Archivi Mensili: settembre 2017

LA PREGHIERA DELL’AMORE COMPOSTA DA PADRE ANTONIO RUNGI

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La preghiera dell’amore
Composta da padre Antonio Rungi

Ti amo, Signore, con tutto il mio cuore,
con tutta la mia mente e con tutte le mie forze,
ma spesso questo mio cuore, questa mia mente,
e le mie poche o molte forze si indeboliscono
nell’amore verso Te, o mio Dio,
in cui confido, mi fido e mi affido.
Potenzia, o Signore, dentro di me la grazia
dell’amore verso Te e verso i fratelli di questa afflitta terra,
nella quale è difficile incontrare
l’amore vero, l’amore per sempre, l’amore eterno.
Signore, fa che io possa amarti sempre,
anche quando si è spento il desiderio di amare,
offuscato da tante esperienze di odio,
che il mondo oggi ci offre ogni giorno.
Signore concedimi la grazia
di riscoprire la bellezza e la dolcezza
di un cuore davvero innamorato del cielo,
verso il quale dirigere sistematicamente
i miei pensieri, i miei desideri
e soprattutto il mio agire nel tempo.
Signore, Tu che sei amore infinito ed eterno,
fa che io possa innamorami sempre di più
del Tuo amato Gesù,
che per amore si è offerto a Te sulla croce
per la salvezza di tutti noi.
Lui che ci ha lasciato il grande testamento dell’amore,
che sa perdonare e alzare al cielo il suo sguardo di bontà,
ci insegni a vivere
nell’amore sincero e autentico,
che sorpassa ogni umano desiderio. Amen

P.RUNGI. IL COMMENTO ALLA XXVI DOMENICA DEL TO- 1 OTTOBRE 2017

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XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

Domenica 1 ottobre 2017
Quale condotta è retta: la nostra o quella del Signore? Giudichiamo noi!

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

La parola di Dio di questa XXVI Domenica del tempo ordinario dell’anno liturgico, ci pone davanti alle nostre responsabilità morali e spirituali.

Ci sono alcuni punti importanti dei testi biblici che vanno attentamente meditati e riflettuti per dare personali risposte ai vari interrogativi.

A partire dalla prima lettura e arrivando al vangelo, i testi biblici di oggi sono un itinerario all’interno delle nostre coscienze e del nostro operare da cristiani.

Il profeta Ezechiele nella prima lettura di oggi ci ricorda come siamo critici nei confronti di Dio, quando le nostre case non vanno secondo quello che desideriamo, secondo quanto ci aspettiamo e secondo quanto già possediamo  vorremmo avere per sempre. E riporta le stesse espressioni che il Signore ci rivolge, attraverso il suo portavoce: «Voi dite: “Non è retto il modo di agire del Signore”. Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra?”.

 

Valutiamo noi la storia, i fatti, i comportamenti, l’agire individuale e comunitario. Ma se andiamo a considerare ciò che viene fatto rilevare nel testo, possiamo facilmente renderci conto che davvero il nostro agire necessita di profonde trasformazioni e conversioni: “Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso”.

Parliamo, chiaramente, della morte del cuore, dello spirito, di ciò che è veramente vita nell’essere umano, e cioè la sua anima immortale, aperta alla felicità eterna.

 

Aggiungiamo, un’altra ipotesi del comportamento umano: “se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà». L’aspetto positivo di una conversione del cuore sta nel fatto che chi si converte riacquista la vita spirituale, rivive, abbondona la strada che lo ha portato alla morte spirituale e riprende la sua vitalità interiore.

Le due prospettive sono qui esaminate e presentate con  i risvolti reali di esse. Infatti ci sono le persone che non sentono la necessità e l’urgenza di ritornare a Dio e alla fede, una volta che si sono allontanati da essa, oppure non l’hanno mai avuta; oppure ritornano con il cuore pentito, riflettono sulla vita ed agiscono secondo il cuore di Dio.

