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Il secondo numero del settimanale “L’Osservatore Casertano”

Osservatore2pag1.jpgMondragone (Ce). Il secondo numero de L’Osservatore Casertano.

Il secondo numero de L’Osservatore Casertano, il settimanale on-line curato da padre Antonio Rungi, giornalista pubblicista, teologo morale, già Direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della Diocesi di Sessa Aurunca. Su questo blog potete consultare on-line il secondo numero.

Qui sotto il file in pdf per la consultazione del settimanale. Tutti i diritti riservati all’editore.

Osservatore2-7giugno2009.pdf

L’Oservatore Casertano

Mondragone (Ce). Nasce “L’Osservatore Casertano”, il settimanale on-line diretto da padre Rungi
 
Con il primo numero già in rete oggi, nasce il settimanale on-line “L’Osservatore casertano”, giornale telematico diretto dal teologo morale e religioso passionista della comunità di Mondragone, padre Antonio Rungi. Quattro pagine in formato tabloid, riversate in rete in pdf, facilmente consultabili al blog di padre Antonio Rungi http://padreantoniorungi@myblog.it in cui il teologo parla della realtà locale e della chiesa. Attualità, società, Chiesa, Parola di Dio ed infomazione generale sono le pagine curate personalmente da padre Rungi e frutto del suo lavoro giornalistico, biblico, pastorale, teologico e culturale. La testata del giornale è stata scelta con chiari riferimenti all’Organo ufficiale della Santa Sede e quindi il settimanale sarà ispirato ai principi cattolici, alla Chiesa universale e particolare anche se l’attenzione sarà prestata soprattutto alla realtè locale, sociale ed ecclesiale del terriorio casertano, del litorale domiziano e della Campania. Un lavoro che impegnerà non poco il teologo-giornalista già impegnato su vari fronti nella comunicazione sociale. Già direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali dal 1996 al 2003, padre Rungi, in oltre 30 anni di attività giornalistica non ha mai smesso di mantenere i contatti con i mezzi di comunicazione sociale, divenuti un vero e proprio aeropago per lui. Direttore della Rivista Presenza Missionaria Passionista dal 1990, organo ufficiale dei passionisti della Campania e Basso Lazio, collabora con Avvenire Nazionale e sporadicamente con L’Osservatore Romano, con emittenti radio televisive quali Tele Radio Padre Pio. cura personalmente i suoi siti internet e i suoi blog. Presente con un suo profilo sui vari network sociali, da gennaio scorso ha avviato una singolare iniziativa quale quella della teologia morale on-line, destinando ad essa un blog specifico ( http://teologiamoralecattolicaon-line.myblog.it ). Corso seguit regolarmente da circa 600 studenti. Circa 2000 gli amici che padre Rungi ha accettato sul social network più famoso con i quali interagisce e propone tematiche e riflessioni nel corso della settimana. Un sacerdote impegnato in modo singolare nei media moderni, consapevole qual è della loro utilità se ben usati e soprattutto finalizzati alla diffusione del vangelo, della parola di Dio e dell’insegnamento della Chiesa cattolica.

Il commento alla parola di Dio, domenica 17 maggio 2009

VI Domenica di Pasqua

 

17 Maggio 2009

 

La filosofia e la pedagogia dell’amore cristiano

 

di padre Antonio Rungi

Celebriamo oggi la sesta domenica del periodo liturgico di Pasqua e la parola di Dio ritorna sul tema dell’amore cristiano. Un amore che trova la sua sorgente in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo e si manifesta visibilmente nella pienezza dei tempi con la venuta di Cristo sulla terra con la sua missione e con la sua morte e risurrezione. Il riferimento concreto di questo amore, la esemplarità di questo amore la troviamo espressa nella vita e nella missione di Cristo. Di conseguenza l’amore che deve circolare nelle vene spirituali degli esseri umani e soprattutto di quelli che si dicono cristiani è quello che si ispira a Cristo stesso, salvatore e redentore dell’uomo. Possiamo ben dire che c’è una filosofia e pedagogia dell’amore in senso cristiano che è urgente capire e trasmettere, come i genitori con i propri figli e gli educatori nei confronti dei loro discenti. Senza amore non si va da nessuna parte ed il mondo non si salva. Il testo del vangelo di Giovani ci apre proprio questo orizzonte di vita relazionale senza il quale le tenebre prevalgono sulla luce e sulla verità: “In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Capire dove e in quale parte sta la vera gioia e l’assoluta verità dei fatti della vita è fare tesoro di quello che il vangelo oggi ci dice. Dio ha mandato Cristo e Cristo manda noi messaggeri di pace, amore e riconciliazione. L’amore è essenziale per ogni uomo e credente e chi vive e permane nell’amore non fa altro che vivere e rimanere saldo nella legge del Signore, quei comandamenti di Dio e di Cristo offerti a noi come vie di libertà, di gioia e di salvezza. Il cristiano aspira a vivere nella gioia e con gioia la su esistenza ed il modo per realizzare tutto questo sta appunto nel mettere in pratica i comandamenti di Dio. Chi ama veramente è capace, poi, di grandi gesti e il massimo possibile di questi è dare la vita, come d’altra parte Cristo ha dato la vita per la salvezza dell’umanità. Dio ci ama veramente e ci ha portato alla condizione di suoi figli adottivi, per cui non siamo servi, ma figli di Dio e in quanto tali abbiamo il dovere morale di agire da figli e non da schiavi, da amici e non da nemici di Cristo. Se siamo stati scelti per una vita di comunione nella grazia con il Signore questo è un dono ed un impegno. E’ una grazia, ma anche una missione d’amore che abbiamo da compiere ovunque siamo e qualsiasi cosa facciamo.

