Archivi Mensili: novembre 2017

NUOVA NOVENA DELL’IMMACOLATA COMPOSTA DA PADRE ANTONIO RUNGI

DSC00899

NOVENA IN ONORE DELLA MADONNA IMMACOLATA

 COMPOSTA DA PADRE ANTONIO RUNGI – PASSIONISTA

Novembre – dicembre 2017

1.Maria, donna della Bibbia

Maria è annunciata come soggetto indispensabile nel progetto di Dio fin dal Protovangelo, dopo la caduta di Adamo ed Eva, nel paradiso terrestre e la promessa da parte di Dio di salvare l’umanità dalla sua condizione di peccato. Una donna sarà la co-protagonista di questo progetto di salvezza del genere umano: “Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Genesi 3,14-15). In questa “Donna singolare”, l’esegesi, la teologia e la spiritualità mariana hanno visto l’immagine della Madonna Immacolata, simbolicamente espressa in questo modo anche nell’ iconografia cristiana.Maria, fin dall’inizio della Bibbia diventa una parte integrante dei testi sacri, per cui la troviamo citata spesso nei vari libri, soprattutto nel Nuovo Testamento. Maria è, così, la donna della Bibbia e della Parola di Dio. 

Momento di riflessione personale e silenziosa

Preghiera. Maria che agli inizi del progetto di salvezza, Dio ha pensato subito a Te, facendoti albeggiare nei testi sacri, dopo il peccato originale, donaci di essere uomini e donne che sanno ascoltare la parola di Dio e metterla in pratica schiacciando la testa ad ogni forma di male che possa insinuarsi in noi e negli altri. Per Cristo nostro Signore. Amen 

Tota pulchra es Maria.

2.Maria, donna del Tempio

Dal Protovangelo di San Giacomo, sappiamo che Maria, dai suoi genitori, san Gioacchino e Sant’Anna, fu presentata al tempio e consacrata a Dio, fin da bambina. Da quel momento, Maria, nella sua infanzia, come nella sua adolescenza, ha avuto grande dimestichezza con le cose di Dio, soprattutto l’ascolto della Parola, nel servizio al tempio, nella preghiera costante. La sua infanzia è stata una preparazione intensa all’incontro con Dio, nel momento più importante della sua vita, quello del suo Si, nell’Annunciazione.

Momento di riflessione personale e silenziosa

Preghiera. Signore donaci la grazia di metterci al servizio della casa di Dio, di sentirci parte integrante del popolo santo di Dio e svolgere i nostri ministeri per il bene della comunità cristiana. Fa che i doni e carismi che tu ci hai donato diano i frutti sperati. Amen. 

Tota pulchra es Maria.

3.Maria, donna del “Sì”

Maria, nel momento più decisivo della sua vita, quello in cui deve dare la sua risposta a Dio, che la coinvolge nel piano della salvezza, ha dei dubbi iniziali, che poi si dissolvono mediante il totale affidamento alla volontà del Signore. Nel momento dell’Annunciazione, all’Arcangelo Gabriele conferma il suo generoso Sì a Dio che la vuole Madre del suo Figlio, Gesù Cristo, l’atteso redentore e salvatore dell’uomo. Nel suo cuore immacolato, Maria afferma la sua piena disponibilità a Dio che l’ha scelta quale Madre e corredentrice.

Momento di riflessione personale e silenziosa

Preghiera. Vergine immacolata, che nel tuo grembo verginale, per opera dello Spirito Santo è concepito il Figlio di Dio, donaci la grazia e la forza di rinnovare ogni giorno il nostro Si a Dio, in tutte le circostanze liete o tristi della vita. Tu non abbandonarci mai, o Piena di Grazia. Amen. 

Tota pulchra es Maria. 

  1. Maria, donna dell’accoglienza

Con il concepimento verginale, per opera dello Spirito santo, il grembo di Maria Immacolata diventa il tabernacolo dell’Altissimo, dove giorno, dopo giorno, per nove mesi, Maria è in stretto contatto con Gesù. Lo coccola come giovane Madre e lo cura con amore già dal primo istante in cui conosce il mistero che si è manifestato in Lei. Accoglie Gesù nel suo purissimo grembo e vive con Lui un’esperienza di comunione che solo Lei può assaporare profondamente nel suo cuore. La vita nascente in Lei, lo stesso Autore della vita che Lei porta in grembo, l’Emmanuele, il Dio con noi, è forte motivo di aprirsi sempre più a Dio, donando a Lui tutta se stessa nel servizio alla vita e a Dio. 

Momento di riflessione personale e silenziosa

Preghiera. Vergine santa che hai accolto Gesù nel tuo purissimo seno, fa che sul tuo esempio accogliamo il dono della vita con responsabilità di madri e padri nei suoi riguardi, senza trascurare nulla di quanto è in nostro dovere assicurare ad ogni vita che viene tra noi a portare la gioia e la speranza per un mondo nuovo. Amen. 

Tota pulchra es Maria. 

  1. Maria, donna del cammino

Dal primo momento in cui ha avuto l’annuncio dell’Arcangelo Gabriele la vita di Maria è stato un cammino continuo.

Il primo importante viaggio fu quello che la portò dalla cugina Elisabetta, che abitava molto distante da Nazaret. Lei si avvia solerte per andare ad aiutare la parente. Un drammatico viaggio, fu quello di trovare un posto per far nascere Gesù, non essendoci luoghi dove poter albergare, in attesa del grande evento della storia dell’umanità. E Gesù nasce nella povera grotta di Betlemme. Dopo appena qualche tempo da quella nascita, Maria è intenta, con il suo castissimo sposo, Giuseppe, a scappare via dalla sua terra per rifugiarsi in Egitto. Questo doloroso viaggio verso terre sconosciute, fece sì che la sua risposta data a Dio assumesse sempre più i caratteri del sacrificio e della rinuncia. Lo stesso viaggio di ritorno, pur nella tranquillità di giorni diversi, non fu senza sofferenza. E la stessa permanenza a Nazaret, durante gli anni dell’infanzia e della gioventù di Gesù, fu contrassegnata da spostamenti frequenti, compreso quello del viaggio a Gerusalemme in occasione della Pasqua, quando Gesù volontariamente restò nel Tempio ad insegnare i dottori della Legge, mentre Maria e Giuseppe, angosciati cercavano il fanciullo, appena dodicenne. E poi i tanti viaggi per seguire Gesù nel suo ministero pubblico e soprattutto il più drammatico viaggio fatto fino al Calvario per essere vicino al suo Figlio morente sul patibolo della croce, condannato a morte innocentemente. Maria, donna del cammino, soprattutto lungo la Via Crucis ed ai piedi del Crocifisso insegnava a tutti come è difficile camminare dietro a Missionario del Padre, che è il Verbo incarnato. 

Momento di riflessione personale e silenziosa

Preghiera. Maria, donna del cammino, insegnaci ad andare incontro a chi si trova nel bisogno, di comprendere, ogni giorno, l’importanza di mettersi alla sequela di Cristo e fare di Gesù la preoccupazione costante della nostra vita, sapendolo riconoscere nel volto del fratello bisognoso di amore, tenerezza e solidarietà vera, senza aver paura di investire sui nostri affetti e sentimenti. Amen. 

Tota pulchra es Maria. 