 

Stessa situazione che troviamo nel bellissimo brano del Vangelo di questa domenica che si apre con la domanda, rivolta ai tanti sapienti del tempo: “Che ve ne pare?” Cioè date voi un giudizio, voi che siete i saggi e santi. E in questo caso, Gesù  presenta il comportamento di due figli, ai quali il padre, dice al primo:  “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».

Non c’era molto da discutere. Talmente palese il comportamento giusto del primo figlio rispetto al secondo. Il primo dice inizialmente di no e poi si pente e va a lavorare nella vigna del padre. Egli è un pentito e convertito vero. Mentre il secondo dice di sì e poi non espleta il suo dovere e non mantiene la parola data. E’ chiaramente un falsario, un bugiardo, un mistificatore

 

La conclusione di questa nuova parabola di Gesù è una lezione durissima e un forte richiamo alle responsabilità di quanti si pensano giusti e non lo sono di affatto nella vita, perché alla fine non conterà l’apparenza, come avviene nel mondo, da sempre, ma la sostanza, cioè il cuore e la volontà di cambiare e di rinnovarsi. Perciò Gesù  rivolse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo queste dure parole: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

 

Nei cuori duri e presuntuosi, negli arroganti di tutti i tempi, nei falsi retti e santi di ogni epoca non ci potrà mai essere vero pentimento. Questi si aspettano sempre dagli altri il cambiamento, ma mai da loro stessi. Poi arriva la giustizia divina e mette a posto ogni cosa, a volte anche nel tempo, ma soprattutto nell’eternità.

San Paolo, nella sua lettera ai Filippesi, che oggi ascoltiamo come testo della seconda lettura, ci presenta il modello “Cristo” al quale dobbiamo ispirarci per raggiungere la vera giustizia in questo mondo e nell’eternità: “Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù”.

 

Quali sentimenti Cristo ha avuto e come li ha vissuti e concretizzati nel suo agire da Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo?

Ecco il modello perfetto al quale conformarci per essere dei veri discepoli di Cristo e di Cristo crocifisso. Infatti, “egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce”.

 

La nostra vittoria e la nostra gloria non stanno nell’autoesaltarci e inneggiare ai nostri meriti e alle nostre capacità, ma nell’abbassarci, nell’essere umili, nel donarci, come Cristo ha fatto per noi sulla croce. Da qui la glorificazione di Gesù, la sua esaltazione vera, la sua Gloria Crucis, che dovrebbe ispirare il nostro agire umano e cristiano.

Con il Salmo Responsoriale, tratto dal Salmo 24, ci rivolgiamo al Signore con queste parole e preghiamo con la sincerità del nostro cuore e riconoscendo i nostri limiti: “Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri. Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi, perché sei tu il Dio della mia salvezza; io spero in te tutto il giorno.  Ricòrdati, Signore, della tua misericordia e del tuo amore, che è da sempre. I peccati della mia giovinezza e le mie ribellioni, non li ricordare: ricòrdati di me nella tua misericordia, per la tua bontà, Signore. Buono e retto è il Signore, indica ai peccatori la via giusta; guida i poveri secondo giustizia, insegna ai poveri la sua via”.

Gesù insegnarci ad essere umili, obbedienti e distaccati da ogni bene e possedimento della terra. Amen.

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DELLA XXV DOMENICA T.O. – 24 SETTEMBRE 2017

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XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
DOMENICA 24 SETTEMBRE 2017

Comportarsi in modo degno del Vangelo

Commento di padre Antonio Rungi

Per un cristiano, la prima preoccupazione che dovrebbe avere nei suoi pensieri e nella sua mente è quella della fedeltà al Vangelo.

Non che gli altri uomini non abbiano obblighi; anzi tutti gli esseri umani hanno regole morali da rispettare e che hanno attinenza con l’essere stesso umano e sociale.

Chiaramente per ogni religione scattano specifici doveri ed obblighi per chi veramente sente la propria fede come elemento importante ed essenziale nella vita.

Perciò l’apostolo Paolo, nel brano della seconda lettura della parola di Dio di questa XXV domenica del tempo ordinario, tratto dalla sua lettera ai Filippesi, conclude con questa raccomandazione: “Comportatevi dunque in modo degno del vangelo di Cristo”.

