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COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DELLA QUINTA DOMENICA DI PASQUA – 3 MAGGIO 2015

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V DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)

Domenica 3 maggio 2015

Amare con i fatti e nella verita’

Commento di padre Antonio Rungi

 

L’essenza stessa del cristianesimo sta nell’amore: amore verso Dio e verso i fratelli. L’unico grande comandamento che dobbiamo applicare e vivere costantemente nella nostra vita. Chi è risorto con Cristo vive nell’amore e di amore. E senza amore non può sopravvivere. Oggi, la parola di Dio di questa quinta domenica del tempo di Pasqua ci pone di fronte alle nostre dirette responsabilità di chi e come amiamo. A ricordarcelo senza mezzi termini è san Giovanni Apostolo nel bellissimo brano della sua prima lettera, scritta, come tutti i suoi testi, non solo con la penna e la mente ma con il cuore. Il cuore di quell’apostolo prediletto che ha saputo intercettare i battiti del cuore di Cristo nell’ultima cena e vedere il Cristo Crocifisso e Risorto. La sua esperienza di uomo che ha saputo amare, perché quest’amore lo ha toccato con le sue mani. Ecco perché fissa in alcune significative espressione questo amore sentito e vissuto in prima persona: “Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa”. Amare con i fatti e nella verità. L’amore non può che essere concreto e non può che essere sincero. Se non ha queste caratteristiche ed attributi è soltanto parola e falsità. Ribadendo questo concetto, Giovanni, riporta quello che è la base di ogni vero discorso di fede e di cristianesimo: “ Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato”. Esaminare la nostra coscienza sull’amore, deve essere un impegno costante di verifica per tutta la nostra vita. D’altra parte, alla fine della nostra esistenza terrena noi verremo giudicati sull’amore e non su altro. Per cui, l’apostolo ci incoraggia nel dire: “Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito”. Avere la coscienza retta ed agire con buone intenzioni, finalizzando il nostro comportamento al bene e mai al male.

Partendo da questo fondamentale comandamento dell’amore che come cristiani possiamo poi comprendere la conversione di Saulo di Tarso, in Paolo, il grande apostolo delle genti, di cui la prima lettura di questa quinta domenica di tempo di Pasqua, tratta dagli Atti degli Apostoli, ci racconta quanto successe dopo la sua conversione: Egli “venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo che fosse un discepolo. Allora Bàrnaba lo prese con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté stare con loro e andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente nel nome del Signore. Parlava e discuteva con quelli di lingua greca; ma questi tentavano di ucciderlo. Quando vennero a saperlo, i fratelli lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso”.

La conversione di Paolo fu anche motivo di rappacificazione e di pace nella chiesa. Come dire che ogni conversione personale ed autentica non può che giovare al bene di tutta la Chiesa. “La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero”.

L’amore si alimenta alla sorgente stessa dell’amore che è Cristo. Il Vangelo di questa domenica, ci aiuta a comprendere come e dove possiamo attingere la forza dell’amore: Gesù Cristo, la vera vite, alla quale ogni tralcio deve alimentarsi per sopravvivere nel vero ed autentico amore, che dà frutto e genera altro amore”. Infatti, l’evangelista San Giovanni, riportando uno dei  discorsi di Gesù, scrive testualmente, ciò che disse il Signore: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Il brano del Vangelo necessita di maggiore comprensione ed approfondimento, per essere vissuto e attuato nella nostra vita di tutti i giorni: Gesù e la vite e noi i tralci. Dobbiamo restare ancorati a lui per portare frutti. Se ci distacchiamo da lui, mediante il peccato, noi moriamo spiritualmente, anzi diventiamo dei rami inutili che devono essere o potati o recisi. D’alta parte chi lavora nei campi e sistematicamente è chiamato a potare gli alberi, sa benissimo quanto questa similitudine si addica perfettamente al senso che Gesù ha voluto dare alle sue parole. Potare per evitare di sfruttare inutilmente la pianta ed alleggerirla dei rami secchi. Così è della chiesa fondata da Cristo. Bisogna potare quegli alberi i cui rami o membri non producono amore, ma solo odio. Sia, perciò questa la nostra preghiera oggi: “O Dio, che ci hai inseriti in Cristo come tralci nella vera vite, donaci il tuo Spirito, perché, amandoci gli uni gli altri di sincero amore, diventiamo primizie di umanità nuova e portiamo frutti di santità e di pace”. Amen

 

RECENSIONE DEL LIBRO DI SAMUELE CIAMBRIELLO “CASTE E CASTIGHI”.

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Napoli. Caste e castighi. Il dito nell’occhio. L’ultimo lavoro di Samuele Ciambriello 

di Antonio Rungi 

“Caste e castighi. Il dito nell’occhio. Linguaggio, indignazione, speranze”. E’ questo il titolo con il quale l’autore, Samuele Ciambriello, ha voluto firmare l’ultimo lavoro della sua molteplice produzione scritta, soprattutto di questi anni. Si tratta di una raccolta di varie riflessioni, a seconda delle ricorrenze, dei fatti e degli avvenimenti locali, nazionali ed internazionali, con le quali  Ciambriello esprime il suo pensiero e la sua posizione, soprattutto in campo politico.  Temi molto cari all’autore, quali: carcere e giustizia; riforma della democrazia e della politica; sport. “Tutti i temi – scrive Ciambriello nell’introduzione – compreso quello sportivo, sono al centro di una tensione, di uno stimolo, di una coscienza critica che più che redimere vuol portare un piccolo contributo al superamento dell’ignoranza, dell’indifferenza. I temi trattati sono tutti verbi e sostantivi che attengono al nostro umano”. Ed aggiunge, mettendo in risalto la finalità dell’opera ed il contenuto stesso dei suoi scritti: “In questa mia raccolta ho condensato aforisticamente una serie di piccole riflessioni sparse suo mio quotidiano on line Linkabile.it e sui social network”.

In sintesi l’opera è un’attenta analisi delle problematiche che hanno attraversato la vita del Ciambriello nel corso della sua molteplicità di ruoli, funzioni ed attività svolte. “Mostro in questo libro tascabile – facendo quasi una confessione pubblica – le mie diverse anime, o i miei diversi percorsi professionali e di vita”, iniziando dall’attività di giornalista, di testimone dei “fatti e misfatti delle caste”, di narratore di storie di vita e di esperienze fatte che non possono restare esclusivo patrimonio culturale, spirituale ed umano dell’autore, ma che egli ritiene opportuno condividere con i suoi lettori ed amici. E’ uno scrivere o meglio parlare ad alta voce su temi cari all’autore, ma altrettanto cari a moltissime persone. Certo non tutto quello che ha scritto è condivisibile, ma lancia, a chi ha davvero “interesse” di riflettere sul mondo di oggi, la sfida di sapere leggere questo nostro tempo e farlo con la dovuta preparazione, con la coscienza retta, con la libertà di pensiero e parola che spesso manca anche nelle menti più eccelse del nostro, omologate su schemi e modi di pensare della classe dominante nei vari campi della cultura, del sapere, della politica, della stessa chiesa e della società.

