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P.RUNGI. COMMENTO ALLA TERZA DOMENICA DI QUARESIMA 2016

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III DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)

DOMENICA 28 FEBBRAIO 2016

IL FUOCO DELL’AMORE MISERICORDIOSO DI DIO

 

COMMENTO DI PADRE ANTONIO RUNGI

 

La liturgia della parola di Dio di questa terza domenica di Quaresima è incentrata su alcuni fatti raccontati dalla Bibbia e su alcuni fatti cronaca vera, a sfondo drammatico,  che ci fanno riflettere sul nostro cammino verso la Pasqua., in quanto sono appelli alla conversione e al pentimento che partono da una coscienza in grado di valutare rettamente la propria condotta rispetto al bene.

Nella prima lettura ci viene presentato il roveto ardente, nel vangelo di oggi la riflessione di Gesù sun fatto di cronaca che egli commenta ai fini di una catehesi sulla misericordia, sul perdono e sul senso di peccato che deve riguarda tutti i cristiani, che non possono sentirsi migliori degli altri, perché alcuni mali o tragedie non li hanno toccati. La bontà di una persona o di un popolo non si misura dal fatto o meno sia stato esentato, per caso, per volontà di Dio, da fatti drammatici che ne minavano la credibilità in ordine alla fede e alla morale. Al contrario, nessuno può ritenersi più giusto o piuù santo degli altri e tanto meno più o meno peccatore rispetto ad altri. Il confronto non è su base statistica o su base di valutazioni geografiche, sociologiche o di stato di benessere materiale. Questo confronto è su base strettamente spirituale e religioso. Gesù lo fa intendere con estrema chiarezza nel testo del vangelo di oggi, tratto da San Luca, da cui è opportuno partire, per sviluppare la nostra riflessione sulla parola di Dio di questo tempo di preparazione, penitenza ed attesa. “In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

C’è un altro aspetto importante che il vangelo ci fa considerare: la pazienza infinita di Dio, nell’attendere il nostro pentimento e la nostra sincera conversione interiore del cuore e della mente verso il Signore. La breve parabola riportata da Luca in questo contesto di appello alla conversione, ci aiuta a capire la natura stessa di Dio che è quella dall’amore e della misericordia, che sa attendere fino allìultima istante della nostra esistenza i cambiamenti veri e che contano davvero nella nostra vita.

Ecco il testo della parabola raccontata da Gesù: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Il concetto espresso in questa parabola è molto semplice: se una persona nel campo della fede, della morale e della vita spirituale non porta frutto, questo lo deve preoccupare non solo per questo tempo, ma soprattutto per l’eternità. Il termine tagliare, indica infatti, la esclusione dal regno di Dio. Ma il Signore sa aspettare che ogni persona umana dia almeno il 30% della semina fatta e dell’investimento dei propri talenti e doni in ordine alla salvezza eterna.

L’atteggiamento migliore che possiamo assumere, rispetto a questi valori che contano e ci indicano il percorso della salvezza eterna, è quello che ci suggerisce di assumere l’apostolo Paolo nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla sua prima lettera ai Corinzi. Egli si rifà all’esperienza dell’esodo, alla figura del patriarca Mose, per poi approdare a Cristo, unico salvatore e redentore. Ma non tutti giunsero a questa meta e conoscenza di Cristo e alla salvezza che il Figlio di Dio portò a compimento nel mistero della sua morte e risurrezione. Infatti, fa notare l’Apostolo che “la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto”. La lezione che ne deriva da questa tragica traversata del mar rosso e poi del deserto nei 40 anni di trasferimento da una parte all’altra di quel vasto territorio, è chiara: “Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono”.

Quali le conclusioni e le deduzioni logiche da quanto successo al tempo di Mosé e del popolo che vaga nel deserto? “Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere”.

Entrare nel cammino quaresimale in questo anno giubilare è entrare nel cammino dell’esodo, e metterci in ascolto del Dio che si è rivelato a Mosé che ha consegnato ai noi verità assolute, dalle quale non possiamo fuggire via per rincorrere altri dei che non sono il vero Dio che si è rivelato, mediante Mosè, al popolo eletto. Il fuoco dell’amore di Dio e della misericordia del Signore deve invadere la nostra vita, occupare tutti i nostri tempi e spazi dell’esistenza terrena e godere su questa terra ciò che Dio stesso ci ha consegnato come vera gioia e felicità: c’è un solo Dio che è amore e misercordia, che ci ha salvati e redenti nel mistero della Pasqua del suo Figlio, Gesù Cristo, che ha un retroterra storico, biblico e teologico nella prima pasqua che il popolo eletto celebrò in terra straniera, per poi iniziare il suo cammino di liberazione, attraversando il Mar Rosso e il deserto e giungendo alla Terra Promessa. In questo cammino esodale Dio rivelò il suo vero nome: “Io sono Colui che sono”. Questo è il nome di Dio per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione». Anzi a completamento di questa primaria rivelazione il vero nome di Dio è Amore e Misericordia. Quell’amore e misercordia che sperimentiamo ogni volta che noi ci accostiamo al Dio santo e misericordioso, nel chiede a Lui ciò che è necessario alla nostra vera salute, quella spirituale, con la preghiera che sgorga dal nostro cuore, in questo giorno di domenica, dedicato al Signore: “Dio misericordioso, fonte di ogni bene, tu ci hai proposto a rimedio del peccato il digiuno, la preghiera e le opere di carità fraterna; guarda a noi che riconosciamo la nostra miseria e, poiché ci opprime il peso delle nostre colpe, ci sollevi la tua misericordia”. Amen.

 

 

BENEVENTO. E’ MONSIGNOR FELICE ACCROCCA IL NUOVO ARCIVESCOVO DI BENEVENTO

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Benevento. E’ don Felice Accrocca, parroco di Latina, il nuovo arcivescovo di Benevento 

di Antonio Rungi 

E’ don Felice Accrocca, 57 anni, del clero della Diocesi di Latina- Terracina-Sezze-Priverno, parroco del Sacro Cuore di Latina, il nuovo arcivescovo di Benevento, intellettuale,  docente di storia alla Gregoriana di Roma. Il motto episcopale scelto da monsignor Accrocca, lo stesso della sua ordinazione sacerdotale: è “«SI DOMINUS NON AEDIFICAVERIT» (Sal 126), “Se il Signore non costruisce, invano lavorano i costruttori”, chiaro intendo di confidare nel suo ministero nel Signore

La notizia ufficiale è stata oggi alle ore 12.00 in contemporanea a Benevento, in sala Stampa Vaticana e a Latina.

Monsignor Accrocca sarà il 126esimo vescovo della Chiesa beneventana, che è una delle più antiche ed ha avuto sulla sua cattedra un santo martire, San Gennaro. E’ la prima volta che a Benevento arriva un arcivescovo di prima nomina.

Monsignor Accrocca è un esperto conoscitore di San Francesco d’Assisi.

Sua Eccellenza, monsignor Felice Accrocca Il Rev.do Felice Accrocca è nato il 2 dicembre 1959 a Cori, in provincia di Latina, nella diocesi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno. Dopo la maturità scientifica ha frequentato i corsi teologici presso il Pontificio Collegio Leoniano di Anagni. Successivamente ha conseguito la Laurea in Lettere all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e il Dottorato in Storia Ecclesiastica presso la Pontificia Università Gregoriana. È stato ordinato presbitero a Cori il 12 luglio 1986, incardinandosi nella diocesi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno. Dopo l’ordinazione ha svolto i seguenti incarichi pastorali più significativi: Viceparroco della parrocchia S. Maria Assunta in Cielo, a Cisterna (1986-1989); Assistente ecclesiastico degli Scout Agesci (1986-1991); Parroco della parrocchia S. Luca, a Latina (1989-2004); Moderatore della Curia Vescovile (2001-2003); Parroco della parrocchia S. Pio X, a Latina (2003-2012); Assistente diocesano dell’Azione Cattolica (2003-2007); Segretario del Sinodo Diocesano (2005-2012). È stato anche Coordinatore della Consulta Diocesana delle Aggregazioni Laicali e Direttore del mensile della Diocesi “Chiesa Pontina”. Attualmente è: Direttore della Scuola Diocesana di Teologia “Paolo VI” (dal 1994); Vicario Episcopale per la Pastorale diocesana (dal 1999); Responsabile dei seminaristi diocesani (dal 2007); Parroco della parrocchia Sacro Cuore e Amministratore Parrocchiale di S. Pio X, a Latina (dal 2012). Inoltre, è Docente di Storia della Chiesa medievale presso la Pontificia Università Gregoriana. Partecipa come Relatore in molti convegni in Italia e all’Estero, specialmente sul Francescanesimo. Ha all’attivo numerose pubblicazioni, tra libri, articoli e saggi. 

Nella sua prima lettera scrive ai presbiteri, diaconi, persone consacrate, fedeli laici della Chiesa di Dio che è in Benevento: Carissimi fratelli e figli, “grazia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù, nostro salvatore” (Tt 1,4).

Vi scrivo con schiettezza, anche se con “timore e trepidazione” (1Cor 2,3): chiamato dal Nunzio Apostolico, dopo una prima reazione di sconcerto, il mercoledì delle Ceneri mi sono recato in Nunziatura intenzionato ad aderire a qualsiasi decisione mi sarebbe stata da lui comunicata. Così ho fatto, avendo appresa la scelta del Santo Padre che m’inviava a voi; poi, però, sono insorti interrogativi e timori nel considerare l’alto compito al quale la fiducia del Papa mi aveva chiamato. Vi assicuro tuttavia che sono contento di venire tra voi, certo che mi aiuterete con la collaborazione e la preghiera, in questo tempo santo di Quaresima anzitutto, nel quale dobbiamo piegare “l’orecchio del cuore” ai comandi del Maestro (San Benedetto da Norcia), e nei mesi e negli anni a venire.