Sul tema della carità si concentra anche la seconda lettura, tratta dalla prima lettera di San Giovanni Apostolo, dove è espresso chiaramente qual debba essere il comportamento caratterizzante di ogni credente: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui.
In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”.

L’amore è conoscenza, è contemplazione, è amicizia, è comunione, chi vive nell’amore è una persona credente per necessità di cose, in quanto l’amore è strettamente congiunta alla sua sorgente che è Dio. Non possiamo parlare di vero amore se non rapportando il discorso e la vita a Dio, al Figlio di Dio che è vittima di espiazione per i nostri peccati. Chi non ama vive nelle tenebre e vive in peccato, in quanto una persona senza amore è un individuo senza identità, senza il suo essere fondamentale. Come Dio è amore, così in Dio l’uomo è amore e non può fare a meno dell’amore. Per questo amore che deve crescere e diffondersi, per questo amore che deve essere conosciuto la chiesa di ieri e di oggi è impegnata nell’evangelizzazione e nella promozione umana. Dal dovere di evangelizzare deriva l’obbligo dell’accogliere: tutti hanno diritto alla salvezza e a a nessuno è preclusa la possibilità della salvezza, in quanto Cristo è morto per tutti.

Gli Atti degli Apostoli ci danno precise indicazioni su come operare ed agire per essere il linea con la parola di Dio, il magistero della Chiesa, a tradizione e il senso della fede. Il dono dello Spirito Santo non è esclusiva proprietà di qualcuno o di un gruppo, ma è per tutti, basta essere docili alla sua azione. “Avvenne che, mentre Pietro stava per entrare [nella casa di Cornelio], questi gli andò incontro e si gettò ai suoi piedi per rendergli omaggio. Ma Pietro lo rialzò, dicendo: «Àlzati: anche io sono un uomo!».
Poi prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga».
Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si stupirono che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare in altre lingue e glorificare Dio. Allora Pietro disse: «Chi può impedire che siano battezzati nell’acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?». E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Quindi lo pregarono di fermarsi alcuni giorni.

Come Pietro anche noi cristiani del terzo millennio dobbiamo renderci conto che lameno davanti a Dio siamo tutti uguale e Dio non fa preferenze, né accetta “raccomandazioni” per promuovere qualcuno e danneggiare altri, ma tutti sono degni di rispetto ed accoglienza nel cuore paterno di Dio che vuole che tutti gli uomini si salvino e nessuno vada perduto o gettato nella geenna. Ecco perché quanti si dicono cristiani non debbono sentirsi privilegiati, ma solamente più responsabili davanti alle situazioni del mondo di oggi. E’ bene ricordare a noi stessi che Dio “accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga”. Come dire che nella infinita misericordia di Dio tutti possono salvarsi vivendo da cristiani in modo naturale, oppure da cristiani per libera scelta e di adesione alla persona di Cristo che trova fondante nel battesimo.

Sia questa la nostra preghiera di oggi, la mia preghiera dell’amore, che dal mio cuore sacerdotale è sorta in questi giorni e che ho fissato in un testo ricco di riflessione e di stimoli per concretizzare il vangelo della carità: “Signore insegnaci ad amare come ci hai amato Tu, senza limiti e confini, senza odi e risentimenti, senza pregiudizi, distaccati da ogni umano e vile interesse personale. Facci amare con un amore libero e potente fino a varcare le soglie dell’indifferenza. Signore insegnaci ad amare coloro che non ci amano, i nostri nemici di ieri e di sempre, i nostri nemici veri ed apparenti, i nostri nemici che hanno giocato con la nostra vita e continuano a giocare con i nostri valori e sentimenti. Signore dacci la forza di amare coloro che ci amano solo per un momento e solo in determinate circostanze, sfruttando l’amicizia, la fiducia, la confidenza e strumentalizzando il vero bene che manifestiamo nei loro riguardi anche quando sono presi da altri interessi. Signore facci amare gli orgogliosi, i presuntuosi, i presunti sapienti di ogni generazione, condizione sociale e provenienza, i critici che seminano zizzania anche nei luoghi sacri, lontani come sono dalla verità e dai grandi ideali. Signore, quando non abbiamo più la forza di amare questi e tanti altri nostri fratelli che percepiamo come nostri nemici, prendici per mano a facci salire sulla Croce con Te, per gridare da questo speciale pulpito dell’Amore, nei nostri momenti di dolore, solitudine ed abbandono, “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”, incapaci come sono di vedere, pensare e fare il bene. Signore dacci sempre questo Amore che promana dalla Tua Croce, testimonianza di un amore senza limiti e senza confini”. Amen.

