Archivi Mensili: maggio 2018

P.RUNGI. COMMENTO ALLA SOLENNITA’ DEL CORPUS DOMINI 2018

CORPUS DOMINI 2018

SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (ANNO B)

Domenica 3 GIUGNO 2018

Gesù, donaci anime eucaristiche, capaci di offrire come Te la loro vita.

Commento di padre Antonio Rungi

La solennità del Corpus Domini, del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo ci impegna in un modo del tutto singolare nel meditare su questo grande mistero della fede: Gesù come Egli stesso ci ha detto, nell’ultima cena, è presente in mezzo a noi con il sacramento dell’eucaristia, per accompagnarci nel cammino della vita terrena, con questo sacramento, che, come tutti i sacramenti, ci dona la grazia santificante. Qui la grazia è ricevuta direttamente mediante l’assunzione del corpo di Cristo con l’ostia consacrata e il bere il vino consacrato, perché in questi due segni scelti da Gesù Egli è presente in corpo, sangue, anima e divinità. Il testo del Vangelo di Marco che oggi ascoltiamo ci racconta il momento dell’istituzione dell’eucaristia nel giovedì santo, in quell’ultima cena di Gesù fatta con gli Apostoli, prima di essere condannato a morte. “Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Pane e vino segni della sua presenza speciale e sacramentale in mezzo a noi. Il Pane che fa riferimento al suo corpo donato e il vino al suo sangue versato, fino all’ultima goccia, sulla croce per salvare l’umanità. E sul sangue offerto a Dio è incentrato il testo della prima lettura di oggi, tratto dall’Esodo, in cui è scritto che Mosé “si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d’Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare. Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto».  Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!». Chiaramente questo sangue è prefigurazione del sangue di Cristo versato sulla croce per noi, anzi nel mette in risalto, anticipatamente, il valore redentivo e la risposta che i credente deve dare a Dio, quale segno di riconoscenza e gratitudine verso di Lui.

Agganciandosi proprio a questo testo, l’autore della Lettera agli Ebrei, sviluppando la sua riflessione biblica e teologica sul valore del sangue nell’Antico Testamento, si concentra sull’infinito valore del sangue di Cristo versato sulla croce per la redenzione dell’umanità. Leggiamo, infatti, “se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente? Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa.

Gesù quindi superare la vecchia alleanza e la porta a compimento con la sua morte e risurrezione, soprattutto versando il suo sangue, quale elemento identificativo della vera oblatività e vittimalità del Figlio di Dio. “Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna”.

Nella liturgia solenne del Corpus Domini, oltre al valore della santa messa, da cui parte tutto il culto eucaristico al di fuori di essa, è messa in risalto la Chiesa, che nell’eucaristia si ricostruisce e si rigenera continuamente. Nella sequenza che caratterizza questo giorno speciale, nella sua parte iniziale che, di norma non si legge in chiesa, ma che è importantissima peri contenuti teologici e biblici, oltre che spirituali e dogmatici inclusi possiamo meglio entrare nel grande mistero della santissimo sacramento, incentrato sulla transustanziazione, sulla comunione, sull’unione, sulla purificazione del cuore e sulla conversione: “Sion, loda il Salvatore, la tua guida, il tuo pastore con inni e cantici. Impegna tutto il tuo fervore: egli supera ogni lode, non vi è canto che sia degno. Pane vivo, che dà vita: questo è tema del tuo canto, oggetto della lode. Veramente fu donato agli apostoli riuniti in fraterna e sacra cena. Lode piena e risonante, gioia nobile e serena sgorghi oggi dallo spirito. Questa è la festa solenne nella quale celebriamo la prima sacra cena. È il banchetto del nuovo Re, nuova Pasqua, nuova legge; e l’antico è giunto a termine. Cede al nuovo il rito antico, la realtà disperde l’ombra: luce, non più tenebra. Cristo lascia in sua memoria ciò che ha fatto nella cena: noi lo rinnoviamo. Obbedienti al suo comando, consacriamo il pane e il vino, ostia di salvezza. È certezza a noi cristiani: si trasforma il pane in carne, si fa sangue il vino. Tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la natura. È un segno ciò che appare: nasconde nel mistero realtà sublimi. Mangi carne, bevi sangue; ma rimane Cristo intero in ciascuna specie. Chi ne mangia non lo spezza, né separa, né divide: intatto lo riceve. Siano uno, siano mille, ugualmente lo ricevono: mai è consumato. Vanno i buoni, vanno gli empi; ma diversa ne è la sorte: vita o morte provoca. Vita ai buoni, morte agli empi: nella stessa comunione ben diverso è l’esito! Quando spezzi il sacramento non temere, ma ricorda: Cristo è tanto in ogni parte, quanto nell’intero. È diviso solo il segno non si tocca la sostanza; nulla è diminuito della sua persona”.