Risuonano alla mia mente, in questi frangenti, le parole ispirate di Gregorio Magno, subito dopo la sua elezione a Vescovo di Roma: “Il posto più elevato è retto bene quando colui che presiede domina sui vizi piuttosto che sui fratelli. Regge bene la potestà ricevuta chi sa detenerla e sa contrastarla. Sa reggere bene una tale potestà chi, con essa, sa ergersi contro le colpe, sa porsi sul piano degli altri” (Lettere I, 24).

Questo desidero con tutte le forze: camminare insieme a voi, rafforzare l’unità, accrescere la comunione, perché possiamo aderire insieme – e totalmente – al nostro “grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore” (San Francesco d’Assisi). A tutti voi, fratelli e figli carissimi, in attesa d’incontrarci, il mio saluto cordiale e sincero. (Felice Accrocca Arcivescovo eletto di Benevento).

 

E  S.E. Monsignor  Andrea Mugione, Amministratore apostolico di Benevento, annuncia il suo successore il 18 febbraio 2016, con queste parole.

La figura dell’Apostolo Pietro, pastore supremo, si presenta con tre preziose indicazioni per noi presbiteri: Conpresbitero, Testimone della sofferenza e partecipe della gloria che deve rivelarsi. Non fa leva sulla sua autorità o sul prestigio ma sulla solidarietà nelle sofferenze con Cristo e con le sofferenze e i patimenti del popolo di Dio, il Cristo della storia. Questa compartecipazione nel vivere il ministero di pastore consentirà a Pietro e ai presbiteri di attendere con fiducia la corona di gloria con il

Cristo della risurrezione. Pietro, poi, compendia il mistero delle guide proposte alla comunità, in due forme verbali: “pascolate sorvegliando”. C’è una stretta relazione tra Cristo e il ministero pastorale. E’ l’ecclesiologia di comunione perché il gregge appartiene a Dio e non è proprietà dei presbiteri. In questo quadro di reciproca comunione e dignità del gregge-comunità, Pietro ci suggerisce la suprema regola pastorale sul modo di svolgere il ministero esortandoci con tre coppie di insegnamenti in formula di avverbi: – Volontariamente. Come Cristo Gesù si è dato liberamente, ha dato volontariamente la sua vita. – Generosamente perché l’anima del ministero è l’amore gratuito, la carità pastorale e non l’interesse, il prestigio. – Umilmente, non signoreggiando, facendo prevalere i diritti sul servizio e la dedizione, mettendoci in guardia da un esercizio dispotico dell’autorità.

 

INTERVENTO DI MONS. MUGIONE AL TERMINE DELLA PREGHIERA

Cari fratelli e sorelle, con grande gioia vi annuncio che il Santo Padre Francesco, dopo aver accettato la mia rinuncia al governo pastorale dell’Arcidiocesi presentata per raggiunti limiti di età il 9 novembre scorso, ha nominato nuovo Arcivescovo di Benevento il Rev.do Felice Accrocca, del clero della Diocesi di Latina – Terracina – Sezze- Priverno, attualmente Parroco e Vicario Episcopale per la Pastorale.

Rendiamo grazie a Dio che nella sua provvidenza ha scelto il presbitero Felice quale maestro, sacerdote e guida della nostra Diocesi e preghiamo il Pastore grande delle pecore perché illumini e sostenga il ministero del nostro nuovo Pastore.

Ringraziamo, inoltre, il Santo Padre Francesco che ha scelto don Felice e lo ha mandato a noi come nostro Padre, Pastore e Guida e ringraziamo lui, l’eletto, che ha accettato di servire la Chiesa che è in Benevento.

Gli porgiamo il più affettuoso e caloroso benvenuto in questa sua e nostra famiglia. Esprimiamo l’abbraccio di comunione, di accoglienza, di stima e, soprattutto, di obbedienza, collaborazione e corresponsabilità.

Assicuriamo la nostra preghiera perché il Signore aiuti il nostro Arcivescovo Felice nell’essere e operare da uomo di preghiera, di comunione e fraternità, di misericordia, uomo della pastorale integrale e d’insieme, dell’evangelizzazione e missione. Ho spesso citato le parole di San Francesco di Sales che affermava che le guide, i pastori delle comunità devono avere, ed essere, una tazza di scienze, un pozzo di sapienze e prudenza e un oceano di pazienza e sopportazione. Viviamo questo tempo quaresimale e pasquale come tempo di forte preghiera per lui e per tutti noi. Viviamo l’attesa per prepararci a una nuova stagione del cammino di costruzione della nostra amata Chiesa beneventana.

Siamo consapevoli di essere pellegrini nella storia di salvezza dove non tutto è cominciato con noi e non tutto terminerà con noi. Ma viviamo questo momento di Chiesa nell’Anno della misericordia come impegno di conversione personale e pastorale con un cambio di passo nella continuità e un sussulto profetico per annunciare e testimoniare Cristo Signore e Salvatore.

Non si tratta di cambiare qualcosa o molto nelle strutture della pastorale ma si tratta di un cambiamento della mente, del cuore e dello stile di vita.

Dal cuore nuovo uscirà il dinamismo missionario della Chiesa in uscita per raggiungere più credibilità, sobrietà , essenzialità e generosità come è stato in tanti periodi splendidi della nostra storia millenaria. Rimango a vostro servizio, in qualità di Amministratore Apostolico, fino alla presa di possesso dell’Arcivescovo Felice.

 

Anche a Latina è stato dato l’annuncio ufficiale, da monsignor Mariano Crociata, vescovo della città, che ha dichiarato: «È una gioia per la nostra Chiesa, per te caro don Felice, una gioia per l’arcidiocesi di Benevento. È una gioia per te: gioia non solo umana, perché unita a trepidazione per una chiamata che sempre infinitamente ci supera, ma ugualmente sperimentata perché fondata nella liberalità dell’elezione di Dio che dona grazia e chiede generosità sempre più grande nel rispondere al suo invito dall’alto. E se Dio chiama, allora vuol dire che egli è con noi; egli sarà sempre con te, caro don Felice, non ti lascerà mai, non ti toglierà mai la gioia della sua presenza e della sua forza. Sì, perché quello che intraprendi, contrariamente a quel che potrebbe apparire a uno sguardo superficiale, è un rigoroso cammino di ascesi, di rinunzia a te stesso e di donazione totale, che diventa proprio per questo fonte di consolazione e di gioia». Tra l’altro, il Vescovo lo ha ringraziato per il sostegno ricevuto in questi primi due anni della sua missione episcopale in terra pontina. Da parte sua don Felice Accrocca ha spiegato: «Sono stato colto di sorpresa dalla decisione del Santo Padre e mi auguro di poter ripagare la fiducia che Papa Francesco ha riposto nei miei confronti. In questo momento mi rendo conto di quanto forte è il mio legame con la Chiesa pontina, che mi ha generato alla fede e mi ha accompagnato in questi decenni di vita sacerdotale».

 

P.RUNGI. COMMENTO ALLA SECONDA DOMENICA DI QUARESIMA 2016

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II DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)

Domenica 21 febbraio 2014

 

Trasfigurati dal perdono di Dio e dei fratelli

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

La seconda domenica di questo itinerario quaresimale dell’anno giubilare della misericordia ci porta a salire, con Gesù e coi i tre Apostoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, sul monte Tabor, il Monte della Trasfigurazione del Signore, ma anche a riscendere da questo monte, dopo l’esperienza della contemplazione della gloria di Dio, immergendoci nella vita di tutti i giorni e sapendo accogliere anche le prove che ci attendono. Oggi, infatti, il Vangelo di Luca ci racconta di questo momento estasiante dei tre discepoli del Signore che si trova ad assistere, per la stessa volontà di Gesù, a questo momento della sua vita, prima di salire il monte del Calvario. Cosa successe su quel monte è detto con precisione dall’evangelista: “Mentre pregava, il suo volto di Gesù cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante”.

Prima costatazione di una trasformazione esteriore di Gesù visibile e percepibile agli occhi dei tre apostoli, che rimasero sbalorditi e positivamente impressionati da quella visione celestiale. Gesù sul monte Tabor non è solo in questo suo apparire, in questa sua nuova teofania, Insieme a Lui ci sono  due uomini che conversavano con lui: “erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme”. Sono due personaggi molto conosciuti presso il popolo ebraico. Per cui agli apostoli non è difficile riconoscerli, anche se Pietro, Giacomo e Giovanni, pur essendo assonnati,  “quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui”.

Questa apparizione di Mosé ed Elia vicino ha Gesù facci capire esattamente di cosa ha bisogno l’uomo per incontrare Dio, per trasfigurarsi in Lui, per contemplarlo nella sua gloria. Ci vogliono tre cose essenziali: la fede-contemplativa, la parola che è vita e la profezia che è speranza ed annunzio. In un attimo i tre discepoli sperimentano contemporaneamente questo stato di benessere spirituale ed anche fisico, al punto tale, che Pietro prende la parola e si rivolge a Gesù, trasmettendo a Lui lo stato di benessere assoluto in cui si trovano tutte e tre in quel momento: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa».

Commentando questa situazione, l’Evangelista Luca, annota questo fatto: “Egli, Pietro, non sapeva quello che diceva”. Sarà stato il sonno, sarà stata la visione beatifica a cui assistono, certo è che, nel descrivere il fatto, Luca annota che “mentre Pietro parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura”. Immersi totalmente nella dimensione della contemplazione dell’eterno i tre discepoli sentirono con chiarezza una voce che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». In altra circostanza una voce aveva detto di ascoltare Gesù e fu in occasione del Battesimo al Giordano. Anche in quella circostanza Gesù è indicato come il Figlio di Dio al quale bisogna prestare la giusta attenzione a quanto Egli afferma. Chiaro invito a fare tesoro di ogni parola che esce dalla bocca del Signore se vogliamo rinnovarci e convertirci a Lui.

Non senza una sottile connotazione spiritualistica che l’Evangelista Luca, afferma a chiusura di quanto è successo il Monte della Trasfigurazione che “appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto”. Il silenzio interiore, la meditazione, la contemplazione richiedono tempi di concentrazione su se stessi, perché ciò che si è udito e visto possa trasformare il cuore, la mente e la vita.

