Archivi Mensili: aprile 2021

LA DOMENICA DEL BUON PASTORE. RIFLESSIONE DI PADRE ANTONIO RUNGI

Quarta domenica di Pasqua

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Domenica 25 aprile 2021

Le credenziali di accesso del Buon Pastore al cuore dell’uomo

Commento di padre Antonio Rungi

La quarta domenica di Pasqua è definita quella del Buon Pastore, in quanto il testo del Vangelo di Giovanni ci presenta questa significativa immagine con la quale Gesù si presenta ai suoi. Egli è colui che si prende cura, guida e difende il suo gregge e che deve proteggere da ogni forma di aggressione e disgregazione.

San Giovanni nel focalizzare la sua riflessione su tale immagine parte dalla constatazione di fatto di come viveva gli ebrei in Palestina. Era in prevalenza pastori. Furono, infatti, i pastori che per primi arrivano alla grotta di Betlemme per accogliere nella gioia il Salvatore appena nato e ne divennero i primi missionari in quel contesto di attesa e di speranza per tutto il popolo ebraico.

Gesù si appropria di questa immagine, di comune ed abituale conoscenza presso la gente, per far capire il senso della sua missione. Egli si definisce il buon pastore.

Quell “io sono il buon pastore” ci rimanda all’identità stessa di Dio, che è colui che è.  Gesù spesso usa questa espressione, sia durante ministero pubblico e sia dopo la sua risurrezione: Sono io, non abbiate paura”, afferma in più di qualche circostanza. Quando c’è il pastore le pecore camminano sicure e spedite ai pascoli giusti, nei quali attingere forze ed energie di ogni tipo e nei quali spaziare per vivere l’amore e la carità.

Gesù stesso spiega questo termine, nel discorso che Egli fa di autopresentazione, di accreditamento personale davanti al mondo e a quanti lo vorranno accogliere. Dice che la più cosa più importante possa fare un buon pastore è quella di dare la propria vita per le pecore.

Le credenziali di accesso del buon pastore al cuore dell’uomo sono la capacità di donarsi e dare la vita per il gregge.

Il significato di questo è ben chiaro per noi credenti ed ha stretto rapporto con la realtà ecclesiale in cui siamo immersi attraverso il dono del battesimo.

Essendo la chiesa una comunità di credenti, visibile e spirituale insieme, essa necessita di guide e di condottieri non per fare le guerre e lottare per dominare sugli altri, ma per servire e dare la vita, come ogni vero pastore fa di fronte ai pericoli che incombono sul suo gregge.

E’ evidente il riferimento alla missione profetica di quanti il Signore sceglie per guidare il popolo santo di Dio, redento dal suo sangue preziosissimo. La sua vita donata per noi è esempio di ogni donazione, soprattutto per quanti sono stati chiamati, per vocazione e non per interesse e sistemazione alla guida del popolo di Dio, a vari livelli e con compiti diversi nella Chiesa.

Gesù è il pastore supremo delle nostre anime e in Lui assumono valore, significato e spessore gli altri pastori che a partire dal Sommo Pontefice, a scalare, arrivano alle altre figure pastorali nella Chiesa cattolica; vescovi, sacerdoti, diaconi e fedeli laici impegnati nei vari settori della pastorale parrocchiale e diocesana.

In netta opposizione al buon pastore emerge drammaticamente la figura del mercenario, che pure era nota negli ambienti commerciali ed economici del tempo di Gesù e prima di lui. In contrapposizione al buon pastore c’è, infatti, questo soggetto non affidabile che è il mercenario. Gesù ci tiene ad evidenziare questa contrapposizione e questo contrasto non solo di immagini, ma di vita reale, per dire che il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore”.

E’ un dato di fatto, che se una persona o una cosa non ci appartiene, non la sentiamo nostra, non la viviamo come nostra, ma l’abbandoniamo e non la proteggiamo dai pericoli.

E’ questo il comportamento del mercenario, che letteralmente significa colui che si vende per motivi di soldi. Egli, infatti, è quella persona che presta la propria opera dietro compenso, e al solo fine di essere pagata, senz’altro interesse che quello del guadagno, dietro compenso.

Si riferisce di solito ad attività e prestazioni che dovrebbero essere svolte liberalmente, gratuitamente, o nelle quali il compenso non dovrebbe essere l’interesse principale, per cui il termine, assume una connotazione di massimo disprezzo.