Sta in questo bellissimo testo della sequenza la sintesi del grande mistero della presenza reale di Gesù Sacramentato nell’ostia consacrata. A Gesù eleviamo la nostra umile preghiera, in questo giorno solennissimo del Corpus Domini, con queste parole che sgorgano dal nostro cuore, particolarmente sensibile alla santissima eucaristia: “O Gesù Eucaristia, qui presente sacramentalmente in corpo, sangue, anima e divinità, nell’ostia consacrata, Ti adoriamo profondamente con tutto il cuore e la mente e crediamo fermamente che Tu, o Gesù, sei il Dio vivente, che si dona a noi nel santissimo sacramento da Te istituito nell’ultima cena, per essere nostro alimento nel cammino dell’umana esistenza. O Gesù amabilissimo, tutto nascosto nei veli eucaristici, insegnaci a praticare la santa umiltà per farci cibo e bevanda per il bene dell’umanità. Fa che diventiamo, anche noi, pane spezzato e sangue versato per amare e perdonare, per offrire e soffrire, per vivere e morire ogni giorno sulla croce eucaristica. O Gesù, fonte di gioia e sostegno all’anima nostra, noi Ti adoriamo con tutto il nostro essere e ci prostriamo umilmente ai tuoi piedi. Come i tuoi fragili discepoli riconosciamo le nostre debolezze e Ti chiediamo quell’ energia potente per la nostra anima gemente e sofferente che promana dal santissimo sacramento. Rinnova in noi, o Gesù, la profonda gioia di essere con noi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo senza mai abbandonarci nella tentazione, ma donandoci costantemente il Tuo amore misericordioso. Gesù, fonte di gioia e alimento quotidiano della nostra vita spirituale, donaci sempre Te stesso nel santissimo sacramento dell’altare, mediante il servizio sacerdotale, di persone sante a Te consacrate, che siano anime eucaristiche, fino a sacrificare la loro vita per il proprio ovile. Amen.

 

P.RUNGI. SOLENNITA’ DELLA SANTISSIMA TRINITA’ – COMMENTO

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SOLENNITA’ DELLA SANTISSIMA TRINITA’

DOMENICA 27 MAGGIO 208

“UN MISTERO D’AMORE INFINTO”

di padre Antonio Rungi

Nell’annuale ricorrenza della solennità della Santissima Trinità, che, come sappiamo, si celebra la domenica successiva alla Pentecoste, a conclusione del lungo itinerario di spiritualità pasquale e sigillo di un cammino fatto nell’amore a Dio e ai fratelli, ritorna sistematica la domanda chi è questo nostro Dio, come è in se stesso e come si è rivelato a noi. Di Dio ci ha parlato Gesù Cristo, Figlio di Dio, che ci ha comunicato la sua relazione con il Padre e lo Spirito Santo. Si tratta di un Dio uno e trino, uno nella natura, trino nelle persone. Gesù, quindi, ci rivela tutto di se stesso, del Padre e dello Spirito Santo. Ci rivela che questo Dio è Amore in se stesso, è amore nella creazione, è amore nella redenzione, è amore nella santificazione.

