Archivi Mensili: gennaio 2022

NESSUNO E’ PROFETA IN PATRIA. RIFLESSIONE DI P.RUNGI. IV DOMENICA TO

RUNGI-VERDE

Quarta domenica del Tempo Ordinario

Domenica 30 gennaio 2022

La sorprendente predicazione del figlio del falegname

Commento di padre Antonio Rungi

 

La parola di questa quarta domenica del tempo ordinario ritorna sul tema della predicazione. Il Vangelo, infatti, è la prosecuzione di quello di domenica scorsa, che si concludeva con la ben nota espressione detta da Gesù nella sinagoga di Nazareth dove era stato cresciuto e conosciuto, non come Messia, ma come il figlio del falegname, cioè di San Giuseppe: “Oggi questa parola di Isaia si è adempiuta nella mia persona”. Gesù è chiamato con un titolo abbastanza indicativo, ma per gli illusi sapienti, saggi e santi del suo tempo, era semplicemente un modo di denigrare la predicazione. Era la predicazione di un giovane maestro che pure affascinava e attraeva a se folle sempre più numerose e felici di ascoltare la sua parola e ricevere i suoi insegnamenti.

Il vangelo di oggi riparte proprio da lì, in quel luogo dove Gesù era per abitudine e prassi sosta al sabato, quanto non era in viaggio per i villaggi della Palestina.  Gesù, dopo aver letto il rotolo del profeta Isaia e ritornato al suo posto, vista la grande attenzione dei presenti sulla sua persona, si alza in piedi da dove si trovava e e pronuncia il suo discorso. San Luca nel riportare quanto è avvenuto in luogo sacro per gli ebrei di Nazareth, sottolinea che “Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?».

Gesù in quel preciso contesto biblico prende la parola ed assume il ruolo del Maestro che insegna e predica: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso”. Mi direte perché non fai le stesse cose qui nella tua città, come quelle fatte a Cafàrnao?

A questo auto interrogativo Gesù risponde senza mezze misure ai suoi compaesani: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria”.

Gesù sa che è rifiutato, non è stimato, è messo in discussione per il fatto che è il Figlio del falegname. Perciò replica a questo loro scetticismo sulla sua vera natura ed identità rifacendosi ai testi sacri dell’Antico Testamento, dove si parla di altri storici ed importanti rifiuti di profeti.

“Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».

Gesù conferma così che le esperienze di rifiuto le hanno vissuto anche i profeti, prima di lui, e su tutti cita due grandi nomi Elia ed Eliseo, ben conosciuti dai frequentatori della sinagoga.

Di fronte a questa giusta e storica osservazione fatta da Gesù, i suoi compaesani all’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù.

Gesù viene cacciato fuori con violenza dalla sua casa spirituale e biblica e addirittura già hanno intenzione di ucciderlo, gettandolo come una pietra giù dal burrone. Ma egli non si impressionò, né reagì con forza e vemenza, ma con dignità e autorevolezza lasciò la sinagoga e passando in mezzo a loro, si mise in cammino per altri lidi.

 

Al di là del racconto così come descritto da Luca, ci sono alcuni importanti elementi da considerare in questo brano del Vangelo.

Il primo fra tutti è quello di Gesù Maestro; il secondo è quello della coscienza di Gesù di non essere gradito per il suo modo di dire e fare, come Messia; il terzo è la sua consapevolezza che proprio a partire dalla sua gente si doveva trasmettere una visione nuova della parola di Dio, in modo da cambiare i comportamenti per essere in linea con la vera ed autentica figura dell’atteso salvatore da parte di Israele.

Ma dalla reazione dei suoi concittadini al suo discorso comprendiamo come era distorta in loro l’immagine di colui che doveva liberare Israele dai lacci della dipendenza e dalla sottomissione ai poteri stranieri.

Gesù viene a portare l’annuncio della vera libertà dei figli di Dio che in Lui, Figlio Unigenito del Padre, quella che riavranno nella misura in cui si faranno toccare dalla sua parola che è vita e risurrezione.

Comprendere questo anche noi cristiani del XXI secolo è indispensabile per non rincorrere false liberazioni e libertà che non potranno mai liberare il cuore e la vita dell’essere umano se non ascolta il Dio che parla a noi attraverso l’autorevole voce del suo amatissimo Figlio. Nella sinagoga di Nazareth ha iniziato dalla sua patria e ha capito quanto è difficile farsi accettare per quello che si è, santi o peccatori, proprio da chi ci sta intorno. Chiaro messaggio a non discriminare, a non selezionare, a non escludere, ma ad accettare ed includere qualsiasi persona, soprattutto se ha un cuore ed esprime amore, tenerezza e perdono.

