Archivi Mensili: ottobre 2019

P.Rungi. Il ruolo del Beato Domenico Barberi nella conversione del Cardinale Newman, oggi santo

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Roma. Il ruolo del Beato Domenico Barberi, passionista nella conversione del prossimo santo J.H. Newman.

di Antonio Rungi

Nella conversione del prossimo santo (domani 13 ottobre 2019, la canonizzazione insieme ad altri beati), il cardinale John Henry Newman, un ruolo importantissimo e fondamentale lo ebbe il Beato Domenico Barberi, passionista (1792-1849). Fu lui, infatti, ad accoglierlo nella Chiesa cattolica, una volta convertito dall’anglicanesimo.

Lo stesso Newman gli eresse un monumento spirituale nel romanzo che parla della propria conversione “Loss and Gain” – “Perdita e Guadagno”. In esso, infatti, traccia un dettagliato profilo biografico, avendolo conosciuto e frequentato di persona.

  1. Domenico della Madre di Dio era figlio spirituale di S. Paolo della Croce (1694-1775), il fondatore dei Passionisti, del quale Newman scrive: “Il pensiero dell’Inghilterra era presente in tutte le sue preghiere; nei suoi ultimi anni di vita, dopo aver avuto una visione durante la santa Messa, egli parlò come un Agostino, come un Mellitus, dei suoi ‘figli’ in Inghilterra”. In poche parole, il desiderio di San Paolo della Croce di avere una presenza passionista in Inghilterra si realizzò dopo la sua morte, avvenuta a Roma il 18 ottobre 1775.

I primi contatti tra Newman e il Beato Domenico furono a distanza. Iniziarono con la lettura di un articolo di Newman arrivato nelle mani di Domenico in Belgio che lo lesse con grande interesse.  Il 17 febbraio del 1842, superate alcune difficoltà, Domenico Barberi poté fondare il primo convento passionista in Inghilterra ad Aston Hall presso Stone. Nello stesso anno Newman si ritirò definitivamente da Oxford e andò a Littlemore con il desiderio, tra l’altro, “di fondare qui una casa religiosa” (Apologia, 159).

Il Beato Domenico il 24 giugno del 1844 fece una breve visita a Littlemore, dove avvenne un primo incontro personale col Newman. Continuarono gli incontri se non direttamente, tramite altri esponenti della cultura e dell’aglicanesimo, soprattutto a livello epistolare, mentre cresceva in lui il desiderio di passare al cattolicesimo. Cosa che avvenne di fatto. Il 5 ottobre del 1845 Newman si ritirò per tutto il giorno nella sua stanza per prepararsi alla confessione generale. Il 7 ottobre scrisse al suo ex studente Henry Wilberforce: “P. Domenico, il passionista, passa da qui durante il suo viaggio da Aston nello Staffordshire verso il Belgio (…). Arriva a Littlemore per una notte, ospite di uno di noi che lo ha accolto ad Aston. Egli non conosce la mia intenzione, ma io lo pregherò di accogliermi nell’unico vero gregge del Salvatore”.

Alla vigilia della conversione Newman compilò molte lettere simili in cui comunicava a diversi amici la sua decisione. In esse egli caratterizzava di continuo Domenico quale “persona semplice e santa”, e vedeva la sua venuta a Littlemore come una “chiamata da fuori”, proveniente da Dio. Nella notte tra l’8 ed il 9 ottobre del 1845, P. Domenico arrivò ad Oxford con la carrozza, completamente bagnato dalla pioggia, accolto dal Dalgairns e da St. John. Appena apprese dai due la felice notizia gridò: “Dio sia lodato!”. Giunto a Littlemore, tentò inutilmente di asciugare i suoi vestiti al fuoco del camino. In quel momento Newman entrò nella stanza, si inginocchiò ai suoi piedi e lo pregò di ascoltare la sua confessione. Alla sera del giorno seguente egli pronunciò assieme a due suoi compagni, Bowles e Stanton, la professione di fede, Domenico diede loro l’assoluzione e poi li battezzò in forma condizionata. Il 10 ottobre Newman assieme agli altri ricevette la S. Comunione. Padre Domenico Barberi descrive Newman “una persona tra le più umili ed amabili” che egli avesse incontrato nella vita.