 

La parola di Dio e il commento di Domenica 10 maggio 2009

V Domenica di Pasqua

 

10 Maggio 2009

 

Amare con i fatti e nella verità

 

di padre Antonio Rungi

Rungi-Marcianise2008-1.jpgCelebriamo oggi la quinta domenica del periodo liturgico di Pasqua, che pone al centro della nostra riflessione la vasta gamma dei frutti della conversione, della risurrezione e del mistero pasquale che in questo tempo stiamo celebrando nella liturgia. La parola di Dio, infatti, si concentra molto sul tema dell’operosità dei credenti invitando tutti i cristiani ad amare con i fatti e non solo a parole, come spesso capita in tante realtà vicino a noi e a noi note. La fede se non si traduce in opere è morta. La risurrezione di Cristo che non trasforma il nostro cuore e la nostra azione rimane solo un mistero da contemplare o meditare, se alcun risvolto pratico sulla vita quotidiana. Partendo dalle lettera di San Giacomo Apostolo si comprende esattamente tutto quello che è necessario fare per rendere credibile e visibile la nostra fede nel risorto: Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato”. Approfondendo il brano della seconda lettura di oggi comprendiamo precisamente che solo una corrispondenza piena tra il dire e fare ci rende agli occhi degli altri veri, autentici e credibili. Evidentemente anche al tempo degli apostoli tra coloro che si riconoscevano nella fede di Cristo, molti erano i predicatore, ma pochi gli operatori del bene, con il rischio evidente di non essere fedeli alla parola di Dio e non vivere compiutamente i comandamenti del Signore, in primo luogo quello della carità. Quanto siamo carenti anche oggi, nelle varie situazioni personali, familiari, comunitarie in questo campo lo evinciamo dal contesto generale della nostra società, sempre più immersa nell’egoismo e nell’edonismo. Abbiamo un forte debito nei confronti di quel precetto dell’Amore verso Dio e verso i nostri simili di cui spesso non prendiamo coscienza. Ci legittimiamo comportamenti egoistici, al di fuori di ogni logica del vangelo della carità. Il Vangelo di oggi ci pone davanti alla figura del Cristo, come Colui che è la sorgente della nostra grazia, della nostra linfa vitale, di quanto sia più essenziale alla nostra vita. Egli è la Vite e il Padre è l’Agricoltore. In questo campo spirituale, in questo terreno della grazia, in questo vasto territorio di Dio e del dialogo di Dio con l’umanità, due sono i riferimenti perché tutto progredisca: Cristo e Dio. Essere ancorati a Cristo e vivere immersi nella sua grazia santificante, allontanando da noi ogni ipotesi e prospettiva di peccato, significa portare i veri frutti della propria salvezza ed essere strumenti di salvezza per gli altri. Si continua l’opera di Cristo. Non a caso la Chiesa è chiamata anche la vigna del Signore. Ancorati alla vigna principale ogni tralcio agganciato ad essa produce molto e saporito frutto. Ma se se ne distanza, rischia di morire essiccato, perché non circola più all’interno del tralcio la linfa necessaria per vivere e produrre. In questo ancorarsi a Dio continuamente c’è anche la legittima attesa che quanto chiediamo a Lui possa essere esaudito in qualche modo, anche se le nostre richieste non corrispondo in pieno con i progetti e i pensieri di Dio. “In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli». Con un preciso riferimento al vangelo di oggi  la preghiera iniziale della messa ci introduce nel senso della celebrazione della domenica, la Pasqua settimanale, il giorno del Signore per eccellenza: “O Dio, che ci hai inseriti in Cristo come tralci nella vera vite, donaci il tuo Spirito, perché, amandoci gli uni gli altri di sincero amore, diventiamo primizie di umanità nuova e portiamo frutti di santità e di pace. La sintesi o lo schema di riferimento per la nostra vita di preghiera e per la nostra attività pastorale è ben espresso in questa orazione che meglio di ogni altra preghiera oggi ci dice esattamente quale scelta di vita siamo chiamati a fare se vogliamo far sì che la Parola di Dio non venga seminata invano nella nostra vita e in quella del mondo. L’esempio di un impegno missionario a largo raggio ci viene oggi dal testo degli Atti degli Apostoli in cui vediamo all’opera Paolo e Barnaba. Dopo la conversione di Paolo di Tarso, come sappiamo, la sua vita cambia radicalmente al punto tale che tutto il suo vivere è per Cristo e la morte per lui in nome di Cristo è un guadagno, già pensando a ciò che lo attendeva nella gloria del cielo. Ma è importante sottolineare in questo brano degli Atti degli Apostoli quante difficoltà la Chiesa nascente dovette fronteggiare per recuperare pace al suo interno e al suo esterno, impegnando le energie dei diretti discepoli del Signore e di quanti erano divenuti discepoli ed apostoli successivamente, come Paolo. Un certo scetticismo regnava tra loro, soprattutto come nel caso di Paolo si sapeva precisamente la sua origine e le cose che aveva fatto prima. Barnaba diventa strumento, mediatore per far conoscere Paolo nella sua nuova veste di convertito e di convinto assertore della divinità di Cristo e della sua missione portata a compimento nella morte e risurrezione. Paolo viene accreditato come apostolo vero e certo di fede, su cui si poteva investire e contare per la diffusione del vangelo della salvezza soprattutto alle genti, a quei popoli lontani dalla fede di Israele. A conferma di questo viene presentato agli apostoli riuniti a Gerusalemme ciò che avevano fatto fino  quel momento nel campo dell’evangelizzazione. “In quei giorni, Saulo, venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo che fosse un discepolo. Allora Bàrnaba lo prese con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté stare con loro e andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente nel nome del Signore. Parlava e discuteva con quelli di lingua greca; ma questi tentavano di ucciderlo. Quando vennero a saperlo, i fratelli lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso. La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero”. Dall’insieme del brano si evince anche quanto sia stato difficile per Paolo la sua adesione al Vangelo sia per essere accettato tra i discepoli di Cristo  e sia tra coloro che non credono, che lo vogliono uccidere. Prudentemente la Chiesa lo fa ritornare a Tarso per non esporlo ulteriormente a qualche omicidio o attentato. A conferma questo, allora come oggi, che per parlare di Dio ci vuole coraggio e non bisogna aver paura di quanti hanno poter di uccidere il corpo, ma non possono uccidere l’anima, il cuore e la libertà di espressione e di fede. I tanti martiri dei primi secoli del cristianesimo, tra cui lo stesso San Paolo, ci dicono esattamente qualche testimonianza di fede siamo chiamati a dare in caso di necessità. Chiediamo al Signore che questo coraggio dell’evangelizzare e testimoniare la fede cresca ogni giorno di più nella nostra vita.