E’, in poche parole un libro da leggere, perché stimola la critica e la riflessione personale, di cui oggi si ha necessità, visto il sistema di pensiero labile e di una società fluida che di certo e di definitivo non ha nulla. Tutto è opinabile, tutto è messo in discussione, tutto è suscettibile di rettifica, integrazione o negazione. Da qui la necessità, come scrive lo stesso Ciambriello, ricorrendo ad un aforisma di Giovanna Axia, di leggere il libro e di farlo con cortesia, “sapendo che la cortesia è la capacità di far stare bene gli altri”.

Il giudizio più appropriato dell’opera, lo possiamo rinvenire nella prefazione al libro, scritta dal Rettore dell’Università Federico II di Napoli, Gaetano Manfredi, che fissa, in questo significativo passaggio della presentazione della raccolta, la sua idea portante: “Rimbalzando tra sport, politica e cronaca, Samuele Ciambriello svolge un ruolo vitale per la nostra società, esprimendo posizioni anche fuori del coro, senza filtri, veraci e nette, senza l’esigenza di piacere a tutti, con la convinzione di fare la cosa giusta, lasciando solo parlare un’unica coscienza libera, la propria. Il colore ed il dinamismo del testo ammiccano anche al disaccordo. L’autore non è interessato ai giudizi sul merito delle sue idee e sorriderebbe ugualmente divertito vedendo il lettore liberare tra i denti malcelate parole di dissenso o soffocate esclamazioni di consenso”.

D’altra parte, la sua attenzione principale si ferma sulle caste, che diventano veri e propri castighi per la società. Caste di ogni genere e a tutti i livelli, di cui sottolinea che esse “hanno bisogno delle scorciatoie, della logica del tutto e subito, che gli viene richiesto. Un pò di velocità e un po’ di congelamento sembrano le armi più affilate delle corporazioni”.

E quali sono queste caste e corporazioni? L’autore le indica con precisione. “La casta –scrive nella prefazione – non è fatta solo dai politici, ma anche dai grandi ordini professionali, dai dirigenti pubblici e privati, dai magistrati, avvocati, giornalisti, pubblicitari, dal mondo delle curie ecclesiastiche, dai baroni delle Università…”.

Ed una amara costatazione: “La società civile e la chiesa annaspano nel buio, si trovano nel tunnel, spesso in una prigione senza finestre o ore d’aria”. Scrive a proposito della famiglia nella chiesa, apprezzando l’operato di Papa Francesco: “Basta con dogane pastorali e burocrati gestori del sacro che decidono chi è degno di varcare la soglia della Chiesa. La Chiesa non è un castello con un ponte levatoio. In fondo, dove non c’è misericordia e accoglienza non c’è Cristo” (pag. 56).

La raccolta delle varie riflessioni interessa il tempo cronologico che va dal 4 agosto al 20 dicembre 2014. In tutto 109 mini riflessioni o semplici considerazioni che richiedono un’attenta lettura, una preparazione adeguata in campo politico e diciamo anche la passione a leggere ed interpretare fatti ed eventi alla luce della nuove tecnologie della comunicazione di massa ed in particolare della rete telematica.

Vi invito a leggere questo libro e non solo per cortesia, ma per il bisogno di sapere. Scriveva il grande filoso e maestro Socrate, quando l’uomo smette di ricercare e sapere, smette di essere uomo. Il bisogno di sapere non per curiosità, ma per aumentare il livello di cultura e di informazione può essere soddisfatto leggendo questo ultimo lavoro di Samuele Ciambriello, anche se il sapere è limitato ad un periodo di tempo e spazio vitale ben preciso, seconda metà del 2014, ed è limitata ad una sola interpretazione, quella dell’autore, che ha sperimentato sulla sua persone le problematiche che affronta e che, almeno, nella loro valutazione non obbliga mentalmente o moralmente nessuno a condividerle. La libertà di pensiero, parola, espressione, opinione e di stampa è e sarà sempre un patrimonio delle persone davvero libere e davvero preparate. E Samuele Ciambriello rientra tra queste persone. Basta leggere il suo curriculum vitae e la sua storia per capire che ci troviamo di fronte ad una persona che della cultura ha fatto il tema centrale del suo percorso formativo, prima, durante e dopo il suo impegno politico diretto, nel suo partito di riferimento. Giornalista, Samuele Ciambriello è stato presidente del Corecom Campania e componente del Comitato Nazionale Tv e minori. E’ docente di “Teoria e tecnica della comunicazione” all’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” e di “Teoria e tecniche dell’elaborazione scritta dei testi” presso l’Università Link Campus. Nel 2012 ha pubblicato, per i tipi dell’editore Guida, il saggio “Dentro la comunicazione: concetti, modelli e persone”. E’ autore della novella “Dalla Valle Caudina al Vaticano”, pubblicata all’interno della Raccolta “in cò del ponte presso a Benevento” (2014).

E dell’Editore Guida di Napoli è la presente raccolta “Caste e castighi. Il dito nell’occhio. Linguaggio, indignazione, speranze”, pp.202, Napoli, Aprile 2015, costo Euro 8,00, codice 978-88-6866-093-2

 

LA RIFLESSIONE PER IL RITIRO MENSILE

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RITIRO MENSILE – FRATTAMAGGIORE 23 APRILE 2015

LA VOCAZIONE IN UNA CULTURA DEL PROVVISORIO

Tutto è provvisorio, non solo il matrimonio, ma anche la vita consacrata, la nostra appartenenza all’Istituto in cui abbiamo professato. Oggi abbiamo il matrimonio breve e non più il divorzio breve; così pure abbiamo la consacrazione a breve termine e a lungo termine. Nella cultura del provvisorio anche la vita consacrata con la perseveranza e la fedeltà ha da confrontarsi. E vediamo in che modo

La parola di Dio: Luca 16

1 Diceva anche ai discepoli: «C’era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. 2 Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore. 3 L’amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno. 4 So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua. 5 Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: 6 Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d’olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. 7 Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta. 8 Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 9 Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne. 10 Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. 11 Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera? 12 E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? 13 Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona». 14 I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui. 15 Egli disse: «Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio. 16 La Legge e i Profeti fino a Giovanni; da allora in poi viene annunziato il regno di Dio e ognuno si sforza per entrarvi. 17 È più facile che abbiano fine il cielo e la terra, anziché cada un solo trattino della Legge. 18 Chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio; chi sposa una donna ripudiata dal marito, commette adulterio. 19 C’era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. 20 Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, 21 bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. 22 Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23 Stando nell’inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. 24 Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. 25 Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. 26 Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. 27 E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, 28 perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento. 29 Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. 30 E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. 31 Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi».

I dati di una crisi crescente della vocazione alla vita consacrata

Da tempo si parla di “crisi” nella e della vita religiosa e consacrata. E per giustificare questa diagnosi frequentemente si ricorre al numero degli abbandoni, che acutizza la già di per sé allarmante diminuzione di vocazioni che colpisce un gran numero di istituti e che, se continua così, mette in serio pericolo la sopravvivenza di alcuni di questi.

Considerando il fatto che la emorragia continua e non accenna a fermarsi, gli abbandoni sono certamente sintomo di una crisi più ampia nella vita religiosa e consacrata, e la mettono in questione, per lo meno nella forma concreta in cui è vissuta.

Per tutto questo, anche se è certo che non possiamo lasciarci ossessionare dal tema — ogni ossessione è negativa — è anche certo che davanti al problema non possiamo “guardare da un’altra parte” o “nascondere il capo sotto l’ala”. D’altra parte, sebbene è certo, anche, che sono molti i fattori socioculturali che influiscono sul fenomeno degli abbandoni, è pur certo che non sono l’unica causa e che non possiamo riferirci soltanto ad essi per tranquillizzarci e per spiegare questo fenomeno, fino a vedere come “normale” ciò che non lo è.

La Congregazione dei religiosi  in 5 anni (2008–2012) ha dato 11.805 dispense: indulti per lasciare l’istituto, decreti di dimissioni, secolarizzazioni ad experimentum e secolarizzazioni per incardinarsi in una diocesi. Si tratta di una media annuale di 2.361 dispense.

La Congregazione per il Clero, negli stessi anni, ha dato 1.188 dispense dagli obblighi sacerdotali e 130 dispense dagli obblighi del diaconato. Sono tutti religiosi: ciò fa una media per anno di 367,6. Sommando questi dati con gli altri, abbiamo quanto segue: hanno lasciato la vita religiosa 13.123 religiosi o religiose, in 5 anni, con una media annuale di 2.624,6. Ciò vuol dire 2,54 ogni 1000 religiosi. A questi bisogna aggiungere tutti i casi trattati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.

Secondo un calcolo approssimativo ma abbastanza sicuro, questo vuol dire che più di 3.000 religiosi o religiose hanno lasciato ogni anno la vita consacrata. Nel computo non sono stati inseriti i membri delle società di vita apostolica che hanno abbandonato la loro consacrazione, ne quelli di voti temporanei.

Certamente i numeri non sono tutto, ma sarebbe da ingenui non tenerne conto.

Quali le cause?

Assenza della vita spirituale — preghiera personale, preghiera comunitaria, vita sacramentale — che conduce, molte volte, a puntare esclusivamente sulle attività di apostolato, per poter così andare avanti o per trovare dei sotterfugi. Molto spesso questa mancanza di vita spirituale sfocia in una profonda crisi di fede, per molti la vera e più profonda crisi della vita religiosa e consacrata e della stessa vita della Chiesa. Questo fa sì che i voti non abbiano più senso — in genere prima dell’abbandono vi sono gravi e continue colpe contro di essi — e neppure la stessa vita consacrata. In questi casi, ovviamente, l’abbandono è l’uscita “normale” e più logica.

Perdita del senso di appartenenza alla comunità, all’istituto e, in alcuni casi alla stessa Chiesa. All’origine di molti abbandoni c’è una disaffezione alla vita comunitaria che si manifesta: nella critica sistematica ai membri della propria comunità o dell’istituto, particolarmente all’autorità, che produce una grande insoddisfazione; nella scarsa partecipazione ai momenti comunitari o alle iniziative della comunità, a causa di una mancanza di equilibrio tra le esigenze della vita comunitaria e le esigenze dell’individuo e dell’apostolato che si svolge; nel ricercare fuori quello che non si trova in casa…

I problemi più comuni nella vita fraterna in comunità sono: problemi di relazione interpersonale, incomprensioni, mancanza di dialogo e di autentica comunicazione, incapacità psichica a vivere le esigenze della vita fraterna in comunità, incapacità di risolvere i conflitti…

Per quanto riguarda la perdita di senso di appartenenza alla Chiesa, a volte è data dalla mancanza di vera comunione con essa e si manifesta, tra l’altro, nel non condividere l’insegnamento della Chiesa su temi specifici come il sacerdozio alle donne e la morale sessuale.

Tutto questo finisce con la perdita del senso di appartenenza all’istituzione, si chiami comunità locale, istituto religioso o Chiesa, che viene considerata solo in quanto può servire per soddisfare i propri interessi: per esempio, la casa religiosa, molte volte, viene considerata come “hotel” o una semplice “residenza”. La mancanza di senso di appartenenza porta, spesso, anche ad abbandonare fisicamente la comunità, senza nessun permesso.

Problemi affettivi.  Qui la problematica è molto ampia: va dall’innamoramento, che si conclude con il matrimonio, alla violazione del voto di castità, sia con ripetuti atti di omosessualità — più palese negli uomini, ma ugualmente presente, più di quanto si pensi, tra le donne — sia con relazioni eterosessuali, più o meno frequenti. Altre volte i problemi affettivi hanno una chiara ripercussione nella vita fraterna in comunità, poiché riguardano il mondo delle relazioni, provocando continui conflitti che finiscono per rendere invivibile la comunità. Infine, i problemi affettivi possono essere tali che si giunge alla convinzione di non poter vivere la castità e si decide, anche per motivi di coerenza, di abbandonare la vita consacrata.

Quando si cerca di individuare le cause o di proporre degli orientamenti, penso che sia necessario fare una radiografia, pur breve e limitata, della società da cui provengono i nostri giovani, i giovani che si rivolgono a noi, così come delle fraternità che li accolgono.

La prima cosa evidente a tutti è che siamo in un mondo in profonda trasformazione. Si tratta di un cambiamento che porta con sé il passaggio dalla modernità alla post-modernità. Viviamo in un tempo caratterizzato da cambiamenti culturali imprevedibili: nuove culture e sotto-culture, nuovi simboli, nuovi stili di vita e nuovi valori. Il tutto avviene a una velocità vertiginosa.

Le certezze e gli schemi interpretativi globali e totalizzanti che caratterizzavano l’era moderna hanno lasciato il posto alla complessità, alla pluralità, alla contrapposizione di modelli di vita e a comportamenti etici che si sono invischiati tra loro in modo disordinato e contraddittorio: sono tutte caratteristiche dell’era post-moderna.

Mentre nella modernità esisteva la plausibilità di un progetto globale, di un’idea matrice, di un “nord” come faro di comportamento, il momento attuale è caratterizzato dall’incertezza, dal dubbio, dal ripiegamento nel quotidiano e nell’emozionale. Così, diventa difficile capire ciò che è essenziale da ciò che secondario e accidentale.

Ciò produce in molti: disorientamento di fronte ad una realtà che si presenta talmente complessa da non potersi percepire; incertezza a causa della mancanza di certezze su cui ancorare la propria vita; insicurezza per la mancanza di riferimenti sicuri. Il tutto si unisce ad una grande delusione di fronte alle domande essenziali, considerate inutili, poiché tutto è possibile e ciò che oggi c’è, domani cessa di essere.

Il nostro tempo è anche un tempo di mercato. Tutto è misurato e valutato secondo l’utilità e la redditività, anche le persone. Queste, in termini di mercato, valgono quanto producono e valgono in quanto sono utili. Il loro valore oscilla, pertanto, in base alla domanda. Tale concezione mercantilista della persona arriva a privilegiare il fare, l’utilità, e persino l’apparenza sull’essere.

Viviamo, anche, in un tempo che possiamo definire il tempo dello zapping. Zapping, letteralmente, vuole dire: passare da un canale all’altro, servendosi del telecomando, senza fermarsi su nessuno. Simbolicamente, zapping, significa non assumere impegni a lungo termine, passare da un esperimento all’altro, senza fare nessuna esperienza che segna la vita. In un mondo dove tutto è agevolato, non c’è posto per il sacrificio, né per la rinuncia, né per altri valori simili. Invece, questi sono presenti nella scelta vocazionale che esige, pertanto, di andare controcorrente, come è la vocazione alla vita consacrata.

Infine, bisogna segnalare anche che nel mondo in cui viviamo, e in stretta connessione con ciò che abbiamo chiamato “mentalità di mercato”, c’è il dominio del neo-individualismo e la cultura del soggettivismo. L’individuo è la misura di tutto e tutto è visto, misurato e valutato in funzione di se stesso e dell’autorealizzazione. In un mondo siffatto, in cui ciascuno si sente unico per eccellenza, frequentemente non esiste una comunicazione profonda. L’uomo odierno parla molto, apparentemente è un grande comunicatore, ma in realtà non riesce a comunicare in profondità e, di conseguenza, non riesce a incontrare l’altro.

A conclusione della nostra riflessione ci poniamo la domanda: in una società come la nostra, è possibile rimanere fedele a una opzione di vita che in partenza è chiamata ad essere definitiva e irrevocabile?

La risposta mi sembra semplice se teniamo conto di tanti consacrati che vivono gioiosamente la fedeltà agli impegni assunti nella loro professione. A ogni modo, per prevenire gli abbandoni, senza illuderci di evitarli totalmente, credo necessario quanto segue.

Che la vita consacrata e religiosa ponga al centro una rinnovata esperienza del Dio uno e trino e consideri questa esperienza come la sua struttura fondamentale. L’essenziale della vita consacrata e religiosa è quaerere Deum, cercare Dio, vivere in Dio. Che l’opzione per il Dio vivente (cf. Giovanni 20, 17) non si viva nel chiudersi in un misticismo separato da tutto e da tutti, ma che porti i consacrati a partecipare al dinamismo trinitario ad intra e ad extra. La partecipazione nel dinamismo trinitario ad intra suppone relazione di comunione con gli altri e porta con sé il dono di se stessi agli altri. D’altra parte, vivere il dinamismo trinitario ad extra comporta vivere criticamente e profeticamente in seno alla società.

Che ci sia una decisione chiara di anteporre la qualità evangelica di vita al numero di membri o al mantenimento delle opere.

Che nella cura pastorale delle vocazioni si presenti la vita consacrata e religiosa in tutta la sua radicalità evangelica e si faccia un discernimento in consonanza con dette esigenze.

Che durante la formazione iniziale si assicuri un accompagnamento personalizzato e non si facciano “saldi” nelle esigenze di una vita consacrata che sia evangelicamente significativa.

Che tra la pastorale vocazionale, formazione iniziale e permanente ci sia continuità e coerenza.

Che durante i primi anni di professione solenne si assicuri un adeguato accompagnamento personalizzato.

Un bel proverbio orientale dice: “L’occhio vede soltanto la sabbia, ma il cuore illuminato può intravedere la fine del deserto e la terra fertile”. Guardiamo con il cuore. Forse potremmo vedere quello che altri non vedono.

PREGHIERA PER I SACERDOTI – DOMENICA 26 APRILE 2015

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Preghiera dei sacerdoti
composta da padre Antonio Rungi

O Gesù, Buon Pastore,
sommo ed eterno sacerdote,…
tu che hai chiamato i sacerdoti
a servire la causa del vangelo mediante
il ministero pastorale,
fa che la loro vita sia una risposta d’amore
fedele, pura e convinta alla loro vocazione sacerdotale.

Ti chiediamo umilmente, o Gesù,
di conservare tutti i sacerdoti del mondo
nella gioia, perché possa portare tale gioia
a chi vive nel dolore e nella sofferenza,
amministrando con fervore e zelo
i sacramenti del perdono.

Nella celebrazione quotidiana
della santissima eucaristia,
possano immedesimarsi nel mistero che celebrano,
quale memoriale della tua Pasqua
di morte e risurrezione,
quale strada maestra di liberazione.

Nella preghiera costante
possano assaporare la gioia
di una profonda comunione spirituale,
elevando la loro mente e il loro cuore
ai gradi alti dell’ascesi sacerdotale.
Nell’ascolto della tua parola di vita,
possano portare vita a chi non ha più speranza di vivere,
con l’essere vicino ai giovani, agli adulti e ai bambini,
agli anziani, agli ammalati
e a quanti sono prossimi all’eternità.

Ogni loro gesto e comportamento
di uomini e sacerdoti, consacrati interamente a Te,
siano un inno perenne alla bellezza e alla grandezza
dell’eterno e sommo Dio, Padre di infinito amore e compassione,
che ha riposto il suo sguardo misericordioso su di loro,
povere e deboli creature.

Maria, la Madre di tutti i sacerdoti,
sia il modello di coraggio, fedeltà,
purezza a santità, per tutti i sacerdoti
e per quanti hai chiamato, Gesù, ad essere
tuoi fedeli ministri nella sacra liturgia terrena,
nell’attesa di godere per sempre
la liturgia celeste. Amen

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA IV DI PASQUA – 26 APRILE 2015

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IV DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)

26 aprile 2015

IL PROFUMO DELLE PECORE DEL PASTORE VIGILE ED ATTENTO

Commento di padre Antonio Rungi

La quarta domenica di Pasqua è per antica tradizione liturgica dedicata al buon Pastore, in quanto, nel brano del Vangelo di questa giornata ci viene proposto proprio la figura del buon pastore che dona la sua vita per il suo gregge. Tale buon pastore per eccellenza è Gesù Cristo che davvero ha dato la sua vita per tutta l’umanità, morendo sulla croce per noi e risorgendo a vita. Il Buon Pastore Cristo è modello di santità e pastoralità per ogni persona che nella chiesa è chiamata a servire il popolo santo di Dio con generosità, abnegazione, sacrificio, attaccamento sincero alla vocazione e alla missione, difesa ad oltranza di ogni pecora del suo gregge, sostegno a tutte le pecore dell’ovile in difficoltà, nella stanchezza della vita o dell’esistenza umana; ricerca della pecora sperduta e confusa nelle tante tentazioni che peccato genera nella sua vita. Questo modello di pastoralità autentica che è Cristo va riscoperto oggi alla luce non solo del vangelo che ci viene offerto come punto di partenza, ma anche aderendo in pienezza a quanto continuamente ci dice il Vescovo di Roma, Papa Francesco, che in più di qualche circostanza ha richiamato i sacerdoti e non solo loro ad un impegno coerente e coraggio con la scelta della loro vita, che è quella di essere pastori santi in mezzo al gregge del popolo di Dio affidato alle loro cure spirituali e umane. I pastori autentici di differenziano con chiarezza con quanti sono mercenari, i quali invece di proteggere e difendere il gregge, lo sfruttano per i propri loschi interessi materiali o di carriera o di affermazione egoistica e prepotente di se stessi. Il pastore-servo è una categoria che facilmente di dimentica anche tra coloro che il Signore chiama, attraverso una speciale vocazione, alla sua sequela. Im particolare il discorso riguarda tutti i vescovi ed i sacerdoti, ma riguarda anche chi, per vari motivi, collabora ai pieno titolo al servizio alla chiesa e nella chiesa, per il bene della chiesa. E sono le altre categorie si persone ovvero di ministero svolto nella comunità dei credenti, tra cui anche i fedeli laici impegnati in quei settori della pastorale più congeniali al loro essere nel mondo, quali il servizio alla vita, alla famiglia, alla cultura, alla politica, all’arte. Non per sminuire il ruolo del sacerdote o del vescovo, ma per far accrescere al consapevolezza che in base al battesimo abbiamo tutti un sacerdozio comune da vivere e testimoniare, ben sapendo che nel battesimo siamo stati consacrati, mediante il crisma, in Cristo re, sacerdoti e profeti. Regalità, sacerdozio e profezia sono la connotazione di ogni uomo di Dio, prete, religioso o fedele laico, che ha a cuore il bene della comunità dei credenti di cui fa parte e della quale deve rendere ragione della speranza davanti al mondo intero.Ecco il testo del vangelo di oggi, tratto dall’evangelista Giovanni, ci aiuta a capire meglio questo aspetto fondamentale dell’essere cristiani. “In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Il Buon pastore quindi è colui che dona la vita per i gregge, conosce bene ogni pecora singolarmente e le identifica con precisione, senza confusione o cambiamenti di immagini e volti davanti alla sua mente ed al suo cuore di pastore. Egli sa discernere, individuare, sostenere e se necessario correggere. In questo scambio di conoscenza tra pastore e pecore si realizza la chiesa e la chiesa sperimenta la bontà di Dio e la bontà tra il popolo santo di Dio. La fratellanza diventa lo stile di vita del credente che si mette alla sequela del suo pastore legittimo ed autentico e non di tanti mercenari che pure possono affermarsi nella Chiesa, falsificando il vero volto di essa, nonostante i suoi peccati e le sue debolezze, espressione della condizione della persona umana che vive nel peccato e non sente la voce di Dio che la chiama alla conversione e al cambiamento di strada.

San Giovanni Apostolo nella sua prima  lettera scrive con grande sincerità ed onestà intellettuale ciò che siamo oggi e ciò che saremo un domani in una visione della vita aperta all’eternità e proiettata verso l’incontro definitivo con il Dio della vita nell’eternità: “Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è”.

Vedere il volto di Dio, così come egli è. E il volto del Signore è il volto della misericordia, della vita e della gioia per sempre. Quella gioia che ha accompagnato i primi passi della comunità dei credenti dopo la risurrezione di Gesù e la discesa dello Spirito Santo su di loro che li rende nuove creature coraggiose dei propri atti e passi nel cammino della fede e della testimonianza a Cristo, fino al martirio. E’ Pietro, il capo e la guida del popolo di Dio a prendere la parola, dopo che è stato fortificato, come tutti gli apostoli, dal dono dello Spirito Santo circa la reale presenza del Risorto in mezzo a noi.  Leggiamo, infatti, oggi nel brano della prima lettura: “In quei giorni, Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro: «Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato.  Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo.In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati».

Gesù, in questo breve brano, tratto dagli atti degli Apostoli ci rammenta infatti lo scopo fondamentale di ogni vocazione, che è quella della testimonianza di una degna condotta di vita. Per cui, alla fine di questa meditazione-omelia, possiamo ben dire con animo fiducioso, confidando nell’aiuto di Colui che tutto vuole e può: “Dio onnipotente e misericordioso, guidaci al possesso della gioia eterna, perché l’umile gregge dei tuoi fedeli giunga con sicurezza accanto a te, dove lo ha preceduto il Cristo, suo pastore”.

E l’augurio più sincero, soprattutto in questo anno della vita consacrata e del prossimo giubileo e anno santo della misericordia è che tutti i cristiani possano continuamente riscoprire il grande dono della fede e del servizio alla fede, con l’esercizio di una vera pastoralità a beneficio esclusivo del popolo eletto e chiesa santa di Dio. .Amen

Preghiera dei sacerdoti
composta da padre Antonio Rungi

O Gesù, Buon Pastore,
sommo ed eterno sacerdote,…
tu che hai chiamato i sacerdoti
a servire la causa del vangelo mediante
il ministero pastorale,
fa che la loro vita sia una risposta d’amore
fedele, pura e convinta alla loro vocazione sacerdotale.

Ti chiediamo umilmente, o Gesù,
di conservare tutti i sacerdoti del mondo
nella gioia, perché possa portare tale gioia
a chi vive nel dolore e nella sofferenza,
amministrando con fervore e zelo
i sacramenti del perdono.

Nella celebrazione quotidiana
della santissima eucaristia,
possano immedesimarsi nel mistero che celebrano,
quale memoriale della tua Pasqua
di morte e risurrezione,
quale strada maestra di liberazione.

Nella preghiera costante
possano assaporare la gioia
di una profonda comunione spirituale,
elevando la loro mente e il loro cuore
ai gradi alti dell’ascesi sacerdotale.
Nell’ascolto della tua parola di vita,
possano portare vita a chi non ha più speranza di vivere,
con l’essere vicino ai giovani, agli adulti e ai bambini,
agli anziani, agli ammalati
e a quanti sono prossimi all’eternità.

Ogni loro gesto e comportamento
di uomini e sacerdoti, consacrati interamente a Te,
siano un inno perenne alla bellezza e alla grandezza
dell’eterno e sommo Dio, Padre di infinito amore e compassione,
che ha riposto il suo sguardo misericordioso su di loro,
povere e deboli creature.

Maria, la Madre di tutti i sacerdoti,
sia il modello di coraggio, fedeltà,
purezza a santità, per tutti i sacerdoti
e per quanti hai chiamato, Gesù, ad essere
tuoi fedeli ministri nella sacra liturgia terrena,
nell’attesa di godere per sempre
la liturgia celeste. Amen

 

Airola (Bn). Oggi Papa Francesco, benedice la statua di San Giorgio Martire.

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Airola (Bn). Una statua al posto della Chiesa di San Giorgio Martire

di Antonio Rungi

Sarà Papa Francesco a benedire, oggi, mercoledì 15 aprile 2015, durante l’Udienza generale in Piazza San Pietro, la nuova statua di San Giorgio Martire, protettore di Airola (BN) e che verrà sistemata nella piazza dove fino al terremoto del 1980 esistenza una storica ed importante chiesa, arcipretale, dedicata a San Giorgio. La chiesa lesionata pesantemente dai terremoto del Sannio e dell’Irpinia invece di essere recuperata, fu abbattuta completamente, contro il parere dei fedeli e dei cittadini e lì eretto un monumento ai caduti. Dopo 35 anni si è provveduto ad almeno lasciare il segno di una presenza spirituale che per secoli ha operato nella piazza principale di Airola, con la sistemazione della statua. In occasione della festa liturgica di san Giorgio Martire, la statua benedetta da papa Francesco, in piazza San Pietro, mercoledì 15 aprile 2015, alla presenza delle massime autorità civili e religiose di Airola, verrà collocata sul piedistallo già predisposto per accoglierla in piazza Lombardi. Due i momenti di questo storico avvenimento: la messa solenne del mattino del 23 aprile e la processione della nuova statua del santo protettore di Airola nel pomeriggio del 23 aprile, con la sistemazione della stessa nel luogo ove un tempo sorgeva la chiesa arcipretale di San Giorgio Martire, che fungeva anche da parrocchia.
La chiesa, infatti, risale al X secolo, e nel corso dei secoli ha svolto importanti ruoli, anche quello di accogliere tra le sue mura gli appestati della peste del 1656 che fece strage di moltissime vite umane. A quel tempo la parrocchia contava oltre 2.000 anime e svolgeva un ruolo di promozione culturale, sociale e spirituale per tutta la città, essendo la prima chiesa costruita in Airola, dedicata a San Giorgio Martire, eletto a protettore della città, in quanto, in varie circostanze il santo è intervenuto presso il Signore a proteggere Airola dal terremoto e da altre calamità. Purtroppo fu proprio il terremoto del 1980, quando la chiesa continuava a svolgere il suo ruolo, pur non essendo più parrocchia, in quanto trasferita al Chiesa dell’Annunziata, opera di Luigi Vanvitelli, che ideò la Reggia di Caserta, ad abbatterla nelle parti più importanti, fino al punto che le autorità civili del tempo decisero di ultimare l’opera di distruzione, togliendo tutto quello che era rimasto e facendo scomparire per sempre la Chiesa. Per la comunità cristiana e civile di Airola, questa iniziativa di sistemare almeno una statua di san Giorgio dove una volta sorgeva la Chiesa è vista come un segno di speranza di poter ricostruire in quel luogo la chiesa che per quasi un millennio aveva funzionato perfettamente come luogo di culto, parrocchia e centro culturale e sociale. Dopo una nuova statua, la città si attende proprio nel luogo dove sorgeva la chiesa una nuova chiesa sullo stesso stile, magari con la facciata rivolta verso Via Roma e più accessibile ai fedeli che percorrono le varie strade del centro storico di Airola, un vero gioiello di arte, cultura, storia e tradizione di questa ridente cittadina della Valle Caudina, risalente ai tempi dei Romani.

TERZA DOMENICA DI PASQUA. OMELIA DI PADRE ANTONIO RUNGI- 19 APRILE 2015

14-09-2014 Papa Francesco Sacrario Militare Redipuglia

III DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)
DOMENICA 19 APRILE 2015

Convertiamoci e cambiamo vita 

Commento di padre Antonio Rungi 

Il primo fondamentale messaggio che Gesù rivolge agli uomini del suo tempo è stato quello della conversione. Il suo ministero è iniziato con questo appello. La stessa cosa fanno gli apostoli dopo la risurrezione del Signore. E’ l’apostolo Pietro, che nella sua funzione e missione di capo del collegio apostolico che prende la parola e dice esattamente come si sono svolte le cose riguardante Gesù Cristo. Il coraggio di dire la verità e di raccontarla senza paura e timore. Lo stesso invito ci viene rivolto oggi dal successore di Pietro, Papa Francesco, che sulla base del vangelo della misericordia e del perdono, invita tutti alla conversione e al cambiamento della vita. Lo ha fatto continuamente, lo sta facendo con maggiore insistenza negli ultimi tempi, soprattutto in vista del grande appuntamento del giubileo straordinario che ha indetto sul tema della misericordia e che si svolgerà dall’8 dicembre 2015 al 30 novembre 2016. Nella bolla di indizione del giubileo, Papa Francesco ha utilizzato questi termini che è quanto mai opportuno richiamare alla nostra attenzione per meditarci e rifletterci sopra: “Il mio invito alla conversione si rivolge con ancora più insistenza verso quelle persone che si trovano lontane dalla grazia di Dio per la loro condotta di vita. Penso in modo particolare agli uomini e alle donne che appartengono a un gruppo criminale, qualunque esso sia. Per il vostro bene, vi chiedo di cambiare vita. Ve lo chiedo nel nome del Figlio di Dio che, pur combattendo il peccato, non ha mai rifiutato nessun peccatore. Non cadete nella terribile trappola di pensare che la vita dipende dal denaro e che di fronte ad esso tutto il resto diventa privo di valore e di dignità. È solo un’illusione. Non portiamo il denaro con noi nell’al di là. Il denaro non ci dà la vera felicità. La violenza usata per ammassare soldi che grondano sangue non rende potenti né immortali. Per tutti, presto o tardi, viene il giudizio di Dio a cui nessuno potrà sfuggire. Lo stesso invito giunga anche alle persone fautrici o complici di corruzione. Questa piaga putrefatta della società è un grave peccato che grida verso il cielo, perché mina fin dalle fondamenta la vita personale e sociale. La corruzione impedisce di guardare al futuro con speranza, perché con la sua prepotenza e avidità distrugge i progetti dei deboli e schiaccia i più poveri. E’ un male che si annida nei gesti quotidiani per estendersi poi negli scandali pubblici. La corruzione è un accanimento nel peccato, che intende sostituire Dio con l’illusione del denaro come forma di potenza. È un’opera delle tenebre, sostenuta dal sospetto e dall’intrigo. Corruptio optimi pessima, diceva con ragione san Gregorio Magno, per indicare che nessuno può sentirsi immune da questa tentazione. Per debellarla dalla vita personale e sociale sono necessarie prudenza, vigilanza, lealtà, trasparenza, unite al coraggio della denuncia. Se non la si combatte apertamente, presto o tardi rende complici e distrugge l’esistenza. Questo è il momento favorevole per cambiare vita! Questo è il tempo di lasciarsi toccare il cuore. Davanti al male commesso, anche a crimini gravi, è il momento di ascoltare il pianto delle persone innocenti depredate dei beni, della dignità, degli affetti, della stessa vita. Rimanere sulla via del male è solo fonte di illusione e di tristezza. La vera vita è ben altro. Dio non si stanca di tendere la mano. È sempre disposto ad ascoltare, e anch’io lo sono, come i miei fratelli vescovi e sacerdoti. È sufficiente solo accogliere l’invito alla conversione e sottoporsi alla giustizia, mentre la Chiesa offre la misericordia”(MV, 19).

Tutti siamo chiamati alla conversione e al cambiare vita, in poche parole a rinnovarci a vivere da risorti nel Risorto. San Pietro, all’inizio del suo ministero ha proprio questa finalità nella sua missionarietà. Nel brano della prima lettura di questa terza domenica del tempo di Pasqua, tratto dagli Atti degli Apostoli, egli ripercorre sinteticamente la via della redenzione portata a compimento da Cristo nel mistero della sua morte e risurrezione: «Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino. Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni. Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi. Ma Dio ha così compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo doveva soffrire. Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati».

Gesù Cristo è quindi il volto della misericordia del Padre  e in questo mistero dell’infinita misericordia di Dio, noi dobbiamo immergerci continuamente, ben sapendo che anche noi siamo peccatori ed abbiamo bisogno di redenzione.

La conversione passa anche attraverso due fondamentali impegni che dobbiamo assolvere continuamente: l’ascolto della parola di Dio e l’eucaristia. Il brano del vangelo di oggi che ci riporta all’apparizione del Risorto ai due discepoli che si dirigevano ad Emmaus, con i quali si fa viandante, pellegrino di speranza e gioia lo stesso nostro Signore, ci conferma nella nostra idea che non c’è vera conversione, pentimento ed inizio di una nuova vita, se non facciamo tesoro della parola di Dio, se tale parole non ci fa ardere il cuore, ci commuove e ci spinge a camminare oltre a non fermarsi mai, anche di fronte alle delusioni più grandi della nostra vita. Gli apostoli dopo la morte in croce d Gesù hanno attraverso un periodo di grande incertezza e buio. Poi tutto ritorna alla luce e tutti acquista un significato nuovo davanti al grande mistero del Risorto, apparso, riconosciuto, accettato ed annunciato. I discepoli di Emmaus riconoscono Gesù nello spezzare il pane. E’ tutto il messaggio della Pasqua: eucaristia, penitenza e carità. Pentirsi, fortificarsi con l’eucaristia ed annunciare agli altri cosa il Signore ha operato dentro di Dio, se gli abbiamo fatto spazio e gli abbiamo permesso di occupare totalmente il nostro cuore ed i nostri pensieri. “Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni». Essere testimoni di Cristo in tutto il mondo con le armi dell’amore, del perdono, della riconciliazione, della solidarietà e della pace. Questo è il compito che spetta alla Chiesa di sempre e soprattutto a noi cristiani di questo tempo, segnato da tanti motivi di sofferenza e di preoccupazione su come va il mondo. San Giovanni, apostolo ed evangelista, anche lui preoccupato di come andavano le cose al tempo di Cristo, scrive ai cristiani parole di incoraggiamento e sostegno spirituale, perché possa vedere il bello di una fede nel risorto, che proprio perché risorto è segno e fondamento di una vita davvero nuova nello spirito: “Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo”. Carissimi fedeli, entrare con la mente ed il cuore in questi misteri della nostra fede è capire il senso più vero della nostra vita di uomini e cristiani, che ha senso nella misura in cui è improntata all’amore verso Dio e verso i fratelli, come ci ricorda l’apostolo Giovanni, nella seconda lettura  di oggi, tratta dalla sua prima lettera: “Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto”.

A conclusione di questa nostra riflessione condivisa con voi, sia questa la nostra umile preghiera, mentre continuamente rendiamo grazie al Signore per tutto quello che ha operato in noi:  “O Padre, che nella gloriosa morte del tuo Figlio, vittima di espiazione per i nostri peccati, hai posto il fondamento della riconciliazione e della pace, apri il nostro cuore alla vera conversione e fa’ di noi i testimoni dell’umanità nuova, pacificata nel tuo amore. Amen

P.RUNGI.LA PREGHIERA PER IL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA

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IL TESTO DELLA PREGHIERA DELLA DIVINA MISERCORDIA
COMPOSTA DA PADRE ANTONIO RUNGI, PASSIONISTA, TEOLOGO MORALE,
IN OCCASIONE DELLA PUBBLICAZIONE DELLA BOLLA
DI INDIZIONE DEL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA
A FIRMA DI PAPA FRANCESCO

CRISTO, VOLTO MISERICORDIOSO DEL PADRE

Convertici  a Te, Gesù,
che sei venuto a chiamare i peccatori
e non i giusti che non hanno bisogno di redenzione.

Convertici a Te, in questo anno giubilare,
indetto da Papa Francesco, per aiutare
il cammino di credenti verso la penitenza,
la conversione e il rinnovamento spirituale e morale.

Riconosciamo, Signore, le nostre colpe di oggi
e tutte quelle della vita passata,
vissuta, molte volte, nell’ ipocrisia e nella falsità.

Noi abbiamo bisogno del tuo perdono
e della tua misericordia
per sentire quanto è grande il tuo amore per noi,
e quanto tieni poco conto dei nostri  errori,
e delle nostre deviazioni ,
dalla tua santa legge, o Signore.

Non abbandonarci, Signore, nella tentazione
di poter fare a meno di Te,
illudendo noi stessi che è possibile
essere felici e vivere senza il tuo sorriso
e dell’abbraccio della tua paternità infinita.

Con il tuo aiuto, vogliamo sinceramente
riprendere il cammino che ci porta a Te,
mediante la Penitenza e l’Eucaristia,
sacramenti della nostra continua rinascita spirituale
nel segno della coscienza di quanto poco valiamo
se non siamo ancorati a Te che sei la Via, la Verità e la Vita.

Non sia, Gesù,  il nostro pentimento
solo e soltanto esteriore o apparente,
ma tocchi le profondità del nostro essere
e le corde di quell’armonia d’amore
che solo tuo puoi ridonarci, Signore.

Convertici a Te, con la tua Parola,
che è luce ai nostri passi,
è forza nel nostro cammino
è consolazione nel nostro patire.

Convertici a Te Signore e abbatti in noi
l’orgoglio e la presunzione di essere giusti
come il  fariseo al tempio,
mentre dovremmo batterci sinceramente il petto,
come il pubblicano che non ha avuto
neppure la forza di alzare gli occhi
e lasciarsi illuminare dal tuo volto,
indegno quale era  di avanzare nel tempio,
quale segno di riavvicinamento a Te.

Signore, converti il nostro cuore,
la nostra vita,
la nostra storia.

Purifica tutto e lava le nostre colpe
nel tuo sangue prezioso  versato sulla croce per noi.
Gesù abbi pietà di noi e non abbandonarci più
nelle nostre illusioni, delusioni e tentazioni,
non abbandonarci nel peccato,
ma donaci il tuo abbraccio di Padre
dal volto tenero e misericordioso.
Amen.

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DELLA DOMENICA IN ALBIS

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II DOMENICA DI PASQUA o della Divina Misericordia (ANNO B)

Domenica 12 aprile 2015

 

O Dio di infinità misericordia, perdonaci.

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

La seconda domenica di Pasqua per decisione di San Giovanni Paolo II, papa, è stata indicata, da un punto di vista liturgico, della divina misericordia.

Il Risorto, che appare agli apostoli, con i segni della passione, il giorno stesso della sua risurrezione, si rivolge ai suoi discepoli, ma manca Tommaso, ancora frastornati e dubbiosi, con queste consolanti parole: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». La Chiesa ha il mandato da Cristo stesso di perdonare i peccati in suo nome; per cui docile allo Spirito Santo, tutti gli apostoli sono i missionari della misericordia e della riconciliazione. La Chiesa è quindi luogo della riconciliazione e della misericordia infinita di Dio, come la stessa comunità cristiana prega all’inizio della celebrazione di questo giorno nella colletta: “Dio di eterna misericordia, che nella ricorrenza pasquale ravvivi la fede del tuo popolo, accresci in noi la grazia che ci hai dato, perché tutti comprendiamo l’inestimabile ricchezza del Battesimo che ci ha purificati, dello Spirito che ci ha rigenerati, del Sangue che ci ha redenti”.

Già la prima comunità cristiana vive questa profonda esperienza di riconciliazione, misericordia e perdono, nella frazione del pane, nella condivisione dei beni, nell’ascolto dell’insegnamento che gli apostoli trasmetteva ai primi cristiani con il coraggio della fede che veniva loro dal Risorto. Lo stile di amicizia e fraternità che caratterizzava la prima comunità cristiana di Gerusalemme è sottolineato nel testo degli Atti degli Apostoli che è una descrizione, molto precisa ed circostanziata della vita della comunità cristiana. Leggiamo, infatti, che “la moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune.
Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno. La Chiesa della misericordia sta tutto in questo atteggiamento di ascolto, apertura, accoglienza e condivisione. Nessun di quanti venivano alla fede si trovava nel reale bisogno di aver necessità di qualcosa e non reperirlo all’interno del gruppo. Dalla misericordia come dimensione spirituale del cristiano, alla misericordia che è attenzione anche ai bisogni concreti della persona il passo è stretto.