  1. Maria, donna di casa e di famiglia

Come tutte le donne del suo tempo, spose e madri di figli, anche Maria si dimostra particolarmente attenta alla casa e alla famiglia. E questo non solo per motivo della sua eccezionale famiglia, in cui Lei Immacolata, Gesù è Figlio di Dio e Giuseppe e suo castissimo sposo, tutto andava per il verso giusto, ma anche per la sua personale sensibilità di donna e madre che si è prestata al grande disegno della redenzione del genere umano, partendo proprio dall’accoglienza dei una maternità, inspiegabile agli occhi degli uomini, ma comprensibilissima alla luce di Dio. Maria ha curato gli affetti familiari, come tutte le oneste madri di questa terra, ha tenuto in ordine la sua casa familiare, dove insieme consumavano il pranzo e quanto la provvidenza metteva tra le loro mani, frutto del lavoro quotidiano di Giuseppe e dello stesso Gesù e della Vergine Santa. Ha saputo essere, nella piena libertà umana ed interiore, una madre ed una sposa, una donna di casa e di famiglia, che non avrà mai pari per tutta l’eternità, rispettata nella perfetta verginità dal suo sposo.  Maria, Madre dell’Unico e Vero Dio, è una sola e resterà tale fino alla piena e completa rivelazione di cosa sarà di noi con la risurrezione finale. Noi siamo felici di aver avuto, in dono, una madre così speciale, da essere modello per tutte le madri e le spose del mondo, ben sapendo che Lei è vicina, in modo speciale a tutte le famiglie, come avvenne alle nozze di Cana, quando sollecitò Gesù a compiere il primo miracolo, della trasformazione dell’acqua in vino. 

Momento di riflessione personale e silenziosa.

Preghiera. Madre di Dio e Madre nostra, sposa tenerissima di Giuseppe, volgi il tuo sguardo amoroso su tutte le famiglie del mondo, perché, ogni giorno, sappiano vivere in comunione e in pace con se stesse e con il mondo intero. Le spose siano perfette donne e madri e gli sposi siano pieni di amore verso la moglie e i figli che Dio vorrà donare, per la loro gioia e il loro conforto. Amen. 

Tota pulchra es Maria. 

  1. Maria, donna della sofferenza

La devozione popolare mariana ha voluto esprimere il dolore immenso della Madre di Dio mediante le sette più dolorose spade che hanno trafitto il cuore di Maria durante la sua vita. Maria Addolorata, o Maria dei Sette Dolori, ci riporta al valore della sofferenza di ogni donna e madre della terra. Dolore e sofferenza che non restano inefficaci per se stessi e davanti al trono dell’Altissimo. A partire dalla presentazione al tempio con la profezia del vecchio Simeone, fino alla morte in croce di Gesù, per Maria la sua vita è stata un continuo soffrire, per amore di Cristo, associata pienamente alla passione del suo Figlio. Nella fuga in Egitto, nella ricerca di Gesù a Gerusalemme, nell’incontro con Gesù sulla via del Calvario, nel suo stare presso la croce di Gesù, costatando la morte del suo Figlio, nell’accogliere tra le sue braccia Gesù deposto dalla croce, nell’affidare il corpo di Gesù al sepolcro in attesa della risurrezione, la Vergine Santissima ha fatto il suo perfetto cammino di donna del dolore che ben conosce il patire e che insegna a noi a vivere della Passione di Cristo, l’opera più stupenda dell’amore di Dio.

Momento di riflessione personale e silenziosa

Preghiera. Vergine Addolorata ti chiediamo di donarci coraggio e forza nelle prove della nostra vita. Tu che sei stata forte ai piedi di Gesù Crocifisso e con dignità di donna e madre hai affrontato la drammatica fine del Figlio di Dio, comprendi il nostro dolore di fronte a tanto male nel mondo e di fronte al nostro umano e comprensibile soffrire, non sempre accettato per amore di Dio. Sii a noi vicina e non abbandonarci mai per alcun motivo. Amen. 

Tota pulchra es Maria.

  1. Maria, donna della risurrezione e della vita

Maria proprio per costituzione personale è stata ed è madre della vita e della risurrezione in tutti i sensi. Pensata dall’eternità, come Madre del futuro redentore, è stata preservata dal peccato originale e come tale è stata ed è la donna della vita, perché è la piena di grazia, come la chiama l’Arcangelo Gabriele nel momento dell’annuncio della nascita di Gesù. E’ donna della vita, perché ha accolto nel suo grembo l’autore della vita, Gesù Cristo il Figlio di Dio, il Dio della vita e non della morte. Maria è stata presente in tutti momenti più belli della vita di Gesù, condividendo in pienezza la vita umana del suo Figlio ed essendo presente nel momento in cui Cristo risorge dai morti, primizia di una umanità nuova. Maria è stata associata alla vita eterna, in corpo ed anima, in quanto è stata assunta al cielo, nella pienezza della vita umana e spirituale, come Madre del Redentore. Tutto quello che Maria ha vissuto come donna è stato segnato dall’amore vita, ma anche dal dolore, e mai, assolutamente mai, dalla morte e pochezza d’animo. Ella è modello di autentica vita per ogni donna e uomo di questa terra. 

Momento di riflessione personale e silenziosa

Preghiera. Vergine santissima, donna di singolare attaccamento alla vita, ancorata al Cristo, autore della vita, in modo indissolubile, concedi a noi tuoi figli il dono di saper apprezzare la vita umana e soprattutto quella spirituale, che abbiamo ricevuto nel giorno del nostro battesimo. Fa, o Madre della risurrezione, che ogni giorno della nostra vita sia motivo di rinascere a nuova vita. Amen. 

Tota pulchra es Maria. 

  1. Maria, donna dell’attesa e della preghiera         _                                                                     Chi vive d’amore è sempre in attesa di cose migliori, anzi ha la piena consapevolezza che il meglio deve sempre arrivare.Maria è l’esempio dell’attesa cristiana, nel vero senso, in quanto è la donna del primo avvento, anzi lei stessa è stata l’unica ad accogliere in pienezza il Messia atteso dai secoli. Maria attendeva quotidianamente il ritorno del figlio, dalle sue attività, durante il tempo dell’infanzia, dell’adolescenza, della gioventù e soprattutto durante i tre intensi anni di evangelizzazione, svolta nella sua patria. Come tutte le madri della terra, Maria scrutava l’orizzonte attendendo il ritorno del suo vero Signore. Maria è stata donna dell’attesa fiduciosa dopo la morte di Gesù, sapendo che il sepolcro non era l’ultima dimora del suo Figlio, morto in croce. Lei ha vissuto, per prima, l’esperienza della risurrezione di Gesù Cristo e piena di gioia, come ogni madre che può riavere tra le sue braccia un suo figlio, dopo una sofferenza indicibile o la stessa morte, come ci ricordano i tanti brani evangelici, è andata incontro a Cristo Risorto e ha iniziato con Lui a camminare lungo la Galilea, accompagnandolo con il cuore di Madre, anche in questa missione di Risorto. Maria è la donna dell’attesa e della preghiera perché ha seguito e curato l’anima dei suoi figli spirituali, i discepoli di Gesù, afflitti e preoccupati per il loro futuro, dopo la morte in croce di Gesù. Nel cenacolo, Maria ha seguito gli apostoli, ha pregato con loro e per loro, in attesa della discesa dello Spirito Santo nel giorno della prima Pentecoste della Chiesa, vera primavera di una vita nello spirito.                