Questo invito al cambiamento radicale di noi stessi, soprattutto in questo tempo di Quaresima ci viene suggerito, indicato e dettagliatamente proposto dal brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési: “Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo”. Chi sono i nemici della croce di Cristo, sono tutti coloro che non hanno fede, non  accettano l’insegnamento di Cristo nel suo vangelo, non agiscono rettamente e vivono la solo dimensione terrena e materiale della propria esistenza, al punto tale che il ventre è il loro dio e si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi”.

Per gli amici della croce del Crocifisso invece esiste un’altra prospettiva ed un altro modo di vivere che è quello che guarda il cielo e agisce in prospettiva dell’eternità. Infatti, scrive l’Apostolo che “la nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose”.

Si tratta di avere fede ed una fede forte, nel credere fermamente alla parola di Dio, alle promesse che Cristo ci ha detto: “Ed io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (12,32).

Riecheggiano in queste parole, ciò che leggiamo nella prima lettura, e che il Signore rivolse ad Abramo: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia. La vecchia alleanza stipulata da Dio con Abramo e la nuova alleanza stipulata da Cristo con l’umanità nel mistero della Pasqua ha un solo filo conduttore: l’amore misericordioso di Dio, manifestato a noi nella croce di Cristo. E’ tale amore che può e deve trasfigurare la nostra mente, il nostro cuore e la nostra vita, nell’attesa di contemplare per sempre il volto glorioso e luminoso di Cristo nell’eternità. Quel Paradiso che i tre discepoli del Signore ebbero modo di sperimentare sul monte Tabor e che noi speriamo di avere in premio, per l’eternità, a conclusione del nostro cammino terreno.

P.RUNGI. FAMIGLIE MISERICORDIOSE

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RIFLESSIONE DI PADRE ANTONIO RUNGI

 

FAMIGLIE MISERICORDIOSE

 

1.DALLA LETTERA DI SAN PAOLO APOSTOLO AGLI EFESINI (5, 22-31)

 

22 Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; 23 il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. 24 E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. 25 E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, 26 per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, 27 al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. 28 Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. 29 Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, 30 poiché siamo membra del suo corpo. 31 Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola.

 

2.LETTERA AGLI EFESINI (6,1-4)

 

1 Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. 2Onora tuo padre e tua madre! Questo è il primo comandamento che è accompagnato da una promessa: 3perché tu sia felice e goda di una lunga vita sulla terra. 4E voi, padri, non esasperate i vostri figli, ma fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore.

 

3.DALL’OMELIA DI PAPA FRANCESCO IN OCCASIONE DEL GUBILEO DELLE FAMIGLIE (ROMA 27 DICEMBRE 2015)

 

Nell’Anno della Misericordia, ogni famiglia cristiana possa diventare luogo privilegiato di questo pellegrinaggio in cui si sperimenta la gioia del perdono. Il perdono è l’essenza dell’amore che sa comprendere lo sbaglio e porvi rimedio. Poveri noi se Dio non ci perdonasse! E’ all’interno della famiglia che ci si educa al perdono, perché si ha la certezza di essere capiti e sostenuti nonostante gli sbagli che si possono compiere.

 

Non perdiamo la fiducia nella famiglia! E’ bello aprire sempre il cuore gli uni agli altri, senza nascondere nulla. Dove c’è amore, lì c’è anche comprensione e perdono. Affido a tutte voi, care famiglie, questo pellegrinaggio domestico di tutti i giorni, questa missione così importante, di cui il mondo e la Chiesa hanno più che mai bisogno.

 

4. Dichiarazione congiunta di Papa Francesco e il Patriarca Kirill di Mosca (La Havana 12 febbraio 2016), nn. 19-21

 

19. La famiglia è il centro naturale della vita umana e della società. Siamo preoccupati dalla crisi della famiglia in molti paesi. Ortodossi e cattolici condividono la stessa concezione della famiglia e sono chiamati a testimoniare che essa è un cammino di santità, che testimonia la fedeltà degli sposi nelle loro relazioni reciproche, la loro apertura alla procreazione e all’educazione dei figli, la solidarietà tra le generazioni e il rispetto per i più deboli.

 

20. La famiglia si fonda sul matrimonio, atto libero e fedele di amore di un uomo e di una donna. È l’amore che sigilla la loro unione ed insegna loro ad accogliersi reciprocamente come dono. Il matrimonio è una scuola di amore e di fedeltà. Ci rammarichiamo che altre forme di convivenza siano ormai poste allo stesso livello di questa unione, mentre il concetto di paternità e di maternità come vocazione particolare dell’uomo e della donna nel matrimonio, santificato dalla tradizione biblica, viene estromesso dalla coscienza pubblica.

 

21. Chiediamo a tutti di rispettare il diritto inalienabile alla vita. Milioni di bambini sono privati della possibilità stessa di nascere nel mondo. La   voce del sangue di bambini non nati grida verso Dio (cfr Gen 4, 10).

Lo sviluppo della cosiddetta eutanasia fa sì che le persone anziane e gli infermi inizino a sentirsi un peso eccessivo per le loro famiglie e la società in generale.

Siamo anche preoccupati dallo sviluppo delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, perché la manipolazione della vita umana è un attacco ai fondamenti dell’esistenza dell’uomo, creato ad immagine di Dio. Riteniamo che sia nostro dovere ricordare l’immutabilità dei principi morali cristiani, basati sul rispetto della dignità dell’uomo chiamato alla vita, secondo il disegno del Creatore.

 

4.RIFLESSIONE SU TEMA

 

4.1.L’AMORE MISERICORDIOSO NELLE RELAZIONI FAMILIARI

 

Nell’Enciclica di Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia, leggiamo il seguente brano: “L’amore misericordioso è sommamente indispensabile tra coloro che sono più vicini: tra i coniugi, tra i genitori e i figli, tra gli amici; esso è indispensabile nell’educazione e nella pastorale” (n. 14).

Per il Papa l’amore misericordioso costituisce un programma per la Chiesa, come pure uno dei principali temi di predicazione, come lo era stato per Cristo.

 

4.2.LA FAMIGLIA, SORGENTE DELL’AMORE

 

Quale programma di amore misericordioso è possibile nelle nostre famiglie?.

 

L’ambiente familiare e l’amore reciproco tar i membri sono la prima sorgente dell’amore misericordioso in famiglia e i genitori ne sono “i primi maestri”.

La misericordia diviene elemento indispensabile per plasmare i mutui rapporti tra gli uomini, tra i coniugi, i genitori e figli, “nello spirito del più profondo rispetto di ciò che è umano e della reciproca fratellanza”.

La prossimità diventa il criterio fondamentale  per migliorare la qualità dei rapporti  tra  “coloro che sono più vicini”, il cosiddetto “prossimo”. E il prossimo nella famiglia è innanzitutto costituito dalla moglie, dal marito, dai figli.

È nella quotidianità, nelle espressioni paraliturgiche familiari (come il trovarsi insieme a tavola almeno una volta al giorno, le vacanze comuni, gli anniversari, i lutti ecc.), che la famiglia diventa “agape”, ed è qui che il bambino comincia a conoscere l’amore.

Non per nulla sulla soglia di una casa, “che può essere considerata la prima chiesa domestica”, da una Madre ad una Madre s’innalzarono “le parole pasquali” del Magnificat: “Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su coloro che lo temono”. Questo “processo” d’amore e di vita è innestato nella dinamica familiare. È qui che lo spirito di misericordia viene tradotto in comunicazione, ascolto, accettazione reciproca, empatia e sostegno verso tutti i membri della famiglia. È questo “lo stile di vita” del cristiano, che gli permette di porsi come essere libero, cosciente e responsabile davanti a Dio e verso i membri della sua famiglia.

 

4.3. L’AMORE NEI RAPPORTI FAMILIARI E DI COPPIA

 

Giovanni Paolo II afferma che “l’amore misericordioso nei rapporti reciproci non è mai un atto o un processo unilaterale”, come lo può essere un amore egoistico o fondato su principi edonistici, che porta alla lacerazione di tante coppie.

Per lui l’amore è “donazione”, comportante il dimenticare se stessi, il farsi piccoli per lasciar crescere il partner. È un dare più che un ricevere, è un sostegno all’altro.

Egli scrive: “Colui che dona diventa più generoso” e la donazione serve a “unire gli uomini fra di loro in modo più profondo”.

Gesu’ Cristo crocifisso, è “uno sconvolgente modello”, “magnifica fonte dell’amore misericordioso”.  Papa Francesco, nella Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, scrive: “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre… Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona rivela la misericordia di Dio” (MV,1).

In situazioni di separazione o di divorzio, manca spesso la capacità di perdonarsi a vicenda con amore”. Se “si eliminasse il perdono” e la riconciliazione, prosegue l’enciclica, “egoismi di vario genere” finiscono molte volte per trasformare la vita matrimoniale in “un’arena di permanente lotta” tra marito e moglie. E’ molto difficile il perdono e la riconciliazione tra i coniugi, se manca una vera visione di fede e una coscienza della dignità della famiglia.

 

4.4. L’AMORE GENITORI – FIGLI

 

“L’amore misericordioso sommamente indispensabile… tra i genitori e i figli… nella educazione e nella pastorale”. (n. 14), nel quadro di una pedagogia di educazione all’amore.

Molti bambini oggi fanno ai loro genitori la stessa domanda di Filippo a Gesù, e che il Papa cita in apertura dell’Enciclica Dives in Misericordia, da cui attinge abbondantemente Papa Francesco: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”.  Dimostrate che vi volete bene, che ci volete bene!

Cosa rispondono molti genitori? Non rispondono affatto,  ignorano la domanda, fuggono dalle loro responsabilità o rispondono con il silenzio, perché non hanno l’autenticità nell’amore. E diciamola tutta: non hanno fede.

Le conseguenze quali sono: che molti giovani, raggiunti l’età maggiorenne scappano letteralmente via dalla loro casa, dai loro genitori, come il figlio prodigo della parabola, imboccando non sempre strade buone e realizzandosi nella vita.

Quanti giovani oggi si trovano fuori casa e non hanno il coraggio di ritornare dal padre, perché non trovano genitori disponibili alla riconciliazione?