Il 2 ottobre 1889, in coincidenza con l’apertura del processo di beatificazione di Domenico, Newman scrisse al cardinale Parocchi a Roma: “Certamente, P. Domenico della Madre di Dio era un missionario ed un predicatore fortemente impressionante. Egli ha dato un grande apporto alla mia stessa conversione e a quella degli altri. Già il suo aspetto aveva un qualcosa di santo. Quando la sua personalità arrivò al mio campo visivo, mi colpì in modo del tutto particolare. La sua straordinaria bontà unita alla sua santità erano già in sé una vera e santa predica. Nessuna meraviglia dunque se io sono diventato un suo convertito e penitente. Egli aveva un grande amore per l’Inghilterra”.

Domenico Barberi morì d’infarto il 27 agosto 1849 durante un viaggio in treno da Londra a Woodchester  in una stanza della stazione di Reading.

Il 27 ottobre 1963 è stato dichiarato beato da Papa Paolo VI. La sua tomba si trova nella chiesa di Sant’Anna a Sutton, St. Helens (Inghilterra).

Ora Newman santo e il Beato Domenico Beato, insieme cantano le lodi di Dio nella gloria del paradiso. Il discepolo e di altra fede e cultura, ha superato il maestro, convertendosi, raggiungendo i più alti gradi della gerarchia ecclesiastica cattolica ed ora santo, come era doveroso considerarlo ed anche dichiararlo ufficialmente.

P.RUNGI. IL COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DELLA XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

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DOMENICA XXVIII DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

DOMENICA 13 OTTOBRE 2019

Alzati e va, la tua fede ti ha salvato

Commento di padre Antonio Rungi

La liturgia della parola di Dio di questa XXVIII domenica del tempo ordinario ci offre l’occasione di riflettere in modo più circostanziato sul tema della fede.

Siamo nella scia dei testi del Vangelo di Luca di queste ultime domeniche, che ripropongono con cadenza settimanale il discorso sul credere e della potenza della fede, come è nel caso del Vangelo di oggi che ci presenta il racconto della guarigione di dieci lebbrosi, di cui solo uno torna indietro, dopo essere stato guarito per ringraziare il Signore.

E questo brano chiude proprio con l’invito di Gesù, al lebbroso guarito, quello che ha cambiato totalmente vita, di alzarsi e andare, perché la forte e convinta fede in Gesù lo aveva guarito, ma soprattutto lo aveva salvato.

Infatti, questo brano del Vangelo di Luca pone i nostri passi dentro la terza tappa del cammino che Gesù sta compiendo verso Gerusalemme; la meta ormai è vicina e il maestro chiama con ancora maggior intensità i suoi discepoli, cioè noi, a seguirlo, fino ad entrare con Lui nella città santa, nel mistero della salvezza, dell’amore.

La prima annotazione che Luca fa su Gesù è che Egli in cammino e attraversa la Samaria e la Galilea; si avvicina piano a Gerusalemme. Nel suo andare verso Gerusalemme Egli non lascia nulla di non visitato, di non toccato dal suo sguardo d’amore e di misericordia.

Continuando nella lettura del Vangelo ci viene detto che Gesù entra in un villaggio, che non ha nome e qui incontra i dieci lebbrosi, uomini malati, già intaccati dalla morte, esclusi e lontani, emarginati e disprezzati.

Tali lebbrosi Gli chiedono la guarigione. Egli accoglie subito la loro preghiera, che è un grido straziante del loro cuore e li invita ad andare a Gerusalemme e a presentarsi ai sacerdoti nel tempio. E mentre essi andavano, furono purificati. Li invita quindi a raggiungere il cuore della Città santa, il tempio, i sacerdoti. Li invita al ritorno alla casa del Padre.

E non appena ha inizio questo storico viaggio verso Gerusalemme, i dieci lebbrosi vengono risanati, vengono purificati.

A questo punto succede una cosa che Gesù fa osservare. Uno solo di loro torna indietro per rendere grazie a Gesù e per giunta fa osservare che quello che è tornato indietro è un samaritano, uno che non apparteneva al popolo eletto. A conferma che la salvezza che egli è venuto a portare è per tutti, anche per i lontani, gli stranieri. Nessuno è escluso dall’amore del Padre, che salva grazie alla fede.