 Momento di riflessione personale e silenziosa

Preghiera. O Maria, madre e maestra di preghiera, insegnaci a pregare con lo stesso spirito che ti ha accompagnato nel cammino della vita, confidando pienamente in Dio. Fa che le nostre preghiere non siano solo un insieme di parole gettate al vento, ma un forte appello a comprendere pienamente la volontà di Dio e a farla sempre in ogni momento della nostra vita, a costo di qualsiasi rinuncia e sacrificio. Lo Spirito Consolatore ci conceda la grazia di essere in docile ascolto della Parola di nostro Signore. Amen.

PREGHIERA CONCLUSIVA DA RECITARE AL TERMINE DI OGNI GIORNO DELLA NOVENA.

Madre santissima immacolata,

che l’Arcangelo Gabriele

ti ha chiamato “Piena di Grazia”,

 

Tu che hai detto il tuo “SI”, generoso e sentito,

a Dio che ti chiedeva di cooperare

alla redenzione del genere umano,

accogliendo nel tuo grembo verginale il Salvatore del mondo,

concedi a noi tuoi figli il dono di credere fermamente

nell’amore trinitario che ha salvato il mondo.

 

In questo tempo di speranza e di attesa,

proteggi il popolo santo di Dio,

soprattutto quanti vivono da cristiani

con uno stile autenticamente mariano.

 

Tendi la tua mano materna

verso quanti soffrono nel corpo e nello spirito,

ovunque essi siano e si rivolgono a te

per ricevere conforto e consolazione nelle pene di ogni giorno.

 

Vergine Santissima Immacolata,

noi ricorriamo a te, in questo tempo forte di preghiera,

per le nostre necessità, sia spirituali che materiali,

per ottenere dal cielo quel benessere insostituibile

in ogni momento della nostra vita,

che è la grazia di Dio.

 

Maria accoglici tra le tue braccia materne

e noi certamente vivremo da santi e da immacolati

al cospetto di Dio, nella carità.

AmenDSC00898

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PRIMA DOMENICA D’AVVENTO – 3 DICEMBRE 2017

1424449_667721976591797_1278921107_n

I DOMENICA DI AVVENTO (ANNO B)
DOMENICA 3 DICEMBRE 2017

 

Signore, ritorna in mezzo a noi, c’è urgenza di pace vera.

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

Con questa prima domenica di Avvento, iniziamo il nuovo anno liturgico e il nuovo itinerario spirituale per l’anno che prende avvio da oggi e si concluderà il prossimo anno, con la solennità di Cristo Re.

Chi bene inizia è a metà dell’opera, ci ricorda la sapienza popolare che, in base all’esperienza, non sbaglia mai o quasi mai.

Noi vogliamo iniziare questo itinerario liturgico, prestando attenzione a quanto il Signore ci dirà, di giorno in giorno, di domenica in domenica tramite la proclamazione della sua parola nella celebrazione della santissima eucaristia.

Non c’è vero cammino di fede e di santità se non accogliendo la parola di vita e di verità che sono  i testi sacri. Parimenti non possiamo non progettare questo cammino senza una lode perenne a Dio, mediante la preghiera della Chiesa e della liturgia delle ore, mediante il canto e quanto rende lode a Dio mediante la celebrazione dell’anno liturgico. Alla liturgia e alla preghiera si associa la carità personale ed ecclesiale, che traduce, in pratica, i nostri progetti di bene, che non rimangono così, solo pie intenzioni, ma si trasformano in concrete azioni di bene verso i nostri fratelli.

Questo triplice impegno dell’Avvento è richiamato con precisione dall’Apostolo Paolo nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla sua prima lettera ai Corinzi, nella quale scrive: “Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza. La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. Egli vi renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro!”.

Preghiera, penitenza, rendimento di grazie e carità saranno costantemente davanti a nostri occhi e alle nostre scelte operative per preparare il Natale di Gesù e vivere, a seguire, tutti gli altri momenti significativi della vita di Cristo, della Beata Vergine Maria, dei Santi e delle ricorrenze più importati della vita cristiana.

E già da questa prima domenica di Avvento la strada del cammino che va percorsa fino alla fine. si apre davanti a noi chiara, come ci ricorda il bellissimo testo della prima lettura, tratta dal profeta Isaia che è riconosciuto, per antonomasia, il profeta tempi forti dell’anno liturgico. E con parole accorate il profeta invoca la venuta del Signore: “Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità”. Questa forte richiesta a Dio che scenda in mezzo al suo popolo, Isaia la rapporta a fatti drammatici da un punto di vista spirituale e religioso: “Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità”. Il profeta denuncia apertamente lo stato di abbandono morale, spirituale e sociale di Israele. Soffre per questo stato di cose e vorrebbe una risposta immediata dal cielo, con la venuta di Dio sulla terra: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti…Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore. Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, cosi che non ti tema? Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia. Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani. e si ricordano delle tue vie”.

Il profeta confida nell’intervento dall’alto, perché la situazione generale è deteriorata e il raccordo con la vera fede si è spezzato, causando una grave frattura interiore ed esteriore, personale e collettiva, religiosa e politica.

Intervento dall’alto e risposta dal basso, con il coinvolgimento della base di quanti hanno fede in Dio e in Cristo.

Il Vangelo di oggi, tratto dal testo di Marco, è un esplicito invito a vegliare per vivere nell’attesa del Signore, senza starsene con le mani in mano, ma facendosi operosi in tutte le situazioni che possono portare beneficio alla propria vita spirituale: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento…quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati”.

Qui il riferimento è alla venuta del secondo e definitivo avvento di Cristo sulla Terra, per giudicare i vivi e i morti, ma è anche un preavviso temporale a valorizzare gli anni che il Signore ci sta concedendo come preparazione immediata alla sua venuta per ciascuno di noi, nell’ora della nostra morte.

La duplice raccomandazione di “fare attenzione”, cioè di non distrarsi in cose che portano lontani da questa sicura venuta, e di “vigilare”, cioè agire con prudenza e serietà, non fa altro che immetterci in quel clima di responsabilità soggettiva di fronte alla vita cristiana che dobbiamo menare nel rispetto dei principi morali che sono la base essenziale del credo che professiamo. E non a caso, Gesù tiene a precisare che questo monito non riguarda solo qualcuno, ma tutti. Infatti ci rammenta il testo di Marco, mettendo le parole sulle labbra di Gesù: “Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!». Qualcuno, tra i cristiani, che si ritiene ormai alle soglie della santità e al gradino più alto della spiritualità, potrebbe abbassare la guardia e ritenersi al sicuro da ogni attacco o possibile errore. Sbaglierebbe se la pensasse così. Nessuno è immune da debolezze e peccati, da cadute e perdita di credibilità nel suo operare, fosse pure chi sta in punto di morte e sta per spirare.

La vigilanza non riguarda una stagione precisa della nostra vita, ma investe tutto il tempo della nostra esistenza. Noi dobbiamo essere vigilanti sempre, ma con saggezza e senza ansia di alcun genere.

La vigilanza non è aver paura di Cristo che sta per venire, ma è autocontrollo sul nostro proprio agire, che deve corrispondere alla nostra scelta di vita e specialmente a quella fondamentale della vita cristiana che abbiamo fatta nel giorno del nostro battesimo.

Le promesse fatte il quel giorno, vanno attuate tutti i giorni.

Credere al bene e farlo sempre e rinunciare al male in ogni momento. Questa è la strada maestra che porta al cielo e che ci fa attendere Gesù che viene nel modo migliore per chi ha fede e crede davvero.