Alla luce di questo brano del Vangelo di Luca si comprendono e si spiegano gli altri testi della liturgia della parola di Dio di questa domenica, a partire dalla prima lettura, tratta dal profeta Geremia, nella quale è ripercorsa la storia non solo della profeta stessa, ma anticipata quella di Cristo: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni». Esattamente quello che Gesù è venuto a compiere con la sua missione sulla terra. Egli è il servo per amore, la parola del coraggio che non indietreggia di fronte alle minacce, alla sofferenza e alla stessa morte e gli faranno guerra, ma non lo vinceranno o lo abbatteranno, perché Dio è con Lui». Solo l’amore trionferà e questo amore lo incarna Cristo, lo annuncia Cristo e lo testimonia lui, con la sua morte e risurrezione ed invita i suoi discepoli a fare lo stesso percorso di vero amore tra di loro. Nel celebre inno alla carità di San Paolo Apostolo riportato dalla prima lettera ai Corinzi comprendiamo la chiave di lettura di tutto il messaggio evangelico che Gesù ha comunicato ai suoi compaesani a Nazareth e loro non l’hanno accolto, e comunicato a noi, attraverso la parola di Dio, e che siamo invitati ad accogliere per non seguire la scia dei concittadini di Gesù che lo cacciarono via dalla sinagoga e lo volevano buttare giù. Dio lo si allontana da noi con la mancanza della carità e dell’amore, con non esercitare e vivere i precetti fondamentali della religione cristiana: amare Dio e i fratelli. La carità è la via più sublime per raggiungere Dio e modellare la propria vita su Cristo. Possiamo avere di tutti e di più, ma se ci manca l’amore e la carità siamo come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita; senza la carità siamo un nulla e non serviamo a niente. Invece se possediamo la virtù fondamentale della carità e dell’amore noi siamo magnanimi, benevoli, non siamo invidiosi, orgogliosi, vanitosi; al contrario siamo rispettosi, distaccati dai nostri interessi personali per perseguire quelli del prossimo, sia sereni e non ci adiamo facilmente; sappiamo perdonare perché  dimentichiamo il male subito e ricevuto ingiustamente dagli altri; lottiamo per la giustizia e la verità e di fonte agli errori degli altri tutto scusa, tutto accetta, tutto spera che migliori e tutto sopporta per amore. L’amore è quindi eterno, perché la fonte di esso è Dio stesso che è amore e relazione di amore all’interno, nel mistero della Trinità e all’esterno con la creazione e la redenzione del genere umano. Per cui, a ben ragione, San Paolo concludendo il suo discorso sulla carità scrive: “La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà”. E alla fine di tutto quello che possiamo fare, pensare, immaginare, progettare e sperare rimangono solo tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità! Discorso facile da capire, ma difficile da vivere.

 

Preghiera per la Domenica della parola composta da padre Antonio Rungi

IMG_20200310_002622

Preghiera per la domenica della parola.
Composta da padre Antonio Rungi

Dio Creatore,
Tu che all’inizio di ogni cosa
hai detto e fatto la luce,
il firmamento, la terra
con tutte le specie di vegetali,
come pure il mare, il sole,
la luna, le stelle,
senza dimenticare i pesci
e tutti gli animali
che popolano la terra,
il mare e solcano i cieli,
ed infine hai completato
l’opera delle tue mani
dando corpo ed anima
all’essere umano,
ponendolo al vertice del creato,
e nel quale hai impresso la tua imnagine
e gli hai ordinato di crescere e di moltiplicarsi,
senza distruggere l’opera delle Tue mani,
fa che noi esseri mortali sappiamo custodire, sulla tua parola,
ciò che hai posto in essere
per il nostro bene,

Dio Redentore,
la tua Parola
che in principio
era presso di Te,
e che nella pienezza dei tempi
si è fatta carne
nel grembo verginale di Maria,
fa che in Gesu Cristo,
tuo amatissimo Figlio,
Parola del Dio vivente,
eterno ed immenso,
noi tutti, da Lui redenti,
possiamo immergerci
nella Parola della croce,
che è lopera piu grande
e stupenda del Tuo amore per noi.

Gesù Verbo incarnato
ricordati di noi
che ci hai creati
e redenti con il Tuo sangue. Amen.

P.RUNGI. LA DOMENICA DELLA PAROLA DI DIO – 23 GENNAIO 2022

DSC01737

III Domenica del Tempo Ordinario – Anno C

Domenica 23 gennaio 2022

Una Parola, quella di Dio, che deve trasformare la vita

Commento di padre Antonio Rungi

Si celebra oggi la terza Domenica del Tempo Ordinario dell’anno liturgico denominata da qualche anno da Papa Francesco come la domenica della Parola di Dio.

Il motivo di questa indicazione sta nel fatto che noi, come cristiani e cattolici, dobbiamo partire dalla parola di Dio nella nostra esperienza spirituale, umana, sociale. La parola di Dio, infatti, accompagna il cammino di ognuno di noi verso l’incontro quotidiano e soprattutto festivo con il Signore, in particolare nella celebrazione eucaristica, ma anche nella liturgia della parola che si può svolgere benissimo anche al di fuori della Santa Messa.

Non a caso è proprio la parola di Dio che guida la nostra riflessione ogni domenica. E dal Vangelo che partiamo in questa nostra riflessione domenicale.

L’evangelista Luca si mette a scrivere, in quanto molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a loro circa l’operato di Gesù Cristo. Avvenimenti così come furono trasmessi da coloro che ne furono i testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della parola. Volendo ampliare tali conoscenze, Luca decide di fare ricerche più accurate su ogni circostanza che fin dagli inizi riguardavano Gesù e di scriverne, poi, un resoconto ordinato, indirizzando il tutto al suo amico Teofilo. Tale scritto doveva servire a lui in modo da potersi rendere conto della solidità degli insegnamenti che aveva ricevuto.

In poche parole nell’introdurre il suo Vangelo, San Luca fa riferimento a quello che è stata la trasmissione orale di quanto Gesù ha fatto nel corso della sua vita, alla presenza dei suoi discepoli, che furono i testimoni oculari.

Dopo questa introduzione, saltando il racconto della nascita di Giovanni Battista e di Gesù, il testo del vangelo di oggi passa direttamente al capitolo quarto, nel quale è raccontato quello che Gesù faceva lungo il suo peregrinare in Galilea e soprattutto nella sinagoga di Nazareth. A man mano che Gesù camminava e catechizzava, con la potenza dello Spirito Santo che era su di Lui, la sua fama cresceva dovunque. Per cui era conosciutissimo, era un personaggio pubblico ed un maestro accreditato, al punto tale che molti ne tessevano le sue lodi. In altre parole apprezzavano quello che egli trasmetteva attraverso l’insegnamento che offriva nelle sinagoghe.