Ma l’apostolo, in precedenza, aveva sottolineato un aspetto importante del suo essere convertito al vangelo di Cristo: “Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno”.

L’apostolo considera la vita eterna più importante della vita terrena. Tuttavia, egli precisa che “se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere”.

Come dire, è bello pensare ed aspirare al paradiso, all’eternità, ma è altrettanto bello pensare e vivere una vita con frutti spirituali che portano ad accumulare beni per l’eternità.

E, quindi egli si trova in un conflitto interiore che, da un lato, desidera morire e dall’altro gli fa piacere vivere. Infatti dice con estrema lealtà interiore e sincerità del cuore: “Sono stretto  fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo”. Vede, quindi, la sua presenza importante per la comunità cristiana di Filippi, perché necessita della sua guida.

Il vivere e il morire lo sappiamo tutti è nelle mani di Dio. Noi possiamo esprimere dei desideri, degli auspici, ma è il Signore che decide sulla nostra vita e sul momento in cui dobbiamo lasciare questa terra. Se ci siamo ancora è perché Egli vuole così.

E noi cerchiamo di vivere questa vita, che ci ha donato, con il massimo impegno per dare frutti terreni e soprattutto eterni.

In questo contesto del premio, si comprende il bellissimo brano del Vangelo di oggi, che riguarda la chiamata degli operai a lavorare nella vigna di un signore che uscì in diversi momenti del giorno a chiamare le persone a lavorare con lui. Tutti risposero di sì e svolsero al meglio il compito affidato, dal mattino oppure nel tardo pomeriggio, ovvero per molte o poche ore di lavoro. Alla fine della giornata il padrone di casa, che aveva la sua vigna ed aveva assunto part-time o full-time per un giorno i lavoratori, nella sua piena libertà, pagò tutti allo stesso modo. Con i primi assunti fu firmato un accordo, con gli ultimi chiamati, nessuno accordo fu stipulato. Sappiamo come andò a finire quando i primi videro che il padrone diede la stessa somma agli ultimi e li pagò secondo il suo giudizio e la sua libertà di decidere. Infatti nel testo del vangelo, troviamo questa indicazione di comportamento da parte del padrone della vigna, il Quale rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”.

La conclusione e l’ammonizione finale del Vangelo di oggi ci fa riflettere molto e ci fa uscire dalle nostre presunte sicurezze di salvezza e di privilegiati della prima ora; per cui questa sentenza evangelica impone a tutti noi cristiani della prima ora o credenti che abbiamo ricevuto la fede da piccoli a non illudersi, perché “gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi”. L’arroganza, la presunzione di essere sempre i primi e di avvalersi di una sorte di eredità scontata o diritto alla primazia, viene messa in crisi dal modo di pensare ed agire di Dio. Purtroppo, in tutte le vicende umane, questa primazia e questa superiorità nei confronti degli altri, che arrivano per ultimi o alla fine, determina molti conflitti e gelosie e quando, anche nella chiesa, si scelgono gli ultimi per farli primi, c’è una ribellione e spesso una gelosia, che sfiora la vendetta o la lenta distruzione di chi è stato scelto per ricoprire ruoli e posti, non chiesti e non desiderati. Il rischio è che i primi rimangono eternamente primi, pur non meritando i primi posti, e gli ultimi rimangono eternamente ultimi, pur meritando i primi posti, perché si blocca il potere sui primi e non si guarda mai agli ultimi, intesi, in questo caso, anche come chi ha più bisogno di tutto ed è in necessità di ogni genere.

Ci serva da lezione spirituale e di vero itinerario di fede e di cammino interiore il bellissimo brano della prima lettura di questa domenica, tratto dal profeta Isaia, il profeta dell’umiltà e della disponibilità piena alla parola di Dio: “Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino”.

E poi cambiare davvero vita e convertirsi alla verità e all’onestà: “L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri”.

Chi ha sbagliato “ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona”.