Sia questa la nostra preghiera all’inizio dell’Avvento e per tutto il tempo che ci resta davanti a noi per accogliere Gesù Cristo che viene e si incarna per amore:

Ti aspettiamo, Gesù,

con la stessa ansia spirituale

degli antichi profeti,

che avevano annunciato, ripetutamente,

il tuo imminente primo avvento,

e che con i loro insegnamenti

avevano dissodato il terreno

per la tua discesa sulla terra.

 

Ti attendiamo, o Gesù,

con lo stesso spirito di Maria e Giuseppe,

tuoi stretti collaboratori

nel piano della redenzione.

 

Ti accogliamo, o Gesù,

con la stessa semplicità e laboriosità

dei pastori di Betlemme,

intenti a pascolare i loro greggi,

ma aperti ad accogliere

il tuo umile e silenzioso

ingresso nella storia e nel tempo.

 

Ti annunciamo, O Gesù,

con lo stesso coraggio

di Giovanni Battista, tuo precursore,

nella venuta del Regno di Dio in mezzo a noi,

invitando tutti alla conversione

e alla purificazione del loro cuore.

 

Vieni, Gesù,

Figlio di Dio e di Maria Santissima,

in questo nuovo Avvento liturgico,

tempo di attesa, speranza

e rinnovamento spirituale per tutti,

capace di cambiare il volto

di questa umanità,

per renderla giardino di pace

e di fraternità universale.

 

Vieni Signore, non tardare!

Noi di certo ti aspettiamo,

nell’attesa di glorificarti in eterno,

dove Tu sei il Dio per sempre,

tra tutti gli eletti. Amen

(P.Antonio Rungi)

P.RUNGI. COMMENTO ALLLA SOLENNITA’ DI CRISTO RE- 26 NOVEMBRE 2017

RUNGI2015

XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo

Domenica 26 Novembre 2017

La regalità di Cristo e la nostra partecipazione alla sua missione redentiva

Commento di padre Antonio Rungi

Si chiude con questa domenica XXXIV, dedicata alla solennità di Gesù Cristo Re dell’Universo, un altro anno liturgico, durante il quale abbiamo ripercorso le tappe fondamentali della vita di Gesù Cristo, di Maria, della Chiesa e dei santi, celebrando ogni giorno la santa eucaristia e partecipando alla messa domenicale o alle varie solennità con desiderio profondo di crescere in santità.

Quest’anno 2017 è stato poi particolarmente significativo da un punto spirituale, in quanto abbiamo celebrato il primo centenario delle apparizioni della Madonna a Fatima. Per cui da maggio fino a ottobre 2017, la chiesa si è concentrata soprattutto nel ricordo di questo  avvenimento che ha segnato la storia non solo della cristianità, ma dell’umanità. Oggi quel cammino spirituale fatto alla sequela di Cristo e alla scuola di Maria Santissima e di tutti i santi si conclude da un punto di vista temporale, relativamente all’anno liturgico che finisce qui; ma continua, comunque e sempre, perché non si interrompe il dialogo d’amore con nostro Signore, attraverso le prossime celebrazioni delle varie ricorrenze liturgiche, Oggi siamo qui a ringraziare il Signore per quanto ci ha concesso in questo anno di spiritualità, vissuta soprattutto in ascolto della parola di Dio e come i discepoli di Emmaus con il cuore che ha battuto e batte forte per questo amore verso il Signore e verso i nostri fratelli nella fede e in umanità.

La liturgia di questa solennità ci aiuta a capire il senso della regalità di Cristo e della nostra personale partecipazione a questa regalità, mediante la consacrazione battesimale. Con Cristo, per Cristo e in Cristo noi siamo re, sacerdoti e profeti, mediante il dono del battesimo che, mediante l’unzione con il sacro crisma, ne abbiamo ereditato il patrimonio interiore, che necessita di essere accolto e annunciato e testimoniato con coraggio nel mondo, guidati dallo Spirito Santo.

La regalità di Cristo oggi ci viene presentata nel momento in cui Egli verrà, nel suo secondo avvento, verrà a giudicare la terra. L’evangelista Matteo ci descrive questo momento con tali espressioni che dovrebbero farci preoccupare, ma anche aprire il nostro cuore alla speranza.

«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra”.

Quando la convocazione sarà stata ultimata e tutti saranno presenti, Gesù siederà sul suo trono Gesù e quale Re vero ed eterno, rivolgerà “a quelli che saranno alla sua destra”, i buoni, i bravi, quanti hanno lavorato per la salvezza della propria anima e per la salvezza degli altri: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo”.

Il motivo di questa ammissione ed entrata ne Regno è motivata da Gesù stesso, che si identifica con le varie categorie di soggetti, presentate nel riportare alla nostra attenzione le opere di misericordia corporali e spirituali. Infatti, il Signore premierà quanti lo hanno riconosciuto nel volto dell’affamato, dell’assetato, dello straniero, della persona ignuda, malata o carcerata e per esse si sono attivati per ridare dignità e speranza a costo di rinunciare alle proprie comodità ed esigenze per dare agli altri. In opposizione e in contrasto con chi ha operato nella carità, ci saranno quelli che hanno agito male e collocati alla sinistra di Dio. Gesù come un Re che giudica con amore e misericordia, ma anche con giustizia, anche coloro che non hanno mosso neppure per un attimo e per fatto un passo per vivere la carità e servire i poveri più poveri di questa terra. Cosa succederà a questi che non hanno riconosciuto Gesù nel volto del bisognoso? Saranno allontanati per sempre dal suo sguardo di Padre e andranno nel fuoco eterno: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.

Di fronte a questo vangelo, per molti aspetti drammatici, c’è davvero da interrogarsi sul nostro stile di vivere da cristiani oggi, di fronte alle tante povertà e miserie umane, alle quali dobbiamo rispondere con il nostro impegno personale e fare ciò che ci spetta fare ogni volta che un povero bussa alla porta del nostro cuore.

E’ chiaro dai testi biblici di questa solennità che Dio ci giudicherà in base all’amore e alla carità, come ci ricorda la prima lettura di oggi, tratta dal libro del profeta Ezechiele che ci presenta la figura del buon pastore che va alla ricerca della pecorella smarrita per ridare ad essa un futuro di vita e non di morte: “Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia”. Gesù è questo buon pastore che è venuto in mezzo a noi e ci ha salvato con la sua morte e risurrezione.

Egli è giudice dei vivi e dei morti come ricorda la prima lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi, brano della seconda lettura di questa solennità: “È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte. E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti”.

La prospettiva della fine del mondo si apre a noi nel segno dell’amore e della riconciliazione, nel segno della vittoria della vita sulla morte e tutto sarà vera ed eterna vita in Gesù Cristo, nel suo Regno futuro.

Di fronte a queste verità di fede, noi cristiani, pellegrini nel tempo, abbiamo il sacrosanto dovere di metterci a servizio di questo Regno e soprattutto di questo Re mite ed umile, che entra in Gerusalemme, prima di andare incontro alla sua passione, cavalcando un asino e che poi si erge nella sua maestà e nella sua autorevolezza di Figlio di Dio quando viene innalzato da terra sulla croce e in quel momento, morendo per tutti noi e, poi, risorgendo dai morti ha manifestato al mondo la sua regalità.

