tu hai realizzato il tuo progetto di santità.

Benedici quanti confidano nel tuo patrocinio presso Dio,
difendici dalle insidie del maligno,
proteggi i nostri bambini, i giovani, gli ammalati, gli anziani
e tutti coloro che non contano nella nostra società.
Amen.
(Padre Antonio Rungi)

PREGHIERA A SANT’ANTONIO DI PADOVA

O glorioso S. Antonio, amico della gioventù,
a te mi rivolgo con fiducia,
a te affido le mie aspirazioni e i miei desideri.

Aiutami a vivere nella purezza di cuore,
costante nella pratica della vita cristiana
e fa che io sia capace di attuare gli ideali più belli.

Ti raccomando il mio studio e il mio lavoro che voglio,
affrontare con serietà in modo da formarmi alla vita
ed essere utile alla mia famiglia e al mio prossimo.

Fa che io possa avere sempre delle vere e sane amicizie,
tienimi lontano da ogni male
e aiutami ad essere forte nelle mie convinzioni cristiane.
Proteggimi sempre e intercedi per me presso il Signore Gesù.
Amen.

 

PREGHIERA A SAN GIUSEPPE LAVORATORE

 

Glorioso san Giuseppe,
modello di tutti quelli che sono votati al lavoro,
donami la grazia di lavorare con spirito di penitenza
per l’espiazione dei miei numerosi peccati;
di lavorare con coscienza,
ponendo il culto del dovere al di sopra delle mie inclinazioni;
di lavorare con riconoscenza e gioia,
osservando come un bravo dipendente,
e di sviluppare attraverso il lavoro i doni ricevuti da Dio;
di lavorare con ordine, pace, moderazione e pazienza,
senza mai indietreggiare davanti alla stanchezza e alle difficoltà;
di lavorare soprattutto con intenzioni pure e con distacco da me stesso,
avendo continuamente davanti agli occhi la morte
ed il conto che dovrò rendere del tempo perso,
dei talenti inutilizzati e delle vane compiacenze legate al successo,
se funeste all’opera di Dio.
Tutto per Gesù, tutto per Maria,
tutto a tua imitazione,
o santo patriarca Giuseppe!
Tale sarà il mio motto nella vita e nella morte. Amen. (Pio V)

 

Preghiera di un giovane a San Giuseppe Artigiano

 

San Giuseppe,
il Figlio di Dio stesso ti ha scelto per essere suo padre,
la sua guida e il suo protettore durante l’infanzia, la sua adolescenza e la sua giovinezza.
Lui ha voluto essere condotto da te lungo tutto il cammino della sua esistenza terrena.
Tu hai compiuto il tuo uffizio con grande fedeltà.
Anch’io ti affido la mia giovinezza.
Nel nome di Gesù, io ti chiedo di essere la mia guida ed il mio protettore,
oso dire mio padre lungo il pellegrinaggio della mia vita.
Non permettere che io mi allontani dal cammino della vita che è nei comandamenti di Dio.
Desidera essere il mio rifugio nelle avversità,
la mia consolazione nelle pene, il mio consigliere nei dubbi,
fino a che salirò al Cielo, dove esulterò in Gesù mio Salvatore con te,
la tua Santissima Sposa Maria e tutti i santi.
Amen.

 

Preghiera a San Giuseppe da Copertino per il felice esito degli esami

 

O Santo Protettore, tanto benigno verso chi vi invoca e tanto generoso verso chi vi chiede grazie, ascoltatemi nelle mie attuali angustie.
Per quell’amore che vi rapiva in Dio, per l’infiammato affetto che vi fece devotissimo della Madre del Signore, per la singolare devozione che vi rese inimitabile seguace del vostro padre e maestro Francesco di Assisi, aiutatemi, vi scongiuro, in questi giorni di preparazione alla prova/esame che presto dovrò affrontare.
Fate che quanto ho seminato sia per me ricco di raccolto; datemi la gioia di un esame pieno di conforto e privo di trepidazioni. Tanto io da voi attendo, o caro Santo, anche in considerazione di ore forse non degnamente sfruttate per lo studio…
Voi le conoscete le dure vigilie dell’esaminando: Dio vi consolò facilitandovi sempre ed in modo singolarissimo.
Assistetemi e fate che altrettanto avvenga per me, in modo che possa con prontezza e vivacità superare quel timore che invadendo l’animo mi ottenebra la mente.
La mia fiducia è dunque in voi o protettore mio.
Fate che le mie speranze non vadano deluse!
Amen.

 

PREGHIERA A SAN GIUSEPPE MOSCATI PER CHIEDERE UNA GRAZIA
Amabilissimo Gesù, che ti degnasti venire sulla terra per curare
la salute spirituale e corporale degli uomini e fosti tanto largo
di grazie per San Giuseppe Moscati, facendolo un medico secondo
il tuo Cuore, insigne nella sua arte e zelante nell’amore apostolico,
e santificandolo nella tua imitazione con l’esercizio di questa duplice,
amorevole carità verso il prossimo, ardentemente ti prego
di voler glorificare in terra, il tuo servo nella gloria dei santi,
concedendomi la grazia…. che ti chiedo, se è per la tua
maggior gloria e per il bene delle anime nostre. Amen.

 

Preghiera a San Gabriele dell’Addolorata

 

O giovane santo, innamorato della Vergine Addolorata
che ai piedi del Crocifisso con Maria
imparasti a vivere la passione di Cristo,
fa che nella chiesa di oggi e nella società umana
rifiorisca quell’amore al Redentore
che è stato il motivo dominante
della tua coraggiosa scelta di consacrazione Signore.
Tu alla scuola di san Paolo della Croce
imparasti a vivere nel silenzio, nella solitudine del convento,
nella preghiera incessante e nella penitenza più totale,
fa che anche noi, uomini e donne del ventunesimo secolo,
sentiamo il bisogno di fare esperienza del deserto,
entrando in quel cammino di conversione permanente
che porta il credente a mettere al centro della propria esistenza
solo Colui che è la nostra vera gioia e felicità in questa terra e nell’eternità.
Dal Paradiso proteggi tutti i giovani del mondo,
in questo tempo di forte crisi di valori e di identità,
nel quale è facile smarrirsi e deviare,
senza più ritrovare la strada che riporta a Dio e all’eternità
Essi hanno bisogno in modo singolare
del tuo speciale patrocinio dal trono di Dio,
dove in eterno contempli il tuo amato Signore
e godi della visione beatifica della Vergine Santa,
tua e nostra amatissima Madre.
Non permettere che nessun giovane di questa terra
perda la speranza e la fiducia in Dio e nel prossimo,
ma ognuno sappia sperare in un mondo migliore
e in una nuova umanità, in  cui regnerà per sempre la giustizia e la pace.
Ti affidiamo in modo singolare i bambini ed i fanciulli dell’Italia e del Pianeta intero, perché possano vivere in un mondo riconciliato nell’amore.
Assisti quanti sono nelle difficoltà di ogni genere e dal cielo fa scendere,
attraverso la tua potente intercessione, abbondante la benedizione del Signore.
Benedici, o Gabriele, quanti ricorrono a te con fede,
chiedendo, tramite te, al Padre di eterna bontà e carità,
quanto è necessario per una degna vita umana,
contrassegnata da tante sofferenze, privazioni e prove di ogni genere.
Tu che occupi uno speciale posto nel cuore di Gesù e Maria,
fa che possiamo vivere in questo mondo
in stretta amicizia con il Figlio di Dio e la Madre di Dio.
Dal tuo santuario dell’Isola del Gran Sasso
dispensa a tutti gli uomini della terra ed ai tanti devoti e tuoi fedeli
il dono del vero sorriso che proviene da Dio,
la pace del cuore che viene da un cuore riconciliato con il Signore,
la bontà e la misericordia per quanti necessitano del perdono del Signore,
perché lontani da Lui e peccatori incalliti
nel vizio del male e di ogni depravazione morale.
Ottieni dal Signore il ritorno ai retti costumi
in ogni campo del vivere umano, sociale ed ecclesiale
e il mondo possa godere di una stabile pace su tutta la terra, senza conflitti, divisioni e paure di qualsiasi genere.
Gabriele, tu che tutto puoi ed ottieni dal Signore,
non dimenticarti di nessuno di noi.
 Amen.
(Padre Antonio Rungi)

 

PREGHIERA A SAN LUIGI GONZAGA
O amabile San Luigi,
la cui illibata purezza rese simile agli Angeli,
e l’ ardente amore a Dio eguagliò ai Serafini del Cielo,
volgete su di me uno sguardo di misericordia.
Voi vedete quanti nemici mi attornano,
quante occasioni insidiano all’ anima mia;
e come la freddezza del mio amore a Dio
mi metta a pericolo di offenderlo ad ogni piè sospinto
e di allontanarmi da Lui, lasciandomi adescare ai fallaci piaceri di terra.

 

Salvatemi Voi, o gran Santo… a Voi mi affido.
Impetratemi Voi ardente amore a Gesù Sacramento
ed ottenetemi grazia ch’ io sempre mi accosti
al Banchetto Eucaristico con cuore puro e contrito,
ripieno di fede viva ed umiltà profonda.
Le mie comunioni allora saranno,
come le furono per Voi,
potente farmaco d’ immortalità,
soave profumo dell’ eterno bacio di Dio. Amen

 

 
Preghiera a Santa Rita da Cascia

 

Sotto il peso e tra le angosce del dolore,
a Voi che tutti chiamano la santa degli impossibili,
io ricorro nella fiducia di presto averne soccorsi.
Liberate, vi prego, il mio povero cuore,
dalle angustie che da ogni parte l’opprimono,
e ridonate la calma a questo spirito che geme,
sempre pieno di affanni.
E giacché riesce inutile ogni mezzo a procurarmi sollievo,
totalmente confido in Voi
che foste da Dio prescelta per avvocata dei casi più disperati.
Se sono di ostacolo al compimento dei miei desideri,
i peccati miei ottenetemi da Dio ravvedimento e perdono.
Non permettete, no, che più a lungo sparga lacrime di amarezza,
premiate la mia ferma speranza,
ed io darò a conoscere dovunque
le grandi vostre misericordie verso gli animi afflitti.
O ammirabile sposa del Crocifisso,
 intercedete ora, sempre per i miei bisogni. Amen

 

 

Napoli. Il Cardinale Sepe inaugura il convento dei passionisti ristrutturato dopo il sisma del 1980

napoli_facciata.jpg(A.R.).Sarà il Cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, questa sera, 15 giugno 2012, alle ore 19.00, durante una solenne concelebrazione nella Chiesa di Santa Maria ai Monti, ai Ponti Rossi, ad inaugurare il complesso monumentale e conventuale dei Passionisti di Napoli, dopo 32 anni di lavori di ristrutturazione, dopo il terremoto del 1980 in Irpinia e in Campania.
Otto curie provinciali hanno messo mano per realizzare e completare i lavori, con i rispettivi superiori provinciali: P.Valente Schiavone, P.Stanislao Renzi, P.Giuseppe Comparelli, P.Luodovico Izzo, P.Giovanni Cipriani, P.Antonio Rungi, P.Enzo Salvatore Del Brocco, attuale preposito provinciale, che ha completato i lavori. Domani sarà lui a presiedere la messa dopo l’ianugurazione. Impegno consistente in questa opera di ristrutturazione è stato profuso da padre Pancrazio Scanzano, morto lo scorso anno, da padre Pietro Boniello già superiore della casa ed economo provinciale, dai vari superiori della casa religiosa che si sono succeduti nel tempo in questi 32 anni di interminabili lavori, finalmente completati, passo dopo passo ed anno dopo anno.
Nel 2000 fu il Cardinale Michele Giordano, di v.m. a riaprire al culto dei fedeli l’artistica chiesa di Santa Maria ai Monti, la più danneggiata dal sisma. Oggi, in occasione della Solennità del Sacro Cuore di Gesù, giornata mondiale della santificazione dei sacerdoti,  sarà l’attuale arcivescovo di Napoli a riaprire la struttura conventuale, quasi completamente rifatta, nel rispetto delle leggi e dell’arte, con i contributi dello Stato e con uno sforzo economico della Provincia religiosa dei Passionisti della Campania e del Lazio Sud, che va sotto il nome della Beata Maria Vergine Addolorata, con sede legale in Napoli dal 1929.
I Passionisti vivono in questo convento dal 1900 pregando e svolgendo il loro apostolato, portando la Parola della Croce come rimedio ai mali del mondo, tenendo fissi gli sguardi ai “crocifissi di ogni tempo”. Ciò per continuare l’opera del Signore e del loro Santo Fondatore, San Paolo della Croce, che visitò Napoli due volte ed assistette anche al miracolo della liquefazione del Sangue di San Gennaro e che volle fortemente una presenza passionista nel Regno di Napoli. Sogno che si realizzò solo a distanza di 125 anni dalla morte del Santo.
Da sempre luogo di preghiera, di studio e di partenza per l’attività missionaria nella Regione Campania, il Convento dei Passionisti è stato nel passato Studentato Teologico, nel quale si sono formati i passionisti di ieri e di oggi, frequentando le università teologiche e statali funzionanti in Napoli. Un punto di riferimento culturale e spirituale anche per le molteplici attività pastorali e missionari che svolgono i Passionisti nella Città di Napoli e nell’Arcidiocesi partenopea.
La storia di questo monumentale complesso religioso parte da lontano. Fu, infatti, il Venerabile Carlo Carafa, fondatore dei Pii Operai, a cominciare l’8 ottobre del 1605 la costruzione del complesso conventuale di S. Maria dei Monti, adattando un’antica masseria acquistata da un privato.
Il 14 maggio del 1606, festa della Pentecoste, P. Carlo Carafa insieme con i suoi confratelli celebrò la prima Messa nella chiesa della Madonna dei Monti. Il quadro di Maria Regina degli Apostoli è opera del pittore Girolamo Arena. Esso rappresenta l’immagine della Madonna che siede su tre monti, tra gli Apostoli Pietro e Paolo, e il Bambino che tiene in mano il mondo. Da quel lontano lunedì di Pentecoste i Monti da luogo dove si nascondevano briganti e ladri divenne luogo di spiritualità, ed ancora oggi la tradizione vuole in questo giorno numerosi fedeli si recano a venerare la Vergine.
La crescente affluenza dei fedeli che accorreva a venerare la Vergine dei Monti, spinse il comune di Napoli nel 1621 a costruire una strada a rampe di basalto. Occorreva anche una Chiesa più grande e il 22 gennaio 1628 il cardinale Francesco Buoncompagno pose la prima pietra, secondo il nuovo progetto del Cavaliere Cosimo Fanzago (architetto e scultore 1591-1678) esponente di prestigio del barocco napoletano. Detti lavori terminarono almeno nel rustico nel 1654. La tremenda pestilenza che colpì la città di Napoli nel 1656 decimò la comunità, ed il terremoto del 1688 danneggiò gravemente casa e chiesa. La chiesa fu terminata e consacrata il 20 ottobre del 1724 da Antonio Sanfelice vescovo di Nardò. Nel periodo napoleonico 1805-1820, con la repubblica napoletana e il regno di Gioacchino Murat, la tempesta si abbatté sul Convento dei Monti. I Pii Operai furono espulsi, convento e chiesa saccheggiati e trasformata in sede di comandi militari e per decenni soggetta a profanazione. Nel 1898 ad opera del pio operaio Antonio Campanile cominciarono i contatti con i Passionisti che presero possesso del convento il 24 marzo del 1900
Una lunga storia di presenza e santità che i passionisti conservano gelosamente nella memoria e soprattutto nel loro cuore, quel cuore che è stemma tipico della Congregazione di San Paolo della Croce che ha voluto fissare in poche espressioni il suo carisma: “La Passione di Gesù Cristo”. E sarà l’ultimo successore in ordine di tempo, padre Ottaviano D’Egidio, Superiore generale dei Passionisti, a presiedere la solenne concelebrazione  nella Chiesa di Santa Maria ai Monti, domenica 17 giugno alle ore 11,30 a chiusura dei festeggiamenti.