Questo nostro Dio è grande e buono nell’amore e la sua misericordia è infinità, per cui non possiamo sapere effettivamente i pensieri di Dio, né pensare che le nostre strade coincidano con le sue. Spesso non si incontrano, perché noi chiediamo ed aspettiamo dal Signore, ciò che ci è utile, necessario nella vita terrena, Dio offre a noi ciò che è indispensabile per la vita eterna. Chi pensa secondo il mondo, non potrà mai incontrare il Signore, perché i suoi progetti sono di diversa natura, che è quella divina. Noi siamo fatti di carne e pensiamo secondo la carne e non secondo lo spirito.

La nostra preghiera, in questa domenica, sia la stessa che rivolgiamo a Dio con il Salmo 144, inserito nella liturgia della parola di oggi: “Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre. Grande è il Signore e degno di ogni lode; senza fine è la sua grandezza. Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature. Giusto è il Signore in tutte le sue vie e buono in tutte le sue opere. Il Signore è vicino a chiunque lo invoca, a quanti lo invocano con sincerità”.

Potessimo, ogni attimo della nostra vita comprendere l’inestimabile valore di rendere lode a Dio in ogni momento del nostro vivere, senza presumere di essere noi il dio, al posto del vero ed unico Dio, che Gesù Cristo ci ha rivelato con il volto della misericordia, della bontà, della tenerezza e dell’amore.

Bello, allora rivolgerci a Lui, con questa preghiera, la colletta della domenica XXV, che ci fa pregare con queste espressioni: “O Padre, giusto e grande nel dare all’ultimo operaio come al primo, le tue vie distano dalle nostre vie quanto il cielo dalla terra; apri il nostro cuore all’intelligenza delle parole del tuo Figlio,  perché comprendiamo l’impagabile onore di lavorare nella tua vigna fin dal mattino”. Amen.

 

P.RUNGI. LA MIA PREGHIERA DEL PERDONO

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Preghiera di padre Antonio Rungi

 Perdonami o Dio

Perdonami, o Dio

per tutto il male

che ho compiuto nella mia vita.

 Solo tardivamente,

ho compreso il valore inestimabile della tua grazia,

vero benessere per ogni anima.

 

Perdonami o Cristo,

Tu che sei salito sul patibolo

della croce

e da questo trono regale e maestoso

hai perdonato ai tuoi crocifissori,

Fa, o Signore,

che io Ti possa imitare

nel perdonare a chi mi ha fatto

del male.

 

Perdonami, o Spirito del Signore

del più grave peccato,

quello contro lo Spirito Santo

perché possa aver fiducia piena

in quel Dio che è pazienza

e tenerezza anche verso il peccatore

più difficile.

 

 

Fa o Spirito Santo,

che il fuoco dell’amore e carità

possa ardere

nel cuore di ogni uomo

e bruciare odi, risentimenti e rancori

che albergano in ogni persona.

 

Santissima Trinità,

Dio dell’amore misericordioso,

fa che perdoniamo sempre,

anche quando ci costa tantissimo

stringere la mano ed abbracciare

un nostro fratello in umanità,

che ci ha ferito con colpi mortali.

 

Maria,

Madre del Perdono divino,

interceda presso il Suo Figlio,

perché nulla ci separi

dall’amore di Dio

e tutto concorra

ad amare Colui

che è nostro Redentore

e Salvatore.

Amen.

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DELLA XXIV DOMENICA TO – 17 SETTEMBRE 2017

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XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