La regalità di Gesù è la Croce e la risurrezione nella quale noi poniamo interamente la nostra speranza. Per cui, sia questa la nostra preghiera a conclusione dell’anno liturgico in questo giorno di festa per tutti: “O Padre, che hai posto il tuo Figlio come unico re e pastore di tutti gli uomini, per costruire nelle tormentate vicende della storia il tuo regno d’amore, alimenta in noi la certezza di fede, che un giorno, annientato anche l’ultimo nemico, la morte, egli ti consegnerà l’opera della sua redenzione, perché tu sia tutto in tutti”. Amen.

 

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO – XXXIII DOMENICA T.O.

RUNGI1

XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

DOMENICA 19 NOVEMBRE 2017

 

Talentuosi per il Regno dei cieli

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

Il Signore ci ha fatto dono di tante cose, di tanti carismi, facoltà e possibilità di fare ed operare per il bene, non solo su questa terra, ma in vista del Regno dei cieli. Questi doni che il Vangelo di oggi, con la parabola dei talenti, ci fa capire che possediamo tutti, in misura diversa, vanno fatti fruttificare. Bisogna capirne il senso. Possiamo essere talentuosi per questo mondo, raccogliendo consensi e favori in ogni luogo (e tutti cercano questi consensi e in tutti gli ambienti); e possiamo, anzi dobbiamo essere talentuosi per il Regno dei cieli, qui ed ora.

Per cui i doni ricevuti vanno investiti e fatto produrre per il nostro e altrui bene. Non possiamo restare con le mani in mano, aspettando che i doni ricevuti producano da soli. Bisogna attivarsi, mettersi in moto, ingegnarsi in qualche modo, perché quello che abbiamo ricevuto, in quantità e qualità diversa, produca, se non il di più, almeno il pari di quello  che abbiamo ricevuto. Non possiamo fare come il soggetto del vangelo di oggi che ricevette un solo talento e per paura di non perderlo, perché non voleva rischiare, cioè non si voleva impegnare, ha scelto di metterlo in sottoterra (nella sua cassaforte naturale, come si usava una volta, mettere i soldi sotto il mattone)  e conservarlo per il rendiconto finale al padrone che ne avrebbe chiesto la restituzione.

In questa persona cogliamo tutto quella che è la negatività in tanti di noi che non si vogliono impegnare in nulla e tantomeno nelle cose di Dio. Eterni paurosi, timorosi ed indecisi che sono in attesa non so di quale segnale diverso per farli lavorare sodo per la santificazione di se stessi e per il bene degli altri.

Esemplari, invece, sono i comportamenti di coloro che hanno ricevuto doni di consistenza diversa: chi cinque talenti; chi due talenti. Ognuno di costoro si è messo all’opera e ha fatto raddoppiare ciò che avevano ricevuto, in quanto aveva lavorato spiritualmente e, se vogliamo metterla su altri aspetti, anche su un piano umano ed economico. Cosa lodevole quando ci si impegna e ci si industria per ricevere onestamente un utile dal lavoro fatto, con la conseguenza che il  premio di produzione, per il Regno dei cieli, è assicurato con l’ingresso nella gioia eterna del Paradiso.

La resa dei conti arriva per tutti, nel momento in cui meno ce lo aspettiamo, quando il Signore ci chiamerà da questo mondo all’eternità e allora succederà quello che Egli stesso ci ha insegnato, ammonito e richiamato alla nostra attenzione con la parabola dei talenti di questa XXXIII Domenica del Tempo Ordinario dell’Anno Liturgico che sta per concludersi.

“Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti».

Vorrei sottolineare quel “dopo molto tempo”, dal momento in cui ci sono stati consegnati i talenti e sono quelli della vita umana, della vita spirituale, della grazia, dei carismi e doni ricevuti.

Infatti il Signore non ci chiede subito il resoconto di quello che ci ha donato. Al contrario ci dà il tempo necessario, fossero pure pochi giorni della nostra vita, per capire cosa è giusto fare e come ci dobbiamo comportare per ereditare la vita eterna.

Questo lungo tempo che il Signore ci ha donato, sta continuando. A che cosa sta servendo?  Per far fruttificare quello che abbiamo ricevuto nel giorno del battesimo, oppure no? La fede, la carità, la speranza rientrano in quella crescita spirituale del nostro modo di vivere ed operare?

Sarà davvero terribile, al termine di nostri giorni e della nostra vita, quando ci presenteremo davanti al tribunale di Dio per rendere conto di quello che abbiamo fatto e realizzato: quanti fecero il bene per una sentenza di assoluzione piena; quanti fecero il male per una sentenza di condanna e speriamo che non sia quella definitiva del fuoco eterno dell’infermo, dove ci “sarà pianto e stridore di denti per sempre”, come conclude il testo del vangelo di questa domenica.

E quanto ci viene detto non è terrorismo psicologico, né tantomeno una forma di ricatto a fare per forza un cammino di santità che non vogliamo fare. Anzi è un esplicito invito a tirare dritto per la nostra strada, quella intrapresa con la venuta alla vita umana e alla vita della grazia con la fede e con la scelta della religione che abbiamo deciso di fare nostra, dopo che i nostri genitori ne avevano compreso tutta la ricchezza e la bellezza, la sua produttività a livello personale, familiare, ecclesiale e sociale.

Ecco perché ci hanno portato al fonte battesimale, poi alla confessione, alla prima comunione, alla cresima e a man mano ci hanno accompagnati nella crescita della vita cristiana. E se non sono stati i nostri genitori, sono entrati in scena, nel nostro itinerario di vita cristiana, altre persone sagge e sante che ci hanno preso per mano ed hanno fatto fruttificare quei talenti che avevamo ricevuti e che, come il servo della parabola di oggi. Anche noi, forse, avevamo messo sotto terra quei doni per poi consegnarli al padrone che ce l’avrebbe richiesti a tempo dovuto; senza da parte nostra di un pizzico di crescita, neppure di un ramoscello di quel seme che era stato impiantato nella nostra vita.

Il tempo che abbiamo davanti a noi è poco, è molto solo il Signore lo conosce. Certo è che Egli ci chiederà conto di tutto, ma con amore, tenerezza e dolcezza, oltre che con un cuore di Padre che è grande nell’amore ed è misericordioso. Si può fra fruttificare anche minimamente un dono ricevuto tempo fa, anzi all’inizio della nostra vita, fosse pure prima di chiudere gli occhi. E ciò è possibile sono con un atto di amore e di pentimento, con un sicuro investimento nell’abbandonarsi alla misericordia e alla bontà di Dio almeno nell’ultima ora della nostra vita. Non disperiamo mai, fino all’ultimo istante.

Non a caso, nella prima lettura di oggi, tratta dal libro dei Proverbi ci viene presentata il “modello biblico” della donna perfetta. Non è la donna perfetta esteticamente di allora e soprattutto di oggi, con fisico rispondente ai canoni della bellezza commerciale; ma la donna, nella quale “confida il cuore del marito e non verrà a mancargli il profitto. Gli dà felicità e non dispiacere per tutti i giorni della sua vita. Si procura lana e lino e li lavora volentieri con le mani. Stende la sua mano alla conocchia e le sue dita tengono il fuso. Apre le sue palme al misero, stende la mano al povero”.

Una donna che prega, lavora, ama la famiglia ed è caritatevole, sono le qualità primarie per una donna che non pensa al suo fascino esteriore, ma a quello interiore dell’anima. Perciò, ammonisce il testo sacro: “Illusorio è il fascino e fugace la bellezza”; mentre  “la donna che teme Dio è da lodare”.

La conclusione ovvia di fronte a questo bene vero ed assoluto, a questo dono di Dio,  è una donna fatta con queste caratteristiche e che possiede questi talenti. Verso di lei, bisogna essere “riconoscenti per il frutto delle sue mani e le sue opere la lodino alle porte della città”.