Dopo varie stazioni sinagogali arriva al suo paese di residenza e cioè a Nazareth dove come dice l’evangelista Luca “era cresciuto e secondo il solito, come era prassi per tutti gli ebrei, il sabato egli entrò nella Sinagoga e si alzò a leggere.  Appena egli si alzò in piedi per la lettura, gli fu dato il rotolo del profeta Isaia. Tale rotolo non fu scelto da lui, come fa notare san Luca.

Il primo gesto che fece Gesù fu quello di aprire il rotolo. Nell’aprirlo si trovò di fronte al brano dove  c’era scritto “lo spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annunzio a proclamare per i prigionieri la liberazione e ridare ai ciechi la vista, come pure a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore”. Gesù si trova, quindi, di fronte al testo della proclamazione dell’anno giubilare e come ben sappiamo l’anno giubilare era si celebrava ogni 50 anni.

Durante quest’anno si facevano tale cose per la propria purificazione e conversione, a partire dalla restituzione di tutto ciò che era in debito verso gli altri. Si praticava, poi, il digiuno, la penitenza, ma si faceva anche festa.

Gesù è  qui indicato come annunciatore della liberazione, al punto tale che Egli, una volta letto il rotolo di Isaia  e consegnatolo all’inserviente, si andò a sedere al suo posto. “Nella Sinagoga, scrive Luca – che gli occhi di tutti erano fissi su di lui” per vedere cosa facesse. Gesù come tutti quanti si mette a meditare sulla parola proclamata, non scappa via, non fugge, ma resta lì. Gesù vedendo che era al centro dell’attenzione prese di nuovo la parola e ed affermò con coraggio ed autorità: “Oggi si è compiuta questa scrittura che voi avete ascoltato con i vostri orecchi”.

Gesù a ben ragione si identifica con il Messia, come il liberatore, come colui che era atteso da secoli dal popolo eletto e che in quel momento può dirsi realizzato. Non è arroganza, né superbia la sua, né tantomeno megalomania, ma è semplicemente è una comunicazione della sua vera identità di Messia a chi aveva sviluppato in se stesso una fede in Gesù. Si tratta di un’altra epifania di Cristo come Salvatore.

Gesù, quindi con questo commento non fa altro che confermare che ormai il passato è alle spalle e con lui inizia la storia della salvezza che verrà portata a compimento nella sua morte, risurrezione e ascensione al cielo.

Con la Pentecoste lo Spirito Santo sarà inviato sugli apostoli i quali continueranno l’opera di Cristo stesso mediante l’impegno missionario, finalizzato alla diffusione del messaggio cristiano in ogni angolo della terra.

Oggi, possiamo ben dire che a distanza di 2022 anni dalla venuta di Gesù sulla terra, la chiesa da lui istituita è impegnata proprio in quest’opera di evangelizzazione, nonostante le difficoltà dovute alla pandemia, ma anche ad altri problemi del mondo attuale.

Molti cristiani per questo motivo si sono allontanati dalla partecipazione alla messa festiva e quindi non ascoltando più dal vivo la parola di Dio. Di conseguenza si inaridiscono spiritualmente, in quanto la parola di Dio è alimento per la nostra vita interiore.

Come recuperare l’attenzione verso la parola del Signore?  Cosa dobbiamo fare sull’esempio di Cristo?

Dobbiamo impegnarci nell’ascolto della parola e nella proclamazione di essa con l’essere missionari e testimoni di speranza, di gioia, di pace di solidarietà ovunque ci troviamo.

Dobbiamo essere pure noi portatori di speranza e portare il lieto annuncio ai poveri, proclamare la libertà da ogni forma di schiavitù e non soltanto dalla prigionia fisica che limita la libertà personale in seguito a reati commessi. Dobbiamo ridare la vista ai ciechi, nel senso che non avendo potere di fare miracoli, possiamo pregare e intercedere per tutti coloro che sono nel e nelle varie necessità. Dobbiamo fare ogni sforzo per dare la possibilità ad ogni essere umano di fare esperienza di vera liberazione, che non è soltanto la libertà nel fare ciò che ci piace, senza alcun limite morale, ma è capacità di aiutare i fratelli a distaccarsi da tutto ciò che li rende schiavi, soprattutto del peccato, che pone sotto il dominio di satana e prigionieri del male.

In questo ambito di riflessione teologica e biblica ci aiuta il testo della seconda lettura di questa domenica, tratto dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi, nella quale leggiamo testualmente: “Come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito”. Bisogna convergere nell’unità del corpo mistico di Cristo che è la chiesa, che non è una pia intenzione o un desiderio del cuore, ma uno stile di vita che produce di fatto effetti comunionali e non divisionali. Nell’ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani questo messaggio va accolto con la disponibilità di tutti i cristiani a fare un cammino di comunione intorno a Cristo e alla sua parola. E per raggiungere questo scopo ci può essere di aiuto quello che leggiamo oggi nella prima lettura della parola di Dio in cui è spiegata la liturgia della proclamazione dei testi sacri al tempo di Neemia. Ascoltare la parola è fare frutti di vita, pace, gioia e comunione. Faccio nostro tale invito nel giorno dedicato al Signore, la Domenica: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete! Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza». Quando la parola di Dio prende il cuore suscita sentimenti di bontà, tenerezza, conversione e perché no, anche di pentimento e di rinascita interiore. Non a caso nel libro di Neemia oggi leggiamo che tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge. Magari la parola di Dio muovesse il nostro cuore al pianto, a pentimento e al perdono fraterno e reciproco. I cristiani tutti, con le varie esplicitazioni, dovrebbero dopo tanti secoli di divisioni chiedersi perdono e intorno a Cristo ricostruire la Chiesa nell’unità e nella pace. Speriamo che questo posso avvenire nei prossimi anni o decenni.