Domenica 17 settembre 2017

Morire all’odio e vivere nella gioia del perdono

Commento di padre Antonio Rungi

La parola di Dio della XXIV domenica del tempo ordinario ci invita al perdono reciproco da attuare in ogni situazione e sempre, senza limiti di numeri, di persone, di spazio e di consistenza del danno ricevuto o dell’offesa avuta. Bisogna perdonare, ma anche chiedere perdono se siamo stati noi ad offendere gli altri, a provocare nel loro animo e cuore il dolore e l’angoscia.
Ecco perché oggi, come inizio della nostra preghiera assembleare, troviamo questa bellissima orazione, attinente al tema della giornata: “O Dio di giustizia e di amore, che perdoni a noi se perdoniamo ai nostri fratelli, crea in noi un cuore nuovo a immagine del tuo Figlio, un cuore sempre più grande di ogni offesa, per ricordare al mondo come tu ci ami”.
L’amore di Cristo è arrivato all’estremo limite delle possibilità umane. Egli ci ha perdonati dalla croce, comprendendo i nostri peccati, perché non sappiamo riconoscere la verità, la giustizia e l’amore ed abbiamo bisogno di un’educazione all’amore che porta per sua natura al perdono. Sappiamo benissimo come è difficile perdonare chi ci ha fatto del male. E tutti, chi più chi meno, sono passati per questa triste esperienza dell’offesa ricevuta e a volte data, dalla quale solo la grazia di Dio e sincero pentimento può sanare definitivamente sa un punto di vista interiore, ma non umano e fisico.
I segni delle sofferenze patite, molte volte segnano il corpo e la mente delle persone, che non riescono ad uscire da un’esperienza di risentimento e di rancore che pure la parola di Dio prende seriamente in considerazione, come nel caso della prima lettura di oggi, tratta dal libro del Siracide: “Rancore e ira sono cose orribili, e il peccatore le porta dentro”. Un cuore non risanato dalla grazia, chiede vendetta e vuole vendetta.
La parola di Dio ci ammonisce con queste espressioni che fanno riflettere a chi ha simili pensieri nella mente: “Chi si vendica subirà la vendetta del Signore, il quale tiene sempre presenti i suoi peccati”.
Cosa fare allora? Il consiglio viene presto dato da uno dei libri sapienziali dell’Antico Testamento, che è il Siracide: “Perdona l’offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati. Un uomo che resta in collera verso un altro uomo, come può chiedere la guarigione al Signore?”.
Infatti, bisogna considerare un aspetto importante nel discorso del perdono: “chi non ha misericordia per l’uomo suo simile, come può supplicare per i propri peccati? Se lui, che è soltanto carne, conserva rancore, come può ottenere il perdono di Dio? Chi espierà per i suoi peccati?”.
In tutto questo riflettere e meditare sulla propria condizione umana ed esistenziale c’è qualcosa di importante da avere nella mente e nel cuore: “Ricòrdati della fine e smetti di odiare, della dissoluzione e della morte e resta fedele ai comandamenti. Ricorda i precetti e non odiare il prossimo, l’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui”.
Il percorso spirituale e psicologico e tracciato su come arrivare al vero perdono e a non coltivare più risentimenti e rancori. Seguiamo queste indicazioni concrete ed operative della parola del Signore.
D’altra parte, il vangelo di questa domenica ce lo dice apertamente attraverso la voce diretta di Gesù, il quale risponde a questa domanda di Pietro: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Segue a tale proposito, la bellissima parabola che Gesù apporta come esempio per fa capire meglio il discorso a Pietro e agli altri: “Il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto”.
La conclusione di tutto il ragionamento e del discorso qual è?: “Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello”.
Bisogna perdonare con il cuore e non solo con la parola, cioè bisogna davvero mettere la parola fine sulle questioni che possono far scattare quei risentimenti e rancori mai sopiti e che spesso riemergono in presenza di quella persona o di fatti similari.
Come si fa a perdonare a chi ti uccide un figlio? Come si fa a perdonare a chi ti ha calunniato, diffamato, facendo passare per vero la menzogna più totale? Come si fa a perdonare chi ti ha tolto l’amore, la famiglia, i sentimenti veri, ti ha fatto soffrire volutamente? Non è facile, ma solo chi entra in un cammino di conversione vera ed autentica che può raggiungere progressivamente questo risultato di pacificazione del proprio cuore e della propria mente, perché il rancore e il risentimento, l’odio uccidono lentamente e non fanno più vivere serenamente. Con il salmista, sappiamo valorizzare la preghiera come strumento per purificare la nostra mente da ogni scoria di risentimenti ed odi, e con il Salmo 102, diciamo: “Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome. Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tutti i suoi benefici. Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia. Non è in lite per sempre, non rimane adirato in eterno. Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe. Perché quanto il cielo è alto sulla terra, così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono; quanto dista l’oriente dall’occidente, così egli allontana da noi le nostre colpe”.
Se il Signore, nostro Dio e Salvatore, agisce così con noi, perché noi dovremmo continuare ad avere atteggiamenti di odio e risentimento verso qualcuno? Sbagliamo di grosso, quando agiamo così e non ci lasciamo condurre per mano verso la vera libertà interiore, che è quella del perdono.
E facendo tesoro di quello che ci ricorda l’apostolo Paolo nel brano della sua lettera ai Romani, non dimentichiamo che “sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore”. E che “nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore”.
Morire all’odio e vivere nella gioia del perdono, questo è l’invito che ci viene rivolto e che vogliamo accogliere, oggi e sempre, superando le barriere dei conflitti di ogni genere.