Donne cristiane di tutto il mondo unitevi in questo vero recupero di dignità, di pari opportunità con l’uomo, di femminilità vera e non solo di facciata e di apparenza.

In questi giorni, stiamo sentendo tante cose disgustevoli sul modo di sfruttare le donne in tanti campi e soprattutto nello spettacolo. Non cedere a nessun ricatto mai, e soprattutto quando sono in gioco valori grandi ed immensi come la bellezza e la purezza dei sentimenti che non sono commerciabili né spendibili se non per un vero grande amore verso Dio e verso i fratelli, a partire dalla famiglia.

Pensiamo al nostro vero futuro, tutti insieme, uomini e donne, cogliendo il messaggio che viene dal testo della seconda lettura di questa liturgia della parola, tratto dalla prima lettera di san Paolo Apostolo ai Tessalonicesi.

Sappiamo bene “che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire”.

L’Apostolo fa riferimento alla fine dei tempi, al secondo avvento di Dio sulla terra, ma indirettamente si riferisce anche al momento della conclusione della nostra vita terrena.

Per cui, siccome tutto può accadere all’improvviso, non dobbiamo stare nelle tenebre del peccato, “cosicché quel giorno possa sorprenderci come un ladro”, ma dobbiamo vive nella luce della grazia di Dio, in quanto noi siamo “figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre”. Di conseguenza non possiamo addormentarci sulle cose che hanno un valore di eternità, ma dobbiamo essere vigili e sobri nell’attesa della venuta del Signore. Non possiamo comportarci allo stesso modo di coloro che non hanno fede e non hanno speranza. Sia, pertanto, questa la nostra umile preghiera che rivolgiamo a Dio, dal profondo del nostro cuore: “O Padre, che affidi alle mani dell’uomo tutti i beni della creazione e della grazia, fa’ che la nostra buona volontà moltiplichi i frutti della tua provvidenza; rendici sempre operosi e vigilanti in attesa del tuo giorno, nella speranza di sentirci chiamare servi buoni e fedeli, e così entrare nella gioia del tuo regno”. Amen.

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DELLA XXXII DOMENICA T.O. – 12 NOVEMBRE 2017

davide5

XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
DOMENICA 12 NOVEMBRE 2017

 

ANDIAMO INCONTRO ALLO SPOSO CON FEDE ARDENTE

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

Il Vangelo di questa XXXII domenica del tempo ordinario ci riporta la parabola delle 10 vergini, di cui cinque si rivelano sagge e previgenti e cinque, stolte, incapaci di guardare oltre il momento e progettare l’oltre, cioè il futuro. Sono 10 vergini in attesa dello sposo. Gesù utilizza questa immagine per spiegare ai suoi ascoltatori e uditori che il Regno dei cieli « sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo”.

Prima idea che emerge da testo è che la fede in Dio è un cammino, è un andare verso di Lui, attenderlo, accoglierlo, non nella indifferenza, ma con calore, con la luce che arde, simbolo, come ben sappiamo, della fede, della carità e della speranza. Ebbene, utilizzando l’immagine che oggi, statisticamente, ci afferma che la metà del  numero complessivo, oltre ad attendere lo sposo si prepara anche per il suo futuro. E queste sono le 5 vergini sagge. L’altra metà invece si accontenta del minimo, di quel poco che ha a disposizione per prepararsi all’incontro con lo sposo. E in questa altra metà sono le vergini stolte.

Per cui, una seconda idea, è quella che a tutti viene proposto il cammino di fede e alla fine c’è chi lo accoglie e lo porta a termine e chi, invece, lo inizia e poi lo interrompe. Tutto questo, chiaramente, incide sul discorso della salvezza eterna, in quanto chi vigila, prega e opera si prepara all’incontro con lo sposo, che è Cristo Signore.

Chi, invece, si lascia distrarre dalle altre cose, rischia di essere impreparato quando arriva il Signore ed entra nella sala nuziale per fare partecipare al suo banchetto eterno quelli che sono già pronti. Infatti, “le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.

La conclusione del brano del vangelo è un esplicito invito alla vigilanza cristiana, che è molto impegnativa rispetto ad altre tipologie di vigilanza, in quanto si tratta di rispondere in pieno e, in qualsiasi momento, alla chiamata di Dio, svolgendo al meglio il compito che ci è stato assegnato e che non va trascurato, pensando che abbiamo ancora molto tempo davanti e possiamo, perciò, rimandare il discorso a tempi successivi, secondo il nostro modo di pensare e di agire.

Si tratta, in altre parole, di un forte ammonimento ad essere pronti al passaggio alla vita eterna. Tema che affronta l’apostolo Paolo nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla prima lettera ai Tessalonicesi, nel quale ci descrive il prima e il dopo della nostra morte corporale come pure ci parla del giudizio universale: “Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti…Noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore, non avremo alcuna precedenza su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore”.

Sono parole di conforto e di sostegno, di incoraggiamento di fronte al mistero della nostra ed altrui morte, che vanno benissimo in questo mese di novembre, durante il quale noi preghiamo per i fratelli defunti, che ci hanno preceduti nell’eternità. E allora di fronte al grande mistero della morte corporale, bisogna far tesoro di quanto ci suggerisce la prima lettura di oggi, tratta dal libro della Sapienza. Essere saggi e prudenti rispetto ai grandi ideali ed obiettivi della nostra vita, che vanno perseguiti con coraggio, ardore, fervore e costanza. Infatti, “se ci lasciamo guidare dalla sapienza che viene dall’alto saremo ben presto senza affanni; poiché lei stessa va in cerca di quelli che sono degni di lei, appare loro benevola per le strade e in ogni progetto va loro incontro”.

Come dire, che ci dobbiamo pienamente abbandonare nelle mani di Dio ed Egli ci farà approdare a porti tranquilli, nel tempo e nell’eternità.

In sintonia con tutta la parola di Dio di questa XXXII domenica del tempo ordinario ci rivolgiamo a Dio, a conclusione della nostra riflessione sui testi sacri che abbiamo ascoltato, con questa preghiera iniziale della santa messa:  “O Dio, la tua sapienza va in cerca di quanti ne ascoltano la voce, rendici degni di partecipare al tuo banchetto e fa’ che alimentiamo l’olio delle nostre lampade, perché non si estinguano nell’attesa, ma quando tu verrai siamo pronti a correrti incontro, per entrare con te alla festa nuziale”.

E’ l’augurio che coltiviamo tutti nel nostro cuore con la consapevolezza e la coscienza che bisogna davvero vigilare sulla nostra condotta morale e sulla nostra vita per vivere in grazia di Dio, sempre, ed allontanarci da ogni tendenza verso il male e il peccato.

Maria, porta santa del cielo, ci accompagni nel cammino della fede e ci accolga un giorno all’ingresso di quel Regno dei cieli, avendoci forzati per essere tra coloro che sono stati attenti e vigilanti nell’attesa del Signore, non per pochi minuti, giorni, mesi o anni, ma per tutta la nostra vita umana e cristiana.

E al Cristo Redentore del mondo ci rivolgiamo con queste umili parole che è richiesta di perdono e gratitudine per la salvezza donataci con la sua morte e risurrezione:

 

A Te, Gesù, Redentore dell’uomo,

ci rivolgiamo per chiederti perdono.