La riflessione di padre Antonio Rungi sull’attuale situazione della pandemia

rungi-informazioni
Riflessione sull’attuale situazione della pandemia in Italia e nel mondo.
di padre Antonio Rungi
Sono tra quelli che chiedono continuamente a non incentrare l’informazione nel nostro paese e nell’intero continente europeo sulla questione della pandemia. Non vedo la necessità di sapere ogni giorno quanti siano stati i contagi, quanti sia stati i morti, quanti siano stati ricoverati in terapia intensiva e tutto il resto. A me e a tutti interessa sapere non numeri da farci allertare in continuazione e metterci in uno stato di angoscia e di paura, senza più freni inibitori di questo male oscuro, che porta a non vivere più, ad stare in continua agitazione per tutto. I numeri non servono se poi la gente continua a comportarsi come sempre.
Gli esperti, i politici, gli addetti all’informazione devono fare una scelta di campo importante per i prossimi mesi. Sapere dell’aumento dei contagi a cosa serve se questi aumentano per i nostri assurdi comportamenti? Se ci viene detto che dobbiamo vaccinarci tutti per uscire da questa emergenza sanitaria italiana e mondiale, perché non lo facciamo ed aspettiamo che la pandemia passi da sola se in realtà siamo noi ad alimentarla con le nostre varie opposizioni?
Se ci viene chiesto di usare le mascherine FFp2 a chiuso, all’aperto e in qualsiasi luogo in cui ci troviamo a contatto con sconosciuti e persone di passaggio, perché non lo facciamo e molti non usano nessuna protezione dovunque si trovano? Se ci si dice di lavarci e sanificarci le mani in continuazione e parimenti gli ambient dove viviamo, perché non agiamo di conseguenza? Se ci si raccomanda di areare continuamente i nostri ambienti in cui viviamo, perché non facciamo in modo che questo avvenga nell’arco della giornata quando magari splende il sole o comunque è possibile far passare un pò di aria nei nostri ambienti abituali e soprattutto in quelli dove si lavora e si fa istruzione? Se questi ed altri accorgimenti sono indispensabili per allontanare da noi lo spettro della pandemia, perché continuiamo a fare assembramenti, incontri, attività in presenza in numeri considerevoli come quelli di una partita di pallone che non interessa a nessuno e che può fare aumentare contagi soprattutto tra i tifosi, calciatori e staff dirigenziali dei vari sport e non solo del calcio? Se il Paese non vuole fermarsi per sempre e morire nella paura di incontrare il mostro del covid-19, ora con la variante omicron, qualcosa pure deve fare a livello di comportamento individuale e non soltanto a livello verbale e di raccomandazioni varie dei politici e degli esperti che non sempre sono uniti nella trasmissione delle informazioni scientifiche.
Se la soluzione sta nel fare tutto questo, ce lo dicano con certezza gli scienziati, ma se una pandemia non si blocca con i vaccini con che cosa la si può bloccare o farla terminare? Qualcuno pure deve dircelo? Possibile che non si può preventivare la fine di questa guerra mondiale sottile e silenziosa senza armamenti e senza soldati in combattimento, ma solo con numeri e informazioni angoscianti e deprimenti che non fanno altro che aumentare i disagi?
Non possiamo continuare a vivere in questa incertezza infinita, ben sapendo che nessuno ti può dire quanto finirà tutto questo, anche se fosse il più grande scienziato di questo mondo. Basta con i numeri e sviluppiamo tutta la ricerca necessaria per trovare una cura definiva a questa infezione che non significa distruzione e terrore per persone, gruppi familiari e per l’intera popolazione mondiale. In altri tempi pure ci sono state le pandemie e non hanno fatto tutta questa tragedia che stiamo facendo noi con il coronavirus che potrebbe essere bloccato con comportamenti individuali e collettivi adeguati.
Cosa aspettiamo a farlo unitamente a livello nazionale, europeo e mondiale? Io la mia parte l’ho fatta e la continua a fare. Mi auguro che tutti assumono gli stessi comportamenti che ci sono stati suggeriti per superare la pandemia e per ritornare in pochi mesi alla normalità più assoluta di vivere la vita come il Signore ce l’ha donata, nella gioia, nella libertà, nella fraternità, nella vicinanza e non nella paura e nella lontananza, nell’indifferenza o peggio ancora nella consapevolezza di fare del male positivamente a qualcuno, o con la superficialità di comportamenti non adeguati al momento attuale che stiamo vivendo. Basta con i numeri che non interessano a nessuno e prestiamo attenzione alla nostra salute ben sapendo che qualcuno pure ci sta indicando il modo concreto ed operativo per uscire da questa emergenza. Dobbiamo solo agire di conseguenza.
Mi auguro che i bollettini quotidiani, veri resoconti di guerra virale si possano accantonare e che arrivino gratuitamente tutte le protezioni sanitarie per difenderci da questo morbo che diventa mortale se non ci vacciniamo, se non manteniamo le dovute distanze, se non usiamo la mascherina, se non ci laviamo le mani, se non sanifichiamo gli ambienti vitali e lavorativi, se non facciamo entrare neppure un filo di aria nelle nostra case, abitazioni e nei posti di lavoro. Riprendiamo da tutto questo e vediamo come andrà a finire questo thriller del coronavirus.

PREGHIERA DI PADRE ANTONIO RUNGI PER DAVIDE SASSOLI

davidsassoli.JPG.44a87d79cb05b1a08497ac9096c3ebc5

david sassoli-6-2

Preghiera di padre Antonio Rungi per i funerali del presidente del Parlamento Europeo, Davide Sassoli

Dio di infinita misericordia, dolcezza senza fine e sorriso di gioia infinita, Ti affidiamo il nostro amico, fratello, uomo politico, giornalista e presidente del Parlamento Europeo, Davide Sassoli, che tu hai chiamato a Te da questa vita, dopo aver affrontato una grave malattia, con il coraggio e la fede di chi confida e si affida a Dio.