 

Il commento della parola di Dio di Domenica

III Domenica di Pasqua

26 Aprile 2009

Con Cristo non si può essere turbati ed aver paura!

di padre Antonio Rungi

Celebriamo oggi la terza domenica del periodo liturgico di Pasqua. Tempo durante il quale siamo invitati a riflettere bene sul mistero della Redenzione portato al compimento da Gesù Cristo nella sua Pasqua di Morte e Risurrezione. Il Vangelo di oggi ci presenta una nuova apparizione di Gesù agli Apostoli, alla presenza dei Discepoli di Emmaus che rientrati dal villaggio stavano raccontando quello che avevano visto e l’esperienza fatta con Gesù, apparso a loro come viandante e poi riconosciuto nello spezzare il pane. La nuova apparizione di Gesù è finalizzata a dare coraggio e sostegno ai Apostoli, che non ancora avevano compreso esattamente che egli era davvero risorto, tanto che Gesù nuovamente si presenta con i segni della passione. Tutto questo a conferma che era lo stesso Cristo Crocifisso ad avere assunto un corpo glorificato dopo la momentanea discesa negli inferi. Aver fede ed accettare Cristo significa accettarlo sulla Croce e quale vincitore della morte. Egli è infatti è venuto a portare la pace agli uomini afflitti da tante paure e tante angosce, quelle che non danno tregua alla mente ed ai pensieri dell’essere vivente. Quante paure e preoccupazioni per la nostra salute, per la nostra vita, per la società, il mondo, per quanto ci attende, per il futuro nostro e degli altri e paura della stessa eternità. Gesù ci dice che dove sta lui non c’è motivo di temere. La sua presenza non deve essere di contorno o di abbellimento, tipo di quelle immagini sacre che riempiono le pareti delle nostre case e delle nostre chiese, ma non le corde del nostro cuore. Egli deve essere presente in modo vivo ed operativo nella vita di quanti si professano suoi discepoli e costituiscono la sua famiglia. Gesù dirada ogni paura e porta pace davvero all’umanità intera, quando il suo messaggio e la sua missione vengono accettati e condivisi soprattutto da quanti sono battezzati e si professano cristiani. Di questa presenza viva, reale, in corpo, sangue e divinità sappiamo con la certezza della fede e della dottrina che l’abbiamo nel sacramento dell’altare. La Pasqua di Cristo è prima di tutto ripartire dal banchetto eucaristico come esperienza di una vita nuova nel Cristo che si offre a noi come nostro cibo e bevanda e come farmaco di immortalità. “In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».
Gesù porta gioia e serenità e questa gioia, anche se non è egli stesso a comunicarcela con parole suadenti e confortanti come fu per i discepoli dopo la risurrezione, egli comunque ce le trasmette in altro modo, per altri versi e in altre forme che ben conosciamo e sono i sacramenti della penitenza e della comunione. Quando la nostra coscienza è a posto, quando siamo in grazia di Dio noi assaporiamo la vera gioia e non dobbiamo più temere di nulla e di nessuno. Dio con noi è la forza della nostra vita e la sorgente della nostra gioia terrena ed eterna. Quanto cammino dobbiamo ancora fare per raggiungere questo grado di serenità che nessun psicologo o altra persona più darci in un modo pieno, certo e duraturo come la persona di Cristo, che noi accogliamo nell’eucaristia. Non a caso anche questa apparizione ci presenta Gesù con gli apostoli che si mette a tavola e mangia del pesce con loro, segno evidente dell’eucaristia. I primi cristiani, soprattutto quelli che dovettero fare i conti con le persecuzioni, nelle catacombe lasciano i segni indelebili della celebrazione dell’eucaristia in questi luoghi sotterranei e isolati proprio lasciando i segni del pane e del vino impressi nelle pareti delle catacombe o di altri luoghi fortuiti di riunione della comunità orante. L’eucaristia è espressione di una comunione profonda con Cristo e con gli altri. In questa prospettiva eucaristica si comprende cosa ci voglia dire il brano degli Atti degli Apostoli che è la prima lettura di oggi: Pietro invita al pentimento e alla conversione davanti al mistero della morte e risurrezione di Cristo. La Messa che è memoriale, cioè attualizzazione della Pasqua di Cristo, è la celebrazione delle celebrazioni in cui la comunità si ritrova nella pace e nella fraternità a condividere il pane della parola e il pane della vita, Cristo eucaristia. Noi dobbiamo metterci da parte di coloro che non rinnegano o condannano Cristo a morte, ma lo invocano in aiuto e soccorso: Vieni Signore Gesù, il mondo ha bisogno di te, ha bisogno di pace, di giustizia e di vera solidarietà. “In quei giorni, Pietro disse al popolo: «Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino. Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni. Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi. Ma Dio ha così compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo doveva soffrire. Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati». Anche a, noi presunti giusti è rivolta nuovamente questa parola di conversione di allontanamento dal peccato e da ogni miseria umana. Noi non siamo migliori degli altri, molte volte forse siamo più cattivi di quanti per ignoranza non conoscono Cristo e non seguono la sua dottrina. La conversione è prima di tutti per coloro che presumevano al tempo di Gesù chi doveva e poteva essere davvero il Messia. La fine della morte in Croce di Gesù a causa dei Giudei e dei loro capi fu proprio perché non riconobbero in Gesù il Messia, il Figlio di Dio, l’autore della vita. Su questa stessa lunghezza d’onda si colloca poi il brando della seconda lettura di oggi, tratta dalla prima lettera di san Giovanni apostolo, nella quale c’è un chiaro invito a non peccare, ad allontanarsi da uno stile di vita espressione di morte e di alienazione, per recuperare una dignità di vita basata sull’osservanza dei comandamenti divini Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo. Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto”.
Il cristiano fedele alle proprie scelte battesimali e alla propria religione sa come deve fare e come lo deve fare. Molte volte pur conoscendo ciò che è bene facciamo il male a noi stessi e agli altri, non ci lasciando guidare dallo Spirito Santo e dalla carità, ma dalle passioni e dagli interessi terreni, egoistici e materiali. Con il Salmo 4 ricordo e ripeto a me stesso e a voi quanto troviamo scritto in questa preghiera della fiducia e della speranza cristiana: “Sappiatelo: il Signore fa prodigi per il suo fedele; il Signore mi ascolta quando lo invoco. Molti dicono: «Chi ci farà vedere il bene, se da noi, Signore, è fuggita la luce del tuo volto?».In pace mi corico e subito mi addormento, perché tu solo, Signore, fiducioso mi fai riposare”.
Sia questa la nostra preghiera comunitaria che vogliamo porre a fondamento della celebrazione eucaristica di questa domenica, ma soprattutto a fondamento di tutta la nostra vita di fede: “O Padre, che nella gloriosa morte del tuo Figlio, vittima di espiazione per i nostri peccati, hai posto il fondamento della riconciliazione e della pace, apri il nostro cuore alla vera conversione e fa’ di noi i testimoni dell’umanità nuova, pacificata nel tuo amore”. Amen.