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DELLA XXIII DOMENICA TO – 10 SETTEMBRE 2017

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XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

 

Domenica 10 settembre 2017

 

Chi ama corregge con amore il fratello che è in errore

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

La parola di Dio di questa XXIII domenica del tempo ordinario ci parla della correzione fraterna, che ha un valore ed un significato cristiano solo nella misura in cui si corregge l’altro per amore, con amore e senza minacciare vendetta e condanna, senza mettere al primo posto il proprio ruolo e la propria responsabilità o l’onore e l’orgoglio del casato o della divisa o dell’istituzione. In ogni correzione fraterna c’è di mezzo la dignità della persona umana e il rispetto anche della sua fragilità, perché chi è senza peccato scagli la prima pietra contro l’altro- Anche chi è nel posto di responsabilità, prima di correggere gli altri, dovrebbe domandarsi: ma io sono migliore del fratello che sta in errore? Solo Dio può correggere in modo vero, perché Dio ama l’uomo anche nella sua debolezza e gli tende la mano quando sta per annegare. Nessuno si deve fare maestro degli altri, né ritenersi superiore o più santo e perfetto dell’altro, ma nella carità, nell’umiltà ci si corregge reciprocamente, perché ogni vera correzione va a beneficio del corretto e di chi correttore. La correzione non è un fatto unilaterale, perché molti degli errori dei fratelli sono determinati da noi, che pensiamo di fare le cose giuste ed esatte in ogni momento. Se ognuno sta al proprio posto e fa il proprio dovere, non c’è bisogno di correzione, ma di collaborazione e integrazione. Questi concetti sono chiaramente deducibili dalla parola di Dio, a partire dalla prima lettura, tratta dal profeta Ezechiele, che ci ricorda con chiarezza di espressioni e di intenti: «O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia. Se io dico al malvagio: “Malvagio, tu morirai”, e tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te. Ma se tu avverti il malvagio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte dalla sua condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu ti sarai salvato». Effettivamente se non correggiamo di fronte ad un evidente situazione di errore, di malvagità, il Signore ci chiederà conto di quello che non abbiamo fatto. Ma la vera correzione si fa alla luce della parola del Signore e non in conformità al nostro modo di pensare. Io non sono il criterio per valutare e giudicare gli altri, ma solo Dio è giudice e questo giudizio lo si esprime in base a quanto la parola di Dio ci dice di fare.