Nell’Angelus della solennità della Santissima Trinità del 2009, Papa Benedetto XVI,  così spiegò questo mistero: «Quest’oggi contempliamo la Santissima Trinità così come ce l’ha fatta conoscere Gesù. Egli ci ha rivelato che Dio è amore “non nell’unità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza” (Prefazio): è Creatore e Padre misericordioso; è Figlio Unigenito, eterna Sapienza incarnata, morto e risorto per noi; è finalmente Spirito Santo che tutto muove, cosmo e storia, verso la piena ricapitolazione finale. Tre Persone che sono un solo Dio perché il Padre è amore, il Figlio è amore, lo Spirito è amore. Dio è tutto e solo amore, amore purissimo, infinito ed eterno. Non vive in una splendida solitudine, ma è piuttosto fonte inesauribile di vita che incessantemente si dona e si comunica. Lo possiamo in qualche misura intuire osservando sia il macro-universo: la nostra terra, i pianeti, le stelle, le galassie; sia il micro-universo: le cellule, gli atomi, le particelle elementari. In tutto ciò che esiste è in un certo senso impresso il “nome” della Santissima Trinità, perché tutto l’essere, fino alle ultime particelle, è essere in relazione, e così traspare il Dio-relazione, traspare ultimamente l’Amore creatore. Tutto proviene dall’amore, tende all’amore, e si muove spinto dall’amore, naturalmente con gradi diversi di consapevolezza e di libertà. “O Signore, Signore nostro, / quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!” (Sal 8,2) – esclama il salmista. Parlando del “nome” la Bibbia indica Dio stesso, la sua identità più vera; identità che risplende su tutto il creato, dove ogni essere, per il fatto stesso di esserci e per il “tessuto” di cui è fatto, fa riferimento ad un Principio trascendente, alla Vita eterna ed infinita che si dona, in una parola: all’Amore. “In lui – disse san Paolo nell’Areòpago di Atene – viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,28). La prova più forte che siamo fatti ad immagine della Trinità è questa: solo l’amore ci rende felici, perché viviamo in relazione per amare e viviamo per essere amati. Usando un’analogia suggerita dalla biologia, diremmo che l’essere umano porta nel proprio “genoma” la traccia profonda della Trinità, di Dio-Amore».

La liturgia della parola di Dio di questa solennità, ci aiuta a comprendere nella fede, essendo un mistero di fede, chi è il nostro Dio e quale è il nostro rapporto con lui, esseri umani limitati nella possibilità di comprendere in pienezza ciò che Egli effettivamente è.

Nel libro del Deuteronòmio, troviamo, infatti, questo significativo brano, attinente il mistero dell’unicità di Dio. “Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è altro”.

Nel brano della lettera di san Paolo Apostolo ai Romani, ci parla del dono dello Spirito Santo e della sua azione santificante nella vita del credente: “Voi avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria”.

Nel Vangelo di questa solennità, Gesù stesso, conferendo il mandato missionario a suoi discepoli, prima di ascendere al cielo, raccomanda alcune cose fondamentali da fare e soprattutto da credere e professare: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Padre, Figlio e Spirito Santo è il mistero principale della nostra fede, con il quale professiamo che Dio è Uno nella natura e Trino nelle persone. Proprio perché è un  mistero, esso come tale non può essere compreso. Ma non per questo è qualcosa d’irragionevole. La ragionevolezza del mistero della Trinità sta nel fatto che esso non afferma l’esistenza di tre dei, bensì di un solo Dio che però è in tre Persone uguali e distinte. Nel Credo si afferma: «Credo in un solo Dio in tre Persone uguali e distinte, Padre, Figlio e Spirito Santo».  Quale è il Padre, tale è il Figlio e tale è lo Spirito Santo. Increato è il Padre, increato è il Figlio, increato è lo Spirito Santo. Onnipotente è il Padre, onnipotente è il Figlio, onnipotente è lo Spirito Santo. Tuttavia non vi sono tre increati, tre assoluti, tre onnipotenti, ma un increato, un assoluto e un onnipotente. Dio e Signore è il Padre, Dio e Signore è il Figlio, Dio e Signore è lo Spirito Santo; tuttavia non vi sono tre dei e signori, ma un solo Dio, un solo Signore (Simbolo atanasiano).