Festa di San Biagio a Valle di Cervinara (Av)

25950G.jpgInizia domani, giovedì 16 aprile, il triduo di preparazione alla festa di San Biagio che si svolge ogni anno nella frazione Valle di Cervinara, nella Chiesa parrocchiale di Santa Maria a Valle. Frazione e parrocchia di 600 abitanti del Comune di Cervinara, nella Diocesi di Benevento- Forania Valle Caudina. A tenere la predicazione per questa fausta ricorrenza, su invito del parroco don Nicola Fiore, è padre Antonio Rungi, misisonario passionista, teologo morale campano, ex-superiore provinciale dei passionisti della Campania e del Lazio Sud, originario della vicina Airola. Padre Rungi sarà a Valle di Cervinara dalle ore 18.00, alle 20.00, per le confessioni, la celebrazione della santa messa e l’omelia in preparazione alla festa del protettore della comunità parrocchiale. Domenica, poi, 19 aprile, domenica in Albis e della Divina Misericordia, la solenne celebrazione eucaristica delle ore 9,30 con il panegirico sul Santo. La devozione a San Biagio è di antica data in Cervinara e in tutta la Valle Caudina. Un eremo dedicato al grande santo, protettore dei mali della gola, sorge sul Monte Pizzuto, a testimonianza di un culto che attinge alla storia passata delle popolazioni locali. La festa liturgica che si celebra il 3 febbraio, a Valle viene svolta nella domenica in Albis, in quel clima di spirituale della pasqua che è segno di risurrezione e vita.Il martire Biagio è ritenuto dalla tradizione vescovo della comunità di Sebaste in Armenia al tempo della “pax” costantiniana. Il suo martirio, avvenuto intorno al 316, è perciò spiegato dagli storici con una persecuzione locale dovuta ai contrasti tra l’occidentale Costantino e l’orientale Licinio. Nell’VIII secolo alcuni armeni portarono le reliquie a Maratea (Potenza), di cui è patrono e dove è sorta una basilica sul Monte San Biagio. Il suo nome è frequente nella toponomastica italiana – in provincia di Latina, Imperia, Treviso, Agrigento, Frosinone e Chieti – Avellino – Benevento – e di molte nazioni, a conferma della diffusione del culto. Avendo guarito miracolosamente un bimbo cui si era conficcata una lisca in gola, è invocato come protettore per i mali di quella parte del corpo. A quell’atto risale il rito della “benedizione della gola”, compiuto con due candele incrociate o usando l’olio benedetto in onore di San Biagio, con l’orazione “Per intercessione di San Biagio il Signore ti liberi da ogni male di gola e da ogni altro male”. Olio che viene benedetto dal sacerdote nel giorno della festa del 3 febbraio e con il quale si unge la gola dei fedeli con la croce. Questa sana tradizione viene rispettata dagli anziani e dai giovani. Di fronte ai tanti mali fisici, a volte inguaribili, i devoti del santo si affidano a San Biagio perché li protegga. Su questi apsetti del culto in onore del martire con i vari risvolti spirituali e pastorali si incentrerà la predicazione del teologo Rungi, durante il suo ministero apostolico a Santa Maria a Valle di Cervinara. La Chiesa molto frequentata dalla piccola comunità cristiana è un punto di riferimento spirituale e sociale per la frazione Valle, guidata da anni, da non Nicola Fiore, sacerdote zelante e attento alle esigenze spirituali dei suoi parrocchiani-Cervinara_S_MariaDellaValle.jpg