Il racconto del brano del vangelo si chiude con due verbi che esprimono cammino di conversione e di rinnovamento interiore: alzarsi ed andare, ovvero risorgere. Solo la fede può farsi risorgere da una condizione di malattia dell’anima e solo la fede spinge a camminare nella vita, nonostante le difficoltà e le croci di ogni genere.

Ce lo ricorda la prima lettura di questa domenica tratta dal secondo libro dei Re, nella quale è raccontata la guarigione di Naaman il Siro, anche lui affetto da lebbra. Una volta purificato tornò dal profeta Eliseo professando la sua fede con queste parole: «Ecco, ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele”.

Di conseguenza abbandonò ogni forma di idolatria, e si mise a servire il vero ed unico Dio, rivelato a Mosè sul monte Sinai.

Anche qui riscontriamo una forte intenzione di cambiare stile di vita religiosa e quindi di attuare una vera conversione spirituale, che tende verso la manifestazione del culto divino autentico, come quello del popolo d’Israele.

La capacità di testimoniare la fede in Cristo, che ci viene dalla docilità allo Spirito Santo ci viene richiamata, poi, dall’apostolo Paolo nel breve brano della sua seconda lettera all’amico e vescovo Timoteo. In essa Paolo, maestro e compagno di viaggi, non turistici, ma apostolici e missionari,  ricorda a Timoteo che per Gesù Cristo si deve fare ogni cosa, avere il coraggio dell’annuncio, affrontare le prove della vita, subire anche le catene e lo stesso martirio, come egli stesso, sta sperimentando in quel momento.

I limiti umani, la restrizione della libertà personale, come avviene per un detenuto, nella cui condizione si trova Paolo in quel momento, essendo stato imprigionato, a causa del Vangelo, non deve incatenare la Parola di Dio, che viaggia e cammina anche tra le sbarre di un carcere o di un luogo di detenzione forzata. Infatti, lui sopporta ogni cosa “per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna”.

E poi va nel cuore delle verità di fede essenziali per la dottrina cristiana: “Se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo”. In opposizione a questo dialogo di intesa e d’amore con il Salvatore, c’è il rinnegamento, l’infedeltà che portano evidentemente la persona religiosa ad allontanarsi da Dio e a vivere senza Dio, come se Dio non esistesse.

Questo comportamento non ci aiuterà ad essere nella grazia e nell’amicizia con Cristo e quindi di sperare nella salvezza eterna.

Si tratta di un forte monito per ricordare a ciascuno di noi che la fede va vissuta, testimonianza con coraggio fino alla morte.

Naaman, il lebbroso del vangelo che torna indietro a ringraziare, Timoteo sono personaggi citati nella parola di Dio di questa Domenica, insieme al profeta Eliseo e all’Apostolo Paolo che vanno nell’unica direzione possibile, quella che dà salvezza e sicurezza, e cioè la direzione di Cristo.

Possiamo, a conclusione di queste riflessioni e considerazioni, elevare la nostra mente a Dio con la preghiera della colletta di questa domenica: “O Dio, fonte della vita temporale ed eterna, fa’ che nessuno di noi ti cerchi solo per la salute del corpo: ogni fratello in questo giorno santo torni a renderti gloria per il dono della fede, e la Chiesa intera sia testimone della salvezza che tu operi continuamente in Cristo tuo Figlio”. Amen.

P.RUNGI. LA PAROLA DI DIO DELLA XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

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XXVII Domenica del tempo ordinario (Anno C)

Domenica 6 ottobre 2019

Missionari della fede, ma con fede e per fede

per la diffusione del Regno di Dio in mezzo agli uomini.

Commento di padre Antonio Rungi

La parola di Dio di questa XXVII  domenica del tempo ordinario , la prima del mese di ottobre 2019, mese dedicato alle missioni, che quest’anno assume un valore speciale, in quanto si tratta di un mese missionario straordinario, indetto da Papa Francesco, il 22 ottobre 2017, nel centenario della lettera Apostolica Maximum Illud del 30 novembre 1919 di Papa Benedetto XV sul tema delle missioni nel mondo, questa Parola della domenica ci fa riflettere sul tema della fede.