La sua vita fatta di impegno culturale, informativo, umanitario e politico tu la conosci, Padre mio. Essa costituisce per tutti noi che abbiamo avuto la gioia di poterlo incontrare, almeno una volta, nella sua lunga carriera di volto schietto e sincero dell’informazione del nostro Paese, un  esempio mirabile di come camminare insieme in Europa, nella quale le radici cristiane hanno prodotto semi di umanità, accoglienza e condivisione fraterna, oltre i confini delle nazioni, delle religioni, delle culture e delle razze  che la compongono.

Ora dal cielo, dove sicuramente ha trovato la sua giusta collocazione nel cuore di quel Dio in cui ha creduto e sperato per tutta la vita, possa illuminare i suoi colleghi, a vari livelli, bisognosi più che mai, di ritrovare, in questo nostro tempo segnato da tanta sofferenza e da tante emergenze, il senso più vero di un’esistenza da spendere completamente a servizio della verità, della  giustizia e della pace. Amen.

Padre Antonio Rungi, passionista

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO – DOMENICA 16 GENNAIO 2022

RUNGI-VERDE

II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO –ANNO C

DOMENICA 16 GENNAIO 2022

Gesù a Cana compie il suo primo miracolo: l’acqua è cambiata in vino.

Commento di padre Antonio Rungi

Dopo il periodo dell’Avvento e di Natale ritorniamo nella liturgia al tempo definito ordinario. Oggi, 16 gennaio 2022, infatti, celebriamo la seconda domenica di questo tempo dell’anno liturgico –Ciclo C – e al centro della nostra riflessione ci sono tre testi biblici che ascolteremo partecipando alla santa messa.

La prima lettura tratta dal profeta Isaia ci chiede di parlare con coraggio su alcune questioni importanti come quella della giustizia. “Per amore del mio popolo –scrive profeta Isaia- non tacerò”. Non sarà omertoso sulle ingiustizie, sulla malvagità, sull’immoralità.

Quindi per amore del popolo bisogna avere il coraggio di denunciare, soprattutto coloro che hanno la responsabilità di guida a tutti i livelli e che non operano in modo giusto e corretto. Bisogna dire la verità ed indirizzare verso il bene il popolo di Dio e l’umanità. Coprire il male, le ingiustizie, tutto ciò che è negativo significa compromettersi con il maligno. Da qui la necessità di denunciare tutto ciò che non è retto agli occhi di Dio e che per amore della verità bisogna far uscire fuori per estirparlo in modo definitivo.

La seconda lettura, tratta dalla prima lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi, parla di carismi, cioè dei doni che il Signore ha fatto a ciascuno di noi, mediante i quali è possibile costruire una chiesa nell’unità, nell’armonia e nella effettiva collaborazione tutti i membri della stessa.  Doni che, come ben sappiamo, ci vengono dall’alto e che dobbiamo mettere a servizio degli altri, senza alcuna presunzione di essere insostituibili e indispensabili.  I nostri carismi sono in funzione del corpo mistico di Cristo, per cui dobbiamo dedicarci con tutte le nostre forze a servizio a del bene comune, portando il nostro contributo. In questo modo diamo una mano alla crescita della chiesa, dell’umanità e della socialità. D’altra parte, i carismi sono sempre finalizzati al bene e non certamente al male. Non a caso sono doni dello Spirito Santo e come tali mettono insieme le varie qualità personali per l’armonia di intenti, di progetti e di finalità da raggiungere mediante la professione dell’unica fede.

Passando al Vangelo di questa domenica, tratto da san Giovanni, esso ci informa di come, quando e come è avvenuto il primo miracolo di Gesù. Infatti Giovanni evangelista porta a nostra conoscenza quanto è successo alle nozze di Cana, dove una coppia appena sposata sta festeggiando insieme agli invitati, tra cui c’era Gesù, Maria e i discepoli del divino Maestro. Durante questo banchetto nuziale, proprio nel momento più importante del pranzo, viene a mancare il vino ai commensali.

Siamo in un pranzo di nozze e il banchetto nuziale è stato sempre interpretato come il banchetto eterno a cui partecipiamo in questo mondo con il ricevere la santa Comunione e quello eterno con l’ingresso nel regno dei cieli, con lo sperimentare la gioia e l’armonia e per tutta l’eternità. Da qui il valore eucaristico della trasformazione dell’acqua in vino.

Un ruolo importante ha la Madonna in questo miracolo. Ella intuisce con la sensibilità di donna e madre che quella coppia di sposi è in difficoltà già all’inizio del suo cammino matrimoniale. Maria vuole evitare ad essi una brutta figura, dato che i commensali sono immersi nella consumazione dei cibi e delle bevande. Ella si rivolge a Gesù e gli fa osservare che il vino è finito e gli sposi devono essere aiutati in quel momento di difficoltà. Ma Gesù invece di provvedere subito replica a sua madre con queste parole: “Donna che ci posso fare? Non è ancora giunta la mia ora”. Se volessimo esaminare questa espressione potrebbe essere intesa come una presa di distanza di Gesù dalla richiesta della Madre. In realtà non è così. In questa risposta domanda  c’è tutto un significato particolare che attiene al mistero e della rivelazione di Cristo all’umanità e soprattutto al mistero pasquale che verrà portato a compimento nella morte e risurrezione di Gesù.

Egli, infatti, con queste parole vuol dire che non è giunto ancora il momento della sua glorificazione.

Il primo miracolo di Gesù è chiaro invito a trasformarci in lui nel mistero della pasqua, che è passaggio alla vita nuova secondo lo spirito.

Non a caso la Madonna, più che mai certa che Gesù doveva e poteva intervenire per salvare quella famiglia, dice agli inservienti fate quello che egli vi dirà.