E’ risorto. Non è qui. Cerchiamo il Cristo della vita

Domenica di Risurrezione

 

12 Aprile 2009

 

E’ risorto, non è qui. Cerchiamo Cristo non nella morte, ma in tutto ciò che è vita.

 

di padre Antonio Rungi

 

20260AE.jpgCelebriamo oggi la domenica di risurrezione la Pasqua. La domenica delle domeniche, in quanto questo è davvero il giorno del Signore, nel quale siamo invitati a rallegrarci, a gioire, non più solo a sperare, ma ad avere la convinzione che ogni speranza è certezza per un credente che affida il suo sguardo e la sua proiezione di vita in Cristo. Egli è risorto, non è più nel sepolcro e se vogliamo incontrarlo, trovarlo, attraverso il dono della fede, è necessario non andare verso la morte, ovvero il peccato, ma verso la vita e la luce, che è la grazia e che è la verità. Quanto sia vero tutto questo in questa Pasqua 2009 lo comprendiamo alla luce di quanto abbiamo visto in questi giorni, davanti alla distruzione del terribile terremoto che ha seminato dolore, morte e ha messo seriamente alla prova la fede di tanti credenti, terremoto che si è verificato a L’Aquila in Abruzzo nella notte della Domenica delle Palme. Davanti alle tante bare di tanti fratelli e sorelle morti, tra cui diversi bambini e giovani, come tanti possiamo chiedere: dove eri Dio? La riposta della nostra fede in questo giorno della vita, la troviamo nel testo del vangelo e in tutta la liturgia della parola di Dio di questa giornata di risurrezione. La sequenza che leggeremo oggi tra la seconda lettura e il vangelo ci fissa i contenuti essenziali della nostra fede nel risorto: “Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa”. Questo grido di speranza quante persone vorrebbero elevarlo davanti alla sofferenza, alla morte dei propri cari, di fronte al dolore, di fronte ai tanti casi di morte apparente, di coma irreversibile. Vorrebbero gridare: è vivo, ce l’ha fatta, è uscito fuori dal coma. Questi “miracoli” della vita spesso avvengono anche in questo mondo segnato da troppi eventi di morte, di sofferenza, di distruzione, di cui veniamo a conoscenza in modo rapido ed immediato attraverso i mezzi di comunicazione sociale. La televisione, la radio, i giornali sembrano che non abbiano altro da farci vedere, ascoltare, leggere e meditare se non fatti di violenza, di morte, di distruzione quasi a sottolineare che la nostra vita sia solo una cronaca nera all’infinito. Invece non è così. Ci sono tanti segnali di vita, risurrezione, luce speranza che attingono il loro significato proprio da quel sepolcro vuoto che lascia Gesù, dopo tre giorni (in realtà poche ore, tra il venerdì della morte in croce e l’alba della domenica) di chiusura temporanea nella tomba nuova, davanti alla quale era stata posta una pietra. Segno evidente che la temporaneità della morte non riguarda solo Cristo, ma tutti gli uomini. Egli infatti verrà a giudicare i vivi e i morti ed il suo regno non avrà più fine. In questa fede nella risurrezione sappiamo che risorgeremo anche noi dai nostri corpi mortali e assumeremo il corpo glorioso e glorificato del Cristo risorto. Questa speranza nella risurrezione, questa certezza di vita oltre la vita ci fa attenuare la sofferenza quando ci troviamo davanti alla tragedia della morte dei nostri cari e dei nostri fratelli, come ci siamo trovati tristi, angosciati ed addolorati davanti alle bare delle vittime del terremoto de L’Aquila della notte del 6 aprile 2009, i cui funerali solenni sono stati celebrati il 10 aprile 2009, Venerdì santo, con una messa di suffragio, presieduta dal cardinale segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone, con deroga di celebrare messa in una giornata nella quale, di norma, non si può celebrare l’eucaristia. Segno evidente che anche nel mistero della morte, la liturgia ci fa pensare immediatamente alla vita. E la messa non è soltanto il memoriale della passione e morte in croce del Signore è soprattutto il memoriale della sua risurrezione, della vita che esplode prepotente da quel sepolcro lasciato vuoto, per dirci che non dobbiamo assolutamente essere tristi per una morte che è solo temporanea in attesa della risurrezione finale. La paura e l’angoscia della morte non può albergare nella mente di un cristiano che crede fermamente nel risorto. D’altronde se facciamo tesoro della parola di Dio di oggi e ci rifacciamo ai racconti che sono stati scritti dai diretti testimoni della risurrezione, comprendiamo il senso della nostra fede nella risurrezione. L’evangelista Giovanni ci riporta la cronaca di quell’evento in modo più diretto, in quanto testimone dei fatti raccontati, essendo stato l’unico discepolo a rimanere sul Calvario ed assistere de visu alla morte di Gesù. Egli che ebbe dal Signore il comando di accogliere la Madonna nella sua casa e di riconoscerla nella fede come la sua Madre e quindi come la Madre di tutta la Chiesa e dell’umanità, poté meglio capire subito il significato ed il valore di quel sepolcro vuoto. “Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”.