Tu che dalla croce ci hai insegnato

a perdonare, togli dal nostro cuore

ogni forma di odio,

risentimento ed orgoglio.

Donaci la gioia di rivolgere

il nostro sguardo d’amore

verso coloro

che hanno fatto soffrire

il nostro povero cuore.

Signore, possa, ognuno di noi,

guardare il mondo intero

con la stessa bontà, tenerezza

e misericordia, che ha appreso da Te,

inginocchiandosi ai tuoi piedi.

Da questa scuola d’amore e di oblazione,

che è la tua santissima croce,

ogni uomo riscopra la bellezza

di donare la vita per i propri amici

e soprattutto per i propri nemici.

Signore Gesù, Redentore del mondo,

guida questo nostro mondo

verso la pace e la riconciliazione,

dono mirabile della Tua Passione,

Morte e Risurrezione. Amen

P.RUNGI. COMMENTO ALLA XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – 5 NOVEMBRE 2017

antonio-napoli2

XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

Domenica 5 novembre 2017
L’ostentazione che distrugge il cuore e i fondamenti della religione

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

La parola di Dio di questa XXXI domenica del tempo ordinario ci offre alcuni testi di importanza capitale per comprendere come, chi ha responsabilità religiose, sacerdotali, pastorali e di guida, debba comportarsi nei confronti degli altri, del popolo, dei fedeli, della gente comune e semplice in modo coerente con il vangelo.

Il forte rimprovero ai sacerdoti dell’Antico Testamento e ai sacerdoti del suo tempo da parte di Gesù, può riguardare anche tutti i sacerdoti in cura di anime, che hanno la responsabilità di pastori, e che devono essere buoni, generosi, attenti e coerenti con la loro missione. Chi è stato chiamato a questo servizio e ha detto il suo <<sì>> a Dio, ha una responsabilità grande di fronte a chi attende l’insegnamento piuttosto con lo stile di vita che con la sola parola.

Si è credibili in tutti gli ambienti e soprattutto in quelli religiosi ed ecclesiali quando la santità della vita parla da se stessa, senza fare i grandi discorsi e sermoni, per caricare i fedeli di altri pesi, che chi li mette sulle spalle degli altri, non ne conosce neppure la consistenza, la difficoltà e la impossibilità a portarli.

Denuncia coraggiosa, quindi, da parte Gesù nei confronti dei farisei e degli scrivi, verso i quali dimostra una grande riserva morale e concettuale. Non si tratta di pregiudizi, ma di costatazione di fatti: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito”.

Sappiamo benissimo, cosa significasse in quel tempo tutto questo e cosa significhi oggi la stessa affermazione che Gesù ripete a noi oggi nel testo del Vangelo di Matteo. Ci sono persone che hanno il potere decisionale, i quali costringono a fare tante cose, pesantissime da tutti i punti di vista, agli altri e loro si godono la vita, si ritagliano eccezioni, permessi ed autorizzazioni, si confezionano privilegi che altri non hanno assolutamente. Basta guardarsi intorno, in tutti gli ambienti, compresi quelli ecclesiastici, cioè nei nostri ambienti, per rendersi conto di quanto cammino di purificazione dobbiamo fare tutti, papa, vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici in questo campo di moltiplicare leggi e norme per gli altri e osservarne poche o nessuno da parte di chi le inserisce nel sistema giuridico di ogni tipo. Cose che continuamente ci ricorda Papa Francesco.

Le nome morali che riguardano la coscienza individuale e al proprio stato di vita e che ci aprono la porta della vera salvezza, vanno osservate e vanno tenute in debita considerazione da chi crede e opera in ragione della fede.

Non bisogna imitare persone che dicono e non fanno, che non danno buona testimonianza nella vita. Infatti “tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente”. Va rifiutato in toto questo comportamento. Per i veri discepoli di Gesù, la prospettiva è diversa e il comportamento è di altro genere e stile: “Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Bisogna rifuggire l’autoesaltazione e bisogna stare molto attenti e vigilanti alle esaltazioni occasionali delle persone, che mentre ti portano alle stelle, poi ti buttano nella stalla. Dalle stelle, come dice un antico proverbio, alla stalla. Ed è così per tutti, in quanto l’arroganza, la presunzione, la superbia, l’orgoglio e quanto di negativo ci possa essere nel comportamento umano, regge poco e con il tempo si logora e non ha nessun valore ed incidenza nel comportamento proprio ed altrui.

Seguiamo la vita dell’umiltà e saremo beati in questa vita e nell’eternità. D’altra parte non si può non considerare quanto viene detto nella prima lettura di oggi, tratta dal profeta Malachìa: “Ora a voi questo monito, o sacerdoti. Se non mi ascolterete e non vi darete premura di dare gloria al mio nome, dice il Signore degli eserciti, manderò su voi la maledizione”.

La motivazione di questa minaccia sta scritta nei versi successivi che devono far riflettere tutti coloro che non si comportano bene, in qualsiasi ambiente: “Voi invece avete deviato dalla retta via e siete stati d’inciampo a molti con il vostro insegnamento; avete distrutto l’alleanza di Levi”.

La conseguenza di questo comportamento lo troviamo scritto dal profeta con queste parole: “vi ho reso spregevoli e abietti davanti a tutto il popolo, perché non avete seguito le mie vie e avete usato parzialità nel vostro insegnamento”.

L’invito all’unità, all’uguaglianza, alla giustizia, alla fede unica di tutti e per tutti è detto con grande precisione, anche se ci proviamo di fronte ad una serie di interrogativi, ai quali ognuno deve dare la sua risposta convinta: “Non abbiamo forse tutti noi un solo padre? Forse non ci ha creati un unico Dio? Perché dunque agire con perfidia l’uno contro l’altro, profanando l’alleanza dei nostri padri?”

Chiedersi del male del mondo, fatto dall’uomo con perfidia e con un preciso studio a tavolino è il minimo indispensabile per avviare a soluzione alcuni drammi che stiamo vivendo anche noi credenti e cristiani del XXI secolo.

Ci aiuti, in questo itinerario di recupero e ripristino della moralità personale e sociale, quanto ci suggerisce di fare l’Apostolo Paolo nel testo della seconda lettura di oggi: “Voi ricordate infatti, fratelli, il nostro duro lavoro e la nostra fatica: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi, vi abbiamo annunciato il vangelo di Dio. Proprio per questo anche noi rendiamo continuamente grazie a Dio perché, ricevendo la parola di Dio che noi vi abbiamo fatto udire, l’avete accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in voi credenti”.

Paolo ci chiede un doppio impegno e lavoro: quello fisico per guadagnarsi da vivere e per non essere di peso a nessuno e quello apostolico, che è finalizzato alla propagazione del Vangelo della salvezza e della vita per tutti. Le fatiche in tutti i campi vanno condivise e distribuite in ragione delle proprie forze e dei propri carismi. Per cui, nel ringraziare il Signore per tutto quello che ci dona, ci rivolgiamo a Lui con queste parole: O Dio, creatore e Padre di tutti, donaci la luce del tuo Spirito, perché nessuno di noi ardisca usurpare la tua gloria, ma, riconoscendo in ogni uomo la dignità dei tuoi figli, non solo a parole, ma con le opere, ci dimostriamo discepoli dell’unico Maestro che si è fatto uomo per amore, Gesù Cristo nostro Signore.

 

P. RUNGI. COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI – 2 NOVEMBRE 2017 – CON LA NUOVA PREGHIERA

1424449_667721976591797_1278921107_n

COMMEMORAZIONE DEI FEDEI DEFUTI

 

2 NOVEMBRE 2017

 

Il significato della morte per ogni cristiano: l’essere per l’eternità

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

Il 2 novembre di ogni anno, in occasione della commemorazione dei fedeli defunti, noi ci domandiamo, più convintamente, sul significato della morte per noi credenti. Di fronte alle scene, anche di morti violenti, alle quali assistiamo quotidianamente attraverso i media, al punto tale che ci stiamo abituando anche alla morte nella pluralità del modo di concludersi dei nostri giorni, noi rinnoviamo il nostro perché ed aumentano le nostre domande, specie quando ci troviamo davanti alla tomba dei propri cari, più cari di ogni altro, e ne avvertiamo la mancanza, la privazione e la nostalgia. Nasciamo, cresciamo e moriamo, per vivere una vita più piena e duratura che va oltre il tempo, la natura, la creatura, tutto ciò che essere per un tempo limitato, rispetto ad un essere per l’eternità. La spiegazione più piena della nostra morte, come cristiani, è quella che troviamo nella morte in croce del Figlio di Dio, nostro Signore Gesù Cristo, che ha donato la vita per l’umanità per riscattarci da una morte più terribile che è quella eterna e definitiva. Con la sua morte e soprattutto con la sua risurrezione dai morti comprendiamo il morire di ogni cristiano che alla luce della fede, sa benissimo, come ci ricorda la teologia, la dogmatica, la dottrina e la liturgia dei novissimi (morte, giudizio, inferno e paradiso) che il morire non è la conclusiva di una vita, ma l’inizio di una nuova vita, che avrà la piena e completa risurrezione nel giudizio universale e nel secondo Avvento di Dio sulla terra quando verrà a giudicare i vivi e i morti ed anche i nostri corpi mortali risorgeranno trasformati in una vita senza fine. Intanto, siamo convinti che l’anima immortale, con la morte del corpo, potrà aver la visione immediata di Dio, nella gloria del Paradiso se ha operato bene nella sua vita terrena, altrimenti dovrà purificarsi nel Purgatorio e se, malauguratamente avesse commesso peccati gravissimi, senza mai pentirsi, il destino eterno dell’Inferno non può che preoccupare seriamente. La consapevolezza che esista una vita oltre la morte è un dato di fede e per certi versi anche di scienza e di ragione, in quanto a ben riflettere la vita dell’uomo non può, per la bellezza che racchiude, concludersi nella tomba, in un loculo del cimitero oppure in una cassetta compatta in cui si raccolgono le ceneri dopo la cremazione. Viene in nostro aiuto quanto in questo giorno, mediante l’ascolto della parola di Dio dei tre formulari delle sante messe che celebrano in sacerdoti, è ascoltato meditato e riflettuto sul significato più vero ed autentico del morire di un cristiano vero, che ha fede e crede nella vita eterna. Dal Libro di Giobbe, inserito come testo biblico della prima lettura, della prima messa di questo giorno, leggiamo e facciamo nostro questo messaggio di speranza e di apertura all’eternità “Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro”. Mentre, dal Vangelo di Giovanni di questa prima messa, è detto con chiarezza assoluta la missione portata a compimento da Gesù, nella sua morte e risurrezione: “E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.

Il profeta Isaia, nella prima lettura della seconda messa, dice cose stupende su quello che ci attende dopo la morte, anche se il testo biblico si riferisce, ad altre situazioni che ha vissuto il popolo santo di Dio: “Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza”.

Replica l’apostolo Paolo, nel brando della sua lettera ai Romani (II Messa di oggi), con parole di incoraggiamento ed aperte alla speranza che diventa certezza di tempi davvero migliori, in quella prospettiva dell’eternità che guida saggiamente l’Apostolo delle genti quando scrive in merito alla vita eterna: “Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio”. La vita eterna, come ben cogliamo dal testo del Vangelo di Matteo certamente ha due strade, quella della salvezza e quella della perdizione. Non è a senso unico, in quanto per imboccare la strada giusta, bisogna vivere nella carità ed essere dalla parte di chi è in necessità. Si va in paradiso donando la per amore e mettendosi a servizio degli ultimi e dei bisognosi: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”…. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.

Quando non si vede il volto di Cristo nel volto del fratello che è in necessità, non c’è possibilità di godere della felicità eterna. Chi è chiuso nel suo e non sa scorgere la presenza di Dio in situazioni di necessità come può far parte di un’eternità beata?

Allora vogliamo, prendere in seria considerazione quello che ci detta il profeta Isaia nella prima lettura della terza messa di oggi: “Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace…In cambio di una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé; li ha saggiati come oro nel crogiolo e li ha graditi come l’offerta di un olocausto. Nel giorno del loro giudizio risplenderanno, come scintille nella stoppia correranno qua e là. Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà per sempre su di loro”.

Chi di oggi davanti alla tomba dei nostri cari o di altri fedeli defunti o di qualsiasi morto non comprende queste cose e le medita per capire quale strada intraprendere per non morire dentro, per non morire per sempre, per essere aperti alla vita eterna? Io penso che tutti oggi, anche soffrendo e piangendo, per la morte dei nostri fratelli, guardiamo a loro come esempi di vita e se proprio non sono stati esemplari pregheremo per loro, affinché il Signore buono e gande nell’amore, ricco di misericordia porti con se le anime sante del Purgatorio che aspettano di rispecchiarsi nel suo volto di luce di amore infinito.

E come conclusione della nostra meditazione su questo giorno di speranza e di vita, oltre la morte, noi vogliamo rivolgerci a Dio con questa mia umile preghiera che affido a voi in questo giorno e nei prossimi giorni:

<<Signore, le ore, i giorni, i mesi, gli anni passano in fretta e noi ci dileguiamo, senza lasciare tracce di noi stessi, se non quelle di avere amato Te e il mondo intero.

Questa bellissima vita, che tu ci hai donato e continui ad alimentare con il tuo amore di Padre, ci sorprende nel tanto bene, ma anche nella tanta sofferenza.

Il coraggio di andare oltre i limiti del nostro umano soffrire, sei Tu, o Dio, che ce lo doni, ben sapendo che l’agonia durerà, come per Te, solo poche ore sul tracciato del nostro cammino.

Pensare alla vita, oltre la vita, in questo tempo, in cui, davanti a noi si spalancano i cancelli dei nostri cimiteri per la visita annuale ai nostri parenti defunti, dà gioia e conforto nonostante che la paura della morte abiti in noi, anche se non ci distoglie dalla gioia della risurrezione e della futura gloria del cielo.

Grazie Signore della vita, della mia vita, della nostra vita, della vita di tutti, della vita del mondo, della vita di ogni cosa che respira e trova la sorgente del vivere nella tua Sapienza divina.

Grazie dei giorni in cui assaporiamo la gioia dello stare qui, insieme ai nostri fratelli, che camminano con noi nel tempo presente.

Grazie dei giorni, in cui il dolore e la croce, ci pone di fronte ai nostri limiti umani, fisici e temporali, che possiamo fronteggiare con il totale abbandono alla tua santissima volontà.

Grazie del giorno che sta volgendo al termine e grazie del nuovo giorno che ci attende da vivere con Te, in Te e per Te. Grazie per tutti i giorni della nostra breve esistenza.

Grazie per quell’ ultimo giorno che attendiamo e di cui non sappiamo il momento esatto, in cui Tu verrai a chiamarci per portarci con te nell’eternità beata. Amen>>.