Un mistero che è presente nella nostra vita, anima la nostra esistenza e guida il nostro cammino nel tempo e ci prepara all’eternità, dove, un giorno vedremo Dio faccia a faccia e vivremo per sempre immersi nel Dio Uno e Trino, nel Dio d’amore infinito. Nel cammino temporale, noi cerchiamo di capire, spiegare ed entrare in questo grande mistero della nostra fede, non per semplice curiosità, ma vivendo nella comunione trinitaria. Ed essendo l’uomo, fatto ad immagine e somiglianza di Dio, in se porta il desiderio di comprensione legittima di ogni cosa che compare nella sua mente, nel suo pensiero e tocca il suo cuore. Potremmo, in ragione di questo desiderio di conoscere Dio, non da un punto razionale, il che è impossibile, ma da un punto di vista esperienziale, come risposta di fede ad un mistero di fede, che nella Trinità il Padre è la mente, che da tutta l’eternità genera il suo Pensiero perfettissimo (il Logos), il Verbo Incarnato, Gesù Cristo, nostro Redentore. Il Pensiero, generato eternamente dal Padre, sussiste, come persona distinta, ed è lo Spirito Santo. Ma come la mente, il pensiero e l’amore sono nell’uomo tre cose distinte, ma assolutamente inseparabili, così il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, sebbene sussistano come persone distinte, sono però un Dio solo, un solo Amore eterno e comunicativo, in modo perfettissimo tra le Tre Persone che costituiscono in Unità, nella natura, il nostro Dio Trino nelle persone.

Nel rinnovare la nostra fede nel mistero della Santissima Trinità, con la chiesa che oggi eleva la sua lode e ringraziamento a Dio nella liturgia eucaristica, confermiamo queste verità: “Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, con il tuo unico Figlio e con lo Spirito Santo sei un solo Dio, un solo Signore, non nell’unità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Quanto hai rivelato della tua gloria, noi lo crediamo, e con la stessa fede, senza differenze, lo affermiamo del tuo Figlio e dello Spirito Santo.  E nel proclamare te Dio vero ed eterno, noi adoriamo la Trinità delle Persone, l’unità della natura, l’uguaglianza nella maestà divina”.

Oggi siamo qui a dirti grazie o nostro Dio, Padre e Creatore, a rinnovare il nostro impegno di conformarci a Cristo, Tuo Figlio e nostro Salvatore, ad essere docili allo Spirito Santo, il Consolatore, perché possiamo sperimentare nella vita temporale quanto è dolce è amabile seguire la voce dello Spirito e dare frutti spirituali pieni e duraturi.

Con Francesco d’Assisi preghiamo: “Oh, come è glorioso, santo e grande avere in cielo un Padre! Oh, come è santo e bello e amabile avere in cielo uno Sposo! Oh, come è santo, come è caro, piacevole e umile, pacifico e dolce e amabile e sopra ogni cosa desiderabile avere un tale fratello che offrì la sua vita per le sue pecore (Gv 10,15) e pregò il Padre per noi dicendo: Padre santo, custodisci nel nome tuo coloro che mi hai dato. Padre, tutti coloro che mi hai dato nel mondo erano tuoi e li hai dati a me; e le parole che desti a me le ho date a loro; ed essi le hanno accolte e veramente hanno riconosciuto che io sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro; non prego per il mondo. Benedicili e santificali. E per loro io santifico me stesso, affinché anche loro siano santificati in un’unità come lo siamo noi. E voglio, o Padre, che dove sono io ci siano con me anche loro, affinché vedano la gloria mia nel tuo regno (Gv 17,6-24).