Lettera ai sacerdoti- 15 giugno 2012

DSC04367.JPGLETTERA AI SACERDOTI

Cari Sacerdoti,

Nella prossima solennità del Sacro Cuore di Gesù (che ricorre il 15 giugno 2012) celebreremo, come di consueto, la “ Giornata Mondiale di Preghiera per la Santificazione del Clero”. L’espressione della Scrittura «Questa è la volontà di Dio: la vostra santificazione!» (1Tess 4,3), pur essendo rivolta a tutti i cristiani, riguarda in modo particolare noi sacerdoti che abbiamo accolto non solo l’invito a “santificarci”, ma anche quello a diventare “ministri di santificazione” per i nostri fratelli. Questa “volontà di Dio”, nel nostro caso, si è, per così dire, raddoppiata e moltiplicata all’infinito, tanto che ad essa possiamo e dobbiamo obbedire ad ogni azione ministeriale che compiamo. È questo il nostro stupendo desti no: non possiamo santificarci senza lavorare alla santità dei nostri fratelli, e non possiamo lavorare alla santità dei nostri fratelli senza che abbiamo prima lavorato e lavoriamo alla nostra santità. Introducendo la Chiesa nel nuovo millennio, il Beato Giovanni Paolo II ci ricordava la normalità di questo “ideale di perfezione”, che deve essere offerto subito a tutti: «Chiedere a un catecumeno: “Vuoi ricevere il Battesimo?” significa al tempo stesso chiedergli: “Vuoi diventare santo?”»

Certamente, nel giorno della nostra Ordinazione Sacerdotale, questa stessa domanda battesimale è risuonata nuovamente nel nostro cuore, chiedendo ancora la nostra personale risposta; ma essa ci è stata anche affidata, perché sapessimo rivolgerla ai nostri fedeli, custodendone la bellezza e la preziosità. Questa persuasione non è contraddetta dalla coscienza delle nostre personali inadempienze, e nemmeno dalle colpe di alcuni che, a volte, hanno umiliato il sacerdozio agli occhi del mondo. A distanza di dieci anni – considerando gli ulteriori aggravamenti delle notizie diffuse –dobbiamo far risuonare ancora nel nostro cuore, con più forza ed urgenza, le parole che Giovanni Paolo II ci ha rivolto nel Giovedì Santo dell’anno 2002: «In questo momento, inoltre, in quanto sace rdoti, noi siamo personalmente scossi nel profondo dai peccati di alcuni nostri fratelli che hanno tradito la grazia ricevuta con l’Ordinazione, cedendo anche alle peggiori manifestazioni del mysterium iniquitatis che opera nel mondo. Sorgono così scandali gravi, con la conseguenza di gettare una pesante ombra di sospetto su tutti gli altri benemeriti sacerdoti, che svolgono il loro ministero con onestà e coerenza, e talora con eroica carità. Mentre la Chiesa esprime la propria sollecitudine per le vittime e si sforza di rispondere secondo verità e giustizia a ogni penosa situazione, noi tutti – coscienti dell’umana debolezza, ma fidando nella potenza sanatrice della grazia divina – siamo chiamati ad abbracciare il “mysterium Crucis” e a impegnarci ulteriormente nella ricerca della santità. Dobbiamo pregare perché Dio, nella sua provvidenza, susciti nei cuori un generoso rilancio di quegli ideali di totale donazione a Cristo che stanno alla base del ministero sacerdotale». Come ministri della misericordia di Dio, noi sappiamo, dunque, che la ricerca della santità può sempre ricominciare dal pentimento e dal perdono. Ma sentiamo anche il bisogno di chiederlo, come singoli sacerdoti, a nome di tutti i sacerdoti e per tutti i sacerdoti. a nostra fiducia viene poi ulteriormente rafforzata dall’invito che la Chiesa stessa ci ivolge a oltrepassare nuovamente la Porta fidei, accompagnando tutti i nostri fedeli. appiamo che questo è il titolo della Lettera Apostolica con la quale il Santo Padre enedetto XVI ha indetto l’Anno della Fede che avrà inizio il prossimo 12 ottobre 012.
Una riflessione sulle circostanze di questo invito ci può aiutare. sso si colloca nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico aticano II (11 ottobre 1962) e nel ventesimo anniversario della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica (11 ottobre 1992). Inoltre, per il mese di ottobre 2012, è stata convocata l’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi sul tema de La nuova evangelizzazione per la trasmiss ione della fede cristiana. Ci sarà chiesto, dunque, di lavorare in profondità su ognuno di questi “capitoli”: – sul Concilio Vaticano II, affinché sia nuovamente accolto come «la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX» : “Una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre”, “una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa”;– sul Catechismo della Chiesa Cattolica, perché sia davvero accolto e utilizzato «come uno strumento valido e legittimo al serv izio della comunione ecclesiale e come una norma sicura per l’insegnamento della fede»; – sulla preparazione del prossimo Sinodo dei Vescovi perché sia davvero «un’occasione propizia per introdurre l’intera compagine ecclesiale a un tempo di particolare riflessione e riscoperta della fede». Per ora – come introduzione a tutto il lavoro – possiamo brevemente meditare su questa indicazione del Pontefice, verso la quale tutto converge: «È l’amore di Cristo che colma i nostri cuori e ci spinge a evangelizzar e. Egli, oggi come allora, ci invia per le strade del mondo per proclamare il suo Vangelo a tutti i popoli della terra (cfr. Mt 28,19). Con il suo amore, Gesù Cristo attira a sé gli uomini di ogni generazione: in ogni tempo Egli convoca la Chiesa affidando le l’annuncio del Vangelo, con un mandato che è sempre nuovo. Per questo anche oggi è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede».“Tutti gli uomini di ogni generazione”, “tutti i popoli della terra”, “nuova evangelizzazione”: davanti a questo orizzonte così universale, soprattutto noi sacerdoti dobbiamo chiederci come e dove queste affermazioni possano legarsi e consistere. Possiamo allora cominciare ricordando come già il Catechismo della Chiesa Cattolica si apra con un abbraccio universale, riconoscendo che “L’uomo è «capace» di Dio”; ma, lo ha fatto scegliendo – come sua prima citazione – questo testo del Concilio Ecumenico Vaticano II: «La ragione più alta (“eximia ratio”) della dignità umana consiste nella chiamata dell’uomo alla comunione con Dio. L’uomo è invitato al colloquio con Dio, fin dalla sua origine: egli, infatti, non esiste, se non perché, creato da Dio dalle vis cere del Suo amore (“ex amore”), viene mantenuto nell’esistenza sempre tratto dal grembo di tale amore (“ex amore”); e non vive pienamente secondo verità, se non riconosce liberamente questo amore e se non si affida al suo Creatore. Tuttavia molti nostri contemporanei non percepiscono affatto o esplicitamente rigettano questo intimo e vitale congiungimento con Dio» (“hanc intimam ac vitalem coniunctionem cum Deo”). Come dimenticare che, col testo appena citato – proprio nella ricchezza delle formulazioni scelte –i Padri conciliari intendevano rivolgersi direttamente agli atei, affermando l’immensa dignità della vocazione, da cui si erano estraniati già in quanto uomini? E lo facevano con le stesse parole che servono a descrivere l’esperienza cristiana, al massimo della sua intensità mistica! Anche la Lettera Apostolica Porta Fidei inizia affermando che questa «introduce alla vita di comunione con Dio», il che significa che essa ci permette di immergerci direttamente nel mistero centrale della fede che dobb iamo professare: «Professare la fede nella Trinità – Padre, Figlio e Spirito Santo – equivale a credere in un solo Dio che è Amore». Tutto questo deve risuonare particolarmente nel nostro cuore e nella nostra intelligenza, per renderci consape voli di quale sia oggi il dramma più grave dei nostri tempi. Le nazioni già cristianizzate non sono più tentate di cedere a un generico ateismo (come nel passato), ma rischiano di essere vittime di quel particolare ateismo che viene dall’aver dimenticato la bellezza e il calore della Rivelazione Trinitaria. Oggi sono soprattutto i sacerdoti, nella loro quotidiana adorazione e nel loro quotidiano ministero che devono ricondurre tutto alla Comunione Trinitaria: solo a partire da essa e immergendosi in essa, i fedeli possono scoprire davvero il volto del Figlio di Dio e la sua contemporaneità, e possono davvero raggiungere il cuore di ogni uomo e la patria a cui tutti sono chiamati. E solo così noi sacerdoti possiamo offrire di nuovo agli uomini di oggi la di gnità dell’essere persona, il senso delle umane relazioni e della vita sociale, e lo scopo dell’intera creazione. “Credere in un solo Dio che è Amore” : nessuna nuova evangelizzazione sarà davvero possibile se noi cristiani non saremo in grado di stupire e commuovere nuovamente il mondo con l’annuncio della Natura d’Amore del Nostro Dio, nelle Tre Divine Persone che la esprimono e che ci coinvolgono nella loro stessa vita. Il mondo di oggi, con le sue lacerazioni sempre più dolorose e preoccupanti, ha bisogno di Dio-Trinità, e annunciarlo è il compito della Chiesa. La Chiesa, per poter adempiere questo compito, deve restare indissolubilmente abbracciata a Cristo e non lasciarsene mai separare: ha bisogno di Santi che abitino “nel cuore di Gesù” e siano testimoni felici dell’Amore Trinitario di Dio. E i Sacerdoti, per servire la Chiesa e il Mondo, hanno bisogno di essere Santi!
Dal Vaticano, 26 marzo 2012
Solennità dell’Annunciazione della B.V.

Sant’Antonio: l’umiltà punto di partenza per ogni vita virtuosa

s_-antonio.jpgTra le tante virtù che costituiscono la struttura dell’edificio spirituale, sant’Antonio si sofferma francescanamente su quattro che rivelano la sua spiritualità: l’umiltà, l’obbedienza, la povertà e la carità.

Alla base della sua ascesi, il santo pone l’umiltà, radice e madre di tutte le virtù. L’umiltà è diventata il suo proprio “io”, l’essenza del suo modo di pensare e di agire, come risulta chiaramente dai Sermones antoniani.

Essa è la conseguenza della riflessione sull’abiezione e sulla nullità della natura umana.

Considerando le conseguenze fisiologiche della nutrizione e della digestione del corpo umano il quale è costretto alla defecazione, sant’Antonio afferma che, di fronte a una tale bassezza, ogni uomo deve umiliarsi profondamente. Perfino il concepimento e la nascita sono, per Antonio, un motivo per deporre qualsiasi sentimento di superbia.

L’umiltà fa conoscere all’uomo se stesso e Dio. Come il fuoco riduce in cenere e abbassa le cose alte, così l’umiltà costringe il superbo a piegarsi e a umiliarsi, ripetendo le parole del Genesi: “Polvere tu sei e in polvere tornerai” (3,19). Il vero umile si ritiene un verme, un figlio di verme e putredine. Il disprezzo di sé (contemptus sui) è la principale virtù dell’uomo giusto, con la quale egli, verme della terra, si contrae e si allunga per raggiungere i beni celesti. La superbia è il più grave peccato davanti a Dio e l’umiltà è la più nobile delle virtù. Essa sostiene con modestia le cose ignobili e disoneste ed è aiutata dalla grazia divina.

L’umiltà è paragonata a un fiore, poiché come un fiore essa ha la bellezza del colore, la soavità del profumo e la speranza del frutto. “Quando vedo un fiore – osserva sant’Antonio – spero nel frutto; così quando vedo un umile, io spero nella sua beatitudine celeste”.

Il santo pone nel cuore la sede della virtù dell’umiltà. Come il cuore regola la vita del corpo, così l’umiltà presiede alla vita dell’anima Come il cuore è il primo organo a vivere e l’ultimo a cessare di esistere, così la virtù dell’umiltà muore insieme con lui. Se il muscolo cardiaco non può sopportare né un dolore né una grave malattia per non compromettere la vita degli altri organi, la virtù dell’umiltà non può né lamentarsi delle offese ricevute né crucciarsi per l’altrui benessere, perché, se essa vien meno, va in rovina l’edificio delle altre virtù.

Frate Antonio distingue dieci gradi di umiltà, che sintetizzano tutto il cammino della perfezione.

L’umiltà esige che l’uomo tenga presente l’umile origine del suo corpo, la sua gestazione nel grembo materno, la sua inornata nascita, il suo travaglioso pellegrinaggio terreno, le sue debolezze e abbia davanti a sé il pensiero della morte, “più amara di ogni amarezza”. L’umiltà, inoltre, sollecita l’uomo a entrare nel mistero del Cristo umile che si è fatto suo servo e redentore, testimone dell’amore spinto fino alla follia. L’avanzamento dell’uomo sul cammino della perfezione è proporzionato al suo abbassamento, poiché ogni uomo che si innalza sarà abbassato e chi si umilia sarà innalzato. Attraverso questi dieci gradi egli, cosciente della sua infermità e della sua povertà, entra per grazia di Dio nella vita spirituale, si libera dalle cose pericolose che lo appesantiscono, contempla più chiaramente la sua natura autentica come persona e nelle profondità più intime della sua anima scopre Dio presente. L’umiltà muove il santo perché discenda, affinché ascenda poi più in alto e Dio cresca in lui.

Non c’è pagina dei Sermones che tradisca, non dico un principio di vanagloria, incompatibile con la santità, ma neppure che riveli la coscienza del suo reale valore, il che potrebbe anche conciliarsi con l’umiltà. Viva è in Antonio la preoccupazione di farsi “piccolo”, di mettere in ombra i suoi pregi e in luce i suoi difetti, per premunirsi contro ogni assalto della superbia.

“Tu, cenere e polvere, insuperbirti di che? Della santità della vita? Ma è lo spirito che santifica; non il tuo, quello di Dio. Ti infonde forse piacere la lode che il popolo riserva ai tuoi discorsi? Ma è il Signore che dà il dono dell’eloquenza e della sapienza. Che cos’è la tua lingua, se non una penna in mano di uno scrivano?”. “Se un adulatore ti dice: “Sei esperto e sai molte cose”, è come se ti dicesse: “Sei un indemoniato” (i greci dicono daimonion un profondo conoscitore delle cose). Tu devi rispondergli con il Cristo: “Non sono indemoniato”, perché da me stesso non so niente e nulla di buono è in me; glorifico il mio Dio, attribuisco a lui ogni cosa e gli rendo gloria. Egli è il principio di ogni sapienza e di ogni scienza”.

Naturalmente l’uomo presta la sua cooperazione alla divina bontà. Di questa è impossibile non avere coscienza. Tuttavia nel valutare i suoi meriti personali il santo procede con cautela. Li disistima più che esagerarne l’importanza. Soprattutto non divide mai gli aspetti positivi della vita dai negativi. L’uomo virtuoso “insieme con le belle cose che opera, ritiene per sua umiliazione i difetti. E non saperli vincere, nonostante la loro piccolezza, è per lui un monito continuo a vivere nell’umiltà”.

Il patrimonio di virtù, che frate Antonio mirava di continuo ad accrescere, si univa a una profonda sapienza. I Sermones dimostrano splendidamente l’eccezionale cultura di frate Antonio di Padova.

Dai suoi scritti, se non emergono le rare qualità del genio, risultano queste specialissime doti:

una mente speculativa, una forte memoria, un’operosa immaginazione, un’acuta capacità di osservazione, una delicata sensibilità e un’indomita volontà di apprendimento. Il primo biografo di sant’Antonio non mancò di mettere in rilievo queste singolari prerogative del giovane francescano di Padova. Il santo non si considera qualcosa né assume l’atteggiamento dell’erudito. Anzi, egli si professa seguace dei più illustri maestri. Nel campo della sapienza frate Antonio si paragona a Ruth spigolatrice. Egli verrà dietro ai “grandi” cercando di raccogliere le briciole del loro insegnamento. Parlando della sua scienza, all’inizio dei Sermones, e consapevole della propria pochezza, la definisce con quattro parole, che sono ciascuna un atto di umiltà: rivoletto di una piccola scienza poverella. E non si tratta di frasi di complimento davanti al grave compito che intraprendeva con timore e senso di discrezione, perché a opera ultimata egli si considera il più insignificante dei frati. Invita i confratelli lettori ad attribuire ogni lode e onore a Cristo per quanto di edificante ha scritto e alla sua ignoranza i difetti riscontrati nella sua opera e affida ai superiori dell’Ordine il compito di rivedere, correggere e precisare le sue pagine.

Papa Benedetto XVI. No alla cultura della menzogna e della calunnia. Condanna senza appello dei calunniatori e dei menzognieri

1338392246141_stendardo_sul_duomo_OK.jpgCon il battesimo siamo “uniti a Dio in una nuova esistenza, apparteniamo a Dio, siamo immersi in Dio stesso”. Lo ha ricordato Benedetto XVI aprendo ieri sera, 11 giugno 2012, nella basilica romana di San Giovanni in Laterano, l’annuale Convegno ecclesiale pastorale della diocesi di Roma, che ha per tema “Andate e fate discepoli, battezzando e insegnando (Mt 28, 19-20). Riscopriamo la bellezza del Battesimo”. “Prima conseguenza del battesimo”, ha sottolineato il Papa in una catechesi tenuta interamente a braccio, è “la centralità di Dio nella nostra vita”, ovvero Dio “non è una stella lontana, ma l’ambiente della mia vita”. In secondo luogo “divenire cristiani non è qualcosa che segue dalla mia decisione. Certo, anche la mia decisione è necessaria”, ma è Dio che “mi prende in mano e realizza la mia vita in questa nuova dimensione”. “Essere fatti cristiani da Dio – ha precisato – implica questo mistero della Croce: solo morendo al mio egoismo, uscendo da me stesso posso dirmi cristiano”. Terza conseguenza del battesimo, ha annotato il Pontefice, è l’unione “ai fratelli e alle sorelle”, poiché “essere battezzati non è mai un atto solitario”. Il rito sacramentale, ha evidenziato, “si compone da due elementi, la materia – acqua – e la parola”. “Il cristianesimo non è qualcosa di puramente spirituale”, ha aggiunto, ma “una realtà cosmica”, “la materia fa parte della nostra fede”. Ha aggiunto Papa Benedetto: “Rinunce, promesse e invocazioni” compongono la liturgia battesimale. “Non sono solo parole, ma cammino di vita. In esse – ha puntualizzato papa Ratzinger – si realizza una decisione, è presente tutto il nostro cammino battesimale”. “Il sacramento del battesimo non è un atto di un’ora, ma un cammino di tutta la nostra vita”, “siamo sempre in cammino battesimale e catecumenale”. Benedetto XVI ha quindi riflettuto sulla “dottrina delle due vie”, che si esprime con il triplice rinunzio e il triplice credo. Un tempo “le seduzioni del male” venivano chiamate “la pompa del diavolo”. Erano “soprattutto i grandi spettacoli cruenti, dove la crudeltà diventa divertimento”. Ma oltre a questi s’intendeva “un tipo di cultura nel quale non conta la verità ma l’apparenza, l’effetto, la sensazione, e sotto il pretesto della verità in realtà si distruggono uomini”. “Conosciamo anche oggi – ha puntualizzato il Papa – un tipo di cultura dove non conta la verità, anche se apparentemente si vuole far apparire tutta la verità. Contano solo la sensazione e lo spirito di calunnia e distruzione. Una cultura che non cerca il bene, in cui il moralismo è una maschera in realtà per confondere, per creare distruzione e confusione”. “Contro questa cultura dove la menzogna si presenta sotto la veste della verità e della diffamazione, contro questa cultura che cerca solo il benessere materiale e nega Dio diciamo no”.
Ha sottolineato inoltre che vi è poi la rinunzia al peccato, e se oggi si contrappone la libertà all’osservanza dei comandamenti, “in realtà questa’apparente libertà diventa subito schiavitù”. Terza, la rinunzia a Satana, perché “c’è un sì a Dio e un no al potere del maligno”. Benedetto XVI ha presentato il simbolo dell’acqua mostrandone i due significati. “Da una parte fa pensare al mare, soprattutto al mar Rosso”, e qui si presenta come morte “per arrivare a una nuova vita”. Il battesimo “è morte a una certa esistenza e rinascita a una nuova vita”. Contrapposta alla morte è la vita, e l’acqua richiama la fonte, “origine di tutta la vita”. Infine, a chi s’interroga se sia giusto battezzare i bambini, o sia meglio “fare prima il cammino catecumenale”, “queste domande – ha risposto il Papa – mostrano che non vediamo più nella vita cristiana la vita nuova, la vera vita, ma una scelta tra le altre, anche un peso che non si dovrebbe imporre senza avere il consenso del soggetto”. Ma “la vita stessa ci viene data necessariamente senza consenso previo”. La domanda, quindi, sarebbe: è giusto dare la vita senza che il nascituro abbia la possibilità di decidere? “È possibile e giusto – ha da ultimo risposto papa Ratzinger – soltanto se con la vita possiamo dare anche la garanzia che questa vita è buona e protetta da Dio, è un vero dono”.

La Festa annuale di Sant’Antonio di Padova 2012

DSC03439.JPGLo scorso anno per la prima volta nella mia vita visitai i luoghi della nascita, dell’infanzia e della gioventù di Sant’Antonio di Padova. A Lisbona e poi a Coimbra tutto parla di lui, come in Italia e in ogni parte del mondo Sant’Antonio rappresenta il santo dei santi, il santo dei miracoli, il santo più conosciuto ed invocato, il santo più amato e taumaturgo. Un santo unico, un santo eccezionale, un santo straordinario, un santo dotto, asceta, mistico, profetico, evangelizzatore, biblista, un santo in cui Dio ha racchiuso tanti doni per il bene della chiesa e dell’umanità, di quell’umanità assetata di verità e di vera solidarietà. Ecco perché Antonio è anche il santo dei poveri, della carità, della misericordia, della gioia, della sapienza che nasce da Dio es si alimenta nel cuore di chi cerca Dio. ANTONIO da Padova,santo,DSC03438.JPG nacque intorno al 1195 a Lisbona, deve l’appellativo col quale è universalmente conosciuto alla città italiana che l’ospitò negli ultimi anni della sua vita e che ora ne custodisce le reliquie. Di famiglia della piccola nobiltà militare, fu battezzato nella cattedrale lisboeta, vicino alla quale sorgeva la casa paterna, col nome di Fernando, che volle cambiare in Antonio indossando l’abito francescano. Fanciullo frequentò la scuola della cattedrale e in età giovanile (circa 1210) entrò fra i canonici regolari di S. Agostino, dimorando circa due anni nel monastero di S. Vincenzo presso le mura di Lisbona. A sua richiesta fu trasferito al celebre monastero di Santa Croce in Coimbra, uno dei migliori centri culturali del Portogallo. Vi rimase nove anni attendendo a quella formazione spirituale e scientifica, specialmente biblica e teologica, che rivelò in seguito dalla cattedra, dal pulpito e negli scritti. Probabilmente in questo tempo fu ordinato sacerdote. Il giovane Fernando, cresciuto nel clima della riconquista della penisola iberica dalla dominazione araba, nella venerazione delle reliquie dei cinque protomartiri francescani, uccisi per la fede nel Marocco il 16 genn. 1220, che l’infante don Pedro aveva fatto trasportare a Coimbra nello stesso anno, maturò il progetto di convertire i musulmani al cristianesimo. Poco dopo Fernando entrava nell’Ordine minoritico accolto dai frati del piccolo convento conimbricense di Sant’Antonio dos Olivais, donde, nell’autunno del 1220, partì missionario per il Marocco. Ivi giunto si ammalò e, trascorso l’inverno, s’imbarcò per tornare in Portogallo, ma i venti contrari spinsero la nave sulle coste della Sicilia: A. non sarebbe più tornato in patria. Il 30 maggio 1221 era ad Assisi al capitolo generale del suo Ordine; s. Francesco, estenuato dal viaggio in Oriente, parlò ai convenuti. A., sconosciuto a tutti, vide partire i suoi confratelli con i loro superiori per le diverse destinazioni; pregò il provinciale di Romagna, frate Graziano, di prenderlo con sé e fu esaudito. Destinato all’eremo di Montepaolo (Forlì), in una caverna adattata a cella condusse aspra vita di asceta, rigorosamente sottratto dal mondo e poco noto agli stessi confratelli, che lo avevano compagno solo negli esercizi di vita comune. Obbligato per obbedienza a parlare durante un’ordinazione sacra tenuta a Forlì, improvvisò un discorso che ai convenuti parve mirabile per chiarezza d’esposizione e profondità di sapere. Fu quello il principio di una incessante attività che A. condusse fino alla morte, predicando al popolo e, primo dei francescani, insegnando teologia ai giovani frati dell’Ordine con approvazione dello stesso Francesco. Esplicò il magistero a Bologna, predicò nell’Italia settentrionale, prima accolto ostilmente dagli eretici catari, in seguito ascoltato con attenzione da tutti.

A Rimini – forse nella quaresima del 1222 – convertì Bonillo, uno dei capi dell’eresia. Passato nella Francia meridionale, continuò l’opera di evangelizzazione di s. Domenico tra gli Albigesi della Provenza e Linguadoca. Predicò in molte città e borgate, tra le quali Bourges, Saint-Junien, Brive, Arles e Limoges, tenendo conferenze al clero e disputando pubblicamente con gli eretici. Ad Arles partecipò al capitolo dei francescani della provincia di Provenza. Insegnò a Tolosa, Montpellier, Puy-en-Velay, fu custode di Limoges, dove nell’anno 1226 ottenne una nuova casa per i frati.

Convocato il capitolo generale da frate Elia per il 30 maggio 1227 – Francesco era morto il 3 ottobre dell’anno precedente – A. con ogni probabilità vi prese parte in qualità di custode di Limoges. Certamente era in Italia dopo la Pasqua del 1227. Eletto ministro provinciale dell’Italia superiore, continuò a predicare e scrisse i Sermones dominicales.Va comunque notato che dal 1227 al 1230 i dati biografici sono pressoché nulli: noi non sappiamo quale posizione abbia assunto – e se l’abbia assunta – A. nella questione gravissima per l’Ordine della divisione tra zelanti e mitigati, né ci risulta con precisione in quali circostanze abbia predicato per il papa. Nel marzo 1228, era a Roma, forse per affari del suo Ordine presso la curia papale. Invitato da Gregorio IX, predicò alla sua presenza e dei cardinali; il papa lo definì “Arca del Testamento e scrigno delle Sacre Scritture”. Pare che abbia predicato a Firenze durante l’avvento di quell’anno e la quaresima del successivo, per incarico del ministro generale dei francescani Giovanni Parenti, passando poi ad evangelizzare le Marche.

Sul finire dell’anno 1229 era a Padova. Durante l’inverno 1229-30 scrisse i Sermones in solemnitatibus Sanctorum,assecondando le preghiere di Rolando dei Conti, cardinale d’Ostia (poi Alessandro IV). Nel capitolo generale del 1230 fu sollevato dal governo della provincia e si dedicò più intensamente all’apostolato della parola. Dalle controversie con gli eretici passò all’opera di pacificazione delle fazioni patavine e ad una energica azione contro l’usura. La predicazione quaresimale di Padova del 1231 fu un trionfo per A.; le fonti biografiche ci parlano d’innumerevoli folle che accorrevano ad ascoltarlo; i reggitori del Comune di Padova, persuasi dalla parola di A., modificarono lo statuto in favore dei debitori non fraudolenti. Si adoperò per liberare dalla prigione di Ezzelino III da Romano il conte Rizzardo di San Bonifacio e altri capi guelfi, caduti nelle mani del condottiero dei ghibellini un anno prima, ma – nonostante quanto affermato da leggenda – la missione non sortì alcun esito.

Continuò l’apostolato nelle campagne fino alla mietitura, indi si ritirò a Camposampiero, non lontano da Padova, presso l’amico conte Tiso, che vicino alle mura del suo castello aveva eretto un piccolo romitorio per i francescani. A. si fece costruire una celletta su un grosso noce e passò in contemplazione gli ultimi giorni della sua vita. Attaccato violentemente dall’idropisia, sentendosi prossimo alla fine, si avviò alla volta di Padova, desiderando morirvi. All’Arcella, nei dintorni della città, si aggravò e i suoi compagni lo trasportarono nella casa dei frati cappellani delle monache clarisse. Ivi morì, dopo aver ricevuto i Sacramenti, il 13 giugno 1231. Undici mesi dopo, il 30 maggio 1232, il pontefice Gregorio IX lo proclamò santo nella città di Spoleto.

Il suo culto si diffuse assai rapidamente, grazie alla fama di taumaturgo, e dal sec. XVI è diventato universale. Nell’Ordine francescano A. ebbe sempre l’ufficio liturgico dei dottori della Chiesa, che Pio XII, con il breve Exulta Lusitania del 16 genn. 1946, confermò ed estese alla Chiesa universale. Subito dopo la canonizzazione di A. incominciarono in Padova i lavori per il tempio dedicato al nuovo santo, durati circa due secoli. Alla fabbrica e agli ornamenti contribuirono generazioni di artisti, non pochi di grande valore. Nel 1263 vi furono traslate le sue reliquie alla presenza del francescano s. Bonaventura da Bagnoregio, allora ministro generale dell’Ordine.

Opere e pensiero.Fuori di discussione è l’autenticità dei Sermones dominicales per annum, Sermones in laudem Beatissimae Mariae Virginis e Sermones in solemnitatibus Sanctorum,attestata dalla Legenda prima o Assidua e dalla concorde attribuzione ad A. di 13 manoscritti dei secc. XIII-XIV. A questi soli ci richiamiamo per l’esame del suo pensiero. Invece gli è fortemente contestata la paternità della Expositio in Psalmos,che per più di un secolo fu conosciuta sotto il suo nome.

L’opera fu pubblicata a Bologna nel 1757 da A. Azzoguidi, che la trasse da un ms. mutilo, tuttora conservato in quella città, falsamente creduto autografo di A. dall’editore e da altri. Scoperte del nostro secolo hanno posto in luce diversi codd. della Expositio, parte dei quali anonimi, altri col nome del francese Jean Algrin d’Abbeville (Ioannes de Abbatisvilla), nessuno con quello di Antonio. Di conseguenza, non pochi critici danno per certa l’Expositio all’Abbeville, contemporaneo di A., più anziano di lui e sicuro autore di opere sulla Bibbia. Tuttavia non mancano studiosi che o dubitano della legittima paternità di Jean d’Abbeville sull’opera o stanno decisamente per Antonio. I saggi sui rapporti stilistici e dottrinali della Expositio con scritti genuini dei due autori non convincono. Inoltre bisognerà tener conto di possibili dipendenze intercorse fra A. e l’Abbeville o da fonti comuni. Senza nessun fondamento sono state attribuite ad A. molte altre opere non sue. A. mirava a prestare ai predicatori, specialmente francescani, un materiale di studio che servisse al loro apostolato durante tutto l’anno liturgico.

Il sermone antoniano mentre rivela una adesione completa agli schemi tradizionali fissati per l’oratoria sacra, thema, prothema,detto da A. “thema concordans”, lascia intravedere, talvolta, con il gusto per lunghe, tipiche digressioni etimologiche, una caratteristica propensione a ricavare significati morali – che sono quelli più scopertamente ambiti dall’oratoria antoniana – dai nomi di animali, o da fatti naturali, con dipendenza diretta, parrebbe da Solino, oltre che dalle fonti tradizionali costituite dal De bestiis et aliis rebus attribuita a Ugo di S. Vittore e dalle Etymologiae isidoriane. Le fonti di A. sono essenzialmente patristiche: cita con frequenza Agostino, che deve essergli stato il più familiare durante gli anni della sua formazione scientifica. Agostiniane sonole sue posizioni sulla grazia e già si avverte in luila preferenza per certe dottrine teologiche relative a Cristo e alla Vergine, che la scuola francescana svilupperà. Ma in lui le trattazioni morali hanno assoluta prevalenza su quelle speculative. Ciò deriva dal fine delle opere di A. e dall’atteggiamento fondamentale della prima predicazione francescana: morale per altro fondata sulla meditata conoscenza delle Scritture. A. analizza con molta acutezza i vizi capitali, riprova duramente l’usura, la rapina, il furto e la simonia, Tratta con mirabile chiarezza del sacramento della penitenza. La sua ascetica si parte dalla purificazione del peccato ottenuta con la confessione e si affina con l’esercizio della virtù: povertà, castità, obbedienza, umiltà, alle quali la giustizia è corona. È sempre necessaria, durante l’ascesi, la preghiera costante. Centri di devozione sono l’Umanità di Cristo, l’Eucarestia, la Passione di Gesù, la Vergine. Vertice della vita ascetica e principio della mistica è la perfetta carità, geminata nell’amore di Dio e del prossimo. La buona conoscenza che A. ebbe dei grandi mistici occidentali, Agostino, Gregorio e Bernardo, gli ha consentito di trattare con sicurezza quasi tutti i problemi della mistica; l’esperienza personale, poi, ha conferito un tono di originalità alle note su tale argomento sparse in numerosi sermoni. Al contrario di quanto si era pensato fino ai decisivi studi del nostro tempo, A. non rivela tracce della difficile e astratta elaborazione dello pseudo Dionigi Areopagita, nonostante sia stato in rapporti di amicizia col qualificato commentatore di questo, Tommaso Gallo, abate di Vercelli. A. divide il cammino spirituale nei tre gradi ormai classici, degli incipienti, dei proficienti e dei perfetti.

Pare che A., oltre alla contemplazione passiva, ammetta anche l’attiva, poiché parla di mezzi umani per conquistarla. Ma è difficile interpretare sempre giustamente i sensi che egli attribuisce alla parola contemplatio,cioè stabilire se parli di considerazione del riflesso di Dio nelle sue opere, di meditazione semplice, o infine di vera contemplazione; e se la mentis elevatio siidentifichi per lui con la contemplazione acquisita, o sia invece il grado più basso, rispetto alla mentis alienatio,di quella infusa. Nel pensiero di A. la contemplazione passiva non dipende dall’arbitrio del contemplante, ma dalla disposizione del Creatore, cioè è dono gratuito; è atto transeunte, non abito permanente. Secondo l’opinione più comune, egli ammette la vocazione remota alla contemplazione di tutti gli uomini da parte di Dio.

Altri aspetti della sua mistica anticipano le teorie di s. Giovanni della Croce sulla notte mistica dei sensi. A. asserisce che l’oggetto primario della contemplazione è l’Unità e Trinità di Dio, secondario, ma spesso primario in ordine di tempo – e quasi esercizio per ascendere all’antecedente – l’Umanità del Cristo mediatore. Complessivamente, A. incarna l’ideale di contemplazione e azione degli Ordini mendicanti del suo secolo e quello di maestro e predicatore popolare. Spinto da necessità altrui a scrivere, egli si rivelò provvisto per questo compito di una vasta cultura nelle scienze sacre, che filtrò accuratamente, evitando discussioni di scuola, e adattò in stile personale, ma sempre comprensibile a chi doveva usare i suoi sermoni. Nell’oratoria sacra egli ha realizzato il felice innesto della prima predicazione francescana, semplice, cordiale, rivolta ad inculcare al popolo precetti morali, con quella dotta, retorica, regolata da precetti d’arte dei maestri in teologia del suo tempo. Della prima mantenne il calore affettuoso e l’amore agli insegnamenti pratici, dalla seconda mutuò la tessitura dello schema, la ricca argomentazione d’autorità e la forza apologetica contro gli eretici.

Le opere di A. ebbero numerose edizioni: Sermones dominicales,Parigi 1520, Venezia 1574; Sermones in solemnitatibus, Avignone 1648, ibid. 1734, Padova 1883; Sermones in laudem et honorem B. V. M.,Padova 1885; Sermo de Assumptione B. V. M., ibid. 1902; Opera omnia, Parigi 1641, con le seguenti ristampe: Lione 1653, Ratisbona 1739, Parigi 1889 in Medii Aevi Bibl. patristica,series I, coll. 449-1286.

Mancano nell’Opera omnia i Serm. in laud. et hon. B. V. M.;invece ci sono molte opere spurie. Le dette ediz. sono largamente superate dall’unica veramente attendibile: S. A. Patavini thaumaturgi incliti Sermones dominicales et in solemnitatibus,quos… edidit notisque et illustrationibus locupletavit A. M. Locatelli, 3 voll., Padova 1895-1913, condotta sul ms. esistente nel tesoro della basilica del Santo (Padova), certamente del tempo di A., e con postille che si ritengono di sua mano. Fu continuata da G. Munaron, G. Perin, e M. Scremini.

Iconografia. Per quanto riguarda la vastissima iconografia di A., unico dato costante per la sua identificazione è che egli veste sempre l’abito francescano. Gli attributi invece subirono notevoli variazioni. I più antichi ritratti lo rappresentano col libro in mano (Berlinghieri, Gall. dell’Accademia, Firenze). Dal 1394 con la fiamma (Agnolo Gaddi, chiesa di S. Croce di Firenze) o la fiamma e il libro (Taddeo Gaddi, Pinacoteca di Perugia). Alla fiamma qualche volta pittori del centro Italia sostituiscono il cuore (Fiorenzo di Lorenzo, Pinacoteca di Perugia). Prima della metà del sec. XV A. compare con il giglio in mano (Ignoto, Libro di entrata e uscita dal 1434-35, Padova). Il Liber Miraculorum racconta che A. tenne l’Infante fra le braccia, questa visione sarà motivo di numerose opere di artisti spagnoli del sec. XVI o che hanno lavorato in Spagna (V. Carducci, Ribera, Murillo) e di barocchi tedeschi (Zeiller, Knoller). In altri il Bambino è presentato dalla Madre ad A. (Rubens, Van Dyck, Dolci). Il giglio e il Bambino, o soli o insieme, sono ormai i simboli che distinguono la figura di Antonio. Oltre che in figura isolata o con altri santi, non pochi artisti hanno dipinto o scolpito cicli di fatti della vita di A., ispirandosi di preferenza al Liber Miraculorum.

Si ricordino anche le due vetrate trecentesche della cappella di S. Antonio nella basilica inferiore di S. Francesco in Assisi. Nel sec. XV si hanno gli affreschi di Lorenzo da Viterbo e scuola in S. Francesco di Montefalco, e di Benvenuto di Giovanni nel duomo di Siena. Di eccezionale valore artistico sono i quattro bassorilievi in bronzo di Donatello dell’altare della basilica del Santo in Padova, i primi del ciclo dei miracoli, che poi fu continuato da Bartolomeo Bellano, Tullio e Antonio Lombardo, Sansovino e altri. Ancora in Padova, nella Scuola del Santo, si ispirano ai miracoli gli affreschi di Tiziano e aiuti; e a Bologna, nella basilica di S. Petronio, quelli di G. Pennacchi.

 Fonti e Bibl.: Legenda prima o Assidua,scritta in Italia da un ignoto frate minore poco dopo il 30 maggio 1232. Tardive aggiunte a questa Legenda si hanno nei mss. di Lucerna (circa 1303), Padova, Parigi e Ancona. Edita da Fortunato di s. Bonaventura, Vita et miracula s. A. Olyssiponensis,Coimbra 1830, poi in Portugalliae monumenta historica, Scriptores,I, pp.116-130, Olisipone 1856 e poi da A. M. Iosa, Bologna 1883; Hilaire de Paris, Montreuil-sur-Mer et Genève 189o; L. de Kerval, S. A. d. P., Vitae duae,Parigi 19o4, è l’ediz. migliore per il testo, le aggiunte predette e gli studi critici: il vol. contiene anche la Legenda Benignitas;F. Conconi, Leggende di A. d. P.,Padova 1930, e seconda ediz. ibid. 1931, i voll. contengono anche la Legenda Benignitas,la Legenda Rigaldina e testimonianze minori del sec. XIII; R. Cessi, Leggende antoniane,Milano 1936. La Assidua è stata tradotta in italiano da A. Coiazzi, Torino 1931 e A. F. Pavanello, Padova 1946. Legenda secunda o Anonyma,attribuita al francescano Giuliano da Spira, scritta circa il 1235; edd. in Acta Sanctorum, Iunii,II,Antverviae 1742, pp. 705-718 e in Conconi, opere citate. Dialogus de gestis ss. Fratrum Minorum,pubblicato parzialmente da L. Lemmens, Roma 1902, e integralmente da F. Delorme, Quaracchi 1923, che l’attribuì a fr. Tommaso da Pavia. L’opera fu scritta fra il 1244 e il 1247. Legenda Raymundina,scritta da fr. Pietro Raimondi da San Romano di Tolosa a Padova nel 1293 e pubblicata da A. M. Iosa, Bologna 1883. Legenda florentina,scoperta e pubblicata da L. Lemmens in Römische Quartalschrift für Altertumskunde und für Kirchengeschichte,XVI(1902), pp. 410-414, ed E. Palandri in Studi Francescani,IV (1932), pp. 454-496; di età incerta, collocabile tra il 1250 e primi del ‘3oo, Legenda Rigaldina,dal nome dell’autore fr. Giovanni Rigaldi, che la compose fra il 1293 e il 1303. È la fonte più importante dopo l’Assidua,della quale è complemento necessario. F. d’Araules [Delormel la pubblicò col titolo La vie de st. A. d. P. par Jean Rigauld, Bordeaux-Brive 1899. La rese in italiano T. Mengoni da Soci, Quaracchi 19o2. Legenda Benignitas,frammentaria dei primi del sec. XIV, edita nei voll. citati del de Kerval e Conconi. Liber Miraculorum,composto dopo il 1367; edd. in Acta Sanctorum, vol. cit., pp. 216-232 e in Analecta Franciscana,III, Quaracchi 1897, pp. 121-158.

Fra le testimonianze minori, singolare importanza hanno quelle di Rolandino di Padova, che conobbe A., e di lui parla nella Cronica de factis et circa facta Marchie Trivixane, lib. 2, c. 19; lib. 3, c. 5 (in Rerum Italic. Script., 2 ediz., VIII, 1, a cura di A. Bonardi, pp. 40, 43 s.).

Innumerevoli le ricostruzioni biografiche su A.; per primo orientamento sicuro il lettore può ricorrere a R. Pratesi, A. d. P.,in Encicl. cattolica,I, Città del Vaticano 1949, coll. 1548-1554, e L. Arnaldich, S. A., doctor evangélico,Barcelona 1958. Inoltre: E. de Azevedo, Vita del taumaturgo portoghese s. A. d. P.,Iª ediz., Venezia 1788, 7 ediz., ibid. 1930; C. das Neves, O grande thaumaturgo de Portugal s. A. de Lisboa,2 voll., Porto 1895; A. Lépitre, S. A. de Padoue,Paris 1901, trad. ital., Roma 1905; V. Facchinetti, A. d. P., il santo, l’apostolo, il taumaturgo,Milano 1925; F. Conconi, S. A. d. P.,Padova 1932; S. Clasen, Antonius, Diener des Evangeliums und der Kirche,München-Gladbach 1959 (che non ha pretese scientifiche).

Di particolare interesse per lo studioso le discussioni sulle fonti e sulla vita di A. delle seguenti opere: J. Pou y Martí, De fontibus vitae s. A. Patav.,in Antonianum,VI(1931), pp. 225-52; A. Callebaut, S. A. d. P., recherches sur ses premières années,in Archivum Francisc. Hist.,XXIV(1931), pp. 449-94.

Sui miracoli si veda: L. de Kerval, L’évolution et le développement du merveilleux dans les légendes de st. A. d. P.,in Opuscules de critique historique,XIV, Paris 19o6, pp. 221-88; H. Felder, Die Antoniuswunder nach den älteren Quellen untersucht,Paderborn 1933.

Per l’iconografia lo studio più completo è di B. Kleinschmidt, A. von P. in Leben und Kunst, Kult und Volkstum, Düsseldorf 1931; G. Fiocco, L’altare grande di Donatello al Santo,in Il Santo,I(1961), pp. 21-36; A. Sartori, Docum. riguardanti Donatello e il suo altare di Padova, ibid.,pp.37-99.

Studi critici sulle opere e sul pensiero: G. Cantini, De fontibus sermonum s. A. qui in editione Locatelli continentur,in Antonianum,VI(1931), pp. 327-8o; A. Callebaut, Les sermons sur les Psawnes, imprimés sous le nom de st. A., restitués au card. J. d’Abbeville,in Archivum Francisc. Hist.,XXV (1932), pp. 161-74; D. Scaramuzzi, Nota di Cronaca,in Studi Francescani,IV(1932), pp. 603-11; J. Heerinckx, S. A. Patav. auctor mysticus,in Antonianum,VII(1932), pp. 39-76, 167-200; Id., Les sources de la théologie mystique de st. A. d.P., in Revue d’ascétique et mystique, XIII(1932), pp. 225-56; Id., La mistica di s. A. d.P., in Studi Francescani,V(1933), pp. 39-6o; M. a Pobladura, Relationes operum quae occasione VII centenarii antoniani edita sunt,in Collectanea Franciscana,III(1933), pp. 254-320; G. Cantini, La tecnica e l’indole del sermone medievale ed i sermoni di s. A.d. P., in Studi Francescani,VI(1934), pp. 60-80, 195-224; S. A. Dottore della Chiesa (Atti delle settimane antoniane tenute a Roma e a Padova nel 1946), Roma 1948 (il vol. comprende sedici conferenze di grande valore); S. Doimi, Carattere letterario e finalità delle opere di s. A.,in Acta congressus scholastici internationalis,Roma 1951, pp. 203-232.

Una serie di articoli riguardanti specialmente il cod. antoniano sono stati pubblicati da G. Piccoli in Miscellanea Francescana nei seguenti anni: LII (1952), pp. 461-513; LIII (1953), pp. 80-87, 213-218, 454-465.

(Tratto dall’Enciclopedia Treccani)

Itri (Lt). La 26 edizione dell’Infiorata per il Corpus Domini

Foto-0028.jpgIn occasione della festività del Corpus Domini gli artisti fiorai di varie parti d’Italia e del mondo hanno allestito la 26 Infioriata di Itri (Lt).

La 26° edizione moderna dell’ Infiorata Itrana è stata organizzata dalla Pro Loco di Itri in collaborazione col Comune di Itri, la Provincia di Latina e la Regione Lazio. Una manifestazione che ha richiamato anche nella domenica del 10 giugno 2012 nel piccolo centro aurunco numerosi visitatori per assistere alla composizione di meravigliosi e profumati tappeti floreali en plein air.
 
Molti gli artisti, anche internazionali, e numerosi i giovani esordienti che si sono cimentati con l’inconsueta tavolozza composta di petali di fiori per realizzare straordinari quadri naturali.
 
Ben ventuno saranno i tappeti, della dimensione 4 per 7 metri, realizzati in via della Repubblica, ma numerosi altri punti floreali sono stati prediposti nei quartieri storici come via Visinali (lungo Corso Appio Claudio lato Roma) e piazza S. Angelo.
 
Come consuetudine hanno partecipato alla manifestazione, da tutti apprezzata per il particolare fascino, gli alunni delle scuole elementari e medie di Itri e le numerose associazioni presenti sul territorio, come l’ Azione Cattolica della parrocchia di S. Michele Arcangelo, l’ ass. La Milizia dei Folli, la C.R.I. di Itri e il comitato Sant’ Angelo. Da qualche anno anche la comunità romena residente ad Itri contribuisce alla riuscita della manifestazione, come ulteriore prova della crescente capacità di aggregazione che caratterizza la manifestazione. New entry sono stati invece gli studenti del liceo scientifico E. Fermi di Gaeta che per la prima volta hanno partecipato alla manifestazione.
 
“Il colore predominante è stato il giallo delle ginestre, tipico della macchia mediterranea, che in questo periodo colora le colline itrane. Mentre il garofano è stato il fiore maggiormente presente, sia per le sue svariate sfumature che per la duttilità dei petali, i quali si prestano al taglio minuzioso da parte di centinaia di collaboratori”.
 
La manifestazione iniziata alle ore 7 di oggi, domenica 10 giugno, quando tutti i maestri infioratori si sono cimentati nelle loro creazioni artistico-floreali. Durante la mattinata ai numerosissimi visitatori è stata data la possibilità di gustare i famosi prodotti tipici del luogo, ovvero olive in salamoia, paté di olive, pane con olio, salsiccia e marzolino. Un meraviglioso cocktail di profumi e sapori da non perdere!
 
La mattinata si è conclusa alle ore 12:30 con la Recita dell’ Angelus e la benedizione dell’ arcivescovo di Gaeta S.E. Mons. Fabio Bernardo D’ Onorio.
Alle ore 18.00 dalla Chiesa di San Michele Arcangelo nel centro storico di Itri è iniziata la solenne processione del Corpus Domini, alla quale hanno partecipato le varie istituzioni civili, militari e religiose della città, con grande partecipazione di popolo e di fedeli. La processione guidata da padre Mario Caccavale e padre Tonino Fiorelli è durata oltre 2 ore e si è conclusa alle 20,30 nella Chiesa di Santa Maria Maggiore, con la benedizione eucaristica impartita dal parroco, padre Luigi Donati.

Alle ore 19,30 la santissima Eucaristia è passata con la processione con delicatezza sopra il morbido e multicolore tappeto steso ai suoi piedi, rinnovando sentimenti di fratellanza e di pace. Alle 20,30 è stata celebrata la messa solenne del Corpus Domini, nella chiesa di Santa Maria Maggiore, con panegirico, da padre Antonio Rungi, passionista della comunità di Itri (Lt). Circa 500 persone presenti in chiesa per la messa, durante la quale padre Rungi ha parlato dell’eucaristia, della sua importanza nella vita di ogni cristiano e soprattutto dei giovani della città. “Itri -ha detto padre Antonio concludendo la messa- oltre ad essere una cittadina mariana è prima di tutto cittadina eucaristica sia perché ogni hanno si tiene la processione del Corpus Domini e sia perché è organizzata la bellissima infiorata in onore del SS. Sacramento dell’Altare”.
 

Papa Benedetto XVI. Omelia per il Corpus Domini 2012

11.jpgSANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DEL CORPUS DOMINI

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica di San Giovanni in Laterano
Giovedì, 7 giugno 2012

 

Cari fratelli e sorelle!

Questa sera vorrei meditare con voi su due aspetti, tra loro connessi, del Mistero eucaristico: il culto dell’Eucaristia e la sua sacralità. E’ importante riprenderli in considerazione per preservarli da visioni non complete del Mistero stesso, come quelle che si sono riscontrate nel recente passato.

Anzitutto, una riflessione sul valore del culto eucaristico, in particolare dell’adorazione del Santissimo Sacramento. E’ l’esperienza che anche questa sera noi vivremo dopo la Messa, prima della processione, durante il suo svolgimento e al suo termine. Una interpretazione unilaterale del Concilio Vaticano II aveva  penalizzato questa dimensione, restringendo in pratica l’Eucaristia al momento celebrativo. In effetti, è stato molto importante riconoscere la centralità della celebrazione, in cui il Signore convoca il suo popolo, lo raduna intorno alla duplice mensa della Parola e del Pane di vita, lo nutre e lo unisce a Sé nell’offerta del Sacrificio. Questa valorizzazione dell’assemblea liturgica, in cui il Signore opera e realizza il suo mistero di comunione, rimane ovviamente valida, ma essa va ricollocata nel giusto equilibrio. In effetti – come spesso avviene – per sottolineare un aspetto si finisce per sacrificarne un altro. In questo caso, l’accentuazione giusta posta sulla celebrazione dell’Eucaristia è andata a scapito dell’adorazione, come atto di fede e di preghiera rivolto al Signore Gesù, realmente presente nel Sacramento dell’altare. Questo sbilanciamento ha avuto ripercussioni anche sulla vita spirituale dei fedeli. Infatti, concentrando tutto il rapporto con Gesù Eucaristia nel solo momento della Santa Messa, si rischia di svuotare della sua presenza il resto del tempo e dello spazio esistenziali. E così si percepisce meno il senso della presenza costante di Gesù in mezzo a noi e con noi, una presenza concreta, vicina, tra le nostre case, come «Cuore pulsante» della città, del paese, del territorio con le sue varie espressioni e attività. Il Sacramento della Carità di Cristo deve permeare tutta la vita quotidiana.

In realtà, è sbagliato contrapporre la celebrazione e l’adorazione, come se fossero in concorrenza l’una con l’altra. E’ proprio il contrario: il culto del Santissimo Sacramento costituisce come l’«ambiente» spirituale entro il quale la comunità può celebrare bene e in verità l’Eucaristia. Solo se è preceduta, accompagnata e seguita da questo atteggiamento interiore di fede e di adorazione, l’azione liturgica può esprimere il suo pieno significato e valore. L’incontro con Gesù nella Santa Messa si attua veramente e pienamente quando la comunità è in grado di riconoscere che Egli, nel Sacramento, abita la sua casa, ci attende, ci invita alla sua mensa, e poi, dopo che l’assemblea si è sciolta, rimane con noi, con la sua presenza discreta e silenziosa, e ci accompagna con la sua intercessione, continuando a raccogliere i nostri sacrifici spirituali e ad offrirli al Padre.

A questo proposito, mi piace sottolineare l’esperienza che vivremo anche stasera insieme. Nel momento dell’adorazione, noi siamo tutti sullo stesso piano, in ginocchio davanti al Sacramento dell’Amore. Il sacerdozio comune e quello ministeriale si trovano accomunati nel culto eucaristico. E’ un’esperienza molto bella e significativa, che abbiamo vissuto diverse volte nella Basilica di San Pietro, e anche nelle indimenticabili veglie con i giovani – ricordo ad esempio quelle di Colonia, Londra, Zagabria, Madrid. E’ evidente a tutti che questi momenti di veglia eucaristica preparano la celebrazione della Santa Messa, preparano i cuori all’incontro, così che questo risulta anche più fruttuoso. Stare tutti in silenzio prolungato davanti al Signore presente nel suo Sacramento, è una delle esperienze più autentiche del nostro essere Chiesa, che si accompagna in modo complementare con quella di celebrare l’Eucaristia, ascoltando la Parola di Dio, cantando, accostandosi insieme alla mensa del Pane di vita. Comunione e contemplazione non si possono separare, vanno insieme. Per comunicare veramente con un’altra persona devo conoscerla, saper stare in silenzio vicino a lei, ascoltarla, guardarla con amore. Il vero amore e la vera amicizia vivono sempre di questa reciprocità di sguardi, di silenzi intensi, eloquenti, pieni di rispetto e di venerazione, così che l’incontro sia vissuto profondamente, in modo personale e non superficiale. E purtroppo, se manca questa dimensione, anche la stessa comunione sacramentale può diventare, da parte nostra, un gesto superficiale. Invece, nella vera comunione, preparata dal colloquio della preghiera e della vita, noi possiamo dire al Signore parole di confidenza, come quelle risuonate poco fa nel Salmo responsoriale: «Io sono tuo servo, figlio della tua schiava: / tu hai spezzato le mie catene. / A te offrirò un sacrificio di ringraziamento / e invocherò il nome del Signore» (Sal 115,16-17).

Ora vorrei passare brevemente al secondo aspetto: la sacralità dell’Eucaristia. Anche qui abbiamo risentito nel passato recente di un certo fraintendimento del messaggio autentico della Sacra Scrittura. La novità cristiana riguardo al culto è stata influenzata da una certa mentalità secolaristica degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. E’ vero, e rimane sempre valido, che il centro del culto ormai non sta più nei riti e nei sacrifici antichi, ma in Cristo stesso, nella sua persona, nella sua vita, nel suo mistero pasquale. E tuttavia da questa novità fondamentale non si deve concludere che il sacro non esista più, ma che esso ha trovato il suo compimento in Gesù Cristo, Amore divino incarnato. La Lettera agli Ebrei, che abbiamo ascoltato questa sera nella seconda Lettura, ci parla proprio della novità del sacerdozio di Cristo, «sommo sacerdote dei beni futuri» (Eb 9,11), ma non dice che il sacerdozio sia finito. Cristo «è mediatore di un’alleanza nuova» (Eb 9,15), stabilita nel suo sangue, che purifica «la nostra coscienza dalle opere di morte» (Eb 9,14). Egli non ha abolito il sacro, ma lo ha portato a compimento, inaugurando un nuovo culto, che è sì pienamente spirituale, ma che tuttavia, finché siamo in cammino nel tempo, si serve ancora di segni e di riti, che verranno meno solo alla fine, nella Gerusalemme celeste, dove non ci sarà più alcun tempio (cfr Ap 21,22). Grazie a Cristo, la sacralità è più vera, più intensa, e, come avviene per i comandamenti, anche più esigente! Non basta l’osservanza rituale, ma si richiede la purificazione del cuore e il coinvolgimento della vita.

Mi piace anche sottolineare che il sacro ha una funzione educativa, e la sua scomparsa inevitabilmente impoverisce la cultura, in particolare la formazione delle nuove generazioni. Se, per esempio, in nome di una fede secolarizzata e non più bisognosa di segni sacri, venisse abolita questa processione cittadina del Corpus Domini, il profilo spirituale di Roma risulterebbe «appiattito», e la nostra coscienza personale e comunitaria ne resterebbe indebolita. Oppure pensiamo a una mamma e a un papà che, in nome di una fede desacralizzata, privassero i loro figli di ogni ritualità religiosa: in realtà finirebbero per lasciare campo libero ai tanti surrogati presenti nella società dei consumi, ad altri riti e altri segni, che più facilmente potrebbero diventare idoli. Dio, nostro Padre, non ha fatto così con l’umanità: ha mandato il suo Figlio nel mondo non per abolire, ma per dare il compimento anche al sacro. Al culmine di questa missione, nell’Ultima Cena, Gesù istituì il Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, il Memoriale del suo Sacrificio pasquale. Così facendo Egli pose se stesso al posto dei sacrifici antichi, ma lo fece all’interno di un rito, che comandò agli Apostoli di perpetuare, quale segno supremo del vero Sacro, che è Lui stesso. Con questa fede, cari fratelli e sorelle, noi celebriamo oggi e ogni giorno il Mistero eucaristico e lo adoriamo quale centro della nostra vita e cuore del mondo. Amen.

 

IL PAPA A MILANO- I DISCORSI

Fedeli_Duomo04.jpgDIALOGO DEL SANTO PADRE CON LE FAMIGLIE

1. CAT TIEN (bambina dal Vietnam):

Ciao, Papa. Sono Cat Tien, vengo dal Vietnam.

Ho sette anni e ti voglio presentare la mia famiglia. Lui è il mio papà, Dan e la mia mamma si chiama Tao, e lui è il mio fratellino Binh.

Mi piacerebbe tanto sapere qualcosa della tua famiglia e di quando eri piccolo come me…

SANTO PADRE: Grazie, carissima, e ai genitori: grazie di cuore. Allora, hai chiesto come sono i ricordi della mia famiglia: sarebbero tanti! Volevo dire solo poche cose. Il punto essenziale per la famiglia era per noi sempre la domenica, ma la domenica cominciava già il sabato pomeriggio. Il padre ci diceva le letture, le letture della domenica, da un libro molto diffuso in quel tempo in Germania, dove erano anche spiegati i testi. Così cominciava la domenica: entravamo già nella liturgia, in atmosfera di gioia. Il giorno dopo andavamo a Messa. Io sono di casa vicino a Salisburgo, quindi abbiamo avuto molta musica – Mozart, Schubert, Haydn – e quando cominciava il Kyrie era come se si aprisse il cielo. E poi a casa era importante, naturalmente, il grande pranzo insieme. E poi abbiamo cantato molto: mio fratello è un grande musicista, ha fatto delle composizioni già da ragazzo per noi tutti, così tutta la famiglia cantava. Il papà suonava la cetra e cantava; sono momenti indimenticabili. Poi, naturalmente, abbiamo fatto insieme viaggi, camminate; eravamo vicino ad un bosco e così camminare nei boschi era una cosa molto bella: avventure, giochi eccetera. In una parola, eravamo un cuore e un’anima sola, con tante esperienze comuni, anche in tempi molto difficili, perché era il tempo della guerra, prima della dittatura, poi della povertà. Ma questo amore reciproco che c’era tra di noi, questa gioia anche per cose semplici era forte e così si potevano superare e sopportare anche queste cose. Mi sembra che questo fosse molto importante: che anche cose piccole hanno dato gioia, perché così si esprimeva il cuore dell’altro. E così siamo cresciuti nella certezza che è buono essere un uomo, perché vedevamo che la bontà di Dio si rifletteva nei genitori e nei fratelli. E, per dire la verità, se cerco di immaginare un po’ come sarà in Paradiso, mi sembra sempre il tempo della mia giovinezza, della mia infanzia. Così, in questo contesto di fiducia, di gioia e di amore eravamo felici e penso che in Paradiso dovrebbe essere simile a come era nella mia gioventù. In questo senso spero di andare «a casa», andando verso l’«altra parte del mondo».

2. SERGE RAZAFINBONY E FARA ANDRIANOMBONANA (Coppia di fidanzati dal Madagascar):

SERGE: Santità, siamo Fara e Serge, e veniamo dal Madagascar.

Ci siamo conosciuti a Firenze dove stiamo studiando, io ingegneria e lei economia. Siamo fidanzati da quattro anni e non appena laureati sogniamo di tornare nel nostro Paese per dare una mano alla nostra gente, anche attraverso la nostra professione.

FARA: I modelli famigliari che dominano l’Occidente non ci convincono, ma siamo consci che anche molti tradizionalismi della nostra Africa vadano in qualche modo superati. Ci sentiamo fatti l’uno per l’altro; per questo vogliamo sposarci e costruire un futuro insieme. Vogliamo anche che ogni aspetto della nostra vita sia orientato dai valori del Vangelo.

Ma parlando di matrimonio, Santità, c’è una parola che più d’ogni altra ci attrae e allo stesso tempo ci spaventa: il «per sempre»…

SANTO PADRE: Cari amici, grazie per questa testimonianza. La mia preghiera vi accompagna in questo cammino di fidanzamento e spero che possiate creare, con i valori del Vangelo, una famiglia «per sempre». Lei ha accennato a diversi tipi di matrimonio: conosciamo il «mariage coutumier» dell’Africa e il matrimonio occidentale. Anche in Europa, per dire la verità, fino all’Ottocento, c’era un altro modello di matrimonio dominante, come adesso: spesso il matrimonio era in realtà un contratto tra clan, dove si cercava di conservare il clan, di aprire il futuro, di difendere le proprietà, eccetera. Si cercava l’uno per l’altro da parte del clan, sperando che fossero adatti l’uno all’altro. Così era in parte anche nei nostri paesi. Io mi ricordo che in un piccolo paese, nel quale sono andato a scuola, era in gran parte ancora così. Ma poi, dall’Ottocento, segue l’emancipazione dell’individuo, la libertà della persona, e il matrimonio non è più basato sulla volontà di altri, ma sulla propria scelta; precede l’innamoramento, diventa poi fidanzamento e quindi matrimonio. In quel tempo tutti eravamo convinti che questo fosse l’unico modello giusto e che l’amore di per sé garantisse il «sempre», perché l’amore è assoluto, vuole tutto e quindi anche la totalità del tempo: è «per sempre». Purtroppo, la realtà non era così: si vede che l’innamoramento è bello, ma forse non sempre perpetuo, così come è il sentimento: non rimane per sempre. Quindi, si vede che il passaggio dall’innamoramento al fidanzamento e poi al matrimonio esige diverse decisioni, esperienze interiori. Come ho detto, è bello questo sentimento dell’amore, ma deve essere purificato, deve andare in un cammino di discernimento, cioè devono entrare anche la ragione e la volontà; devono unirsi ragione, sentimento e volontà. Nel Rito del Matrimonio, la Chiesa non dice: «Sei innamorato?», ma «Vuoi», «Sei deciso». Cioè: l’innamoramento deve divenire vero amore coinvolgendo la volontà e la ragione in un cammino, che è quello del fidanzamento, di purificazione, di più grande profondità, così che realmente tutto l’uomo, con tutte le sue capacità, con il discernimento della ragione, la forza di volontà, dice: «Sì, questa è la mia vita». Io penso spesso alle nozze di Cana. Il primo vino è bellissimo: è l’innamoramento. Ma non dura fino alla fine: deve venire un secondo vino, cioè deve fermentare e crescere, maturare. Un amore definitivo che diventi realmente «secondo vino» è più bello, migliore del primo vino. E questo dobbiamo cercare. E qui è importante anche che l’io non sia isolato, l’io e il tu, ma che sia coinvolta anche la comunità della parrocchia, la Chiesa, gli amici. Questo, tutta la personalizzazione giusta, la comunione di vita con altri, con famiglie che si appoggiano l’una all’altra, è molto importante e solo così, in questo coinvolgimento della comunità, degli amici, della Chiesa, della fede, di Dio stesso, cresce un vino che va per sempre. Auguri a voi!

3. FAMIGLIA PALEOLOGOS (Famiglia greca)

NIKOS: Kalispera! Siamo la famiglia Paleologos. Veniamo da Atene. Mi chiamo Nikos e lei è mia moglie Pania. E loro sono i nostri due figli, Pavlos e Lydia.

Anni fa con altri due soci, investendo tutto ciò che avevamo, abbiamo avviato una piccola società di informatica.

Al sopravvenire dell’attuale durissima crisi economica, i clienti sono drasticamente diminuiti e quelli rimasti dilazionano sempre più i pagamenti. Riusciamo a malapena a pagare gli stipendi dei due dipendenti, e a noi soci rimane pochissimo: così che, per mantenere le nostre famiglie, ogni giorno che passa resta sempre meno. La nostra situazione è una tra le tante, fra milioni di altre. In città la gente gira a testa bassa; nessuno ha più fiducia di  nessuno, manca la speranza.

PANIA: Anche noi, pur continuando a credere nella provvidenza, facciamo fatica a pensare ad un futuro per i nostri figli.

Ci sono giorni e notti, Santo Padre, nei quali viene da chiedersi come fare a non perdere la speranza. Cosa può dire la Chiesa a tutta questa gente, a queste persone e famiglie senza più prospettive?

SANTO PADRE: Cari amici, grazie per questa testimonianza che ha colpito il mio cuore e il cuore di noi tutti. Che cosa possiamo rispondere? Le parole sono insufficienti. Dovremmo fare qualcosa di concreto e tutti soffriamo del fatto che siamo incapaci di fare qualcosa di concreto. Parliamo prima della politica: mi sembra che dovrebbe crescere il senso della responsabilità in tutti i partiti, che non promettano cose che non possono realizzare, che non cerchino solo voti per sé, ma siano responsabili per il bene di tutti e che si capisca che politica è sempre anche responsabilità umana, morale davanti a Dio e agli uomini. Poi, naturalmente, i singoli soffrono e devono accettare, spesso senza possibilità di difendersi, la situazione com’è. Tuttavia, possiamo anche qui dire: cerchiamo che ognuno faccia il suo possibile, pensi a sé, alla famiglia, agli altri, con grande senso di responsabilità, sapendo che i sacrifici sono necessari per andare avanti. Terzo punto: che cosa possiamo fare noi? Questa è la mia questione, in questo momento. Io penso che forse gemellaggi tra città, tra famiglie, tra parrocchie, potrebbero aiutare. Noi abbiamo in Europa, adesso, una rete di gemellaggi, ma sono scambi culturali, certo molto buoni e molto utili, ma forse ci vogliono gemellaggi in altro senso: che realmente una famiglia dell’Occidente, dell’Italia, della Germania, della Francia… assuma la responsabilità di aiutare un’altra famiglia. Così anche le parrocchie, le città: che realmente assumano responsabilità, aiutino in senso concreto. E siate sicuri: io e tanti altri preghiamo per voi, e questo pregare non è solo dire parole, ma apre il cuore a Dio e così crea anche creatività nel trovare soluzioni. Speriamo che il Signore ci aiuti, che il Signore vi aiuti sempre! Grazie.

4. FAMIGLIA RERRIE (Famiglia statunitense)

JAY: Viviamo vicino a New York.

Mi chiamo Jay, sono di origine giamaicana e faccio il contabile.

Lei è mia moglie Anna ed è insegnante di sostegno.

E questi sono i nostri sei figli, che hanno dai 2 ai 12 anni. Da qui può ben immaginare, Santità, che la nostra vita, è fatta di perenni corse contro il tempo, di affanni, di incastri molto complicati…

Anche da noi, negli Stati Uniti, una delle priorità assolute è mantenere il posto di lavoro, e per farlo non bisogna badare agli orari,  e spesso a rimetterci sono proprio le relazioni famigliari.

ANNA: Certo non sempre è facile… L’impressione, Santità, è che le istituzioni e le imprese non facilitano la conciliazione dei tempi di lavoro coi tempi della famiglia.

Santità, immaginiamo che anche per lei non sia facile conciliare i suoi infiniti impegni con il riposo.

Ha qualche consiglio per aiutarci a ritrovare questa necessaria armonia? Nel vortice di tanti stimoli imposti dalla società contemporanea, come aiutare le famiglie a vivere la festa secondo il cuore di Dio?

SANTO PADRE: Grande questione, e penso di capire questo dilemma tra due priorità: la priorità del posto di lavoro è fondamentale, e la priorità della famiglia. E come riconciliare le due priorità. Posso solo cercare di dare qualche consiglio. Il primo punto: ci sono imprese che permettono quasi qualche extra per le famiglie – il giorno del compleanno, eccetera – e vedono che concedere un po’ di libertà, alla fine va bene anche per l’impresa, perché rafforza l’amore per il lavoro, per il posto di lavoro. Quindi, vorrei qui invitare i datori di lavoro a pensare alla famiglia, a pensare anche ad aiutare affinché le due priorità possano essere conciliate. Secondo punto: mi sembra che si debba naturalmente cercare una certa creatività, e questo non è sempre facile. Ma almeno, ogni giorno portare qualche elemento di gioia nella famiglia, di attenzione, qualche rinuncia alla propria volontà per essere insieme famiglia, e di accettare e superare le notti, le oscurità delle quali si è parlato anche prima, e pensare a questo grande bene che è la famiglia e così, anche nella grande premura di dare qualcosa di buono ogni giorno, trovare una riconciliazione delle due priorità. E finalmente, c’è la domenica, la festa: spero che sia osservata in America, la domenica. E quindi, mi sembra molto importante la domenica, giorno del Signore e, proprio in quanto tale, anche “giorno dell’uomo”, perché siamo liberi. Questa era, nel racconto della Creazione, l’intenzione originale del Creatore: che un giorno tutti siano liberi. In questa libertà dell’uno per l’altro, per se stessi, si è liberi per Dio. E così penso che difendiamo la libertà dell’uomo, difendendo la domenica e le feste come giorni di Dio e così giorni per l’uomo. Auguri a voi! Grazie.

5. FAMIGLIA ARAUJO (Famiglia brasiliana di Porto Alegre)

MARIA MARTA: Santità, come nel resto del mondo, anche nel nostro Brasile i fallimenti matrimoniali continuano ad aumentare.

Mi chiamo Maria Marta, lui è Manoel Angelo. Siamo sposati da 34 anni e siamo già nonni. In qualità di medico e psicoterapeuta familiare incontriamo tante famiglie, notando nei conflitti di coppia una più marcata difficoltà a perdonare e ad accettare il perdono, ma in diversi casi abbiamo riscontrato il desiderio e la volontà di costruire una nuova unione, qualcosa di duraturo, anche per i figli che nascono dalla nuova unione.

MANOEL ANGELO: Alcune di queste coppie di risposati vorrebbero riavvicinarsi alla Chiesa, ma quando si vedono rifiutare i Sacramenti la loro delusione è grande. Si sentono esclusi, marchiati da un giudizio inappellabile.

Queste grandi sofferenze feriscono nel profondo chi ne è coinvolto; lacerazioni che divengono anche parte del mondo, e sono ferite anche nostre, dell’umanità tutta.

Santo Padre, sappiamo che queste situazioni e che queste persone stanno molto a cuore alla Chiesa: quali parole e quali segni di speranza possiamo dare loro?

SANTO PADRE: Cari amici, grazie per il vostro lavoro di psicoterapeuti per le famiglie, molto necessario. Grazie per tutto quello che fate per aiutare queste persone sofferenti. In realtà, questo problema dei divorziati risposati è una delle grandi sofferenze della Chiesa di oggi. E non abbiamo semplici ricette. La sofferenza è grande e possiamo solo aiutare le parrocchie, i singoli ad aiutare queste persone a sopportare la sofferenza di questo divorzio. Io direi che molto importante sarebbe, naturalmente, la prevenzione, cioè approfondire fin dall’inizio l’innamoramento in una decisione profonda, maturata; inoltre, l’accompagnamento durante il matrimonio, affinché le famiglie non siano mai sole ma siano realmente accompagnate nel loro cammino. E poi, quanto a queste persone, dobbiamo dire – come lei ha detto – che la Chiesa le ama, ma esse devono vedere e sentire questo amore. Mi sembra un grande compito di una parrocchia, di una comunità cattolica, di fare realmente il possibile perché esse sentano di essere amate, accettate, che non sono «fuori» anche se non possono ricevere l’assoluzione e l’Eucaristia: devono vedere che anche così vivono pienamente nella Chiesa. Forse, se non è possibile l’assoluzione nella Confessione, tuttavia un contatto permanente con un sacerdote, con una guida dell’anima, è molto importante perché possano vedere che sono accompagnati, guidati. Poi è anche molto importante che sentano che l’Eucaristia è vera e partecipata se realmente entrano in comunione con il Corpo di Cristo. Anche senza la ricezione «corporale» del Sacramento, possiamo essere spiritualmente uniti a Cristo nel suo Corpo. E far capire questo è importante. Che realmente trovino la possibilità di vivere una vita di fede, con la Parola di Dio, con la comunione della Chiesa e possano vedere che la loro sofferenza è un dono per la Chiesa, perché servono così a tutti anche per difendere la stabilità dell’amore, del Matrimonio; e che questa sofferenza non è solo un tormento fisico e psichico, ma è anche un soffrire nella comunità della Chiesa per i grandi valori della nostra fede. Penso che la loro sofferenza, se realmente interiormente accettata, sia un dono per la Chiesa. Devono saperlo, che proprio così servono la Chiesa, sono nel cuore della Chiesa. Grazie per il vostro impegno.

SALUTO AI TERREMOTATI DELL’EMILIA

La festa delle famiglie del mondo non ha dimenticato il dramma delle persone colpite in questi giorni dal terremoto in Emilia. Nel corso del collegamento video con i bambini radunati davanti alla tendopoli di San Felice sul Panaro, il Papa ha rivolto loro questo saluto:

SANTO PADRE: Cari amici, voi sapete che noi sentiamo profondamente il vostro dolore, la vostra sofferenza; e, soprattutto, io prego ogni giorno che finalmente finisca questo terremoto. Noi tutti vogliamo collaborare per aiutarvi: siate sicuri che non vi dimentichiamo, che facciamo ognuno il possibile per aiutarvi – la Caritas, tutte le organizzazioni della Chiesa, lo Stato, le diverse comunità – ognuno di noi vuole aiutarvi, sia spiritualmente nella nostra preghiera, nella nostra vicinanza di cuore, sia materialmente e prego insistentemente per voi. Dio vi aiuti, ci aiuti tutti!

 

VISITA PASTORALE ALL’ARCIDIOCESI DI MILANO
E VII INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE
(1-3 GIUGNO 2012)

INCONTRO CON LE AUTORITÀ

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Sala del Trono dell’Arcivescovado di Milano
Sabato, 2 giugno 2012

 

Illustri Signori!

Vi sono sinceramente grato per questo incontro, che rivela i vostri sentimenti di rispetto e di stima verso la Sede Apostolica e, in pari tempo, consente a me, in qualità di Pastore della Chiesa Universale, di esprimere a voi apprezzamento per l’opera solerte e benemerita che non cessate di promuovere per un sempre maggiore benessere civile, sociale ed economico delle laboriose popolazioni milanesi e lombarde. Grazie al Cardinale Angelo Scola che ha introdotto questo momento. Nel rivolgere il mio deferente e cordiale saluto a voi, il mio pensiero corre a colui che è stato vostro illustre predecessore, sant’Ambrogio, governatore – consularis – delle province della Liguria e dell’Aemilia, con sede nella città imperiale di Milano, luogo di transito e di riferimento – diremmo oggi – europeo. Prima di essere eletto, in modo inaspettato e assolutamente contro il suo volere perché si sentiva impreparato, Vescovo di Mediolanum, egli ne era stato il responsabile dell’ordine pubblico e vi aveva amministrato la giustizia. Mi sembrano significative le parole con cui il prefetto Probo lo invitò come consularis a Milano; gli disse, infatti: «Va’ e amministra non come un giudice, ma come un vescovo». Ed egli fu effettivamente un governatore equilibrato e illuminato che seppe affrontare con saggezza, buon senso e autorevolezza le questioni, sapendo superare contrasti e ricomporre divisioni. Vorrei proprio soffermarmi brevemente su alcuni principi, che egli seguiva e che sono tuttora preziosi per quanti sono chiamati a reggere la cosa pubblica.

Nel suo commento al Vangelo di Luca, sant’Ambrogio ricorda che «l’istituzione del potere deriva così bene da Dio, che colui che lo esercita è lui stesso ministro di Dio» (Expositio Evangelii secundum Lucam, IV, 29). Tali parole potrebbero sembrare strane agli uomini del terzo millennio, eppure esse indicano chiaramente una verità centrale sulla persona umana, che è solido fondamento della convivenza sociale: nessun potere dell’uomo può considerarsi divino, quindi nessun uomo è padrone di un altro uomo. Ambrogio lo ricorderà coraggiosamente all’imperatore scrivendogli: «Anche tu, o augusto imperatore, sei un uomo» (Epistula 51,11).

Un altro elemento possiamo ricavare dall’insegnamento di sant’Ambrogio. La prima qualità di chi governa è la giustizia, virtù pubblica per eccellenza, perché riguarda il bene della comunità intera. Eppure essa non basta. Ambrogio le accompagna un’altra qualità: l’amore per la libertà, che egli considera elemento discriminante tra i governanti buoni e quelli cattivi, poiché, come si legge in un’altra sua lettera, «i buoni amano la libertà, i reprobi amano la servitù» (Epistula 40, 2). La libertà non è un privilegio per alcuni, ma un diritto per tutti, un diritto prezioso che il potere civile deve garantire. Tuttavia, libertà non significa arbitrio del singolo, ma implica piuttosto la responsabilità di ciascuno. Si trova qui uno dei principali elementi della laicità dello Stato: assicurare la libertà affinché tutti possano proporre la loro visione della vita comune, sempre, però, nel rispetto dell’altro e nel contesto delle leggi che mirano al bene di tutti.

D’altra parte, nella misura in cui viene superata la concezione di uno Stato confessionale, appare chiaro, in ogni caso, che le sue leggi debbono trovare giustificazione e forza nella legge naturale, che è fondamento di un ordine adeguato alla dignità della persona umana, superando una concezione meramente positivista dalla quale non possono derivare indicazioni che siano, in qualche modo, di carattere etico (cfr Discorso al Parlamento Tedesco, 22 settembre 2011). Lo Stato è a servizio e a tutela della persona e del suo «ben essere» nei suoi molteplici aspetti, a cominciare dal diritto alla vita, di cui non può mai essere consentita la deliberata soppressione. Ognuno può allora vedere come la legislazione e l’opera delle istituzioni statuali debbano essere in particolare a servizio della famiglia, fondata sul matrimonio e aperta alla vita, e altresì riconoscere il diritto primario dei genitori alla libera educazione e formazione dei figli, secondo il progetto educativo da loro giudicato valido e pertinente. Non si rende giustizia alla famiglia, se lo Stato non sostiene la libertà di educazione per il bene comune dell’intera società.

In questo esistere dello Stato per i cittadini, appare preziosa una costruttiva collaborazione con la Chiesa, senza dubbio non per una confusione delle finalità e dei ruoli diversi e distinti del potere civile e della stessa Chiesa, ma per l’apporto che questa ha offerto e tuttora può offrire alla società con la sua esperienza, la sua dottrina, la sua tradizione, le sue istituzioni e le sue opere con cui si è posta al servizio del popolo. Basti pensare alla splendida schiera dei Santi della carità, della scuola e della cultura, della cura degli infermi ed emarginati, serviti e amati come si serve e si ama il Signore. Questa tradizione continua a dare frutti: l’operosità dei cristiani lombardi in tali ambiti è assai viva e forse ancora più significativa che in passato. Le comunità cristiane promuovono queste azioni non tanto per supplenza, ma piuttosto come gratuita sovrabbondanza della carità di Cristo e dell’esperienza totalizzante della loro fede. Il tempo di crisi che stiamo attraversando ha bisogno, oltre che di coraggiose scelte tecnico-politiche, di gratuità, come ho avuto modo di ricordare: «La “città dell’uomo” non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione» (Enc. Caritas in veritate, 6).

Possiamo raccogliere un ultimo prezioso invito da sant’Ambrogio, la cui figura solenne e ammonitrice è intessuta nel gonfalone della Città di Milano. A quanti vogliono collaborare al governo e all’amministrazione pubblica, sant’Ambrogio richiede che si facciano amare. Nell’opera De officiis egli afferma: «Quello che fa l’amore, non potrà mai farlo la paura. Niente è così utile come farsi amare» (II, 29). D’altra parte, la ragione che, a sua volta, muove e stimola la vostra operosa e laboriosa presenza nei vari ambiti della vita pubblica non può che essere la volontà di dedicarvi al bene dei cittadini, e quindi una chiara espressione e un evidente segno di amore. Così, la politica è profondamente nobilitata, diventando una elevata forma di carità.