Con queste parole, Gesù vuole proprio biasimare questa figura di mercenario, freddo e calcolatore dei propri interessi, che di fronte all’arrivo di lupi rapaci scappa via e abbandona il gregge.

Alla fine non gli succede nulla, perché è un mestiere pagato e quindi liberamente lo si lascia di fronte al rischio e al pericolo.

Gesù, invece, di fronte a simili soggetti compromessi con il denaro, ribadisce che lui è il buon pastore e che conosce le sue pecore. Da parte loro le pecore conoscono bene il loro pastore. Ed aggiunge nel suo discorso che  “come il Padre conosce Lui e Lui conosce il Padre, così conosce ogni sua pecorella. Una conoscenza che porta al dono supremo di se stesso. La conoscenza non è altro che l’amore pieno e perfetto al quale ogni creatura deve aspirare sul modello di Cristo Buon Pastore. Questo amore e conoscenza non si limitano ad investire quanti ricambiano questo amore, con il dono della fede, e quindi fanno parte del gregge di Cristo, ma si estende a tutti. Nessuno è escluso da questa attenzione da parte del Redentore.

Ecco perché Gesù afferma che Egli ha altre pecore che non provengono dal suo recinto e anche quelle Egli deve guidare ai pascoli della salvezza eterna.

Nello stesso tempo Gesù è fiducioso nell’umanità e con una semplicità comunicativa dice che le altre pecore che non sono del suo ovile ascolteranno la sua voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Questo è in grande desiderio e auspicio di Dio e di quanti credono in Lui.

L’unità dell’umanità sotto l’egida della parola che salva e che è Cristo e nessun altro. L’amore che il Padre manifesta al Figlio trova la conferma nel fatto che Gesù dà la sua vita   per la salvezza del mondo. Chiaro riferimento alla passione, morte e risurrezione che riguardano solo ed esclusivamente Cristo e nel quale assume significato e valore ogni persona umana e soprattutto ogni cristiano. Sentirsi e vivere da fratelli è compito apostolico e missionario di ogni buon pastore, sia esso papa, vescovo, sacerdote, parroco, religioso, suora, laico, politico, amministratore, economista o altra professione o attività umana. Di mercenari la storia ne ha avuto tanti, in tutti gli ambienti. Ora è tempo di essere pastori con il cuore e la sensibilità di Cristo buon pastore, che ci ha resi tutti fratelli nella sua passione, morte in croce e risurrezione.

E’ lo stesso evangelista Giovanni a ribadirlo nel testo della seconda lettura di questa domenica, tratta dalla sua prima lettera: “Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui”. Il Figlio amato dal Padre è il grande dono di Dio all’umanità. Cristo ci ha portato alla condizione di essere figli di Dio, fin d’ora. Questa assoluta verità di fede ci fa guardare oltre il presente e ce lo fa attendere nella fede, nella speranza e nella carità. Infatti “ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è”.

L’attesa della venuta del Signore del secondo e definitivo avvento svelerà ogni cosa di quello che oggi noi non possiamo sapere, limitati come siamo nel entrare nei misteri di Dio e della fede.

Ci sia di conforto e di incoraggiamento quanto leggiamo oggi nel brano della prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, in cui san Pietro si confronta con coloro che vogliono ostacolare la loro azione di annuncio e di diffusione del Vangelo, che avviene mediante non solo la parola, ma anche con i miracoli che il Signore Risorto e asceso al cielo continua ad operare tramite i suoi discepoli: «Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato”. Pietro così da un lato mette in evidenza l’opera di Cristo che continua nella Chiesa e nel mondo e dall’altro pone di fronte alle loro responsabilità coloro che sono stati artefici della condanna a morte di Gesù. E con forza, Pietro, colmo di Spirito Santo, afferma che “Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo”. Espressione per dire l’essenzialità e la indispensabilità di Cristo per ogni costruzione spirituale e storica anche per Israele, partendo proprio dalla pietra angolare del celebre tempio della città santa. E ribadisce quello che orami era il nucleo portante e centrale del kerigma apostolico: “In nessun altro c’è salvezza”, se non in Gesù Cristo. “Non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati».

Di tutto questo noi uomini del XXI secolo ne dobbiamo essere certi e come cristiani rendere visibile il mistero della redenzione di Cristo mediante la santità e la bontà della nostra vita.

