Archivi Mensili: giugno 2017

OGGI SONO 150 ANNI CHE SAN PAOLO DELLA CROCE FU PROCLAMATO SANTO

Paulo_ Cart_23

ROMA. 150 ANNI DALLA CANONIZZAZIONE DI SAN PAOLO DELLA CROCE IL 29 GIUGNO 2017

 

di Antonio Rungi

 

I passionisti di tutto il mondo, oggi, 29 giugno 2017, ricordano il fausto evento dei 150 anni della canonizzazione di San Paolo della Croce, loro Padre e Fondatore.

Tante le iniziative poste in essere da tutto l’istituto per ricordare degnamente questo evento, a partire da Roma, ai Santi Giovanni e Paolo, dove il 18 ottobre 1775, san Paolo della Croce chiudeva la sua avventura spirituale per volare in cielo. Qui, infatti, nella casa generalizia si svolgeranno i momenti più importanti, alla presenza del superiore generale, padre Joachim Rego.

Messa solenne di ringraziamento nel giorno commemorativo, durante il quale la Chiesa a Roma e nel mondo celebra la solennità dei santi Pietro e Paolo. Domenica, 2 luglio, la solenne inaugurazione della cappella del Fondatore,  nella Casa generalizia, ristrutturata e sistemata per renderla più fruibile come luogo di preghiera e di celebrazione della santissima eucaristia. In fase di completamento è un percorso a piedi per le strade di Roma “Sulle orme di San Paolo della Croce”, che permetterà ai pellegrini passionisti e ad altri di apprezzare i luoghi dove Paolo fu presente ed esercitò il ministero in questa città, dall’ospedale san Gallicano, alla Chiesa della Navicella, alla Madonna Salus Populi Romani e alla Basilica Celimontana.

Tutte le singole comunità passioniste, attualmente 400 nel mondo, in 60 nazioni e in tutti i continenti, ricorderanno questo giubileo speciale, con messe di ringraziamenti, convegni, eventi culturali e sociali, facendo tesoro, soprattutto, di quanto ha scritto il Superiore generale a tutta la famiglia passionista nel mondo: “Sarà una straordinaria opportunità per riscoprire e dare grande cura al dono fatto da Dio a tutta la Chiesa nella persona e nella spiritualità di San Paolo della Croce e nell’aver fatto dono, attraverso di lui, della Congregazione della Passione alla Chiesa”.

San Paolo della Croce venne proclamato santo con la Bolla di canonizzazione promulgata dal Papa Pio IX il 7 giugno 1867.

Con questo atto ufficiale, la Chiesa riconosceva  le virtù eroiche di san Paolo della Croce e il 29 giugno 1867, il Santo Padre lo canonizzava nella Basilica di San Pietro: era uno dei venticinque nuovi santi e sante canonizzati in quel giorno.

“S. Paolo della Croce –scriveva il Servo di Dio Padre Teodoro Foley, in occasione del centenario della canonizzazione, il 29 giugno 1967 – si santificò non come individuo, ma come fondatore e perciò l’aiuto divino, datogli dall’inizio della sua vocazione fino alle ultime ore della sua vita, ebbe lo scopo di renderlo il prototipo di coloro che lo avrebbero seguito.  La santificazione personale di S. Paolo della Croce, quindi, esaltata nella sua canonizzazione, fu voluta da Dio per dare alla congregazione un modello perenne di santità, affinché i suoi figli, imitandolo, rendessero testimonianza in mezzo al mondo del mistero della morte e della resurrezione del Signore e, in tal modo, annunziassero il vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo. Questo è il motivo per cui la canonizzazione di S. Paolo della Croce ha importanza speciale per noi, suoi discepoli di oggi”.

 

Padre Rego,  oggi a 150 anni dalla canonizzazione di San Paolo,  rivolgendosi a tutti i passionisti del mondo, scrive: “Fratelli miei e sorelle, vi esorto caldamente a non lasciare che questo evento del 150° anniversario della canonizzazione di San Paolo della Croce, passi inosservato. Anzi, al contrario, incoraggio una più profonda riscoperta della straordinaria personalità di San Paolo della Croce e della sua spiritualità sulle profondità dell’amore di Dio che sgorgano dalla Passione di Gesù”.

In questo giorno di festa arriva la triste notizia della morte della madre del nostro Superiore generale, a Sidney in Australia. Siamo vicino con la preghiera al nostro padre Joachim Rego.