 

4.5. PROFESSARE E PROCLAMARE L’AMORE

 

Per professare e vivere l’amore nelle nostre famiglie, è necessario pregare. Senza preghiera la famiglia diventa arida e finisce. Deve essere una preghiera viva e dinamica, che dia al cristiano la forza di “professare e proclamare la misericordia divina in tutta la verità” (n. 13).

Inoltre, è necessario vivere il perdono.  L’amore è più potente della debolezza, delle divisioni umane. Esso può realizzare davvero l’unità familiare e sociale.

 

Proviamo a tracciare un percorso dell’amore misericordioso.

 

a)Le parrocchie, ma anche le varie istituzioni religiose, devono favorire la costituzione di comunità  fondate sui valori di amore e di vita, sull’esempio della prima comunità cristiana di Gerusalemme:Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo” (At 2,42-47).

 

C’è da chiedersi se da un punto di vista cristiano è condivisibile la separazione dei beni, rispetto alla comunione dei beni nell’ambito del matrimonio. Un progetto di vita insieme richiede anche la capacità di condividere tutto beni o non beni. Il matrimonio e la famiglia hanno senso se si fa comunione e di condivide tutto nella sincerità e nella serietà di intenti.

 

b) Bisogna farsi carico delle famiglie in difficoltà, in particolare quelle separate, divorziate o con problemi economici, con problemi di salute e di composizione del nucleo familiare.

 

Per queste situazioni l’amore misericordioso dovrebbe esprimersi in una testimonianza di accoglienza, valorizzazione, o per lo meno, paziente convivenza con l’anziano in famiglia, o con il diversamente abile, o l’emarginato nostro parente. Tutti siamo colpevoli di peccati di omissione verso questi bisognosi.

 

c) Va  favorito, sostenuto, aiutato il lavoro spesso difficile condotto dai Movimenti per la Vita, Consultori e Consulenti, ostetriche, infermieri e medici di ispirazione cristiana, e delle molte altre organizzazioni e gruppi di volontariato che si occupano delle varie forme di emarginazione, spesso anche familiare, o che nella famiglia trovano la loro origine, indotte dalla società attuale.

 

d) La formazione pedagogica deve essere improntata all’amore, imperniata sulla misericordia. Ciò richiede da parte dei genitori l’assunzione di uno stile di vita tramite il quale essi insegnino ai figli ad amare la carità, la povertà, la giustizia, la tolleranza, e ad avere un rispetto profondo per la persona. Il che comporta l’apertura della propria famiglia ad altre famiglie, all’ambiente sociale ed ecclesiale. Uscire fuori dai propri recinti superprotetti, con inferriate, reali o simboliche, collocate da ogni parte, per non uscire e per non fare entrare.

 

e) Testimoniare “il Vangelo della misericordia” in tutti gli ambienti, oltre quello familiare. Non si può predicare bene in famiglia e poi razzolare male al di fuori.

 

f) L’educazione dei giovani alla sessualità e la preparazione al matrimonio, deve essere fatta con coscienza, conoscenza e competenza, secondo l’etica e i valori cristiani, per chi vuole celebrare il matrimonio secondo il rito di santa romana chiesa.

 

g) Coinvolgere le famiglie: da famiglia a famiglia. In questo senso devono essere promossi i gruppi di coppie e di famiglia. Il mantenimento e la diffusione della fede dipende molto da questo. L’evangelizzazione, infatti,  dipenderà in gran parte da queste “Chiese domestiche”.

 

h) Deve essere promossa e sviluppata una efficace spiritualità familiare. Non bastano le preghiere e il rosario di una volta, o la confessione e la comunione una volta all’anno, a Pasqua o Natale, o la partecipazione alla festa patronale, ci vuole una spiritualità più solida, che si costruisce nel tempo, soprattutto vivendo la propria esperienza di fede nella parrocchia, nei gruppi, nelle congregazioni religiose o in un qualsiasi ambiente cristiano e religioso, dove al centro ci sia solo l’esperienza di un vero amore misericordioso, che attingiamo da cuore amabilissimo di Gesù e di Maria, ma anche di Giuseppe, padre putativo di Gesù Cristo.

 

5. Conclusione

Concludiamo con una delle espressioni più efficaci usate da Papa Francesco in merito alla famiglia: “Per portare avanti una famiglia è necessario usare tre parole: permesso, grazie, e scusa.  Chiediamo “permesso” per non essere invadenti;  diciamo “grazie” per l’amore, quante volte al giorno dici grazie a tua moglie e tu a tuo marito, quanti giorni passano senza dire grazie;  e l’ultima, “scusa”: tutti sbagliamo e a volte qualcuno si offende nella famiglia e nel matrimonio, e alcune volte volano i piatti, si dicono parole forti, ma il mio consiglio è non finire la giornata senza fare la pace. La pace si rifà ogni giorno in famiglia, e chiedendo scusa si ricomincia di nuovo. Tornando a casa chiedete scusa ai vostri mariti e figli, se non l’avete fatto mai o se pensate che devono essere gli altri a chiedere scusa a voi. Ricordate ciò che dice il Vangelo:“Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all’altare e và prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono”(Mt 5,23-24).

IL VENERABILE PADRE FORTUNATO DE GRUTTIS – PASSIONISTA

PADRE FORTUNATO

FALVATERRA (FR). IL VENERABILE PADRE FORTUNATO DE GRUTTIS: UN MARTIRE DEL CONFESSIONALE

di Antonio Rungi

Il prossimo 3 marzo 2016 sono esattamente 190 anni dalla nascita di uno dei religiosi passionisti, oggi venerabile, che ha svolto il suo intenso ministero sacerdotale nel confessionale per circa 40 anni.

Nell’anno giubilare della misericordia, la sua esemplare figura di ministro della riconciliazione è particolarmente indicata per quanti, sacerdoti e vescovi sono impegnati nel ministero del sacramento del perdono, ma anche per tutti i fedeli che sono desiderosi di accostarsi al sacramento della confessione in questo tempo di grazia particolare.

Padre Fortunato è considerato un vero martire del confessionale, come è stato definito nel decreto per il riconoscimento dell’eroicità delle virtù, in quanto  ha svolto il servizio di confessore soprattutto nel Ritiro dei Passionisti di San Sosio Martire in Falvaterra (Fr). Un servizio che copriva praticamente l’intera giornata del religioso, ad eccezione dei pochi momenti per la preghiera comunitaria e della sua partecipazione agli atti comunitari e al breve tempo del riposo notturno.

Padre Fortunato, infatti, passava il suo tempo e viveva la sua vita sacerdotale svolgendo il ministero della riconciliazione e della direzione spirituale. “Confessando, diceva, rendo qualche beneficio alla mia Congregazione a cui altrimenti sarei solo di peso”.

Gli ultimi trentacinque anni della sua esistenza sono caratterizzati dall’apparente  monotonia del confessionale, che, in realtà, sono i tempi di grazia vissuti con un delicato e misterioso contatto con le coscienze, che si aprivano a lui nel confessionale.  Padre Fortunato, trasparente e dolce icona della paternità di Dio e veicolo prezioso della sua misericordia,  ogni giorno, per tanti anni, scrive stupende storie di grazia sulle pagine viventi delle anime.

Ai tantissimi penitenti  i accosta con stupore e con delicatezza, incarnando la figura di Gesù “mite e umile di cuore”. Di essi è padre e fratello, pastore e amico. Samaritano sempre pronto a lenire i dolori dei cuori spezzati dal male. E’ sensibile, accogliente, equilibrato, prudente ma soprattutto santo. Solo così si spiega la lunga fila di fedeli davanti al suo confessionale, che si costituiva fin dalle primissime ore del mattino. Pazienti, attendono per ore e ore sospirando il proprio turno. Alcuni anticipano addirittura l’alba per abbreviare il tempo dell’attesa. Spesso vanno via  dal confessionale con le lagrime agli occhi. “Cosa dirà mai padre Fortunato a questa gente, per farla piangere così?”, si domandano in molti. Niente di straordinario, ma padre Fortunato ha avuto il dono di far comprendere il mistero del peccato e la bontà di Dio crocifisso per amore e dall’amore. E’ riuscito a scavare negli abissi del cuore risvegliando la nostalgia di Dio. Non è accomodante, non nasconde il male, a volte può sembrare addirittura severo; eppure chi si confessa da lui non lo abbandona più e non ricerca altri confessori.

Dai paesi vicini e lontani, (Falvaterra, Ceprano, San Giovanni Incarico, Pico, Pastena, Isoletta, Fondi e da tanti altri luoghi della Ciociaria) vanno a San Sosio a turno: i penitenti spontaneamente si sono distribuiti lungo i giorni della settimana. Ad inginocchiarsi davanti a lui non è soltanto gente del popolo; arrivano anche suore, religiosi, sacerdoti, vescovi, ma soprattutto fedeli laici. E i frutti di bene sono evidenti. Con la sua direzione spirituale avvia molti alla vita religiosa e sacerdotale, alla responsabilità del matrimonio e della famiglia. A volte non è necessario che i penitenti manifestino i loro peccati, perché è lo stesso Fortunato che ne fa un elenco preciso e completo con evidente stupore degli interessati. Lo vedono confessare sempre rivolto e piegato sul lato destro. Non è sordo all’orecchio sinistro, come pensano alcuni che non riescono a spiegarsi altrimenti quell’atteggiamento. Ve lo costringe la malattia di cui era affetto: artrite reumatica con complicazioni cardiache.  Resta così per ore e ore chiuso nel confessionale non certo, comodo e riposante, mentre la fila dei penitenti aumenta sempre più.

Anticipando i tempi esorta alla comunione frequente, addirittura quotidiana anche senza premettere la confessione quando l’amicizia con Dio è solo incrinata e non rotta dal peccato grave.

Il suo donarsi ai penitenti non finisce in confessionale: li porta tutti nel cuore e li presenta al Signore nella preghiera. Durante la quale resta sempre in ginocchio nonostante la malattia. Stare immobile in contemplazione estatica gli è del tutto naturale. Per queste ragioni spirituali e sacerdotali, a lui giungevano da ogni parte della vastissima zona della Ciociaria, dove i passionisti erano presenti dal 1748 a Ceccano e nella stessa Falvaterra dal 1751.

Per incontrarlo e per una sua parola salivano dal mare del sud Pontino o scendevano dalle colline della catena degli Aurunci o montagne dell’Abruzzo, dove era nato. Arrivavano da vicino e da lontano. Uomini e donne. Adulti e bambini. Ad ogni ora. Alla spicciolata o in piccoli gruppi organizzati. Ripartivano illuminati e sereni. Un ininterrotto pellegrinaggio di anime in pena durato circa 40 anni nel solo Ritiro di Falvaterra. Padre Fortunato si faceva trovare al solito posto disponibile ad accoglierli come li aspettasse da sempre. Il confessionale testimone e depositario di tante segrete sofferenze e di luminose parole di grazia è ancora nel Santuario di San Sosio Martire e le sue spoglie mortali, a pochi metri, nella stessa chiesa, al lato destro di chi entra nel luogo di culto, meta continua di fedeli che si fermano in preghiera davanti alla sua tomba. Osservare il confessionale di padre Fortunato che è rimasto al suo posto, scorrono davanti agli occhi  e dentro il cuore dei pellegini immagini di una vita edificante e ricca di bene.

Padre Fortunato erano nato a Roccavivi (Aq) il 3 marzo 1826  da Luigi De Gruttis e Angela Colone. Era il primo di sei figli e lo chiamarono Paolo, rinnovando il nome del nonno paterno.  L’infanzia di Paolo trascorse serena nel suo paese natio. A 13 anni il 10 ottobre 1839 riceve la cresima nella vicina chiesa parrocchiale dove è chierichetto da sempre. A 14 entra è già nel seminario diocesano di Sora, dove resterà per tre anni con la chiara idea di diventare prete. Nel marzo del 1842 arrivano a Sora i Passionisti e si stabiliscono in un vecchio convento abitato precedentemente dai Cappuccini. I passionisti, oltre che nella loro chiesa, nel Paese e nella Diocesi di Sora, predicano spesso in seminario, dove è in discernimento vocazionale il giovane seminarista Paolo De Gruttis. Nelle diverse volte che li ascolta,  si sente attratto dal loro stile di vita, fatto di solitudine, preghiera e penitenza. Riflette, chiede consigli, implora luce dal Signore. Dopo un corso di esercizi spirituali predicati dal passionista padre Raimondo Scannerini, Paolo vede chiaro il suo futuro e matura definitivamente la decisione: chiede ed ottiene di lasciare il seminario diocesano per entrare tra i Passionisti. Parte, con la benedizione del vescovo e il consenso dei genitori, per il Noviziato dei Passionisti, abbastanza lontano da Sora e dal suo paese natio, soprattutto in quei tempi, per mancanza di mezzi di trasporto e di strade.

Nel giugno del 1843 arriva nel convento di Paliano (Frosinone) dove inizia il noviziato prendendo il nome di Fortunato Maria.

L’anno seguente, il 15 giugno, emette la professione religiosa. Prosegue il cammino verso il sacerdozio nel convento di Ceccano (Frosinone) e successivamente in quello di San Sosio Martire presso Falvaterra (Frosinone), quasi ai confini tra il Regno di Napoli e lo Stato pontificio.

Nella formazione intellettuale curata con impegno e profitto ha ottimi maestri; degno di particolare citazione è il confratello padre Gabriele Abisati, teologo al Concilio Vaticano I.

Padre Fortunato è ordinato sacerdote a 22 anni e 10 mesi il 23 dicembre 1848 in un periodo particolarmente incerto e burrascoso per l’Italia che soffre rivoluzioni, spargimento di sangue e vendette politiche. Per questo l’ordinazione avviene nella cappella privata dell’episcopio di Veroli, quasi in clandestinità. La festa è tutta racchiusa nel cuore di Fortunato. Il neo-sacerdote porta all’altare la sofferenza della chiesa perseguitata e del Papa profugo a Gaeta.

Anche i Passionisti sono chiamati a pagare il loro tributo di dolore alla difficile situazione politica. Alcuni loro conventi vengono requisiti e i religiosi ne sono arbitrariamente espulsi. Nei primi anni del suo sacerdozio Fortunato peregrina per varie case religiose soprattutto nel basso Lazio e in Campania: San Salvatore Maggiore, diocesi di Poggio Mirteto nel 1851; Pontecorvo nel 1852; Ceccano nel 1853; Caserta nel 1857; ancora Ceccano nel 1866. Si dedica per quasi 10 anni alla predicazione di missioni popolari e di esercizi spirituali offrendo ovunque l’esempio di sacerdote umile, preparato e zelante. Nel 1857 lascia ogni tipo di predicazione e nel 1869 pianta la tenda a San Sosio dove resterà fino alla morte.

Nei pochi ritagli di tempo libero, comporrà “scritti spirituali” raccolti in un opuscoletto dal titolo “Filagia. Un pensiero per l’anima”. L’operetta, il cui titolo significa “amante della santità”, contiene utili consigli per la vita spirituale e per la meditazione, suggerimenti per offrire a Dio la propria giornata, precisazioni circa i fondamenti della perfezione.

Fortunato esce dal convento solo per visitare qualche malato. Sul finire del 1905 quasi ottantenne la sua malattia si aggrava. Scendendo in chiesa l’ultima volta per le confessioni, ad un’anima che gli chiede un ricordo spirituale da portare con sé dice semplicemente: “Ama Dio, temi Dio”.

Era stato il programma e l’insegnamento di tutta la sua vita. La mattina del 4 novembre 1905, dopo la celebrazione della messa, confida al religioso infermiere: “Fratel Antonino, è giunta l’ora di andare in Paradiso”. E poi lo prega caldamente: “Ti raccomando di farmi morire vestito da passionista e di non procurarmi un letto più soffice”.

La sera è colpito da improvvisa paralisi che lo lascia immobile e privo di parola. Non guarirà più.

Muore all’alba del 28 dicembre del 1905, in quel convento di San Sosio, dove per 37 anni consecutivi era stato ministro di grazia e di perdono per innumerevoli anime. Nonostante il pessimo tempo ed i rigori invernali, una folla immensa accorre ai suoi funerali e lo proclama subito “santo”.

Molti di nascosto gli tagliano pezzetti delle vesti per avere un ricordo su cui nei momenti di sconforto e di bisogno posare gli occhi ed confortare il cuore.

Viene sepolto nella cappella costruita nel giardino del convento.

Esumato nel 1926 le sue spoglie mortali riposano nella chiesa di San Sosio vicino a quel confessionale che era stata la sua casa. Anche oggi i fedeli si fermano davanti alla sua tomba a raccontargli i propri problemi, a confidargli le proprie amarezze. E se ne ripartono rasserenati. Fortunato del cielo continua ad ascoltarli e confortarli. La chiesa, riconoscendolo eroico nella pratica delle virtù, lo ho dichiarato venerabile l’11 luglio 1992. E a farlo fu un altro santo, San Giovanni Paolo II, Papa.

La causa di beatificazione è ancora in corso e si spera che in questo anno giubilare della misericordia, Papa Francesco, lo elevi agli onori degli altari con il titolo di Beato, in attesa della tanto auspicata canonizzazione. Il padre Pio dell’Abruzzo, come lo si definisce, continua ad ottenere dal Signore grazie di qualsiasi genere, soprattutto quelle della conversione del cuore. Nell’anno giubilare della misericordia, anche la vita esemplare di questo santo religioso e sacerdote passionista, può dire molto a chi è sinceramente incamminato sulla via del pentimento e del perdono.

ITRI (LT). NUOVA STATUA DI SAN GABRIELE DELL’ADDOLORATA DAI PASSIONISTI

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Itri (Lt). Nel Convento dei Passionisti nuova statua di San Gabriele dell’Addolorata

A tempo di record, è giunta questa mattina, martedì 9 febbraio 2016, direttamente dal Santuario di San Gabriele dell’Addolorata, all’Isola del Gran Sasso d’Italia, la nuova bellissima ed artistica statua di San Gabriele, in vetroresina, alta un metro e 30 centimetri.

Per diretto interessamento di padre Emiddio Petringa, superiore-rettore del Santuario della Civita, in due giorni la statua è stata portata al Convento dei Passionisti di Itri, dove dal 24 al 27 febbraio 2016, si svolgerà il triduo e la festa in onore del santo compatrono della gioventù italiana e patrono principale dell’Abbruzzo. Triduo che sarà predicato da padre Cherubino De Feo, in coincidenza del suo 80° compleanno.