Sono gli apostoli a chiedere al Signore, di fronte alla pochezza e alla fragilità della loro fede, un aumento ed un accrescimento perché possano rispondere meglio alla loro missione e vivere più fedelmente la loro vocazione di discepoli del vangelo, di annunziatori della buona novella.

E come in tutti i discorsi in cui ci sono in gioco valori fondamentali, come in questo caso, quello della base stessa del discorso religioso, cioè la fede, Gesù usa affrontare l’argomento in modo indiretto, e rivolgendosi ai suoi interlocutori dice, confermando quello che avevano evidenziato gli apostoli: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe”.

La potenza della fede fa spostare le cose da un punto all’altro della terra. O in altro passo del vangelo affermare la stessa verità con dire che la fede sposta addirittura le montagne. Tutto questo per confermare che effettivamente che con la fede si può ottenere tutto da Dio. Certo è assurdo pensare che ognuno di noi possa spostare le cose a suo piacimento, come una pianta, una montagna, ma sono esempi e modi di dire che la fede fa i miracoli.

Gesù nel brano del vangelo di questa domenica non si limita solo a ricordare il valore della fede, ma pone l’accento sulla fede come servizio, come diaconia, come relazione e soprattutto come umiltà e riservatezza. Infatti ci riporta alla realtà di tutti i giorni ricordandoci: “Chi di noi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?” La domanda e il quesito posto dal Signore, trova la risposta nella conclusione del brano del vangelo di oggi, che è una lezione di vita ed un forte richiamo a tutti ad abbassare l’orgoglio e la presunzione di essere indispensabili, insostituibili, o addirittura i perfezionisti perché hanno fatto sempre tutto e per di più sempre benissimo.

Gesù ci ricorda ad ognuno, dal primo all’ultimo della scala dei valori sociali, ecclesiali, umani, professionali e di qualsiasi altra condizione che: “Siamo servi inutili, in quanto dopo aver esaminato attentamente le cose che abbiamo realizzato a fatto, constatiamo che era quello esattamente ciò che dovevamo fare, senza enfatizzare ed inorgoglirsi. Aver la consapevolezza del dovere da espletare non ci pone nella condizione di chi esalta se stesso e si auto osanna perché pensa che il mondo e la storia senza di lui o di lei finisce. Al contrario, proprio perché siamo servi inutili non dobbiamo mai alzare la testa umiliando gli altri o pensando che noi siamo le uniche e insostituibili persone che portano avanti il mondo.

Il miglior atteggiamento per ottenere da Dio ciò che chiediamo è l’umiltà, come ci ricorda la prima lettura di questa XXVII domenica del tempo ordinario, tratta dal profeta Abacuc: “Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido: «Violenza!» e non salvi?” Certamente un cuore sensibile ed un attento osservatore come il profeta, rappresenta al Signore quello che egli osserva e constata: “Ho davanti a me rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese”. La risposta del Signore non si fece attendere molto e disse al profeta: scrivi tutto quello che vedi, osservi e denunci con coraggio, davanti ad un popolo di indifferenti e di distratti, che pensano solo a se stessi. Il Signore non tarderà ad intervenire a far sentire forte la sua presenza tra la gente e tra i popoli della terra, con quale risultato finale? “Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede”.

Di fronte a questa coraggiosa denuncia del profeta Abacuc, ma anche davanti alla promessa di Dio che è fedele e realizza ciò che dice, ci viene in sostegno quanto scrive l’Apostolo Paolo all’amico, Timoteo, suo compagno nei viaggi apostolici, costituito vescovo in Efeso: “Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani”. E’ un vescovo, un consacrato e come tale deve essere un testimone coraggioso e ricorda a lui e a noi che “Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza”. Il cristiano, il pastore del gregge non può avere paura, temere e ritrarsi in trincea perché non sa e non vuole affrontare il buon combattimento della fede. Non bisogna vergognarsi di testimoniare fino ad andare in carcere o subire il martirio per amore di Cristo. Ecco perché l’Apostolo raccomanda a suo amico vescovo: “Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo”. Quanti innocente e quanti uomini di fede sono stati umiliati, incarcerati, calunniati e diffamati solo perché testimoni di Cristo? La storia di ieri e di oggi è sempre la stessa, soprattutto quando sono in gioco i valori religiosi, spesso contrastati e avversati in modo pregiudiziale.

Tuttavia, non bisogna mai demordere, se la fede è forte, sicura ed ancorata alla roccia che è Cristo, come afferma l’Apostolo delle Genti in questi versi conclusivi della sua lettera a Timoteo che oggi ci fa da sostegno e supporto spirituale, in tutte le nostre avversità e in tutte le nostre decisioni da prendere con fede, coraggio e passione per la causa di Dio nel mondo: “Prendi come modello i sani insegnamenti che hai udito da me con la fede e l’amore, che sono in Cristo Gesù. Custodisci, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato”.

In questo giorno 6 ottobre in cui ricordo il mio anniversario dell’ordinazione sacerdotale, esattamente 44 anni, fa su consiglio dell’Apostolo Paolo, voglio anche io rinnovare quel bene prezioso che mi è stato donato con il sacramento dell’ordine e servire con coraggio, amore e passione la santa Chiesa, operando sempre per il bene e la salvezza delle anime. E con profonda riconoscenza al Signore elevo al lui, come farò durante la celebrazione dell’eucaristia, questa preghiera della Chiesa: O Padre, che ci ascolti se abbiamo fede quanto un granello di senapa, donaci l’umiltà del cuore, perché, cooperando con tutte le nostre forze alla crescita del tuo regno, ci riconosciamo servi inutili, che tu hai chiamato a rivelare le meraviglie del tuo amore”. Amen.

AUGURI A PAPA FRANCESCO CON UNA SPECIALE PREGHIERA DI P.RUNGI

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P.RUNGI (TEOLOGO PASSIONISTA). UNA SPECIALE PREGHIERA PER PAPA FRANCESCO IN OCCASIONE DELL’ONOMASTICO DA PONTEFICE
 
Per la festa di san Francesco del 4 ottobre 2019, padre Antonio Rungi, teologo passionista, delegato arcivescovile per la vita consacrata della Diocesi di Gaeta, ha composta una speciale preghiera per Papa Francesco, che festeggia il suo onomastico da Pontefice. “Questa è il settimo anno e la settima volta che Papa Francesco – afferma padre Rungi – ricorda in modo speciale San Francesco d’Assisi, che ha scelto come sua guida e protettore nel servizio apostolico e ministero petrino, essendo stato eletto al soglio pontificio il 13 marzo del 2013. Con tanti problemi che il Papa si trova ogni giorno ad affrontare nella Chiesa e al di fuori di essa, con una speciale attenzione che ha ai problemi ecologici, etici e sociali, una preghiera come questa, che tutti i cattolici vorranno elevare al Signore per il Papa, certamente lo aiuterà e lo sosterrà. D’altra parte è lui stesso che continuamente ci chiede di pregare per la sua persona. E noi lo facciamo con gioia, volentieri, ben sapendo che il Signore ascolta le nostre umili orazioni per il pastore universale della sua chiesa, sparsa su tutta la terra”.
 
Ecco il testo dell’orazione scritta da padre Antonio Rungi
 
Nella festa del nostro Patrono, San Francesco,
ci rivolgiamo a Te, Signore Gesù Cristo,
per intercessione del Poverello d’Assisi,
perché protegga il nostro romano pontefice,
che porta il nome di così grande santo,
amico dei poveri e coraggioso apostolo
della misericordia, del dialogo
e della fraternità universale.
 
Rendi fruttuoso, o Signore,
l’operato e l’insegnamento
del Vescovo di Roma,
perché nel costante
richiamo ai valori cristiani
possa trovare anime ben disposte
a lasciarsi toccare dalla carità
e dalla vera letizia francescana.
 
Nulla turbi il cuore e la missione
di Papa Francesco,
in questo periodo difficile
per le sorti del genere umano
e come il Poverello d’Assisi
ricostruisca con il saggio operare
e il sapiente consigliare
l’umanità in rovina
per l’insensato agire
di governi e nazioni
che non hanno a cuore
il bene di ogni uomo
e di tutto l’uomo.
 
Maria, Madre della gioia
e della letizia di chi si mette in cammino
sorregga il ministero petrino
di Papa Francesco,
per moltissimi anni ancora,
a gloria di Dio e per la salvezza delle anime.
 
San Francesco,
modello di vita per quanti governano,
sia maestro illuminante
e guida costante
per il Santo Padre,
Papa Francesco. Amen.