La buona notizia ormai attraverso Maria di Magdala era giunta agli apostoli. La prima testimone della risurrezione è proprio Maria che è chiamata a raccontarci nella liturgia di oggi che cosa ha visto? Il racconto di Maria è dettagliato, ma anche in lei nascono dei dubbi circa la sicura risurrezione. Da qui la necessità di confrontarsi con la Chiesa ufficiale, rappresentata da Pietro e Giovanni. Pietro e Giovanni si avviarono al sepolcro per verificare la cosa e appena entrati credettero. Ebbero la necessità lungo il breve tratto di strada di pensare bene alla cosa, alla notizia di Maria e a rimuovere dalla loro mente e da loro cuore eventuali dubbi, soprattutto Pietro che aveva rinnegato Gesù durante la Passione e non era presente sul Calvario. Quel tratto di via indica la sofferenza e il lavorio della grazia e dello Spirito Santo quando ci deve illuminare e farci capire le cose di Dio, che razionalmente ed umanamente non possiamo comprendere e spiegare. E’ la continua lotta tra credere e non credere, tra la certezza e il dubbio. Quel dubbio che spesso, tuttavia, fa progredire la fede e che altrettanto spesso può minare irrimediabilmente la fede. Il punto di partenza è allora in questo cammino della fede è sì la ragione, ma soprattutto la parola del Signore. Gli apostoli non credettero subito alla risurrezione, come non crederà subito Tommaso, che avrà necessità di toccare e vedere personalmente, ebbero bisogno di camminare verso il sepolcro, perché non avevano ancora creduto alle scritture. La fede è questo faticoso cammino che deve fare i conti con la parola rivelata, con l’insegnamento magisteriale, con la tradizione della Chiesa, istituita da Cristo stesso per il bene dell’umanità e soprattutto con i tanti drammi della vita quotidiana, su cui la Chiesa esprime il suo pensiero.  Quella chiesa di cui ci raccontano gli Atti degli Apostoli e che nel brano di oggi è attenta al discorso di Pietro sulla risurrezione, impegnato a diffondere il primo annuncio del vangelo della vita: “In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome».

Credere nella Pasqua di Cristo è professare la fede nella vita, in quella vita che va oltre la vita terrena, perché l’uomo creato ad immagine somiglianza di Dio non può essere destinato alla morte eterna, ma alla vita eterna. In ragione di questa meta ben precisa per tutti noi, credenti e non, siamo chiamati a vivere su questo mondo ben orientati verso il destino eterno di gioia per ogni uomo. Sì creda o non si creda, l’uomo non rimarrà nel sepolcro per sempre. Comunque la risurrezione rientra in quella certezza non solo della fede, ma anche della ragione che vola verso la verità, come una delle due ali che spingono l’uomo a volare in alto. San Paolo Apostolo, il grande missionario della risurrezione di Cristo, il grande evangelizzatore pasquale, ci rammenta nel brano della sua lettera ai Colossesi che se siamo risorti con Cristo, dobbiamo cercare le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; dobbiamo rivolgere il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Il motivo è presto detto: noi siamo morti al peccato nel Battesimo e la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, nostra vita, si sarà manifestato, allora anche noi appariremo con lui nella gloria. Sono fissati i termini della nostra esistenza terrena ed oltre la morte. La risurrezione non è una celebrazione di un giorno, ma è la celebrazione delle celebrazioni, perché noi siamo già risorti con Cristo, noi siamo figli della risurrezione e non della morte, apparteniamo a un Dio che è vita, è luce, è speranza è certezza di ogni vera e definitiva felicità.

Buona Pasqua 2009, con il dolore nel cuore per la sofferenza di tanti nostri fratelli, non solo terremotati, ma in difficoltà ovunque nel mondo, che continuano a sperimentare la croce di Cristo, ma anche con la sicura certezza che tutto ciò che è dolore, morte e sepolcro è solo per un breve periodo, mentre ci attende una risurrezione e una felicità senza fine, con tutti coloro che ci hanno preceduti nel segno della fede e godono già della visione beatifica di Dio nel Santo Paradiso. Perciò possiamo oggi con grande gioia nel cuore cantare l’Alleluja della vita con questo inno pasquale: Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato: facciamo festa nel Signore. Amen. Alleluia.