Ad accogliere la nuova statua (il convento ne era sprovvisto), questa mattina a mezzogiorno esatto, è stata la comunità passionista del Santuario della Civita che cura il convento cittadino. Padre Antonio Rungi, come vice-superiore, in primis, padre Cherubino De Feo e padre Mario Corvino assicurano il servizio quotidiano e festivo al convento, ubicato in Via San Paolo della Croce. La nuova statua sarà benedetta, domenica prossima, 14 febbraio, alle ore 8.00, all’inizio della santa messa festiva della prima domenica di Quaresima. “Con san Gabriele dell’Addolorata –ha detto padre Antonio Rungi – vogliamo camminare incontro alla Pasqua di quest’anno giubilare della misericordia e proseguire il cammino spirituale ed apostolico che già stiamo facendo, come religiosi passionisti, sia al santuario della Civita che qui al Convento in questo anno giubilare. La presenza di tantissimi fedeli al Santuario della Civita e al Convento dei Passionisti ci spinge nella direzione di potenziare tutti gli strumenti per far innamorare di Gesù Crocifisso e della Beata Vergine Maria, sull’esempio di San Gabriele dell’Addolorata, tutti i devoti che frequentano i luoghi di culto curati dai noi passionisti qui a Itri. Il tempo più favore è proprio la Quaresima che è il tempo della predicazione per noi passionisti, è tempo di conversione, è tempo di penitenza e carità; per cui sull’esempio di San Gabriele vogliamo sentire maggiormente il peso e la responsabilità di essere missionari della misericordia, alla scuola di San Paolo della Croce, che ha vissuto per un breve periodo in questa terra, dal febbraio al settembre del 1726, quasi 300 anni fa, proprio durante il periodo di Quaresima e Pasqua, ritirandosi da eremita, insieme al fratello Giovanni Battista, sul santuario della Civita, prima di iniziare la grande avventura di dar vita alla Congregazione della Passione di Gesù Cristo, di cui San Gabriele dell’Addolorata è il santo passionista più conosciuto e venerato al mondo. Con Gabriele –ha concluso padre Rungi – vogliamo vivere l’anno della misericordia con la gioia nel cuore, con il sorriso sulle labbra e con la pace interiore, frutto di una sincera conversione al Signore. E permettetemi di esprimere un sincero e vivo ringraziamento ai nostri collaboratori del Convento dei Passionisti Sora, dove grande e sentita è la devozione a san Gabriele dell’Addolorata, che sono andati personalmente a prender la statua di San Gabriele, ad Isola del Gran Sasso, statua acquistata con i risparmi della Comunità passionista del Santuario della Civita-Itri. E, infine, un grazie anticipato a quanti parteciperanno al triduo e alla festa in onore di san Gabriele nel nostro Convento di Itri, dal 24 al 27 febbraio, in particolare ad Antonio Lebone che predisporrà il tosello nella nostra Chiesa per mettere in giusta evidenza la statua di san Gabriele, in modo che i fedeli possano pregare nei prossimi giorni e soprattutto prima e durante il giorno della festa del grande santo passionista che a Itri ha tantissimi devoti. Alla statua sarà associata una reliquia autentica di san Gabriele conservata gelosamente dai passionisti di Itri e che verrà esposta alla venerazione dei fedeli durante il triduo e la festa in onore del giovane santo passionista, morto il 27 febbraio 1862, ad appena 24 anni, di cui solo 6 vissuti in convento”.

PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA 2015. IL COMMENTO DI PADRE RUNGI

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PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)

DOMENICA 14 FEBBRAIO 2016

IL PELLEGRINAGGIO QUARESIMALE E GIUBILARE

Commento di padre Antonio Rungi

La prima domenica di Quaresima di questo anno giubilare straordinario della misericordia assume un significa speciale, per un duplice motivo: inizia il cammino verso la pasqua 2016 e si potenzia il nostro pellegrinaggio giubilare in questo anno della misericordia, di cui la Quaresima rappresenta il momento più intenso e forte. E’ lo stesso Papa Francesco che nella Bolla di indizione dell’anno santo della misericordia ha messo in giusto risalto questo tempo di conversione, pentimento, rinnovamento personale e comunitaria, di preghiera, di carità di ascolto, di penitenza che è la santa Quaresima. “La Quaresima di questo Anno Giubilare sia vissuta più intensamente come momento forte per celebrare e sperimentare la misericordia di Dio. ..Tante persone si stanno riavvicinando al sacramento della Riconciliazione e tra questi molti giovani, che in tale esperienza ritrovano spesso il cammino per ritornare al Signore, per vivere un momento di intensa preghiera e riscoprire il senso della propria vita. Poniamo di nuovo al centro con convinzione il sacramento della Riconciliazione, perché permette di toccare con mano la grandezza della misericordia. Sarà per ogni penitente fonte di vera pace interiore…I confessori sono chiamati ad essere sempre, dovunque, in ogni situazione e nonostante tutto, il segno del primato della misericordia…Tutti infatti, nessuno escluso, sono chiamati a cogliere l’appello alla misericordia. I missionari vivano questa chiamata sapendo di poter fissare lo sguardo su Gesù, « sommo sacerdote misericordioso e degno di fede » (Eb 2,17)…Si chieda loro di celebrare il sacramento della Riconciliazione per il popolo, perché il tempo di grazia donato nell’Anno Giubilare permetta a tanti figli lontani di ritrovare il cammino verso la casa paterna. I Pastori, specialmente durante il tempo forte della Quaresima, siano solleciti nel richiamare i fedeli ad accostarsi «al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia » (Eb 4,16).

Il percorso di questa Quaresima speciale è tracciato con le indicazioni del santo Padre, alle quali ci vogliamo attenere, mettendo in giusto risalto la parola di Dio, che deve accompagnare il nostro itinerario di fede, preghiera, carità, penitenza in questi 40 giorni che ci separano dalla Pasqua 2016, il cui cammino è iniziato mercoledì scorso con la solenne e significativa cerimonia dell’imposizione delle ceneri, in ricordo di quello che siamo e di quello che dobbiamo fare: siamo polvere e in polvere ritorneremo e in ragione di questo dobbiamo convertirci al vangelo.

La conversione inizia dall’ascolto della parola del Signore, dall’accoglienza di ciò che ci chiedi fare e dall’attuazione di quanto è scritto ed indicato per il nostro bene.

Primo impegno è quello di carattere esodale. Dobbiamo uscire da noi stessi, dal nostro egoismo, dalle nostre posizioni di comodo, per dare spazio alla parola che trasforma il cuore e la vita. Il testo della prima lettura di oggi, tratto dal Libro del Deuteronomio ci riporta all’origine della storia del popolo eletto, raccontato e sintetizzato nel discorso fatto da Mosè al popolo di Israele: “Mio padre era un Aramèo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele”.

Il pellegrinaggio giubilare, esodale consiste non solo nel fare memoria del nostro passato, contrassegnato dalla presenza di Dio nella nostra vita, la storia della nostra fede, ma anche in prospettiva futura, di quella terra promessa che è la Pasqua eterna del Regno di Dio.

Anche san Paolo, nella seconda lettura di oggi, tratta dalla sua lettera ai Romani, ci invita a rinnovare la nostra fede in Cristo e porre al centro del nostro itinerario quaresimale proprio il mistero della Pasqua, verso la quale ci stiamo dirigendo spiritualmente con questa Quaresima della carità, della preghiera e della penitenza. «Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore», cioè la parola della fede che noi predichiamo. Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza”.

Come svolgere questo itinerario quaresimale giubilare, lo possiamo comprendere meglio alla luce del testo del Vangelo di Luca, dedicato alle tentazioni di Gesù. Egli ritiratosi nel deserto prega, fa penitenza e si prepara alla predicazione. Nulla può il Diavolo davanti a Lui e i tentativi di inquinare con la logica perversa del suo pensiero negativo e distruttivo, non distolgono Gesù dal suo compito, dalla sua missione, né tantomeno posso intaccare la sua natura divina, eternamente predisposta a combattere ogni forma di male e di peccato, che il Diavolo porta ontologicamente in se stesso. Tanto è vero che il testo di Luca, conclude tutti i falliti tentativi del Diavolo di corrompere Gesù da un punto di vista umano, con un’espressione che ci fa riflettere e ci indirizza già al mistero della sofferenza di Gesù Messia, Maestro e Redentore: “Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato”. Gesù è l’esempio di come combattere le  fondamentali tentazioni di ogni essere umano: l’ attaccamento ai beni della terra, al denaro, l’orgoglio, il desiderio di potere e tutto quello che è la sete di gestire impropriamente la propria libertà. Tutto questa tendenza al male, tipica della natura corrotta dell’uomo, in seguito al peccato originale, si può superare se nella nostra vita si fa spazio l’amore di Dio, il distacco dalle cose della terra e la ricerca continua dei beni del cielo, quelli che hanno un valore per sempre ed eterno.

Sia questa, la nostra umile preghiera di pellegrini che cammino su questa terra portati in braccio dalle mani sapienti di un Dio che è amore e misericordia. Infatti, con il salmo 90, oggi eleviamo a Dio questo inno di lode e di ringraziamento, questo canto di speranza e fiducia in Colui che è la nostra forza e la nostra vita:Chi abita al riparo dell’Altissimo  passerà la notte all’ombra dell’Onnipotente. Io dico al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza,  mio Dio in cui confido». Non ti potrà colpire la sventura,  nessun colpo cadrà sulla tua tenda.  Egli per te darà ordine ai suoi angeli  di custodirti in tutte le tue vie. Sulle mani essi ti porteranno, perché il tuo piede non inciampi nella pietra.Calpesterai leoni e vipere,  schiaccerai leoncelli e draghi. «Lo libererò, perché a me si è legato,  lo porrò al sicuro, perché ha conosciuto il mio nome. Mi invocherà e io gli darò risposta; nell’angoscia io sarò con lui, lo libererò e lo renderò glorioso». Il cammino quaresimale è un cammino di libertà e di liberazione per chi sceglie di stare con Dio e dalla parte della verità.

P.RUNGI. SAN GABRIELE DELL’ADDOLORATA, IL SANTO DELLA GIOIA E DELLA MISERICORDIA

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SAN GABRIELE DELL’ADDOLORATA, UN SANTO DELLA MISERICORDIA E DELLA GIOIA 

di Antonio Rungi 

Per due motivi fondamentali, possiamo definire San Gabriele dell’Addolorata un santo della gioia e della misericordia. Il primo è perché seppe mantenere un atteggiamento costantemente improntato alla gioia, nonostante le tristi esperienze fatte con la perdita dei suoi cari,  sia quando era nel mondo e sia, una volta, entrato nel convento, continuò a vivere con il sorriso sulle labbra e la spada nel cuore con un comportamento consono alle regole dei Passionisti, improntate a grande austerità e severità; il secondo è perché la sua gioia l’attingeva da una vita di preghiera, di carità e di generosità verso gli altri.  In questo anno giubilare della misericordia, Gabriele dell’Addolorata costituisce un santo della misericordia e perciò stesso un santo giubilare perché ha vissuto la sua breve esistenza di appena 24 anni di vita costantemente rivolto a Dio e disponibile verso gli altri. Pur non arrivando al sacerdozio, verso il quale era incamminato con i suoi studi, la misericordia la visse nella prossimità alla sua famiglia d’origine e a quella successiva dei passionisti. Fu un santo della misericordia perché seppe tradurre la sua esistenza in una lode perenne a Dio, mediante un costante atteggiamento di preghiera, di apertura agli altri, di missionarietà. Nei suoi scritti, soprattutto nelle lettere scritti ai suoi cari dal Convento di Morrovalle e poi dall’Isola del Gran Sasso, si coglie questa dimensione gioiosa della vita, anche tra i passionisti. Una gioia che egli seppe alimentare alla meditazione quotidiana della passione di Cristo e dei dolori della Vergine Maria. Ma il suo costante riferimento di una spiritualità di portata ascetica era la santissima eucaristia, alla quale si accostava, ogni giorno, con un atteggiamento interiore ed esteriore da “vero santo eucaristico”.

In questo anno giubilare della misericordia, san Gabriele può essere legittimamente incluso tra i santi giubilari e della misericordia per la straordinaria vita da santo, vissuta in breve, ma intenso tempo dedicato alla vita dello spirito e immerso nei veri ed eterni valori che derivano dalla Passione del Signore e dai dolori della sua e nostra Madre Addolorata. Proporlo in questo anno santo come esempio di vita, non solo per i giovani, di cui è il compatrono, ma a tutti i credenti, significa indicare un altro possibile percorso di santità a chi è seriamente intenzionato a fare di questo tempo di grazia un vero tempo di pentimento, conversione e misericordia. Gabriele è il giovane coraggioso ed attento alla voce del Signore e dello Spirito Santo, al quale si rende docile e malleabile, che seppe dire no alle gioie di un mondo e di una mondanità che non può dare la vera gioia, per affermare il suo convinto sì a seguire Cristo, sulla vita stretta dei consigli evangelici di castità, povertà ed obbedienza.

La sua vita è un inno alla vita, alla vera vita, alla vera gioia di stare insieme ai fratelli per condividere con essi il cammino di una santità fatta di essenziale. La sua vita è un inno alla gioia, perché ha saputo trarre dalle sofferenze della vita, la gioia della passione di Cristo, che è passione per la vita. La sua vita è un inno alla misericordia divina, perché tutta la sua esistenza è stata a servizio dei fratelli, vivendo una carità vera ed esercitando le opere di misericordia spirituale e corporale con la saggezza, la fortezza, la temperanza, il coraggio dei santi. Certo è stato aiutato, sia quando era nel mondo che quando entrò tra i passionisti, a potenziare un cammino di santità che Dio aveva iniziato in  lui dall’eternità, forte di quella parola di Paolo Apostolo, ma anche di un altro Paolo, quello “della Croce”, Fondatore dei Passionisti, dalla quale attinse l’energia spirituale indispensabile: “Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà… In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà,  perché noi fossimo a lode della sua gloria, noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo”. (Cfr Ef 1,3-15).

La straordinaria avventura spirituale di questo santo è fissata in alcuni fondamentali momenti della sua vita terrena.

Francesco Possenti, nasce il 1° marzo 1838 ad Assisi, dove il padre Sante, avvocato ternano, rivestiva la carica di governatore. Sposato ad Agnese Frisciotti, di agiata e devota famiglia di Civitanova Marche, da cui avrebbe avuto undici figli, nel 1841 Sante si trasferì con la famiglia a Spoleto in veste di assessore legale, cioè giudice del tribunale di prima istanza. Nel 1842 muore la madre e rimane orfano di questa indispensabile figura educativa e spirituale. Nell’atmosfera cupa seguita a tale luttuoso evento, il padre rivestì un ruolo decisivo nella formazione di Francesco Possenti, presto colpito da altri lutti familiari, in particolare dalla morte dei fratelli maggiori Paolo, Lorenzo, Adele e soprattutto Maria Luisa. Fatti tragici che segnarono profondamente la sua personalità indirizzandolo progressivamente verso il distacco dagli affetti e dalle gioie umane che caratterizza la sua vocazione religiosa.

 

A Spoleto Francesco, che tutti chiamo Checchino studiò presso i fratelli delle Scuole cristiane fondate da Giovanni Battista de La Salle; dal novembre 1850 al settembre 1856 frequentò il collegio dei Gesuiti per gli studi secondari. Negli studi eccelleva per interesse, passione e profitto, al punto tale da ottenere ottimi risultati nell'”oratione e carme latini”, negli studi sull'”ode italiana”, nella dottrina cristiana. Nel 1854 un suo componimento in prosa italiana fu premiato all’Accademia di poesia. La frequentazione dei Gesuiti affinò la sensibilità del giovane per la devozione mariana che la famiglia gli aveva trasmesso fin dall’infanzia; tra i suoi appunti scolastici in latino del 1853 si segnalano infatti due poesie mariane “Alla Vergine annunziata dall’Angelo” e “Alla Vergine stante presso la croce”.  A conclusione degli studi compose una canzone dedicata al santuario spoletino della Madonna della Piaggia, che presentò il 5 settembre 1856 nel corso della premiazione scolastica tenuta nella chiesa dell’Immacolata Concezione. Sotto la direzione dei Gesuiti, nel clima devoto che si respirava a Spoleto dopo la caduta della Repubblica romana del 1849 e grazie alla valorizzazione delle comunità religiose e delle confraternite incentivata dal vescovo  Sabbioni e dal suo successore  Arnaldi, Cecchino maturò una profonda pietà cristologica fatta di un’assidua partecipazione alle pratiche devote in onore del Sacro Cuore e della Madonna; il culto mariano otteneva proprio in quegli anni a Spoleto un vastissimo seguito popolare, amplificato dalle celebrazioni diocesane per la definizione del dogma dell’Immacolata Concezione e da una lunga serie di eventi catastrofici (i terremoti del 1851, le piogge torrenziali del ’53, i pessimi raccolti del ’54 e l’epidemia di colera dell’estate ’55). Seguendo la lezione ignaziana, Cecchino leggeva e meditava la vita di Cristo intesa come impegno quotidiano del fedele e come strada per la contemplazione e la perfezione. Si faceva spazio nella sua sensibilità – accanto a quella “tinta […] di vanità, e di leggerezza” la centralità, ancora ignaziana, dell’eterno contrasto tra Cristo e il mondo che caratterizza la sua piena vocazione e i suoi scritti, insieme con la sensibilità per i deboli e i poveri maturata nelle attività caritative delle confraternite spoletine. Spesso ammalato alle vie respiratorie, Checchino si impegnò a più riprese verso una vita di religione: dopo una grave malattia alla gola da cui ritenne essere guarito per intercessione celeste, chiese di essere ammesso alla Compagnia di Gesù. La sua vocazione tuttavia rimase incerta fino all’estate 1856, quando, su suggerimento del gesuita Carlo Bompiani, direttore del collegio spoletino, chiese l’ammissione al Noviziato dei Passionisti di Morrovalle, nei pressi di Macerata, una dei ritiri della Congregazione della Ss. Passione, fondata da Paolo della Croce nel 1720 e nota in tutto lo Stato Pontificio per le missioni popolari. L’evento che i biografi del santo ritengono sia stato decisivo per la scelta della vita consacrata, risale al 22 agosto 1856. Nel corso della grande processione spoletina per la Ss. Icone di Maria, Francesco “sentì interiormente” la voce della Madonna che lo indirizzava a lasciare il mondo e a farsi religioso. Le ragioni che orientarono Checchino verso la Congregazione dei Passionisti non sono chiare, ma certamente la centralità cristologica che caratterizza i Passionisti, la loro forte impronta mistica e la rigidità della regola si adattavano alla sensibilità di un giovane in fuga dalle “occasioni, conversazioni, teatri, libri e compagni cattivi”, in fuga da una vita vuota ed insignificante, per quanto allegra, gioia e divertente umanamente. Il 6 settembre 1856, fa ingresso nel noviziato di Morrovalle e il 21 settembre, vestiva l’abito, assumendo il ” nome di Gabriele e il cognome “dell’Addolorata”. Da allora così è chiamato, conosciuto e invocato nel mondo. La scelta del nome rinviava con grande evidenza al segno mariano della sua vocazione, attraverso la simbologia dell’arcangelo Gabriele che annuncia l’Incarnazione (e rinvia all’Immacolata Concezione, nell’ampia eco che la definizione del dogma allora suscitava, fu infatti proclamato nel 1854 da Pio IX) e soprattutto attraverso quella della Madonna sofferente per la morte di Cristo, “unica scala per salire alla felice eternità”. Nel 1857, dopo l’anno di noviziato, emise la professione temporanea dei voti religiosi di castità, povertà ed obbedienza e il quarto voto, tipo dei passionisti della “grata memoria della Passione di Cristo”.

Nel luglio 1858 Gabriele fu trasferito nel ritiro passionista di Pievetorina per gli studi filosofici. Vi rimase fino al 4 luglio dell’anno successivo, quando – nell’ambito della riorganizzazione della presenza passionista nel Regno di Napoli  partì con altri professi, sotto la guida del superiore padre Norberto di Santa Maria  per il ritiro dell’Immacolata Concezione di Isola, ai piedi del Gran Sasso. Qui, mentre la tubercolosi che lo aveva colpito si aggravava progressivamente, si segnalava per le virtù che caratterizzavano la sua professione religiosa e, successivamente, il suo modello di santità: la fedele osservanza della regola, le rigorose pratiche ascetiche, il voto mariano, l’esortazione al bene e all’obbedienza, la carità verso i pastori poveri della zona. Nel maggio del 1861 si recò presso la diocesi di Penne per ricevere la tonsura e gli ordini minori. Le condizioni di salute e le vicende politico-militari del 1860-61, specie per le frequenti incursioni di bande armate filoborboniche nella zona di Isola, non gli consentirono di ricevere l’ordinazione sacerdotale. Morì a  Isola del Gran Sasso d’Italia il 27 febbraio 1862, ad appena 24 anni e fu inumato nella cripta della chiesa annessa al ritiro. Per le note vicende post-unitarie dell’Italia, la comunità religiosa di Isola lasciò il ritiro nel 1866, a seguito dei decreti di soppressione degli ordini religiosi, e si diresse verso le Puglie.

Nel 1891, su consiglio del cardinale L.M. Parocchi, il Superiore Generale della Congregazione, di quegli anni, Padre Francesco Saverio della Vergine Addolorata chiedeva l’introduzione della causa per la beatificazione.

Il 17-18 ottobre 1892, in occasione della riesumazione dei resti di Gabriele a Isola richiesta al processo informativo, si verificarono i primi segnali di un vasto movimento di devozione e le prime guarigioni miracolose legate alla sua tomba, ma già il popolo di Dio lo considerava santo. Fu dichiarato beato da Pio X il 31 maggio 1908 e canonizzato il 13 maggio 1920 da Benedetto XV; compatrono della Gioventù cattolica italiana dal 1926, è patrono d’Abruzzo dal 1959. Il santuario a lui dedicato, costruito a partire dal 1894 con il ritorno dei passionisti a Isola è stato ampliato e negli anni settanta del XX secolo realizzata una nuova e più moderna struttura, consacrata nel 2015. Qui è venuto pellegrino San Giovanni Paolo II, Papa. Qui i passionisti attendono la visita anche di Papa Francesco, per un duplice motivo, perché san Gabriele al battesimo fu chiamato Francesco e poi perché ebbe ottimi maestri tra i gesuiti. San Gabriele oltre ad essere un santo passionista è anche un santo gesuita.

E per la festa di San Gabriele dell’Addolorata, da padre Antonio Rungi, sacerdote passionista è stata composta una speciale preghiera in onore del Santo della gioia, del sorriso e della misericordia.

Ecco il testo dell’orazione:

 

Preghiera a San Gabriele dell’Addolorata

 

O giovane santo, innamorato della Vergine Addolorata

che ai piedi del Crocifisso, con Maria

imparasti a vivere la passione di Cristo,

fa che nella chiesa di oggi e nella società umana

rifiorisca quell’amore al Redentore

che è stato il motivo dominante

della tua coraggiosa scelta di consacrazione al Signore.

 

Tu alla scuola di san Paolo della Croce

imparasti a vivere nel silenzio, nella solitudine del convento,

nella preghiera incessante e nella penitenza più totale,

fa che anche noi, uomini e donne del ventunesimo secolo,

sentiamo il bisogno di fare esperienza del deserto,

entrando in quel cammino di conversione permanente

che porta il credente a mettere al centro della propria esistenza

solo Colui che è la nostra vera gioia e felicità in questa terra e nell’eternità.

 

Dal Paradiso proteggi tutti i giovani del mondo,

in questo tempo di forte crisi di valori e di identità,

nel quale è più facile smarrirsi e deviare,

senza più ritrovare la strada che riporta a Dio e all’eternità.

 

 Essi hanno bisogno, in modo singolare,

del tuo speciale patrocinio dal trono di Dio,

dove in eterno contempli il tuo amato Signore

e godi della visione beatifica della Vergine Santa,

tua e nostra amatissima Madre.

 

Non permettere che nessun giovane di questa terra

perda la speranza e la fiducia in Dio e nel prossimo,

ma ognuno sappia sperare in un mondo migliore

e in una nuova umanità, in  cui regnerà per sempre la giustizia e la pace.

 

Ti affidiamo in modo singolare

i bambini ed i fanciulli dell’Italia e del mondo intero,

perché possano vivere in una società riconciliata nell’amore.

 

Assisti quanti sono nelle difficoltà di ogni genere

e dal cielo fa scendere, attraverso la tua potente intercessione,

abbondante la benedizione del Signore.

 

Benedici, o Gabriele, quanti ricorrono a te con fede,

chiedendo, tramite te, al Padre di eterna bontà e carità,

quanto è necessario per una degna vita umana,

contrassegnata da tante sofferenze, privazioni e prove di ogni genere.

 

Tu che occupi uno speciale posto nel cuore di Gesù e Maria,

fa che possiamo vivere in questo mondo

in stretta amicizia con il Figlio di Dio e la Madre di Dio.

 

Dal tuo santuario dell’Isola del Gran Sasso

dispensa a tutti gli uomini della terra ed ai tanti devoti e tuoi fedeli

il dono del vero sorriso che proviene da Dio,

la pace del cuore che viene da un cuore riconciliato con il Signore,

la bontà e la misericordia per quanti necessitano del perdono del Signore,

perché lontani da Lui e peccatori incalliti

nel vizio del male e di ogni depravazione morale.

 

Ottieni dal Signore il ritorno ai retti costumi

in ogni campo del vivere umano, sociale ed ecclesiale

e il mondo possa godere di una stabile pace su tutta la terra,

senza conflitti, divisioni e paure di qualsiasi genere.  

Gabriele, tu che tutto puoi ed ottieni dal Signore,

non dimenticarti di nessuno di noi. Amen

 

P.RUNGI. COMMENTO ALLA V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – 7 FEBBRAIO 2016

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DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

7 FEBBRAIO 2016

 

CHIAMATI PER PURIFICARE LA MENTE E IL CUORE

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

La chiave interpretativa della parola di Dio di questa quinta domenica del tempo ordinario, è sicuramente il testo della prima lettura, tratto dal profeta Isaia, nel quale la coraggiosa voce del grande profeta dell’Antico Testamento si alza per denunciare tutto il male presente nel suo tempo, verso cui grida forte la parola purificazione della mente, del cuore, delle labbra. Una purificazione completa di tutto il popolo di Dio, se vuole riprendere il dialogo con l’Altissimo. In una precisa e dettagliata visione che il profeta ha del Signore, egli si sente inviato, anzi, si rende disponibile per una missione impossibile, quella della purificazione. Nell’anno santo della Misericordia, penso, alla missione di Papa Francesco che, ispirato da Dio, ha indetto questo anno giubilare, proprio per attuare in noi una vera e completa purificazione interiore.

Il profeta, prima di parlare agli altri, guarda se stesso. E’ lui per primo a riconoscersi peccatore, in quanto uomo dalle labbra impure; in secondo luogo, perché comprende che si trova davanti ad un popolo immerso nella impurità e che necessita di essere risanato. Guardandosi intorno e non avendo possibilità di trovare qualcuno che possa portare avanti questa missione di purificazione, Isaia offre se stesso e con grande semplicità si rivolge al Signore e dice: manda me a convertire la gente, perché possa ritornare sulla retta strada. «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti».

Il profeta non si scoraggia e si abbandona pienamente alla volontà di Dio, che si manifesta a lui mediante l’intervento di uno dei serafini, il quale gli tocca la bocca e lo purifica, al punto tale che dopo, questo rituale di purificazione, Isaia parte per la sua missione e può, in una condizione nuova da un punto di vista religioso e spirituale, parlare al popolo e richiamarlo ai propri doveri.

E’ sempre vero che bisogna iniziare da se stessi il cammino di conversione, per poi avventurarsi nell’esperienza della purificazione degli altri. «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato». In una nuova condizione spirituale, il profeta può ora parlare in nome di Dio ed essere credibile in base alla sua testimonianza di vita e al suo stato di salute spirituale. La parola di Dio che egli trasmette, avrà la sua efficacia e produrrà l’effetto benefico sperato.

Anche san Paolo Apostolo nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla Prima Lettera ai Corinzi, sente la responsabilità dell’annuncio del mistero della redenzione portato a termine con la Pasqua di Gesù Cristo. Con precisi riferimenti alla storia della salvezza partendo appunto dalla Pasqua di Cristo, all’apparizione del Risorto a Pietro, poi agli altri apostoli ed infine ad un gruppo numeroso di altri credenti e discepoli del Signore, egli fa capire nettamente a quale ruolo è stato chiamato direttamente da Dio. Dopo l’apparizione a Paolo dello stesso Gesù sulla via di Damasco, al momento della sua conversione e alla sua purificazione, alla vita nuova che inizia in Gesù Cristo, egli lascia totalmente la vita passata e precedente, senza alcun ripianto e scrive di se stesso: “Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me”.

Le fatiche missionarie del grande apostolo delle genti, lo portano a consolidarsi sempre più nel suo ministero, al punto tale che proprio rivolgendosi ai cristiani di Corinto, egli scrive:  “Vi proclamo, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano! A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto”.

La trasmissione veritiera del dato di fede lo incoraggia nel ministero al punto tale che non si ferma mai, va avanti per la sua strada di far conoscere Cristo ai lontani.

La chiamata alla missione e all’apostolato ci viene ricordata anche nel testo del Vangelo di oggi, quando Gesù, dopo aver compiuto il miracolo della pesca eccezionale, ha un importante e sentito dialogo con Pietro. Questo umile pescatore, dopo l’evento prodigioso, ha compresso che si trova davanti al Messia e si rivolge al Signore con parole, degne di attenzione e riflessione da parte nostra: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Chi vive nel peccato sta lontano da Dio e la sua condizione di peccatore, non può assolutamente permettere di stare vicino alla fonte della luce, quando si è tenebra nel cuore e nella mente. Pietro comprende e inizia, da subito, il cammino di avvicinamento al Signore con una risposta piena all’amore di Dio.

Da quel momento la conversione del cuore e della mente, la purificazione di Pietro e dei suoi compagni di lavoro si è concretizzata, al punto tale che lasciano ogni cosa e si mettono alla sequela di Gesù. Il Signore, infatti, dice a Pietro: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono”.

Il grande gesto e il maturo coraggio di abbandonare ogni cosa per seguire il richiamo di Dio ci fa da sprona ad abbandonare ogni cosa che ci porta lontano da Dio, a ritornare a Lui con cuore davvero pentito.

La Madonna ci aiuti a discernere meglio la volontà divina e a metterla in pratica, con o senza strumenti in nostro possesso, nell’assoluta povertà dei nostri mezzi, ma pienamente abbondonati alla volontà di Colui che vuole solo la nostra felicità e il nostro vero bene, che è il Signore, redentore dell’uomo.

Sia questa la nostra preghiera oggi: “Dio di infinita grandezza, che affidi alle nostre labbra impure  e alle nostre fragili mani il compito di portare agli uomini l’annunzio del Vangelo, sostienici con il tuo Spirito, perché la tua parola, accolta da cuori aperti e generosi, fruttifichi in ogni parte della terra”. Amen.