E poiché patì tanto per noi e ci gratificò di tanti doni e continuerà a gratificarcene per il futuro, ogni creatura che è in cielo e in terra e nel mare e nella profondità degli abissi (Ap 5,13), renda a Dio lode, gloria e onore e benedizione, poiché egli è la nostra virtù e la nostra forza. Egli che solo è buono (Lc 18,19), che solo è altissimo, che solo è onnipotente e ammirabile, glorioso e santo, degno di lode e benedetto per gli infiniti secoli dei secoli. Amen.”

P.RUNGI. SOLENNITA’ DELLA PENTECOSTE 2018 – COMMENTO.

RELIQUIARIO SANT'ERASMO

DOMENICA DI PENTECOSTE – MESSA DEL GIORNO (ANNO B)

Domenica 20 maggio 2018

Il vento silenzioso dello Spirito che spira su di noi

Commento di padre Antonio Rungi

La solennità di Pentecoste, a 50 giorni dalla celebrazione della Pasqua, ci riporta nel cenacolo dove gli undici apostoli scelti per primi con l’integrazione di Mattia scelto per reintegrare il numero di 12, dopo la defezione di Giuda Iscariota, insieme a Maria, sono in attesa del promesso Spirito Consolatore che Gesù aveva anticipato di inviare, dopo la sua ascensione al cielo.

E così avvenne mentre il giorno di Pentecoste stava terminando, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi”.

Gli Atti degli Apostoli ci raccontano ciò che avvenne in quel momento ed anche subito dopo, avendo lo Spirito Santo lasciato un’evidente traccia della sua discesa, con un rumore ben decifrabile. Infatti “a quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa?».

Il miracolo della Pentecoste si era ormai compiuto: l’unificazione dell’umanità in un solo grande progetto di amore, comprensione, dialogo, fraternità.

Da qui parte la chiesa della missione e in missione per portare l’annuncio della gioia e della salvezza in ogni angolo della terra. San Paolo della seconda lettura di oggi, tratta dalla sua lettera ai Galati, ci illustra il cammino spirituale che il cristiano è chiamato a percorrere in ascolto dello Spirito Santo. Egli raccomanda di camminare secondo lo Spirito per non tendere a soddisfare il desiderio della carne. Questi desideri sono contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda. Se, invece, il cristiano si lascia guidare dallo Spirito, non sarà sotto la Legge.

Del resto –precisa l’Apostolo – sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste l’Apostolo ammonisce chi le compie non erediterà il regno di Dio.

In contrasto con una mentalità mondana e materialistica c’è quella di corrispondenza allo Spirito Santo, i cui frutti sono eccellenti, diversificati, belli e saporiti da gustare nell’intimo del cuore, come l’ amore, la gioia, la pace, la magnanimità, la benevolenza, la bontà, la fedeltà, la mitezza, il dominio di sé.

Nove doni citati, ma sono infiniti i doni che lo Spirito Santo suscita nel cuore di tutti, in quanto il vento dolce dello Spirito riempie tutta la terra.

Gesù aveva preparato il gruppo degli apostoli a questa accoglienza dicendo con cognizione di causa, che «quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio”.

Uno Spirito, quello del Signore che conferma la fede degli apostoli e li sosterrà nel loro ministero di portare il vangelo della vita e della grazia in ogni parte del mondo.

Si tratta dello Spirito della verità, che guiderà gli apostoli a conseguire la pienezza della verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e annuncerà le cose future.

Lo Spirito Santo noi lo abbiamo ricevuto nel Battesimo e nella Cresima e oggi immersi, mediante la grazia santificante, nel mistero trinitario del Padre, Figlio e Spirito santo, noi camminiamo in santità di vita.

Una santità che passa attraverso l’invocazione continua dello Spirito, perché mandi a noi dal cielo un raggio della sua luce, sia nostro dolcissimo sollievo e nella fatica sia il sicuro riposo, nel caldo il refrigerante riparo, nel pianto il vero conforto.

A Lui, luce beatissima, chiediamo che pervada l’intimo del nostro cuore, ci dia la forza necessaria per combattere il male e il peccato, ci purifichi da tutto ciò che non rispecchia lo splendore della gloria di Dio, rendendo la nostra vita più docile all’azione dello Spirito di verità, superando la durezza dei nostri cuori e dei nostri bassi sentimenti, nella speranza di raggiungere il punto conclusivo della nostra vita, con il passaggio all’eternità, facendo una santa morte per essere accolti nella pace del Regno eterno della Santissima Trinità.