E infatti gli inservienti prendono sei giare, che stavano lì per le abluzioni, le riempirono d’acqua e le portano a Gesù. Dopo un attimo quell’acqua diventa vino e il miracolo della trasformazione, della modifica sostanziale diventa effettiva.

Il maestro di tavola non sapeva affatto quello che era successo, assaggiando il vino si congratula con gli sposi che, a loro volta, non erano a conoscenza di quando era successo per opera di Gesù, e quando si sentono fare i complimenti per l’ottimo vino servito alla fine del pranzo sono contenti. D’altra parte si sa e da sempre che tutti servono vino più scadente o annacquato alla fine dei pranzi, invece qui succede il contrario.

Cosicché il miracolo chiesto da Maria è ottenuto completamente e Gesù accontenta la richiesta della mamma, ben sapendo che non poteva mai dire di no a Colei che con il suo sì aveva permesso il suo ingresso, con la natura umana, nella storia dell’umanità.

Con il racconto di questo miracolo abbiamo la certezza che Maria Santissima è sempre attenta ai nostri bisogni e si fa portatrice delle nostre istanze presso il suo Figlio, ottenendo sempre da Lui ciò che è veramente necessario per noi. Sia questa la nostra preghiera oggi: “O Maria Madre dell’attenzione, Madre del discernimento dei bisogni dei tuoi devoti, presenta a Gesù le cose più intime del nostro cuore, della nostra vita, perché Egli possa concederci tutto ciò che è necessario per il nostro e altrui bene materiale e spirituale, come ha fatto alle nozze di Cana aiutando, a loro insaputa, due giovani sposi in difficoltà. Amen.

La preghiera per l’Epifania 2022 di padre Antonio Rungi

IMG_20200310_002622

Preghiera per l’Epifania 2022

Composta da padre Antonio Rungi

 

Gesù Ti sei rivelato

quale Redentore del mondo

in tanti modi più o meno noti

a noi.

 

Ancora una volta

Ti presenti agli occhi

dei saggi e dei potenti della terra

con il volto tenero ed umile

di un bambinello.

 

Prostrati davanti a Te

come i Re Magi

nella tua seconda epifania

di Figlio di Dio

Ti chiediamo di illuminare

le nostre menti e i nostri cuori

perché non si appesantiscano

in dissipazioni di questo mondo.

 

Con la tua grazia permettici

di entrare pienamente

nel tuo mistero di salvezza

e redenzione eterna.

 

Gesù non abbiamo

molto da donarti

della nostra vita

da quando siamo nati,

ma una cosa è certa

che possiamo farla

in questo momento

ed è presentarti

la nostra miseria

e la nostra sofferenza.

 

Risollevaci o Gesù

da questo brutto momento

per l’umanità intera

e ridona fiducia e speranza

ai vicini e ai lontani

come hai fatto con i Re Magi.

 

Dalla grotta di Betlemme

vogliamo ripartire

in questa Epifania 2022

con la consapevolezza

che solo facendoci bambini

noi entreremo nel tuo Regno

di pace e felicità infinita.

Amen.

 

LA RIFLESSIONE DI PADRE RUNGI PER L’EPIFANIA 2022

padre antonio-presentazione

Epifania del Signore

6 Gennaio 2022

L’arrivo dei Magi alla grotta di Betlemme

Commento di padre Antonio Rungi

Oggi ricordiamo nella liturgia l’arrivo dei Magi a Betlemme e come viene menzionato nel vangelo di Matteo della messa del giorno dell’Epifania “alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo».

Chi erano i magi? Tutti abbiamo da piccoli avuto la spiegazione di questi personaggi biblici che non erano altro che sacerdoti orientali, osservatori delle costellazioni, dei veri scienziati e scrutatori dei cieli, che sono classificati come astronomi e filosofi Appartenenti alla casta sacerdotale persiana erano sapienti venuti dall’Oriente.” I Re Magi, venivano – come alcune fonti storiche accreditate ci attestano – dalla Persia. Altrettanto certo vi è un legame molto stretto fra le due culture e religioni: l’ebraismo e lo zoroastrismo. Tra l’altro, va ricordato che all’epoca era presente in Persia una forte comunità ebraica, derivante dalla Diaspora Babilonese.

D’altra parte non possiamo dimenticare che la lingua più parlata in Palestina, a seguito proprio della diaspora e del rientro di un folto numero di ebrei (396 a.C), era l’aramaico, lingua di origine persiana, parlata dallo stesso Gesù.

In merito a questi misteriosi personaggi, abbiamo una testimonianza d’eccezione, quella del navigatore ed esploratore Marco Polo che nel 1270 viaggiando nella zona della Persia relazionava in merito a tale fatto: “In Persia c’è una città che si chiama Saba, dalla quale partirono i tre Re che andarono ad adorare Dio quando nacque. In questa città sono seppelliti i tre Magi in una bella sepoltura, e sono rimasti ancora tutti interi, con barba e con i capelli. Uno si chiamava Beltasar, l’altro Gaspar, il terzo Melquior. Marco Polo domandò più volte agli abitanti di quella città di quei tre re: nessuno gli seppe dire nulla, se non che erano seppelliti lì da molto tempo”.

Sempre relativamente ai Magi, è ricordato che nel XII secolo, dopo la guerra condotta da Federico Barbarossa contro il comune di Milano, il cancelliere imperiale Rainaldo di Dassel decise di sottrarre alla città lombarda il suo tesoro più prezioso: i corpi santi dei tre Magi. Le spoglie mortali erano conservate in un sarcofago nella basilica di Sant’Eustorgio e l’arcivescovo li fece trasferire nella cattedrale di Colonia, dove tuttora si trovano.