Nella seconda apparizione, otto giorni c’è anche Tommaso, è il discorso di Gesù si sposta sul tema della fede. Tommaso incredulo ha la possibilità, ora, davanti al Cristo apparso, sempre con i segni della passione, di verificare fino in fondo la verità della risurrezione del maestro. Infatti, leggiamo nel testo del  Vangelo cheotto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». La fede necessità di tempo per essere autentica, necessità di maturazione mentale, umana e spirituale per consolidarsi. Tommaso è il tipo esempio di chi non crede immediatamente e che ha bisogno di tempo per riflettere, decidersi e dare una risposta convincente. Alla fine dei conti, forse è meglio una fede che passa attraverso il dubbio che la fa crescere, maturare e potenziare, rispetto ad un fede immediata, ma più soggetta ai fallimenti successivi, soprattutto in casi di particolari problemi personali, familiari o in generale. La fede dei deboli, di chi va in panico di fronte al primo scuotersi di canne e foglie che fanno cadere le presunte certezze del credere, quando tutto va bene. Tommaso riporta alla nostra fragilità, umanità, al nostro bisogno di vedere, toccare e non solo di credere per sentito dire o per una naturale e spontanea trasmissione della fede che avveniva nelle nostre famiglia, almeno fino a qualche anno fa. Ora tutto è opinabile, tutto è discutibile e a mettere in crisi la fede ricevuta sono piccoli, adulti e anziani, sono persone di ogni categoria sociale e molto spesso anche persone di chiesa, dubbiosi su molte questioni dottrinali, morali, di insegnamento dato dalla Chiesa di tutti i tempi e soprattutto dei nostri giorni.

Il tema della fede è anche richiamato nel brano della seconda lettura della domenica della misericordia, tratta dalla prima lettera di san Giovanni apostolo, nella quale l’apostolo prediletto di Gesù, afferma che “chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato”. La fede porta all’amore, si esplicita e manifesta in un amore verso Dio e verso i fratelli, al punto tale che San Giovanni dice che “in questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi”. Fede, carità sono i punti cardini di ogni cristiano che vuole camminare sulla strada del Risorto e vuole essere testimone nel mondo di questo dono singolare che ha ricevuto con il battesimo: “Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.
E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità”.

Chiediamo al Signore, attraverso l’intercessione di Maria, donna di fede, carità e speranza il dono delle virtù teologali, perché il mistero della Pasqua, di morte e risurrezione di Cristo, possa invadere la nostra vita  e trasformarla in una vita di luce e di bontà infinità, ripartendo dal grande sacramento della misericordia e della riconciliazione. Tale sacramento dobbiamo sentirlo come indispensabile per sperimentare la vera risurrezione spirituale, in questo anno in cui davanti a noi si aprirà la porta del giubileo della misericordia, indetto da Papa Francesco. Al Santo Padre va tutto il nostro grazie, per aver intercettato la volontà di Dio in questo preciso momento della storia della chiesa e dell’umanità indicendo questo anno di grazia e di misericordia per tutti i fedeli della chiesa cattolica e per tutto il genere umano.

CALVI RISORTA (CE). OGGI GIORNATA DELLA VITA CONSACRATA

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Calvi Risorta (Ce). Oggi giornata diocesana della vita  consacrata

 di Antonio Rungi 

Nella gioia della solennità della Pasqua, mercoledì in Albis, 8 aprile 2015, nella Scuola Apostolica dei Padri Passionisti di Calvi Risorta (Ce), si svolgerà una giornata spirituale e fraterna per la vita consacrata, per tutti i religiosi presenti ed operanti nella Diocesi di Teano-Calvi. E sarà il Vescovo di tale diocesi, monsignor Arturo Aiello a guidare la riflessione nella giornata dedicata ai religiosi, a presiedere l’eucaristia e condividere con i religiosi l’agape fraterna.  Si tratta di una giornata di incontro-festa, promossa dal delegato diocesano alla vita consacrata e dei superiori maggiori degli istituti religiosi maschili presenti in diocesi. Il programma della giornata è così strutturato: arrivi e saluti (ore 9,30); conferenza (ore 10,30); concelebrazione eucaristica (ore 12.00); agape fraterna (ore 13.00); comunicazioni e scambio di esperienze tra tutti i religiosi (ore 15.00), saluti e rientro nelle comunità di appartenenza (ore 16,30). Tema dell’incontro “La vita consacrata nel mistero della Pasqua di Cristo e nell’anno della vita consacrata”. Tre gli istituti religiosi maschili presenti nella Diocesi di Calvi con cinque comunità. I Frati Minori con la doppia presenza al Santuario della Madonna dei Lattani in Roccamonfina e al Santuario di Sant’Antonio di Padova e Teano. I Redentoristi con la doppia presenza a Teano e a Tora Piccilli. I passionisti con l’unica presenza a Calvi Risorta, con la struttura dell’ex-Scuola Apostolica e Seminario diocesano. La Casa fu voluta come seminario diocesano alla fine del 1800, e accolse tanti giovani seminaristi che poi da sacerdoti fecero molto onore alla diocesi Calena per dottrina ed esemplarità di vita.  I Passionisti l’acquistarono nel 1925 destinandola a “Scuola Apostolica” della provincia Campano-Laziale. Fino alla metà degli anni 80 ha accolto ragazzi inclini alla vita Passionista.  In essa vi è stata una fioritura di vocazioni, tanto che, in quasi 70 anni, ha dato alla Provincia religiosa oltre 150 sacerdoti, che hanno svolto e svolgono la loro attività missionaria in Italia e all’estero. Non tutti i giovani passati per questa scuola Apostolica hanno raggiunto l’ideale sacerdotale; però molti vivono la loro vita d’impegno cristiana alla luce del carisma Passionista nell’Associazione Ex Alunni Passionisti (ASEAP). Oggi, mutate le circostanze, la Casa è diventata “centro di animazione vocazionale”, con incontri settimanali e mensili per i giovani del luogo e per quelli incontrati nelle attività missionarie. La comunità attuale, oltre ad essere impegnata nei ministeri propri dell’Istituto, ha la cura pastorale di una parrocchia, quella della fazione di Zuni e assicura altro servizi pastorali e spirityali in tutta la diocesi di Teano-Calvi. In essa sono, in tutto circa 20 i religiosi che curano parrocchie, santuari e sono a servizio della chiesa locale in vari ambiti, oltre che garantire il servizio spirituale a vari istituti femminili di vita consacrata.

Sono, infatti 15 gli istituti religiosi femminili presenti nella diocesi di Teano-Calvi con 20 comunità ed una circa 80 religiose, impegnate soprattutto nel campo della scuola dell’infanzia. A ciò si aggiunga l’Ordo virginum.

La giornata di incontro-festa dei religiosi della Diocesi di Teano-Calvi e di altri religiosi di altre diocesi sarà l’occasione per fare una verifica del cammino della vita consacrata in questo anno ad essa dedica in pieno svolgimento nelle chiese locali e nella chiesa universale.