MESE DI MAGGIO 2021 DEDICATO ALLA PANDEMIA. IL TESTO DI PADRE RUNGI

SPIRITUALITA’. MESE DI MAGGIO DEDICATO ALLA PANDEMIA. PADRE RUNGI HA COMPOSTO QUESTO NUOVO SUSSIDIO DI PREGHIERA MARIANA.

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MESE DI MAGGIO 2021 – DEF

Il mese di maggio è dedicato alla Madonna ed è una pratica religiosa molto sentita ed seguita dai fedeli di ogni ceto e condizione sociale. Per accompagnare il cammino spirituale in questo mese mariano 2021, padre Antonio Rungi, teologo passionista della comunità del santuario della Madonna della Civita in Itri (Lt), delegato arcivescovile per la vita consacrata della diocesi di Gaeta, ha composto un testo del mese di maggio, “con la precisa intenzione –scrive l’autore – di pregare per essere vicini a quanti soffrono e stanno attraversando propri di ogni genere in questo anno di pandemia”.

Il titolo che padre Rungi ha voluto dato a questo sussidio di spiritualità mariano è emblematico “Un mese con Maria in tempo di pandemia”. Si tratta di un cammino spirituale che inizierà il primo maggio e si concluderà il trentuno. “Una sorta di esercizi spirituali –afferma il teologo- avendo come punti di riferimento la parola di Dio, la preghiera della Chiesa, il magistero di Papa Francesco e la testimonianza dei santi”.

La struttura del mese di maggio è, infatti, basata sulle parole dette a Maria o dette da Maria, così come riportate nei testi del vangelo di Luca e Giovanni, con la testimonianza di 31 santi mariani, che spaziano di primi secoli del cristianesimo fino ai nostri giorni. Le preghiere scelte per le orazioni specifiche del mese di maggio sono tratte dalla celebrazione delle sante messe del messale mariano, ma interessanti sono soprattutto le impetrazioni ricavate dall’Angelus e Regina coeli, che hanno accompagnato il cammino della Chiesa in questo anno di pandemia, con il sostegno spirituale ed incoraggiamento del Santo Padre, Papa Francesco. Tutte le impetrazioni che sono veri e propri impegni di preghiera e di vita cristiana, in poche parole dei fioretti, concludono il singoli giorni del mese di maggio 2021.

Il testo è stato infatti pubblicato sul gruppo Facebook “Con Papa Francesco”, amministrato dallo stesso padre Antonio Rungi.

APPELLO DEL TEOLOGO RUNGI. IL 26 APRILE ALLE 12 UN MINUTO DI SILENZIO PER TUTTE LE VITTIME DEL COVID-19

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ITRI (LT). IL PASSIONISTA, PADRE ANTONIO RUNGI, PER IL 26 APRILE 2021, A MEZZOGIORNO PROPONE UN MINUTO DI SILENZIO E PREGHIERA PER TUTTI I MORTI DI COVID-19

In vista delle prossime aperture, già da lunedì 26 aprile 2021, padre Antonio Rungi, teologo passionista, delegato arcivescovile per la vita consacrata dell’arcidiocesi di Gaeta, propone a tutti gli italiani un minuto di silenzio alle ore 12 per ricordare tutti i morti di Covid-19. “Si tratta di un’iniziativa di carattere simbolica e di sensibilità umana e cristiana verso coloro che hanno perso la vita in questo anno e che non possono essere dimenticati”, afferma padre Rungi, nella sua articolata riflessione etica e sociale, alla vigilia delle riaperture di tante attività sul territorio italiano.
La nota completa del teologo spazia su altri temi di grande attualità, su cui egli invita “a riflettere, soprattutto ad organizzare il futuro, con la consapevolezza di quanto si è vissuto e si sta continuando a vivere”.
Ecco il testo completo della riflessione di questa domenica 18 aprile 2021.
“Dal prossimo 26 aprile 2021, si dice che l’Italia apre i battenti dopo la serrata a causa del Covid-19. Una riapertura parziale visto che non saremo nell’assoluta libertà di muoverci, di non usare protezioni, né di incontrare chiunque. Riprendono quelle attività economiche e produttive finalizzate a non affossare ulteriormente l’economia del nostro Paese, da sempre segnato dalla mancanza di lavoro e di prospettive future.
Tutto giusto, tutto opportuno, ma rimane il problema della pandemia, che continua a fare strage in ogni parte d’Italia e del mondo. I morti continuano ad esserci ogni giorno, i malati di Covid continuano ad essere ricoverati in ospedale o rimanere a casa. I contagi persistono e non si sono azzerati, a conferma che dall’emergenza sanitaria non siamo ancora usciti e quindi ci vuole prudenza e saggezza nel nostro agire.
Tutte le campagne di vaccinazioni, tutta la nostra speranza di uscire fuori da questa tempesta sanitaria con la vaccinazione globale si scontra con la realtà, coni dati quotidiani e le costatazioni di 13 mesi di grandi sofferenze per tutti, non ancora superate.
I circa 117.000 morti, ad oggi, tra cui medici, infermieri, forze dell’ordine, volontari, vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, fedeli laici, non possono passare sotto silenzio o essere dimenticati facilmente, perché preme l’esigenza di una ripresa della vita che deve dimenticare subito il passato e soprattutto la morte, che ha lasciato segni profondi nei pensieri, nella vita e nel cuore di tutti gli italiani. Noi siamo facili a dimenticare, perché l’oblio ci aiuta a vivere, ma non è così. I morti di coronavirus appartengono a tutti gli italiani e a tutto il mondo, perché sono il volto della sofferenza, del dolore e del buio, in questo anno terribile della pandemia. Pertanto, per il 26 aprile 2021 quando si ritornerà quasi del tutto alla vita normale in Italia, mentre altrove già questo è avvenuto, propongo che il nostro primo pensiero sia quello di ricordare tutti i morti di quest’anno, soprattutto coloro che hanno data la vita per salvare vite. Ricordarli a mezzogiorno del 26 aprile 2021, con un minuto di silenzio e di preghiera, in tutti i luoghi ed istituzioni, in base al proprio credo religioso, ricordare tutti i martiri del coronavirus. Questi nostri fratelli e sorelle non possono essere accantonati nel ricordo del passato, in quanto il passato non è quello remoto, ma quello prossimo e più vicino a noi, è il passato messo alle spalle da pochi minuti e secondi, né tantomeno possono essere rimossi dalla nostra coscienza, perché dobbiamo pensare al futuro e non più al passato.
E’ vero che siamo nel tempo di Pasqua e questo significa risurrezione, ma il Risorto porta con sé i segni della passione, della sofferenza e della croce.
Con Cristo la vita trionfa sulla morte, la speranza sulla disperazione, la fiducia sulla sfiducia, la gioia sulla tristezza, la ritrovata armonia degli incontri rispetto all’assurda solitudine di questo anno, ma in una sola cosa non potrà esserci passaggio al meglio ed al definitivo, soprattutto in questo tempo di pandemia, se abbiamo vissuto, sperimentato e testimoniato in questi 13 mesi l’amore verso il prossimo, specialmente nei confronti di chi era più debole e fragile sul territorio italiano, dove viviamo, ma anche dimostrando sensibilità verso tutta l’umanità, perché l’amore non ha confini,  non ha bisogno di perfezionarsi, e se è vero, autentico, generoso, e se è totale esso si esprime donando la vita come Cristo ha fatto per ciascuno di noi sulla croce.
L’esperienza della pandemia, che non è finita, e che non è alle nostre spalle, è semplicemente accantonata e messa temporaneamente in standby per motivi economici e di opportunità non può farci dimenticare quello che è successo in questi 13 mesi e che se non siamo accorti e prudenti in futuro, saggi ed intelligenti, potrà succederci di peggio. L’incoscienza, l’imprudenza e la superbia sono sempre all’angolo di ogni strada delle nostre città e della presunzione di quanti non considerano i limiti della mente, della ragione e della scienza.
Dio ci liberi da altri morti da pandemia e da altre sofferenze che con sé ha portato e porta questo terribile morbo, che ha ammorbato il mondo intero e dal quale usciremo vincitori solo se camminiamo a lavoriamo insieme per il bene dell’intera nazione italiana e  di tutta la comunità mondiale, e non solo di una parte di essa, non sempre, poi, quella più in necessità ed urgenza di essere curata, protetta e difesa da ogni morbo e non solo dal Covid-19, ma di tutta l’umanità bisognosa di sentirsi accumunata in un piano di salvezza globale e non solo per la pandemia, ma anche per il resto delle necessità di tutti gli esseri umani. Buona domenica a tutti.