Allo Spirito Santo ci rivolgiamo con questa mia umile e semplice preghiera:

Spirito di verità, guidaci al possesso dei beni eterni, mediante quella grazia santificante che doni ai fedeli nei sette sacramenti.

Spirito d’amore insegnaci a guardare le persone e il mondo con gli stessi occhi misericordiosi di Dio Padre e di Gesù Cristo, redentore dell’umanità.

Spirito della gioia, allontana da noi le tenebre del peccato e della tristezza dell’anima ed aiutarci a confidare pienamente nella salvezza eterna..

Spirito dell’unità e della diversità, donaci la consapevolezza che nella pluralità dei carismi si costruire l’armonia e la sinergia tra noi e Dio.

Spirito che tutto sai e puoi, ascoltaci ed esaudiscici in queste nostre umili e semplici preghiere e richieste che ti rivolgiamo in questo giorno della tua discesa su di noi Amen.

P.RUNGI. SOLENNITA’ DELL’ASCENSIONE DI N.S.GESU’ CRISTO- DOMENICA 13 MAGGIO 2018

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ASCENSIONE DEL SIGNORE (ANNO B)
GESU’ E’ ASCESO AL CIELO E SIEDE ALLA DESTRA DEL PADRE

Domenica 13 maggio 2018

Commento di padre Antonio Rungi

Oggi celebriamo la solennità dell’Ascensione al cielo di nostro Signore Gesù Cristo, che abbiamo contemplato in questi quaranta giorni del tempo pasquale come il Risorto in mezzo ai suoi discepoli, con i quali dialoga, mangia e si intrattiene, ma anche invia ed indica la strada della risurrezione nella logica della Pasqua sua e nostra. Oggi, infatti, si completa il cammino nel tempo del Redentore, morto e risorto, in quanto con la sua ascensione al cielo, Egli siede definitivamente alla destra del Padre, per poi, un giorno ritornare per giudicare i vivi e i morti, nel giudizio finale e nel secondo e definitivo avvento sulla terra. Nella preghiera inziale di questa solennità, la colletta, preghiamo con queste significative parole, che hanno attinenza al mistero della gloria: “Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre, per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro capo, nella gloria”. La chiesa pellegrina è in cammino verso l’eternità e tra il già e il non ancora continua a svolgere la sua missione nel nome del Signore su mandato esplicito del Cristo che ascende glorioso e vittorioso al cielo, come ci ricorda il brano del Vangelo di Marco che si proclama in questa solennità: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». E di fatto gli apostoli partirono e fecero esattamente quello che Gesù aveva loro ordinato di fare. Infatti “predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano”.

Nel brano degli Atti degli apostoli che riguarda proprio il momento in cui Gesù ascende al cielo è tratteggiata la storia della vita di Cristo, in modo sintetico, ma efficace, per capire esattamente chi era Cristo per i discepoli e per la chiesa delle origini e chi deve essere Cristo, per noi credenti del XXI secolo dell’era cristiana. Allora Gesù “si mostro vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio”. Poi, “mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».

Gesù torna in cielo e manda dal cielo il suo Spirito Paraclito, che procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. Tra Ascensione e Pentecoste si gioia la vita umana e spirituale del gruppo degli apostoli invitati da Gesù a restare in attesa del Paraclito e poi inviati nel mondo ad evangelizzare. Ed essi me saranno testimoni di Cristo a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra. La promessa di Cristo si è realizzata, se oggi, la Chiesa, il Vangelo e la conoscenza dell’unico salvatore del mondo hanno raggiunto gli estremi confini del mondo terrestre per oltrepassare la stessa terra e collocarsi come annuncio di vita e speranza nell’intero universo, sempre più alla portata della conoscenza dell’uomo, mediante la tecnologia di oggi.