 

 

La predica della Desolata a Casoria (Na)

Vergine_addolorata_G.jpgLa ricorrenza della Madonna Desolata ha prodotto intense emozioni ai diversi fedeli e alla comunità delle Suore Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato di Casoria (Na). La ricorrenza annuale, capitata il 3 aprile 2009, è stata ricordata con una cerimonia religiosa tra le più significative e coinvolgenti in onore della Madonna Addolorata. Anche quest’anno è stato padre Antonio Rungi, religioso passionista, ex-superiore provinciale dei Passionisti di Napoli, teologo morale campano a dettare le meditazioni sui Sette Dolori della Vergine Maria. Padre Rungi ha toccato tematiche di grande attualità, nel cotesto delle riflessioni proposte all’attento, numeroso e devoto gruppo di fedeli e di Suore. Un ricordo speciale, padre Rungi ha dedicato al Servo di Dio, Papa Giovanni Paolo II, nel quarto anniversario della sua morte. Tra testi biblici relativi ai sette dolori della Madonna ai riferimenti al Magistero della Chiesa, tutti attinti dal magistero di Giovanni Paolo II, meditazioni e considerazioni varie i novanta minuti di preghiera si sono susseguiti in un crescendo di emozioni e sentimenti profondi. I temi del dolore, i temi sociali degli emarginati, dei rifugiati, degli extracomunitari, quelli relativi all’educazione dei figli, alla famiglia in generale, ai rapporti tra madre e figli, all’amore vero ed autentico, alla morte, alla fede sono stati affrontati in clima di riferimento alla parola di Dio e all’insegmamento di Giovanni Paolo II. Apprezzata da tutti i presenti la predicazione tenuta da padre Rungi, alla presenza della Madre Generale, Gemma Imperatore e Consiglio Generale della Congregazione delle Suore Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato, fondata dalla Beata Maria Cristina Brando (le cui spoglie sono conservate nella Chiesa della Casa generalizia di Casoria). Partendo dal primo dolore della Madonna che fa riferimento alla profezia del Vecchio Simeone, nel momento della Presentazione al Tempio di Gesù, per poi percorrere l’itinerario spirituale della Via Matris (La Via del Dolore della Madre), in stretto rapporto con la Via Crucis (La via del dolore del Figlio di Dio), con la fuga in Egitto della Santa Famiglia di Nazareth, poi lo smarrimento e il ritrovamento nel tempio di Gerusalemme di Gesù Cristo in occasione della Pasqua, quando il Signore aveva appena 12 anni, per seguire con l’incontro della Madre Addolorata con Gesù sulla Via del Calvario, alla Morte in Croce di Gesù, alla sua deposizione dalla Croce, accolto nel grembo della sua desolata Madre, alla deposizione di Gesù nel Sepolcro, padre Rungi hai coinvolto tutti i presenti in un’esperienza mistica incentrata sulla Pasione di Cristo e sulla Passione della Vergine Maria.Tutta la liturgia è stata animata dal Coro delle Suore, che hanno eseguito, all’inizio, in latino, lo Stabat Mater e poi ha accompgnato i vari momenti della predicazione con bellissimi canti mariani, strettamente collegati alla missione di Maria e alla sua sofferenza, condivisa con il suo Figlio, Gesù. Due fedeli laici hanno letto i testi del Vangelo riguardanti i sette dolori della Madonna e il breve commento ad essi tratto dai testi magisteriali di Giovanni Paolo II. La riflessione di padre Rungi, puntuale e attinente ai dolori della Vergine Addolorata ha toccato le corde più profonde dei fedeli presenti. La predica della Madonna Desolata nella Chiesa delle Suore Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato è un’antica tradizione che si conserva e si rinnova ogni anno, nell’ultimo Venerdì della Quaresima e prima del Venerdì Santo. Vari i predicatori, per lo più Passionisti, che si sono succeduti negli anni sul pulpito per dettare le meditazioni. Padre Rungi è stato più volte predicatore ufficiale in questa circostanza particolarmente significativa per l’immediata preparazione alla Pasqua. Per commemorare la Desolata, anticamente detta delle “Le Tre Ore di Maria Desolata”, quasi tutti hanno utilizzato le parole scritte dal grande Metastasio. La rappresentazione è costituita da un mirabile collage di canti, preghiere e riflessioni ispirate alla Passione di Gesù e al dolore di Maria, Madre Desolata. La pia funzione in onore di Maria Addolorata affonda le sue radici nel ‘600 ed è un’ antica tradizione dei Padri dell’Oratorio di S. Filippo Neri che hanno sempre avuto una particolare devozione verso la Madonna Addolorata, poi fatta propria nel secolo XVIII dalla Congregazione della Passione di Gesù Cristo (Passionisti) medianate il loro fondatore, San Paolo della Croce, grande missionario e predicatore della Passione di Cristo. L’intera struttura della predicazione del 3 aprile 2009 dalle Suore Sacramentine di Casoria è stata elaborata da padre Rungi che ha prestato molta attenzione a mettere in risalto la sofferenza di Cristo, della Madonna con le tante sofferenze dell’uomo di oggi e di sempre. Sofferenze aperte alla speranza cristiana e alla gioia della vita oltre la vita, alla risurrezione. La funzione religiosa si è conclusa con lo scambio di auguri pasquali che padre Rungi ha voluto indirizzare a tutti i presenti, alle Suore e a quanti da vicino e da lontano hanno seguito spiritualmente la cerimonia, utilizzando il testo pubblicato dal predicatore su Internet.