Sulla correzione fraterna è prettamente improntato il testo del vangelo di oggi, che ci dà anche i criteri fondamentali per operare una correzione discreta e rispettosa della persona. Il primo momento è quello a tu a tu con la persona, il faccia a faccia con la persona che va corretta, avendo gli elementi veri e non presunti degli errori degli altri, in quanto è facile la diceria, la calunnia, la gelosia, il falso nei documenti, nelle testimonianze. Bisogna avere la certezza delle cose per poter procedere nella correzione e non aver solo sensazioni o percezioni soggettive. E’ necessario avere gli elementi veri e dimostrativi che possono attestare la veridicità dei fatti e non la sola presumibilità. Spesso si accusa e si condanna su calunnie e dicerie e mai andando a fondo della verità. Quanti innocenti, a partire da Gesù, che sono stati condannati anche nella Chiesa, nella società, nella politica, nella giustizia? Questo ci chiede di essere prudenti. Ecco perché se non siamo in grado di correggere a tu a tu, è necessario avere il supporto degli altri, dei testimoni, di coloro che non si fanno giudizi insieme al primo, ma a piena conoscenza dei fatti e documentati per proprio conto e non indottrinati da chi comanda, possono aiutare nel cammino della correzione chi veramente ha sbagliato. Di giudici corrotti e condizionati dagli altri ce ne sono nella storia di ogni popolo e nella storia anche delle chiese. Quanti nella politica o nelle altre istituzioni che detengono il potere e fanno scontare ai propri avversarsi conti che non hanno affatto. La gelosia, la vendetta il far pagare il debito rientra, purtroppo, tra le tante cose che gli esseri umani sanno utilizzare per disfarsi dei propri avversarsi, falsificando carte ed atti. Ecco, perché alla fine, nel vangelo di oggi, viene chiamata in causa l’opinione e il giudizio della comunità, quando questa, soprattutto ai nostri giorni con i media che sono il vangelo, indirizzano l’opinione del pubblico verso la condanna, prima che venga addirittura emesso un giudizio dall’autorità preposto. Ai mostri in prima pagina dei giornali e delle Tv, della rete internet ci siamo abituati tutti, tranne poi a ritrattare e a rivedere il tutto, se risulta essere innocente. Quanti errori anche di valutazione da parte della comunità, che si lascia condizionare dall’opinione dominante o strumentalizzare per scopi ignobili di chi e leader nel costruire opinioni sociali. Rileggere il testo del vangelo e meditarci sopra ci fa capire che davvero siamo lontani dal praticare la giustizia e difendere la verità: “Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano”. Ma il vangelo di questa domenica non si ferma alla sola correzione fraterna, va oltre quello che umanamente è comprensibile, in quanto tutti possiamo sbagliare e tutti dobbiamo ricevere il perdono, una volta pentiti. Infatti, nei versetti successivi si parla della misericordia e della preghiera: legare e sciogliere sulla terra che è legare e sciogliere in cielo e poi la capacità di ottenere da Dio ciò che chiediamo con fede e nella preghiera se siamo uniti nel chiedere, cioè se chiediamo insieme e non solo singolarmente ed egoisticamente per noi stessi.

A tal proposito, San Paolo Apostolo, nel brano della lettera ai Romani che oggi ascoltiamo, commentando indirettamente e involontariamente il brano del vangelo di questa domenica, dice con estrema correttezza teologica ed etica: “Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge”. Criterio fondamentale dell’agire umano è l’amore e quindi anche nel correggere bisogna partire dall’amore e non dall’odio e dalla vendetta. La legge di Dio codificata nei Dieci comandamenti è per tutti e non solo per alcuni. Pertanto nessuno si faccia maestro in Israele se ognuno hai suoi scheletri negli armadi, ben nascosti per non far emergere i propri errori della vita passata e presente, soprattutto se si sta in certi posti di responsabilità. Per cui, consapevoli che “la carità non fa alcun male al prossimo” e la  “pienezza della Legge è la carità”, agiamo sempre con amore e per amore, soprattutto se siamo chiamati, in ragione degli uffici che ricopriamo, a correre con discrezione e senza risentimenti e rabbia che ha potuto involontariamente sbagliare o è stato indotto ad errare, perché in tutti gli ambienti, anche quelli che oggi si chiamano virtuali, ci sono persone e strateghi del male che hanno come scopo fondamentale in ogni luogo quello di fare del male e far fare del male per mettere in cattiva luce anche i più onesti e santi.

Con il salmo 94, eleviamo al Signore la nostra umile preghiera in questo giorno di festa, riconciliazione e conversione: “Venite, cantiamo al Signore, acclamiamo la roccia della nostra salvezza. Accostiamoci a lui per rendergli grazie, a lui acclamiamo con canti di gioia. Entrate: prostràti, adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti. È lui il nostro Dio e noi il popolo del suo pascolo, il gregge che egli conduce. Se ascoltaste oggi la sua voce! «Non indurite il cuore come a Merìba, come nel giorno di Massa nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere».