Archivi Mensili: febbraio 2018

Padre Rungi commenta la parola di Dio della II Domenica di Quaresima 2018

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II DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO B)
Domenica 25 febbraio 2018

Contemplativi del monte Tabor

Commento di padre Antonio Rungi

La parola di Dio di questa seconda domenica del tempo quaresimale ci invita a salire con Cristo sul monte Tabor per contemplare la sua gloria. Siamo invitati a fare la stessa esperienza di fede dei tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, frequentemente insieme a Gesù nei momenti più forti e significativi della sua vita.

Anche noi possiamo, anzi dobbiamo sperimentare la stessa gioia di vedere Cristo trasfigurato nella sua gloria che parla a noi attraverso i testi sacri e i profeti e viene a confermarci che Egli è il Figlio unigenito del Padre, l’amato che va ascoltato, seguito ed imitato.

E il cammino di Cristo come di ogni discepolo vero del divino maestro si fa duro e sofferto, in quanto si tratta di scendere dal monte della gloria e della gioia per calarsi nella valle di lagrime e da qui salire un’altra montagna, quella del Calvario, dove Cristo si offre al Padre per la nostra salvezza.

Ecco perché Gesù raccomanda ai tre discepoli che hanno toccato con le loro mani il cielo di Dio, il santo paradiso, di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo la risurrezione di Cristo dai morti.

Il segreto viene mantenuto dai tre. Rispettano la parola data al maestro e il patto sancito, tacitamente, tra loro e Gesù, ma rimangono nel forte dubbio circa l’ultima comunicazione fatta loro dal Maestro, al punto tale che si chiedevano cosa volesse significare risorgere dai morti.

Espressioni mai sentite dire, tantomeno verificate nella storia dell’umanità. Mai nessuno era risorto dai morti e tutti erano certi di morire una volta per sempre.

Il tema della risurrezione dai morti ritorna al centro dell’insegnamento di Gesù proprio in prossimità della sua morte in croce.

Il dubbio si azzererà nel giorno di Pasqua, quando Pietro, Giovanni e Giacomo seppero della risurrezione di Cristo e i primi due corsero al sepolcro per andare a verificare l’attendibilità della notizia portata dalle donne.

Inizia, così, anche per i tre, il cammino di avvicinamento a Cristo, morto e risorto, la cui anticipazione è data nella trasfigurazione.

La prima lettura di oggi è strettamente collegata al Vangelo. Qui entra in gioco  Dio Padre, nella figura di Abramo e Dio Figlio, nella figura di Isacco.

Il testo del libro della Genesi ci porta sul monte Moria, dove Abramo in obbedienza alla voce di Dio, sta per offrire, prima uccidendolo con un coltello e poi bruciandolo vivo sull’altare, già preparato per l’olocausto, il suo unico figlio Isacco. Cosa successe su quel monte del dolore e della morte, divenuto poi, per intervento di Dio, il monte della vita e della gioia, è descritto nel brano che ascolteremo, come lettura iniziale della parola di Dio di questa domenica:

<<L’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito».

 

Isacco non venne più sacrificato, Gesù invece viene sacrificato sul monte Calvario e il suo sacrificio sancisce il patto della nuova ed eterna alleanza nel suo sangue. Tuttavia, con Abramo inizia quella storia di amore, di promesse mantenute da Dio e disattese spesso dall’uomo. Dio lo colmerà di benedizioni il patriarca e renderà molto numerosa la sua discendenza, al punto tale che come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare, non si potrà più quantificare e contare, tanto che è numerosa. Infatti, “la discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno benedette nella sua discendenza tutte le nazioni della terra, perché Abramo aveva obbedito alla voce del Signore».

 

L’obbedienza della fede, porta a moltiplicare le stelle lucenti di una nuova umanità, fondata sull’amore, sul dono, sul sacrificio e sull’olocausto, ma soprattutto sulla parola del Signore che porta a conclusione tutto ciò che annuncia.

 

L’apostolo Paolo nel brano della sua lettura di oggi, tratto dalla Lettera ai Romani si pone alcuni fondamentali interrogativi, ai quali risponde ponendo a sua volta alcune domande alle quali dare una risposta coerente.

E allora, si chiede: ”Fratelli, se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà?

 

La risposta la troviamo a conclusione del brano, in cui c’è questa affermazione teologica e cristologica: “Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi”.

 

Morte e risurrezione di Cristo è il centro della vita di ogni discepolo di Gesù. Da questa Pasqua 2018, dobbiamo ripartire per capire il verso senso di essere cristiani oggi. Percorrendo la strada che dal Tabor scende a valle e poi risale per fermarsi al Calvario noi capiamo e svolgiamo il vero itinerario di fede incontrando Cristo e camminando accanto a lui. E poi dal Calvario ripartire per un’altra e più importante missione di pace e d’amore universale, che Cristo lancia dal sepolcro vuoto, ma che anticipa nella trasfigurazione.

 

La nostra umile preghiera sia sostenuta da una profonda fiducia nella parola di Dio che si è fatta carne: “O Padre, che ci chiami ad ascoltare il tuo amato Figlio, nutri la nostra fede con la tua parola e purifica gli occhi del nostro spirito, perché possiamo godere la visione della tua gloria”.

 

E con il salmista diciamo: Ti prego, Signore, perché sono tuo servo; io sono tuo servo, figlio della tua schiava: tu hai spezzato le mie catene. A te offrirò un sacrificio di ringraziamento e invocherò il nome del Signore.

 

Noi siamo convinti alla luce della parola di Dio di questa seconda domenica, che pone alla nostra attenzione la trasfigurazione di Cristo sul Monte Tabor, che la nostra trasfigurazione in Cristo, avviene mediante lo spezzare le catene del male e del peccato che si annidano in noi e nella società. Noi siamo i contemplativi del Monte Tabor, per poi essere gli impegnati nella valle per trasformare il mondo in una comunità riconciliata nell’amore e con l’amore in Cristo e per Cristo, il Figlio amato dal Padre.

 

L’OMELIA DI PADRE ANTONIO RUNGI PER LA I DOMENICA DI QUARESIMA 2018

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I DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO B)

Domenica 18 febbraio 2018


Quaresima: acqua, deserto e penitenza.

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

La parola di Dio di questa prima domenica di Quaresima 2018 è incentrata nel presentarci il significato della Quaresima, attingendo da due testi biblici, il primo dal Libro della Genesi, relativo al diluvio universale, il secondo dal Vangelo di Marco, riguardante il periodo di isolamento di Cristo nel deserto. Acqua, deserto e penitenza sono le tre parole che ci accompagnano in questo inizio di Quaresima.

 

Nel brano della Genesi ci viene raccontato il primo diluvio universale che fu di selezione e purificazione per tutta la terra, segno del Battesimo, in cui l’acqua è l’elemento di purificazione versato sulla nostra terra per lavarci dal peccato originale e purificarci per una vita nuova nella grazia santificante. Dopo il diluvio Dio stabilisce una precisa alleanza con l’uomo: “non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio, né il diluvio devasterà più la terra. La pace è entrata nella storia dell’umanità e Dio si fa garante da parte sua di questa pace, a condizione che l’uomo rispetti le leggi di Dio che danno pace e sicurezza. Dio, infatti, disse a Noè e ai suoi figli con lui: «Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e animali selvatici, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca, con tutti gli animali della terra”. Il segno visibile di questa alleanza sarà l’arcobaleno della pace universale, tra il il Creatore, il Creato e le Creature: «Questo è il segno dell’alleanza, che io pongo tra me e voi e ogni essere vivente che è con voi, per tutte le generazioni future. Pongo il mio arco sulle nubi, perché sia il segno dell’alleanza tra me e la terra”.

San Pietro Apostolo rifacendosi proprio al testo della Genesi del diluvio e del post-diluvio con l’alleanza tra Dio e Noè, nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla sua prima lettera, parla del significato dell’acqua, del battesimo e della redenzione operata da Cristo con la sua morte e risurrezione, in cui tutti noi cristiani siamo immersi mediante il battesimo. Leggiamo, infatti, “Quest’acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi; non porta via la sporcizia del corpo, ma è invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo”.

Il significato più vero della Quaresima che abbiamo iniziato a celebrare, mercoledì scorso, con il rito dell’imposizione delle ceneri, è questo tempo di grazia per rivivere il nostro battesimo in profondità. E sull’esempio di Cristo che si ritirò nel deserto, per 40 giorni, a pregare, a digiunare a ritagliarsi un tempo tutto per sé prima di iniziare il ministero pubblico, anche noi siamo chiamati a valorizzare la Quaresima come tempo di riflessione, preghiera e progettazione per il nostro prossimo futuro, che è la celebrazione della nostra Pasqua del cuore e nel cuore.

Possiamo assumere come personali impegni per la Quaresima queste cose possibili da farsi per ogni buon cristiano: il rito della Via Crucis; i ritiri spirituali, la Lectio divina quotidiana, la meditazione personale quotidiana, il silenzio e il raccoglimento constanti, il deserto, come spazio di riflessione e purificazione, la penitenza personale, quale volontà di conversione, la carità vissuta.

La sintesi e la progettualità di questa Quaresima 2018 sta nell’orazione iniziale della messa di oggi; “O Dio, nostro Padre, con la celebrazione di questa Quaresima, segno sacramentale della nostra conversione, concedi a noi tuoi fedeli di crescere nella conoscenza del mistero di Cristo e di testimoniarlo con una degna condotta di vita”.

E come completamento del nostro bisogno di pregare con maggiore intensità e convinzione, aggiungiamo questa preghiera della Quaresima:

Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio vivente, che Ti sei ritirato nel deserto, per quaranta giorni, a pregare e a fare penitenza, in vista dell’annuncio del tuo Regno e dell’invito alla conversione della gente, fa che questo tempo di Quaresima che Tu ci doni, porti nel nostro cuore il rinnovamento spirituale di cui abbiamo tutti quanti bisogno.

Allontana da noi ogni male e donaci la forza di superare ogni tentazione che l’antico e sempre nuovo accusatore provoca in noi per allontanarci dal tuo amore.

Dona a noi, in questi santi giorni di preghiera, conversione e carità sincera, di essere coerenti con il santo vangelo della misericordia e dell’amore, senza offendere la dignità di nessuno, ma tutti protesi verso il bene assoluto, che sei Tu.

Sostienici nella nostra sincera volontà di pentirci da tutti i nostri peccati della vita presente e dei tempi passati, perché nulla possa ostacolare il nostro cuore e la nostra mente nello sperimentare la vera gioia del pentimento, della riconciliazione con Dio e con i fratelli.

Fa di questo tempo di penitenza il momento favorevole, per vivere la solidarietà fraterna come segno distintivo di ogni buon cristiano, incamminato sulla via della santità.

Nulla e nessuno turbi il nostro cuore ed i nostri propositi di bene che intendiamo mantenere non solo in questo tempo, ma per tutta la nostra esistenza terrena.

Maria, la Madre della vera e perpetua Quaresima, con il suo esempio ed il suo insegnamento di silenzio, ascolto e penitenza, ci indichi la strada per incontrare Gesù nel cammino verso il doloroso Calvario e il Cristo Risorto nella gioia della Santa Pasqua. Amen.

 

 

 

 

P.RUNGI. SESTA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO- 11 FEBBRAIO 2018- COMMENTO

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VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)
Domenica 11 febbraio 2018

 

Signore, se vuoi, tu puoi guarirmi dalla lebbra dello spirito

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

La parola di Dio di questa domenica VI del tempo ordinario ci parla della condizione del lebbroso nell’Antico Testamento e della guarigione di un lebbroso da parte di Gesù, nel brano del Vangelo, tratto dall’evangelista Marco.

Nella prima lettura, assunta dal Libro del Levitico vengono dettate le norme di come gestire la malattia della lebbra da parte di chi ne era affetto. E ciò al fine di non contaminare la comunità, ben sapendo che la lebbra si trasmette ed è infettiva per sua natura.

Norme severissime, di esclusione totale dalla vita di relazione di quella persona che era affetta da questo problema.

Primo atto è quello di andare da un sacerdote in caso di lebbra accertata o sospetta. Secondo atto, è l’assunzione di un modo di vestire diverso dal vestire comune. Infatti il lebbroso o sospetto di lebbra “porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore”.

Infine, terza disposizione è quella di farsi individuare nel suo camminare, gridando: “Impuro! Impuro!”.

 

Tutto questo per evitare qualsiasi infezione e diffusione del contagio stesso. Potremmo definirle norme di prevenzione sanitaria e vero e proprio isolamento del lebbroso, una quarantena di allontanamento dagli altri in attesa di guarigione.

Questa condizione persisterà durerà in lui il male. Sarà considerato impuro finquando dura la malattia e di conseguenza, se ne starà solo ed abiterà fuori dell’accampamento.

Cose da un punto di vista sanitario accettabili in quei tempi, ma dietro a tutto questo assillo di carattere medico c’erano altri risvolti di carattere morale e religioso.

Il lebbroso è il simbolo del peccato e come tale è colui che deve essere emarginato e scartato.

La logica dello scarto del malato prende avvio, a livello religioso, proprio nei testi biblici dell’Antico Testamento che poco o niente considera la dignità della persona umana e soprattutto dell’ammalato.

La conseguenza era quella di isolare il soggetto dal resto della comunità e farlo vivere fuori dell’accampamento in segno di una esclusione della vita sociale codificata e ratificata.

Tutto diverso è l’atteggiamento di Gesù nei confronti del lebbroso che si presenta a lui e gli chiede di essere guarito.

Gesù lo accoglie, dialoga con lui, lo guarisce e gli raccomanda alcune cose da fare. In sequenza notiamo le varie azioni che Gesù compie per arrivare alla guarigione del lebbroso: ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e lo sanò.

A guarigione avvenuta Gesù lo ammonì severamente, lo mandò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».

Gesù ricorda al lebbroso guarito di fare ciò che era prescritto nel Levitico, cioè di andare dal sacerdote per ringraziare e offrire la sua offerta.

Invece cosa successe, per la gioia della guarigione ottenuta, il lebbroso guarito “si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte”.

Gesù viene fatto conoscere per la sua straordinaria potenza divina che guarisce ogni forma di malattia e in questo caso quella della lebbra che era molto diffusa e perciò stessa emarginante della persona che ne soffriva.

E’ interessante notare come Gesù prenda a cuore la richiesta del lebbroso che con fiducia e speranza si rivolge al Lui e gli dice: «Se vuoi, puoi purificarmi!».

E Gesù volle in quella circostanza guarire la persona, come aveva fatto tante altre volte, che si era trovato di fronte a delle richieste di guarigione che nascevano dal cuore, erano espressione di una profonda fede e fiducia in Lui.

 

Quanto c’è da imparare ed apprendere da questo lebbroso che manifesta tutta la sua fiducia nel Signore e si abbandona totalmente alla sua santissima volontà,

Quel “se vuoi” indica che il Signore può e fa tutto quello che è necessario per il bene dell’uomo e come espressione della sua libera volontà e decisione di intervenire o meno in certe situazioni di sofferenza, come quella del caso del lebbroso.

Noi sempre abbiamo bisogno di Dio in tutte le necessità e Lui ci concede quello che è davvero utile per il nostro bene.

 

Di questo è convinto fortemente l’Apostolo Paolo che nel brano della prima lettera ai Corinzi ci ricorda oggi: sia che mangiamo sia che beviamo sia che facciamo qualsiasi altra cosa, tutto deve essere fatto per la gloria di Dio. Di conseguenza chi agisce avendo davanti a sé Dio, non sarà motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio”.

 

L’apostolo si riconosce anche dei meriti personali e a tal riguardo scrive: “io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza”. Ed infine un esplicito invito: “Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo”.

In sintesi la Parola di Dio di questa sesta domenica ci sollecita un cammino di purificazione che passa attraverso la conversione del cuore e della vita. Un cuore più aperto a Dio ed una vita più aperta al sorriso, alla gioia, alla speranza e alla fedeltà alla parola data a Dio.

 

Sia questa la nostra umile preghiera in questo giorno dedicato al Signore della pace, della gioia, della purificazione e del risanamento spirituale: “Risanaci, o Padre, dal peccato che ci divide, e dalle discriminazioni che ci avviliscono; aiutaci a scorgere anche nel volto del lebbroso l’immagine del Cristo sanguinante sulla croce, per collaborare all’opera della redenzione e narrare ai fratelli la tua misericordia.

ROMA. E’ MORTO PADRE TITO AMODEI – L’ARTISTA DEI PASSIONISTI

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Roma. Grave lutto tra i Passionisti. E’ morto il frate artista, padre Tito Amodei.

di Antonio Rungi

 

Ieri mattina, 31 gennaio 2018, alle ore 8.10, alla Scala Santa in Roma, all’età di 92 anni, dopo una breve agonia, è morto il nostro confratello Passionista padre Tito dell’Angelo custode, al secolo Ferdinando Amodei.

Padre Tito era affetto da alcuni anni da una grave malattia che ne limitava le attività e nonostante questo continuava la sua giovanile passione artistica. Nel pomeriggio di ieri, dalle ore 15,00 alle ore 19.00 è stata allestita la camera ardente nella portineria della Scala Santa, che come è noto è affidata ai Padri Passionisti.

Padre Tito era conosciuto in tutto il mondo, essendo un artista apprezzato per le sue doti e capacità artistiche manifestate in tante sue creazioni.  Era nato l’11 marzo 1926 a Colli al Volturno in provincia di Isernia. Entrato giovanissimo tra i Passionisti a Nettuno, in seguito alla predicazione di una missione popolare, professò il 4 ottobre 1945 e fu ordinato sacerdote il 3 maggio 1953. Appassionato di arte conobbe i pittori e scultori più noti del tempo soprattutto a Firenze dove frequentò l’Accademia delle belle Arti. Le sue opere sono conservate in vari musei d’Italia e del mondo. Un molisano dal cuore sensibile alla bellezza della natura, che seppe apprezzare in tante forme e riprodurla con genialità e creatività nelle sue opere. Ora contempla in cielo la piena e perfetta bellezza di Dio, immerso nel suo volto d’amore e di splendore. I funerali si svolgeranno il giorno 2 febbraio alle ore 10.30 alla Scala Santa in Roma. Dopo i funerali le spoglie mortali del noto religioso saranno tumulate al cimitero dei Passionisti del Monte Argentario, in provincia di Grosseto, dove san Paolo della Croce eresse la prima casa religiosa della sua Congregazione della Passione.

P.RUNGI. IL COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO – DOMENICA V DEL T.O. – 4 FEBBRAIO 2018

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V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Domenica 4 febbraio 2018


La vita è un soffio della vita divina

Commento di padre Antonio Rungi

La riflessione di questa domenica quinta del tempo ordinario parte dalla prima lettura, tratta dal libro di Giobbe, in cui il profeta rilegge alla luce dell’eternità la sua esperienza di sofferenza, fatica e dolore che lo hanno toccato per tutto il tempo su questa terra: “A me sono toccati mesi d’illusione e notti di affanno mi sono state assegnate”. Ed aggiunge profondamente prostrato dalla fatica della vita: “La notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fino all’alba. I miei giorni scorrono più veloci d’una spola, svaniscono senza un filo di speranza. Ricòrdati che un soffio è la mia vita”. Notiamo in questo testo lo sconforto di una persona segnata dal dolore. Giobbe, noto per la sua grande pazienza nell’accettare tutte le prove che gli venivano dal cielo, è il modello di tanti uomini e donne credenti che sanno affrontare le prove della vita con coraggio, anche se a volte emerge chiaro lo sconforto momentaneo. Nonostante le sue delusioni, Giobbe ha il cuore aperto alla speranza e confida in Dio. Dal suo esempio vogliamo apprendere l’apertura ad un discorso sulla vita che va oltre la vita, quell’alito di vita divina che abbiamo ricevuto nel momento del concepimento con l’infusione dell’anima da parte di Dio in quell’esserino umano, che ha avuto inizio in quel momento e che poi rimane in eterno. L’anima di cui ci fa dono Dio p immortale, mentre il nostro corpo soggetto alla corruzione e decomposizione, anch’esso è destinato alla risurrezione finale, in quanto Cristo è risorto ed è la prima della nuova creazione. Il dovere di ogni cristiano è annunciare il vangelo della vita e della speranza. Chi si riempie di Dio continuamente mediante l’ascolto della sua parola lo annuncia agli altri non per mettere in risalto le sue capacità comunicative, espressione e formative, bensì come esigenza prioritaria di rendere testimonianza a Colui è il cuore e centro del Vangelo e della storia della salvezza: Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore. Ecco perché l’Apostolo Paolo, nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla sua prima lettera ai Corinzi sottolinea l’importanza dell’annuncio evangelico per sé e per tutti i cristiani che vogliono diventare veri protagonisti nella diffusione del Regno di Dio tra gli uomini: “Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!”. In altri termini, “annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo”. Ed è evidente che il Vangelo non è solo parola, predica o discorso, ma è soprattutto vita, è un conformarsi continuamente a Cristo, attraverso la vicinanza a quanti rappresentano Cristo nella sofferenza e nella necessità. Paolo precisa che egli “pur essendo libero da tutti, si è fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Si è fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; si è fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno”. E conclude con un’affermazione di principio etico fondamentale per lui e per ogni cristiano chiamato a testimoniare il Vangelo oggi e sempre: “Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io”. E’ il vangelo della vita e della speranza che va annunciato ad ogni essere umano. In fondo è quello che Gesù ha fatto e di cui il testo del Vangelo di questa domenica, tratto da San Marco, mette in evidenza, quando parla dell’azione taumaturgica di Cristo che guarisce malattie, infermità e libera da varie tipologie di possessione diabolica. Infatti, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva”. Prima guarigione raccontata in questo brano, dove si evidenza la guarigione della suocera e non della mamma di Pietro. Segno evidente che la suocera viveva con Pietro nella casa coniugale. Esempio di accoglienza e di amore verso le figure parentali acquisite, mediante il matrimonio, che qui sono rispettate e curate e che oggi, spesso non viene assolutamente fatto, anche dalle persone che si definiscono cristiane. Si curano le mamme, ma non le suocere. Si curano i figli e non le nuore. Quanto c’è da imparare dal Vangelo.

Gesù prosegue poi nella sua opera di guarigione, tanto è vero che San Marco, scrive che “venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano”. Un lavoro di guarigione che spazia dalla mattina alla sera e che non ha orari di ricevimento come spesso troviamo indicato anche nelle nostre chiese, relativamente all’ascolto dei fedeli, alle confessioni, alle necessità spirituali impellenti ed urgenti. Gesù non ha orari per fare il bene e così dovrebbe essere per ogni buon pastore e buon fedele.

Dopo la fatica apostolica arriva anche il breve riposo per Gesù che aveva assicurato la sua vicinanza a tutti fino a notte inoltrata. L’evangelista annota che “al mattino presto, Gesù si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava”. Primo pensiero di Gesù all’inizio del nuovo giorno è raccogliersi in preghiera, in solitudine. Quanto dovremmo apprendere dal divino Maestro circa i nostri abitudinari comportamenti. Il nostro primo pensiero al mattino non è pregare, ma alimentarsi e cibarsi ci cose materiali: il caffè, la prima colazione e difficilmente la preghiera del mattino, le Lodi, l’Ufficio delle letture. Come è distante il nostro modo di vivere, dal vivere di Cristo eppure ci teniamo a dire che siamo cristiani e cattolici.

La conclusione del brano del vangelo di questa quinta domenica del tempo ordinario, sta nella prosecuzione del cammino di Gesù per andare incontro alle necessità della gente, viaggiando e camminando per i villaggi vicini, senza fermarsi mai, se per brevi tempi per alimentarsi di poche essenziali cose e per riposarsi pure qualche volta. Infatti, leggiamo che “Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni”. Gesù il modello della predicazione itinerante e non stanziale. Quanto è difficile per gli evangelizzatori, molte volte, lasciare le sedi comode della loro azione pastorale per fare esperienza di itineranza e missionarietà. Troppo attaccati a posti, ai luoghi e alle persone rischiano di limitare la loro azione pastorale e renderà sterile perché si va nell’abitudinario, mentre potrebbero fare e dare di più in altri luoghi, dove, magari, è richiesta la loro presenza per le qualità e i carismi missionari ed apostolici che hanno. Dovremmo tutti imparare da Gesù e camminare, camminare per portare a tutti il vangelo della vita e della speranza.

Sia questa la nostra preghiera del cuore che rivolgiamo tutti insieme al Signore: O Dio, che nel tuo amore di Padre ti accosti alla sofferenza di tutti gli uomini
e li unisci alla Pasqua del tuo Figlio, rendici puri e forti nelle prove, perché sull’esempio di Cristo impariamo a condividere con i fratelli il mistero del dolore,
illuminati dalla speranza che ci salva. Amen.