Oltre il predicare e l’annunciare il vangelo in tutto il mondo ed invitare a conversione chi è lontano dalla fede e non conosce affatto Dio, c’è per ogni cristiano il diritto-dovere di testimoniare Cristo con una degna condotta di vita, come ci ricorda il brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla lettera di san Paolo Apostolo agli Efesini: comportarsi in maniera degna della chiamata che abbiamo ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandoci a vicenda nell’amore e avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace”.

Curare l’unità nella diversità dei carismi è un altro importante compito che spetta ad ogni credente e cattolico vero: Noi dobbiamo essere “un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siamo stati chiamati, quella della nostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti”.

La pluralità dei doni e dei carismi non ci deve spaventare, ma arricchirci e stimolarci a fare sempre di più e meglio a gloria di Dio: “A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo”.

Un cammino difficile quella dell’unità, ma tutti dobbiamo lavorare per raggiungerla ovunque siamo e qualsiasi cosa facciamo. Nulla ci deve portare lontano da Dio e dagli altri, ma tutti dobbiamo convergere verso un’unità vera e sostanziale che si fonda, si struttura nel tempo e organizzativamente come docilità allo Spirito Paraclito, che è accoglienza dei vari carismi che Egli suscita nella chiesa e per la chiesa.

Con il salmista eleviamo al Signore il nostro inno di lode e di ringraziamento per tutto quello che ci ha donato da sempre: “Popoli tutti, battete le mani! Acclamate Dio con grida di gioia, perché terribile è il Signore, l’Altissimo, grande re su tutta la terra. Ascende Dio tra le acclamazioni, il Signore al suono di tromba. Cantate inni a Dio, cantate inni, cantate inni al nostro re, cantate inni. Perché Dio è re di tutta la terra, cantate inni con arte. Dio regna sulle genti, Dio siede sul suo trono santo”.

A questo trono rivolgiamo oggi il nostro sguardo nella liturgia solenne dell’Ascensione al cielo di nostro Signore, perché con lo sguardo fisso sulle cose di lassù, ma operando con sapienza su questa terra, possiamo meritare anche noi di essere accolti tra i beati del cielo, dove Gesù è asceso e ci attende, perché è andato a preparare per ognuno di noi un posto in prima fila per tutti i suoi figli.

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 6 MAGGIO 2018

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VI DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)
 
Domenica 6 maggio 2018
 
Dio non fa preferenze di persone, noi invece sì.
 
Commento di padre Antonio Rungi
 
Gli Atti degli Apostoli ci offrono un bellissimo dialogo tra Pietro e Cornelio, il quale si rivolge a Pietro per entrare anch’egli nel cammino della fede. Non essendo cristiano, ma pagano, sente il bisogno di chiedere quello che avverte profondamente nel suo cuore: fare parte della comunità dei credenti. E come leggiamo nel brano della prima lettura di oggi, sesta domenica del tempo di Pasqua, ciò avviene in quel preciso momento. Pietro, responsabile, in primis, di avviare alla fede o di confermare nella fede, procede nella direzione che il Signore gli indicava non solo in questa circostanza, ma in ogni altra, quando avvertiva il desiderio sincero e profondo di chi non era cristiano e voleva di convertirsi al Dio vivendo, mediante il battesimo. Con questo modo di operare, aperto all’universalità della salvezza, qualcuno che si sentiva privilegiato, come i circoncisi, i quali “si stupirono che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare in altre lingue e glorificare Dio”.
D’altra parte, la consapevolezza che la salvezza portata da Cristo sulla terra era per tutti gli uomini, spinge Pietro e gli altri apostoli a procedere secondo il mandato del Divino Maestro di annunciare in vangelo, battezzare e portare alla fede quanti riconoscevano in Gesù il vero ed unico Messia e Salvatore del mondo. Ecco perché nel testo di oggi, Pietro giustamente afferma: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga». Allora Pietro disse: «Chi può impedire che siano battezzati nell’acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?». E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo”.
 
Dio non fa quindi preferenze verso qualcuno. Questo atteggiamento e comportamento, purtroppo, lo abbiamo noi esseri umani e mortali che agiamo in base a simpatie e a quant’altro che ci porta a preferire alcuni e a scartare gli altri. Questo avviene nella società, ma anche nella chiesa, in quelle comunità e realtà, i cui alcuni si sentono migliori degli altri o più santi e in diritto di ricevere qualcosa di più da Dio, rispetto a chi alla fede ci è arrivato in tempi successivi e dopo una profonda e sincera conversione. E’ chiaro il messaggio che oggi ci viene inviato e che dobbiamo recepire, soprattutto nel contesto, della multicultura e intercultura a livello religioso, che caratterizza la nostra società globalizzata. Nessuno si deve sentire un prescelto da Dio e un prediletto, ma tutti dobbiamo avere la consapevolezza che “Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga”. A Dio sono gradite ed accette le persone che amano, sperano e sono giuste.
 
E sul tema dell’amore sono, infatti, incentrati i testi giovannei relativi alla seconda lettura e al Vangelo della sesta domenica di Pasqua, che potremmo definire dell’amore di Dio.
Leggiamo, infatti, nel brano della prima lettura di San Giovanni Apostolo che Dio è amore e a questo amore deve alimentarsi l’amore fraterno, frutto di un amore sincero verso Cristo, nostro Redentore.
San Giovanni ci invita ad amarci gli uni gli altri, “perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio”. Questo amore trova la sua piena manifestazione nel fatto che “Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui”.
In cosa consiste, allora, l’amore cristiano? Consiste nel fatto che “non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”.
Gesù Cristo Crocifisso e risorto dai morti è il punto di riferimento dell’amore vero di ogni credente e di ogni persona di buona volontà, che vuole percorre la strada della santità.
Ecco perché nel testo del Vangelo di oggi, Gesù, rivolgendosi ai suoi discepoli, raccomanda importanti cose da fare, se lo si accetta qual è il Messia, il Maestro e il Salvatore: “Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”.
Amore e gioia sono strettamente legati nella vita di un cristiano e Gesù lo ribadisce in questo brano del vangelo, ponendo l’attenzione sul fatto che dal vero amore scaturisce la vera gioia nel Signore.
E l’amore e la gioia sono legati all’osservanza dei comandamenti, sintetizzati nell’unico grande comandamento: “che vi amiamo gli uni gli altri come Lui ci ha amato”.
E come si esprime concretamente questo amore? Gesù risponde in prima persona e con il sacrificio della sua vita: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi”.
L’amore è coinvolgimento, condivisione, confidenza, apertura di se stesso agli altri. E quello che ci ha insegnato Gesù, nello scegliere noi e tutti i suoi discepoli, quando afferma: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri”.
Fondamentale dovere di quanti si professano cristiani è, quindi, amarsi, come ci ha amato Cristo.
Ma sappiamo quanto sia difficile viverlo concretamente questo amore, dove ci sono gelosie, invidie, arrivismi, interessi personali, aspirazioni incompatibili con il messaggio della croce di Cristo.
Cose che, purtroppo, si verificano nelle famiglie, nelle comunità ecclesiali, religione, nella società civile e nella globalizzazione dell’indifferenza, come ci ricorda Papa Francesco.
In questa domenica siamo invitati, perciò, a recuperare l’amore in ogni luogo e soprattutto in quei luoghi dove si parla di amore, ma non si vive l’amore e di amore, ma solo di ciò che apparentemente è amore.
Sia questa la nostra preghiera, oggi, nel giorno di festa che per antonomasia è il giorno in cui maggiormente dobbiamo vivere l’amore verso Dio e verso i fratelli con un cuore profondamente improntato al vangelo della carità: “O Dio, che ci hai amati per primo e ci hai donato il tuo Figlio, perché riceviamo la vita per mezzo di lui, fa’ che nel tuo Spirito impariamo ad amarci gli uni gli altri come lui ci ha amati, fino a dare la vita per i fratelli”.