Illustri Signori! Accogliete queste mie semplici considerazioni come segno della mia profonda stima per le istituzioni che servite e per la vostra importante opera. Vi assista, in questo vostro compito, la continua protezione del Cielo, della quale vuole essere pegno ed auspicio la Benedizione Apostolica che imparto a voi, ai vostri collaboratori e alle vostre famiglie. Grazie.

VISITA PASTORALE ALL’ARCIDIOCESI DI MILANO
E VII INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE
(1-3 GIUGNO 2012)

INCONTRO CON I CRESIMANDI

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Stadio “Meazza”, San Siro
Sabato, 2 giugno 2012

[Video]

 

Cari ragazzi e ragazze!

E’ una grande gioia per me potervi incontrare durante la mia visita alla vostra Città. In questo famoso stadio di calcio, oggi i protagonisti siete voi! Saluto il vostro Arcivescovo, il Cardinale Angelo Scola, e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto. Grazie anche a Don Samuele Marelli. Saluto il vostro amico che, a nome di tutti voi, mi ha rivolto il benvenuto. Sono lieto di salutare i Vicari episcopali che, a nome dell’Arcivescovo, vi hanno amministrato o amministreranno la Cresima. Un grazie particolare alla Fondazione Oratori Milanesi che ha organizzato questo incontro, ai vostri sacerdoti, a tutti i catechisti, agli educatori, ai padrini e alle madrine, e a quanti nelle singole comunità parrocchiali si sono fatti vostri compagni di viaggio e vi hanno testimoniato la fede in Gesù morto e risorto, e vivo.

Voi, cari ragazzi, vi state preparando a ricevere il Sacramento della Cresima, oppure l’avete ricevuto da poco. So che avete compiuto un bel percorso formativo, chiamato quest’anno «Lo spettacolo dello Spirito». Aiutati da questo itinerario, con diverse tappe, avete imparato a riconoscere le cose stupende che lo Spirito Santo ha fatto e fa nella vostra vita e in tutti coloro che dicono «sì» al Vangelo di Gesù Cristo. Avete scoperto il grande valore del Battesimo, il primo dei Sacramenti, la porta d’ingresso alla vita cristiana. Voi lo avete ricevuto grazie ai vostri genitori, che insieme ai padrini, a nome vostro hanno professato il Credo e si sono impegnati a educarvi nella fede. Questa è stata per voi – come anche per me, tanto tempo fa! – una grazia immensa. Da quel momento, rinati dall’acqua e dallo Spirito Santo, siete entrati a far parte della famiglia dei figli di Dio, siete diventati cristiani, membri della Chiesa.

Ora siete cresciuti, e potete voi stessi dire il vostro personale «sì» a Dio, un «sì» libero e consapevole. Il sacramento della Cresima conferma il Battesimo ed effonde su di voi con abbondanza lo Spirito Santo. Voi stessi ora, pieni di gratitudine, avete la possibilità di accogliere i suoi grandi doni che vi aiutano, nel cammino della vita, a diventare testimoni fedeli e coraggiosi di Gesù. I doni dello Spirito sono realtà stupende, che vi permettono di formarvi come cristiani, di vivere il Vangelo e di essere membri attivi della comunità. Ricordo brevemente questi doni, dei quali già ci parla il profeta Isaia e poi Gesù:

– il primo dono è la sapienza, che vi fa scoprire quanto è buono e grande il Signore e, come dice la parola, rende la vostra vita piena di sapore, perché siate, come diceva Gesù, «sale della terra»;

– poi il dono dell’intelletto, così che possiate comprendere in profondità la Parola di Dio e la verità della fede;

– quindi il dono del consiglio, che vi guiderà alla scoperta del progetto di Dio sulla vostra vita, vita di ognuno di voi;

– il dono della fortezza, per vincere le tentazioni del male e fare sempre il bene, anche quando costa sacrificio;

– viene poi il dono della scienza, non scienza nel senso tecnico, come è insegnata all’Università, ma scienza nel senso più profondo che insegna a trovare nel creato i segni le impronte di Dio, a capire come Dio parla in ogni tempo e parla a me, e ad animare con il Vangelo il lavoro di ogni giorno; capire che c’è una profondità e capire questa profondità e così dare sapore al lavoro, anche quello difficile;

– un altro dono è quello della pietà, che tiene viva nel cuore la fiamma dell’amore per il nostro Padre che è nei cieli, in modo da pregarLo ogni giorno con fiducia e tenerezza di figli amati; di non dimenticare la realtà fondamentale del mondo e della mia vita: che c’è Dio e che Dio mi conosce e aspetta la mia risposta al suo progetto;

– il settimo e ultimo dono è il timore di Dio – abbiamo parlato prima della paura -; timore di Dio non indica paura, ma sentire per Lui un profondo rispetto, il rispetto della volontà di Dio che è il vero disegno della mia vita ed è la strada attraverso la quale la vita personale e comunitaria può essere buona; e oggi, con tutte le crisi che vi sono nel mondo, vediamo come sia importante che ognuno rispetti questa volontà di Dio impressa nei nostri cuori e secondo la quale dobbiamo vivere; e così questo timore di Dio è desiderio di fare il bene, di fare la verità, di fare la volontà di Dio.

Cari ragazzi e ragazze, tutta la vita cristiana è un cammino, è come percorrere un sentiero che sale su un monte – quindi non è sempre facile, ma salire su un monte è una cosa bellissima – in compagnia di Gesù; con questi doni preziosi la vostra amicizia con Lui diventerà ancora più vera e più stretta. Essa si alimenta continuamente con il sacramento dell’Eucaristia, nel quale riceviamo il suo Corpo e il suo Sangue. Per questo vi invito a partecipare sempre con gioia e fedeltà alla Messa domenicale, quando tutta la comunità si riunisce insieme a pregare, ad ascoltare la Parola di Dio e prendere parte al Sacrificio eucaristico. E accostatevi anche al Sacramento della Penitenza, alla Confessione: è un’incontro con Gesù che perdona i nostri peccati e ci aiuta a compiere il bene; ricevere il dono, ricominciare di nuovo è un grande dono nella vita, sapere che sono libero, che posso ricominciare, che tutto è perdonato. Non manchi poi la vostra preghiera personale di ogni giorno. Imparate a dialogare con il Signore, confidatevi con Lui, ditegli le gioie e le preoccupazioni, e chiedete luce e sostegno per il vostro cammino.

Cari amici, voi siete fortunati perché nelle vostre parrocchie ci sono gli oratori, un grande dono della Diocesi di Milano. L’oratorio, come dice la parola, è un luogo dove si prega, ma anche dove si sta insieme nella gioia della fede, si fa catechesi, si gioca, si organizzano attività di servizio e di altro genere, si impara a vivere, direi. Siate frequentatori assidui del vostro oratorio, per maturare sempre più nella conoscenza e nella sequela del Signore! Questi sette doni dello Spirito Santo crescono proprio in questa comunità dove si esercita la vita nella verità, con Dio. In famiglia, siate obbedienti ai genitori, ascoltate le indicazioni che vi danno, per crescere come Gesù «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,51-52). Infine, non siate pigri, ma ragazzi e giovani impegnati, in particolare nello studio, in vista della vita futura: è il vostro dovere quotidiano e una grande opportunità che avete per crescere e per preparare il futuro. Siate disponibili e generosi verso gli altri, vincendo la tentazione di mettere al centro voi stessi, perché l’egoismo è nemico della vera gioia. Se gustate adesso la bellezza di far parte della comunità di Gesù, potrete anche voi dare il vostro contributo per farla crescere e saprete invitare gli altri a farne parte. Permettetemi anche di dirvi che il Signore ogni giorno, anche oggi, qui, vi chiama a cose grandi. Siate aperti a quello che vi suggerisce e se vi chiama a seguirlo sulla via del sacerdozio o della vita consacrata, non ditegli di no! Sarebbe una pigrizia sbagliata! Gesù vi riempirà il cuore per tutta la vita!

Cari ragazzi, care ragazze, vi dico con forza: tendete ad alti ideali: tutti possono arrivare ad una alta misura, non solo alcuni! Siate santi! Ma è possibile essere santi alla vostra età? Vi rispondo: certamente! Lo dice anche sant’Ambrogio, grande Santo della vostra Città, in una sua opera, dove scrive: «Ogni età è matura per Cristo» (De virginitate, 40). E soprattutto lo dimostra la testimonianza di tanti Santi vostri coetanei, come Domenico Savio, o Maria Goretti. La santità è la via normale del cristiano: non è riservata a pochi eletti, ma è aperta a tutti. Naturalmente, con la luce e la forza dello Spirito Santo, che non ci mancherà se estendiamo le nostre mani e apriamo il nostro cuore! E con la guida di nostra Madre. Chi è nostra Madre? E’ la Madre di Gesù, Maria. A lei Gesù ci ha affidati tutti, prima di morire sulla croce. La Vergine Maria custodisca allora sempre la bellezza del vostro «sì» a Gesù, suo Figlio, il grande e fedele Amico della vostra vita. Così sia!

 

 

VISITA PASTORALE ALL’ARCIDIOCESI DI MILANO
E VII INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE
(1-3 GIUGNO 2012)

CELEBRAZIONE DELL’ORA MEDIA CON CLERO,
SEMINARISTI E CONSACRATI

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Duomo di Milano
Sabato, 2 giugno 2012

 

Cari Fratelli e Sorelle!

Ci siamo raccolti in preghiera, rispondendo all’invito dell’Inno ambrosiano dell’Ora Terza: «E’ l’ora terza. Gesù Signore sale ingiuriato la croce». E’ un chiaro riferimento all’amorosa obbedienza di Gesù alla volontà del Padre. Il mistero pasquale ha dato principio a un tempo nuovo: la morte e risurrezione di Cristo ricrea l’innocenza nell’umanità e vi fa scaturire la gioia. Prosegue, infatti, l’inno: «Di qui inizia l’epoca della salvezza di Cristo – Hinc iam beata tempora coepere Christi gratia». Ci siamo radunati nella Basilica Cattedrale, in questo Duomo che è veramente il cuore di Milano. Da qui il pensiero si estende alla vastissima Arcidiocesi ambrosiana, che nei secoli ed anche in tempi recenti ha dato alla Chiesa uomini insigni nella santità della vita e nel ministero, come sant’Ambrogio e san Carlo, e alcuni Pontefici di non comune statura, come Pio XI e il Servo di Dio Paolo VI, e i Beati Cardinali Andrea Carlo Ferrari e Alfredo Ildefonso Schuster.

Sono molto lieto di sostare un poco con voi! Rivolgo un affettuoso pensiero di saluto a tutti e a ciascuno in particolare, e vorrei farlo arrivare in modo speciale a quelli che sono malati o molto anziani. Saluto con viva cordialità il vostro Arcivescovo, il Cardinale Angelo Scola, e lo ringrazio per le sue amabili parole; saluto con affetto i vostri Pastori emeriti, i Cardinali Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi, con gli altri Cardinali e Vescovi presenti.

In questo momento viviamo il mistero della Chiesa nella sua espressione più alta, quella della preghiera liturgica. Le nostre labbra, i nostri cuori e le nostre menti, nella preghiera ecclesiale, si fanno interpreti delle necessità e degli aneliti dell’intera umanità. Con le parole del Salmo 118 abbiamo supplicato il Signore a nome di tutti gli uomini: «Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti … Venga a me, Signore, la tua grazia». La preghiera quotidiana della Liturgia delle Ore costituisce un compito essenziale del ministero ordinato nella Chiesa. Anche attraverso l’Ufficio divino, che prolunga nella giornata il mistero centrale dell’Eucaristia, i presbiteri sono in modo particolare uniti al Signore Gesù, vivo e operante nel tempo. Il Sacerdozio: quale dono prezioso! Voi cari Seminaristi che vi preparate a riceverlo imparate a gustarlo fin da ora e vivete con impegno il tempo prezioso nel Seminario! L’Arcivescovo Montini, durante le Ordinazioni del 1958 così diceva proprio in questo Duomo: «Comincia la vita  sacerdotale: un poema, un dramma, un mistero nuovo … fonte di perpetua meditazione …sempre oggetto di scoperta e di meraviglia; [il Sacerdozio] – disse – è sempre novità e bellezza per chi vi dedica amoroso pensiero … è riconoscimento dell’opera di Dio in noi» (Omelia per l’Ordinazione di 46 Sacerdoti, 21 giugno 1958).

Se Cristo, per edificare la sua Chiesa, si consegna nelle mani del sacerdote, questi a sua volta si deve affidare a Lui senza riserva: l’amore per il Signore Gesù è l’anima e la ragione del ministero sacerdotale, come fu premessa perché Egli assegnasse a Pietro la missione di pascere il proprio gregge: «Simone …, mi ami più di costoro? … Pasci i miei agnelli (Gv 21,15)». Il Concilio Vaticano II ha ricordato che Cristo «rimane sempre il principio e la fonte della unità di vita dei presbiteri. Per raggiungerla, essi dovranno perciò unirsi a Lui nella scoperta della volontà del Padre e nel dono di sé per il gregge loro affidato. Così, rappresentando il Buon Pastore, nell’esercizio stesso della carità pastorale troveranno il vincolo della perfezione sacerdotale che realizzerà l’unità nella loro vita e attività» (Decr. Presbyterorum Ordinis, 14). Proprio su questa questione si è espresso: nelle occupazioni diverse, da ora ad ora, come trovare l’unità della vita, l’unità dell’essere sacerdote proprio da questa fonte dell’amicizia profonda con Gesù, dell’interiore essere insieme con Lui. Non c’è opposizione tra il bene della persona del sacerdote e la sua missione; anzi, la carità pastorale è elemento unificante di vita che parte da un rapporto sempre più intimo con Cristo nella preghiera per vivere il dono totale di se stessi per il gregge, in modo che il Popolo di Dio cresca nella comunione con Dio e sia manifestazione della comunione della Santissima Trinità. Ogni nostra azione, infatti, ha come scopo condurre i fedeli all’unione con il Signore e a fare così crescere la comunione ecclesiale per la salvezza del mondo. Le tre cose: unione personale con Dio, bene della Chiesa, bene dell’umanità nella sua totalità, non sono cose distinte od opposte, ma una sinfonia della fede vissuta.

Segno luminoso di questa carità pastorale e di un cuore indiviso sono il celibato sacerdotale e la verginità consacrata. Abbiamo cantato nell’Inno di sant’Ambrogio: «Se in te nasce il Figlio di Dio, conservi la vita incolpevole». «Accogliere Cristo – Christum suscipere» è un motivo che torna spesso nella predicazione del Santo Vescovo di Milano; cito un passo del suo Commento a san Luca: «Chi accoglie Cristo nell’intimo della sua casa viene saziato delle gioie più grandi» (Expos. Evangelii sec. Lucam, V, 16). Il Signore Gesù è stato la sua grande attrattiva, l’argomento principale della sua riflessione e predicazione, e soprattutto il termine di un amore vivo e confidente. Senza dubbio, l’amore per Gesù vale per tutti i cristiani, ma acquista un significato singolare per il sacerdote celibe e per chi ha risposto alla vocazione alla vita consacrata: solo e sempre in Cristo si trova la sorgente e il modello per ripetere quotidianamente il «sì» alla volontà di Dio. «Con quali legami Cristo è trattenuto?» – si chiedeva sant’Ambrogio, che con intensità sorprendente predicò e coltivò la verginità nella Chiesa, promuovendo anche la dignità della donna. Al quesito citato rispondeva: «Non con i nodi di corde, ma con i vincoli dell’amore e con l’affetto dell’anima» (De virginitate, 13, 77). E proprio in un celebre sermone alle vergini egli disse: «Cristo è tutto per noi: se desideri risanare le tue ferite, egli è medico; se sei angustiato dall’arsura della febbre, egli è fonte; se ti trovi oppresso dalla colpa, egli è giustizia; se hai bisogno di aiuto, egli è potenza; se hai paura della morte, egli è vita; se desideri il paradiso, egli è via; se rifuggi le tenebre, egli è luce; se sei in cerca di cibo, egli è nutrimento» (Ibid., 16, 99).