I corpi dei Magi erano giunti a Milano nel lontano 345, quando Sant’Eustorgio li portò con sé da Costantinopoli. Solo nel 1903 vi ritornarono, anche se non “completamente”. Furono restituite le reliquie di due fibule, una tibia e una vertebra. Queste sono collocate accanto alla loro presunta tomba, posta nel transetto della basilica romanica di Sant’Eustorgio, e più precisamente nella cosiddetta “cappella dei Magi”.

Per risalire ai nomi dei Re Magi, bisogna ricorrere a uno dei vangeli apocrifi, quello dell’Infanzia Armeno, che ci dice: “I re magi erano tre fratelli: il primo Melkon, regnava sui persiani, il secondo, Balthasar, regnava sugli indiani, e il terzo, Gaspar, possedeva il paese degli arabi. Essendosi uniti insieme per ordine di Dio, arrivarono nel momento in cui la vergine diveniva madre”.

Sempre nel Vangelo apocrififo detto Arabo dell’Infanzia, si legge testualmente: “Dei Magi vennero a Gerusalemme, come aveva predetto Zaratustra, portando con sé dei doni”.

Tra l’altro, bisogna dire che i loro nomi non sono casuali: Melchiorre sarebbe il più anziano e il suo nome stesso deriverebbe da Melech, che significa Re; Baldassarre deriverebbe da Balthazar, mitico re babilonese, quasi a suggerire la sua regione di provenienza; Gaspare, per i greci Galgalath, significa signore di Saba.

Culture che s’intrecciano, biografie che si uniscono, tutte nella contemplazione di Gesù Bambino.

Ritornando al testo del Vangelo, quello riconosciuto e ispirato, scritto dall’evangelista Matteo che oggi accompagna la celebrazione della parola di Dio nella solennità dell’Epifania, sappiamo che questi tre saggi, sapienti appena giunti a Gerusalemme si rivolsero al Re Erode, il quale quello che aveva riferito della nascita del Re dei Giudei “restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo”. Venuto a conoscenza della nascita del suo successore e per lui usurpatore, si informò accuratamente. Gli studiosi della scrittura citavano i testi dei profeti che avevano da secoli annunciato il futuro Messia di Israele, indicando il villaggio della nascita di Lui: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta. Pur essendo una piccola realtà abitativa, circa 1000 abitanti al tempo di Gesù, essa viene esaltata dai profeti, per il fatto che proprio in essa inizierà una storia che cambierà le sorti dell’umanità: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele». Chiaro riferimento alla nascita di Gesù Bambino.

Il successivo intervento da parte di Erode il Grande, fu quello di chiedere, segretamente, ai Magi, il tempo preciso in cui avevano visto sorgere la stella che li conduceva a Betlemme. Per accertarsi della veridicità dell’informazione li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».

Una strana richiesta quella di Erode. Aveva tutto il potere e tutti gli strumenti di bloccare i Magi in Gerusalemme, accertarsi direttamente su quanto da essi avevano narrato, ed invece autorizza quel pellegrinaggio dei Magi verso Betlemme, che da Gerusalemme distava e dista circa 10 Km, percorribili oggi in mezz’ora di viaggio, mentre al tempo dei Magi con cammelli e dromedari ci voleva qualche oretta di viaggio in assoluta tranquillità.

Tutto questo racconto fa pensare chiaramente al mistero della manifestazione di Gesù Cristo a tutto il mondo, quale salvatore e redentore, senza esclusioni di persone, culture, religioni, razze e provenienze.

Non a caso si dice Pasqua-Epifania e in questo giorno nella liturgia si legge l’annuncio della Pasqua, che quest’anno 2022 si celebra domenica 17 aprile e indica la struttura temporale di tutto l’anno liturgico con le varie ricorrenze e celebrazioni più importanti per la cristianità.

Riornando al testo del Vangelo, i Magi avuto il permesso di circolare, il visto d’ingresso, con passaporto verbale della loro identità o forse anche con qualche documento scritto, partirono alla volta di Betlemme. “Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”.

Sta tutto in questo racconto la celebrazione dell’Epifania del Signore che chiaramente, al dà della storia, della leggenda, dice una cosa molto importante ai credenti e cristiani di oggi e di sempre.

La parola “Epifania”, dal greco antico, ἐπιφαίνω, epifàino (“mi rendo manifesto”), significa, infatti, “mostrare”, e come verbo riflessivo significa “mostrarsi”.

Per noi cristiani è la solennità che vede protagonisti – oltre, ovviamente la Sacra Famiglia – i Re Magi, questi misteriosi “personaggi”, venuti dall’Oriente.

E’ il solo Vangelo di Matteo a raccontarci di questo evento messianico. Questo, si limita a parlare di “alcuni” Magi, senza precisarne il numero.

Gli unici “numeri” citati sono quelli in riferimento ai doni per il Bambino Gesù: oro, incenso e mirra.

Leggiamo infatti nel vangelo dell’Epifania che “nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo».

Se vogliamo sintetizzare in poche parole la festa di oggi, il suo significato religioso, spirituale e soteriologico, lo possiamo trovare nella preghiera della colletta della messa di questo giorno, nella quale preghiera con queste parole: “O Dio, che in questo giorno, con la guida della stella, hai rivelato alle genti il tuo Figlio unigenito, conduci benigno anche noi, che già ti abbiamo conosciuto per la fede, a contemplare la bellezza della tua gloria”.

L’Epifania è contemplazione di Cristo Salvatore, mediante la fede; è testimonianza di Cristo mediante l’amore, espresso dai doni dei Magi; è speranza nella salvezza finale che per tutti si realizzerà a conclusione del nostro pellegrinaggio terreno.

Come i Magi dall’Oriente, ognuno di noi deve uscire dalle presunte sicurezze e certezze, come ci ha fatto capire la pandemia, per incamminarci sulla strada di Dio, condotti come i Re Magi da una stella sicura e certa che mai scomparirà, anche se siamo in pieno giorno o immersi nelle notti più buie della nostra esistenza, fatta di sofferenza e peccati. E questa stella cometa si chiama Cristo. Incontrarlo davvero nel profondo del nostro cuore è la vera salvezza terrena ed eterna per ciascuno di noi e per il mondo intero, che brancola ancora oggi nel buio e non solo a causa della pandemia, ma per altri e più gravi problemi che allontano l’umanità da Dio e dal vero ed eterno Paradiso.

SECONDA DOMENICA DOPO NATALE – 2 GENNAIO 2022

IMG-20181002-WA0040

II Domenica dopo Natale

Domenica 2 gennaio 2022

In Cristo Verbo incarnato, noi tutti siamo diventati luce per gli altri

Commento di padre Antonio Rungi

Al secondo giorno del nuovo anno 2022, siamo in pieno tempo natalizio, con il costante richiamo della parola di Dio al mistero del Verbo incarnato che celebriamo con data fissa il 25 dicembre di ogni anno. Oggi la parola di Dio di questa seconda domenica dopo Natale, ci invita a riflette sul tema della sapienza incarnata, che è Cristo, la parola di Dio, fatta carne nel grembo verginale di Maria per indicarci così il modo di intendere e vivere la vita nella prospettiva e nella dimensione di Dio che si è fatto bambino. Un bambino che come tutti i bambini del mondo, in carne ed ossa, appena nato non dice una parola, ma la sua vita dice tutto a partire da momento in cui viene alla luce, anzi viene concepito nel grembo di Maria Santissima. La prima lettura di oggi, tratta dal libro della Sapienza ci indica esattamente questo percorso ed itinerario di fede e di speranza nel Verbo fatto carme. La sapienza fa il proprio elogio, in Dio trova il proprio vanto, in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria. Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca, dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria, in mezzo al suo popolo viene esaltata, nella santa assemblea viene ammirata, nella moltitudine degli eletti trova la sua lode e tra i benedetti è benedetta, mentre dice: «Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele, affonda le tue radici tra i miei eletti”. Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l’eternità non verrò meno. Nella tenda santa davanti a lui ho officiato e così mi sono stabilita in Sion. Nella città che egli ama mi ha fatto abitare e in Gerusalemme è il mio potere. Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso, nella porzione del Signore è la mia eredità, nell’assemblea dei santi ho preso dimora». Il mistero del Natale è racchiuso in queste parole profetiche del libro sapienziale per eccellenza che oggi ci viene proposto come testo di riflessione iniziale della parola di Dio. Alla prima lettura fa eco il testo del vangelo di oggi che come quello della messa del giorno di Natale è il prologo del Vangelo di San Giovanni. Si ritorna oggi a ripercorrere tutto l’iter del Figlio di Dio, seconda persona della santissima Trinità, l’unica delle tre dell’Unico Dio, che ha assunto la natura umana e quindi ci ha rivelato la natura stessa di Dio. Il prologo di san Giovanni è sicuramente uno dei testi evangelici e biblici più letto, meditato, studiato ed applicato alla vita Trinitaria e alla vita cristiana, perché in questo testo scritto dell’evangelista teologo c’è tutto il cuore e l’esperienza del discepolo prediletto del Signore che ha potuto così fissare nel suo vangelo gli attributi di Dio che Cristo ha rivelato e che sono: eternità, onnipotenza, luce, creatore redentore, salvatore, perfetto uomo e perfetto Dio. Questa Dio che è tutto e in tutto non è lontano da noi, ma è vicino a noi, al punto tale che il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Una abitazione temporanea nel tempo previsto di portare a compimento l’opera redentiva, ma una abitazione stabilizzata in eterno nel suo Regno che non ha tempo, non ha limiti, non si restringe negli spazi ristretti del mondo e del contingente, ma che è aperto all’infinito e all’amore senza fine. Queste verità di fede hanno un evidente risvolto nella vita di ogni cristiano che nella sua libera adesione a Cristo deve pure comprendere qual è il contenuto della sua fede e come ci si deve rapportare ad esso in termini di coerenza e fedeltà. Nel testo del prologo la figura di Giovanni Battista citata in modo così esemplare ci può aiutare a comprendere in che modo noi dobbiamo rapportarsi al Messia, al Salvatore senza falsificare la sua identità ma riconoscendo per quello che Egli effettivamente è: la luce vera che illumina ogni uomo e a questa luce bisogna dare testimonianza con la propria vita. Ecco perché San Paolo nel brano della lettera agli Efesini di oggi ci invita a capire la nostra vocazione ed agire di conseguenza in base alla nostra identità di credenti in Cristo. Lui un sincero convertito, integerrimo assertore delle verità della fede cristiana ci ricorda “che Dio ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato”.

La nostra carta di identità, il nostro biglietto di presentazione e se vogliamo in nostro green-pass della religione o il certificato verde della nostra speranza in Cristo sta in questo brano cristologia pura e semplice. Partendo da questa identità spirituale ed ontologica di ogni cristiano, giustamente san Paolo,  avendo avuto notizia della  fede dei cristiani di Efeso nel Signore Gesù e dell’amore che essi nutrivano verso tutti i cristiani, qui definiti santi, continuamente rendo grazie per loro ricordandoli tutti nelle sue preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, dia ad ognuno di loro uno spirito di sapienza e di rivelazione, al fine di ottenere una profonda conoscenza di Gesù Cristo. In poche parole conoscere, amare e servire il Signore, in quanto tutti coloro che sono venuti alla fede hanno acquistato un tesoro non in termini materiali, ma spirituali che nessuno potrà mai togliere a chi si immerge nella conoscenza approfondita di Cristo. E conoscere biblicamente significa amare e servire per essere degni della vita senza fine.