Cari Fratelli e Sorelle consacrati, vi ringrazio per la vostra testimonianza e vi incoraggio: guardate al futuro con fiducia, contando sulla fedeltà di Dio, che non mancherà mai, e la potenza della sua grazia, capace di operare sempre nuove meraviglie, anche in noi e con noi. Le antifone della salmodia di questo sabato ci hanno condotto a contemplare il mistero della Vergine Maria. In essa possiamo, infatti, riconoscere il «genere di vita verginale e povera che Cristo Signore si scelse per sé e che la Vergine Madre sua abbracciò» (Lumen gentium, 46), una vita in piena obbedienza alla volontà di Dio.

Ancora l’Inno ci ha richiamato le parole di Gesù sulla croce: «Dalla gloria del suo patibolo, Gesù parla alla Vergine: “Ecco tuo figlio, o donna”; “Giovanni, ecco tua madre”». Maria, Madre di Cristo, estende e prolunga anche in noi la sua divina maternità, affinché il ministero della Parola e dei Sacramenti, la vita di contemplazione e l’attività apostolica nelle molteplici forme perseverino, senza stanchezza e con coraggio, a servizio di Dio e a edificazione della sua Chiesa.

In questo momento, mi è caro rendere grazie a Dio per le schiere di sacerdoti ambrosiani, di religiosi e religiose che hanno speso le loro energie al servizio del Vangelo, giungendo talvolta fino al supremo sacrificio della vita. Alcuni di essi sono stati proposti al culto e all’imitazione dei fedeli anche in tempi recenti: i Beati sacerdoti Luigi Talamoni, Luigi Biraghi, Luigi Monza, Carlo Gnocchi, Serafino Morazzone; i Beati religiosi Giovanni Mazzucconi, Luigi Monti e Clemente Vismara, e le religiose Maria Anna Sala ed Enrichetta Alfieri. Per la loro comune intercessione chiediamo fiduciosi al Datore di ogni dono di rendere sempre fecondo il ministero dei sacerdoti, di rafforzare la testimonianza delle persone consacrate, per mostrare al mondo la bellezza della donazione a Cristo e alla Chiesa, e di rinnovare le famiglie cristiane secondo il disegno di Dio, perché siano luoghi di grazia e di santità, terreno fertile per le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Amen. Grazie.

 

VISITA PASTORALE ALL’ARCIDIOCESI DI MILANO E VII INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE (1-3 GIUGNO 2012)

CONCERTO IN ONORE DEL SANTO PADRE E DELLE DELEGAZIONI UFFICIALI DELL’INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Teatro alla Scala di MilanoVenerdì, 1° giugno 2012

 

Signori Cardinali,Illustri Autorità,Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,Care Delegazioni del VII Incontro Mondiale delle Famiglie!

In questo luogo storico vorrei innanzitutto ricordare un evento: era l’11 maggio del 1946 e Arturo Toscanini alzò la bacchetta per dirigere un concerto memorabile nella Scala ricostruita dopo gli orrori della guerra. Narrano che il grande Maestro appena giunto qui a Milano si recò subito in questo Teatro e al centro della sala cominciò a battere le mani per provare se era stata mantenuta intatta la proverbiale acustica e sentendo che era perfetta esclamò: «E’ la Scala, è sempre la mia Scala!». In queste parole, «E’ la Scala!», è racchiuso il senso di questo luogo, tempio dell’Opera, punto di riferimento musicale e culturale non solo per Milano e per l’Italia, ma per tutto il mondo. E la Scala è legata a Milano in modo profondo, è una delle sue glorie più grandi e ho voluto ricordare quel maggio del 1946 perché la ricostruzione della Scala fu un segno di speranza per la ripresa della vita dell’intera Città dopo le distruzioni della Guerra. Per me allora è un onore essere qui con tutti voi e avere vissuto, con questo splendido concerto, un momento di elevazione dell’animo. Ringrazio il Sindaco, Avvocato Giuliano Pisapia, il Sovrintendente, Dott. Stéphane Lissner, anche per aver introdotto questa serata, ma soprattutto l’Orchestra e il Coro del Teatro alla Scala, i quattro  Solisti e il maestro Daniel Barenboim per l’intensa e coinvolgente interpretazione di uno dei capolavori assoluti della storia della musica. La gestazione della Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven fu lunga e complessa, ma fin dalle celebri prime sedici battute del primo movimento, si crea un clima di attesa di qualcosa di grandioso e l’attesa non è delusa.

Beethoven pur seguendo sostanzialmente le forme e il linguaggio tradizionale della Sinfonia classica, fa percepire qualcosa di nuovo già dall’ampiezza senza precedenti di tutti i movimenti dell’opera, che si conferma con la parte finale introdotta da una terribile dissonanza, dalla quale si stacca il recitativo con le famose parole «O amici, non questi toni, intoniamone altri di più attraenti e gioiosi», parole che, in un certo senso, «voltano pagina» e introducono il tema principale dell’Inno alla Gioia. E’ una visione ideale di umanità quella che Beethoven disegna con la sua musica: «la gioia attiva nella fratellanza e nell’amore reciproco, sotto lo sguardo paterno di Dio» (Luigi Della Croce). Non è una gioia propriamente cristiana quella che Beethoven canta, è la gioia, però, della fraterna convivenza dei popoli, della vittoria sull’egoismo, ed è il desiderio che il cammino dell’umanità sia segnato dall’amore, quasi un invito che rivolge a tutti al di là di ogni barriera e convinzione.

Su questo concerto, che doveva essere una festa gioiosa in occasione di questo incontro di persone provenienti da quasi tutte le nazioni del mondo, vi è l’ombra del sisma che ha portato grande sofferenza su tanti abitanti del nostro Paese. Le parole riprese dall’Inno alla gioia di Schiller suonano come vuote per noi, anzi, sembrano non vere. Non proviamo affatto le scintille divine dell’Elisio. Non siamo ebbri di fuoco, ma piuttosto paralizzati dal dolore per così tanta e incomprensibile distruzione che è costata vite umane, che ha tolto casa e dimora a tanti. Anche l’ipotesi che sopra il cielo stellato deve abitare un buon padre, ci pare discutibile. Il buon padre è solo sopra il cielo stellato? La sua bontà non arriva giù fino a noi? Noi cerchiamo un Dio che non troneggia a distanza, ma entra nella nostra vita e nella nostra sofferenza.

In quest’ora, le parole di Beethoven, «Amici, non questi toni …», le vorremmo quasi riferire proprio a quelle di Schiller. Non questi toni. Non abbiamo bisogno di un discorso irreale di un Dio lontano e di una fratellanza non impegnativa. Siamo in cerca del Dio vicino. Cerchiamo una fraternità che, in mezzo alle sofferenze, sostiene l’altro e così aiuta ad andare avanti. Dopo questo concerto molti andranno all’adorazione eucaristica – al Dio che si è messo nelle nostre sofferenze e continua a farlo. Al Dio che soffre con noi e per noi e così ha reso gli uomini e le donne capaci di condividere la sofferenza dell’altro e di trasformarla in amore. Proprio a ciò ci sentiamo chiamati da questo concerto.

Grazie, allora, ancora una volta all’Orchestra e al Coro del Teatro alla Scala, ai Solisti e a quanti hanno reso possibile questo evento. Grazie al Maestro Daniel Barenboim anche perché con la scelta della Nona Sinfonia di Beethoven ci permette di lanciare un messaggio con la musica che affermi il valore fondamentale della solidarietà, della fraternità e della pace. E mi pare che questo messaggio sia prezioso anche per la famiglia, perché è in famiglia che si sperimenta per la prima volta come la persona umana non sia creata per vivere chiusa in se stessa, ma in relazione con gli altri; è in famiglia che si comprende come la realizzazione di sé non sta nel mettersi al centro, guidati dall’egoismo, ma nel donarsi; è in famiglia che si inizia ad accendere nel cuore la luce della pace perché illumini questo nostro mondo. E grazie a tutti voi per il momento che abbiamo vissuto assieme. Grazie di cuore!

 

VISITA PASTORALE ALL’ARCIDIOCESI DI MILANOE VII INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE(1-3 GIUGNO 2012)

INCONTRO CON LA CITTADINANZA

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Piazza Duomo, MilanoVenerdì, 1° giugno 2012

 

Signor Sindaco,Distinte Autorità,Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel sacerdozio,Cari fratelli e sorelle dell’Arcidiocesi di Milano!

Saluto cordialmente tutti voi qui convenuti così numerosi, come pure quanti seguono questo evento attraverso la radio e la televisione. Grazie per la vostra calorosa accoglienza! Ringrazio il Signor Sindaco per le cortesi espressioni di benvenuto che mi ha indirizzato a nome della comunità civica. Saluto con deferenza il Rappresentante del Governo, il Presidente della Regione, il Presidente della Provincia, nonché gli altri rappresentanti delle Istituzioni civili e militari, ed esprimo il mio apprezzamento per la collaborazione offerta per i diversi momenti di questa visita. E grazie a lei, Eminenza, per il cordiale saluto!

Sono molto lieto di essere oggi in mezzo a voi e ringrazio Dio, che mi offre l’opportunità di visitare la vostra illustre Città. Il mio primo incontro con i Milanesi avviene in questa Piazza del Duomo, cuore di Milano, dove sorge l’imponente monumento simbolo della Città. Con la sua selva di guglie esso invita a guardare in alto, a Dio. Proprio tale slancio verso il cielo ha sempre caratterizzato Milano e le ha permesso nel tempo di rispondere con frutto alla sua vocazione: essere un crocevia – Mediolanum – di popoli e di culture. La città ha così saputo coniugare sapientemente l’orgoglio per la propria identità con la capacità di accogliere ogni contributo positivo che, nel corso della storia, le veniva offerto. Ancora oggi, Milano è chiamata a riscoprire questo suo ruolo positivo, foriero di sviluppo e di pace per tutta l’Italia. Il mio «grazie» cordiale va, ancora una volta, al Pastore di questa Arcidiocesi, il Cardinale Angelo Scola, per l’accoglienza e le parole che mi ha rivolto a nome dell’intera Comunità diocesana; con lui saluto i Vescovi Ausiliari e chi lo ha preceduto su questa gloriosa e antica Cattedra, il Cardinale Dionigi Tettamanzi e il Cardinale Carlo Maria Martini.

Rivolgo un particolare saluto ai rappresentanti delle famiglie – provenienti da tutto il mondo – che partecipano al VII Incontro Mondiale. Un pensiero affettuoso indirizzo poi a quanti hanno bisogno di aiuto e di conforto, e sono afflitti da varie preoccupazioni: alle persone sole o in difficoltà, ai disoccupati, agli ammalati, ai carcerati, a quanti sono privi di una casa o dell’indispensabile per vivere una vita dignitosa. Non manchi a nessuno di questi nostri fratelli e sorelle l’interessamento solidale e costante della collettività. A tale proposito, mi compiaccio di quanto la Diocesi di Milano ha fatto e continua a fare per andare incontro concretamente alle necessità delle famiglie più colpite dalla crisi economico-finanziaria, e per essersi attivata subito, assieme all’intera Chiesa e società civile in Italia, per soccorrere le popolazioni terremotate dell’Emilia Romagna, che sono nel nostro cuore e nelle nostre preghiere e per le quali invito, ancora una volta, ad una generosa solidarietà.

Il VII Incontro Mondiale delle Famiglie mi offre la gradita occasione di visitare la vostra Città e di rinnovare i vincoli stretti e costanti che legano la comunità ambrosiana alla Chiesa di Roma e al Successore di Pietro. Come è noto, sant’Ambrogio proveniva da una famiglia romana e ha mantenuto sempre vivo il suo legame con la Città Eterna e con la Chiesa di Roma, manifestando ed elogiando il primato del Vescovo che la presiede. In Pietro – egli afferma – «c’è il fondamento della Chiesa e il magistero della disciplina» (De virginitate, 16, 105); e ancora la nota dichiarazione: «Dove c’è Pietro, là c’è la Chiesa» (Explanatio Psalmi 40, 30, 5). La saggezza pastorale e il magistero di Ambrogio sull’ortodossia della fede e sulla vita cristiana lasceranno un’impronta indelebile nella Chiesa universale e, in particolare, segneranno la Chiesa di Milano, che non ha mai cessato di coltivarne la memoria e di conservarne lo spirito. La Chiesa ambrosiana, custodendo le prerogative del suo rito e le espressioni proprie dell’unica fede, è chiamata a vivere in pienezza la cattolicità della Chiesa una, a testimoniarla e a contribuire ad arricchirla.

Il profondo senso ecclesiale e il sincero affetto di comunione con il Successore di Pietro, fanno parte della ricchezza e dell’identità della vostra Chiesa lungo tutto il suo cammino, e si manifestano in modo luminoso nelle figure dei grandi Pastori che l’hanno guidata. Anzitutto san Carlo Borromeo: figlio della vostra terra. Egli fu, come disse il Servo di Dio Paolo VI, «un plasmatore della coscienza e del costume del popolo» (Discorso ai Milanesi, 18 marzo 1968); e lo fu soprattutto con l’applicazione ampia, tenace e rigorosa delle riforme tridentine, con la creazione di istituzioni rinnovatrici, a cominciare dai Seminari, e con la sua sconfinata carità pastorale radicata in una profonda unione con Dio, accompagnata da una esemplare austerità di vita. Ma, insieme con i santi Ambrogio e Carlo, desidero ricordare altri eccellenti Pastori più vicini a noi, che hanno impreziosito con la santità e la dottrina la Chiesa di Milano: il beato Cardinale Andrea Carlo Ferrari, apostolo della catechesi e degli oratori e promotore del rinnovamento sociale in senso cristiano; il beato Alfredo Ildefonso Schuster, il «Cardinale della preghiera», Pastore infaticabile, fino alla consumazione totale di se stesso per i suoi fedeli. Inoltre, desidero ricordare due Arcivescovi di Milano che divennero Pontefici: Achille Ratti, Papa Pio XI; alla sua determinazione si deve la positiva conclusione della Questione Romana e la costituzione dello Stato della Città del Vaticano; e il Servo di Dio Giovanni Battista Montini, Paolo VI, buono e sapiente, che, con mano esperta, seppe guidare e portare ad esito felice il Concilio Vaticano II. Nella Chiesa ambrosiana sono maturati inoltre alcuni frutti spirituali particolarmente significativi per il nostro tempo. Tra tutti voglio oggi ricordare, proprio pensando alle famiglie, santa Gianna Beretta Molla, sposa e madre, donna impegnata nell’ambito ecclesiale e civile, che fece splendere la bellezza e la gioia della fede, della speranza e della carità.

Cari amici, la vostra storia è ricchissima di cultura e di fede. Tale ricchezza ha innervato l’arte, la musica, la letteratura, la cultura, l’industria, la politica, lo sport, le iniziative di solidarietà di Milano e dell’intera Arcidiocesi. Spetta ora a voi, eredi di un glorioso passato e di un patrimonio spirituale di inestimabile valore, impegnarvi per trasmettere alle future generazioni la fiaccola di una così luminosa tradizione. Voi ben sapete quanto sia urgente immettere nell’attuale contesto culturale il lievito evangelico. La fede in Gesù Cristo, morto e risorto per noi, vivente in mezzo a noi, deve animare tutto il tessuto della vita, personale e comunitaria, pubblica e privata, privata e pubblica, così da consentire uno stabile e autentico “ben essere”, a partire dalla famiglia, che va riscoperta quale patrimonio principale dell’umanità, coefficiente e segno di una vera e stabile cultura in favore dell’uomo. La singolare identità di Milano non la deve isolare né separare, chiudendola in se stessa. Al contrario, conservando la linfa delle sue radici e i tratti caratteristici della sua storia, essa è chiamata a guardare al futuro con speranza, coltivando un legame intimo e propulsivo con la vita di tutta l’Italia e dell’Europa. Nella chiara distinzione dei ruoli e delle finalità, la Milano positivamente “laica” e la Milano della fede sono chiamate a concorrere al bene comune.

Cari fratelli e sorelle, grazie ancora per la vostra accoglienza! Vi affido alla protezione della Vergine Maria, che dalla più alta guglia del Duomo maternamente veglia giorno e notte su questa Città. A tutti voi, che stringo in un grande abbraccio, dono la mia affettuosa Benedizione. Grazie!