 

P.RUNGI. COMMENTO ALLA XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

cira-antonio

DOMENICA XIII DEL TEMPO ORDINARIO

DOMENICA 2 LUGLIO 2017

 

La croce di Cristo, amore per l’umanità

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

La liturgia della parola di questa XIII domenica del tempo ordinario è un insieme di appelli alla fede, alla speranza e alla carità, vissuta nel nome del Signore e testimonianza con una degna condotta di vita.

A partire dalla prima lettura, tratta dal secondo libro dei Re, ci immergiamo nella sensibilità umana, nel tema dell’accoglienza e della riconoscenza. Il profeta Eliseo passava spesso per Sunem e come capita in tutti i luoghi del mondo, dove ci sono i poveri, così ci sono i ricchi. Ed Eliseo venne accolta da una donna facoltosa, sposata, ma senza figli. Non si trattava di una generosità occasionale o un atto di elemosina, gettato lì, tanto per mettersi a posto la coscienza. Al contrario questa donna, aveva perfettamente visto in Eliseo un santo e lo confida apertamente al marito. Addirittura, proprio perché si ripeteva sistematicamente questa visita e questa, la coppia decise di destinare una stanza della loro abitazione, al piano superiore, perché il profeta, nel suo peregrinare nell’annunciare la parola di Dio, oltre che al cibo, potesse usufruire anche del doveroso riposo. Tutto si realizza nella massima disponibilità della coppia e della loro generosità. Potremmo dire che anche i cuori dei ricchi sanno donare e non solo possedere ed avere per se stessi. E qui ci troviamo in un caso di generosità ed accoglienza totale. Chi riceve tanto, non può tenere per se quanto riceve. E il profeta Eliseo, si pone legittimamente la domanda, chiedendo lume e suggerimenti al suo inserviente: “Che cosa si può fare per questa donna?”. Il servo lo informò di una carenza enorme per una donna: “Purtroppo essa non ha figli e suo marito è vecchio”. Eliseo fece chiamare la donna. Ed ella appena giunta si fermò sulla porta. Allora il profeta Eliseo le disse: “L’anno prossimo, in questa stessa stagione, tu terrai in braccio un figlio”. Penso che dono più bello per una donna, sterile e con il marito avanti negli anni, non poteva ricevere. Immagino il cuore, gli occhi e la mente di quella donna sposata a quella promessa. La piena fiducia nella parola del profeta e sapere con certezza che era una parola vera e che si sarebbe verificata. Quante donne attendono il dono di un figlio e quante ci provano ad averlo in tanti modi, con le tecniche di oggi e non vi riescono? Il figlio è un dono e un diritto. L’importante che si sia accoglienti verso la vita, in tutte le età e in tutte le condizioni sociali. Questo testo biblico ci fa apprezzare il dono della generosità e della maternità e paternità, non solo biologica, ma anche spirituale. Sul tema della riconoscenza e della gratitudine verso Dio è incentrato il salmo 88, il salmo responsoriale di questa domenica, nel qual diciamo: canteremo per sempre l’amore del Signore. Canteremo senza fine le grazie del Signore,  con la nostra bocca annunzieremo la sua fedeltà nei secoli, perché il Signore ha detto: “La mia grazia rimane per sempre”; la tua fedeltà è fondata nei cieli”.

Nel brano del seconda lettura di oggi, tratta dalla lettera ai Romani di San Paolo Apostolo, ci viene ricordato il grande dono della fede, ricevuto nel battesimo e il significato teologico che questo sacramento ha nella vita di ogni cristiano. Infatti, ci ricorda, includendo lui stesso, che “quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte. Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova”. Immersi quindi nella morte e risurrezione di Cristo. Morti al peccato e viventi nella grazia santificante, che ci rigenera continuamente a vita nuova, in attesa della vita senza fine e della risurrezione finale. Per cui, “se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù”.

Il vangelo di oggi, tratto da Matteo, è una delle pagine più belle scritte con la vita e con le parole dette da Gesù a noi. E’ un appello a mettere al centro della vita, ciò che veramente conta ed ha valore infinito ed eterno. E quello che conta veramente in questa nostra esistenza terrena non è nulla di materiale, ma tutto quello che è espressione di amore verso il Signore.

Neanche gli affetti più naturali, importanti indispensabili, colme quelli verso un genitore o verso un figlio, contano di più. Ecco perché questa parola del Signore, non ammette compromessi e chiede radicalità nell’accoglienza e nella vita vissuta, fino alla fine: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà”.

Quante volte pensiamo in questa ottica umana e poi restiamo profondamente delusi, perché spesso non amano i figli i genitori e i genitori i figli. L’amore umano è sempre soggetto a fragilità, a debolezze e a stanchezze. L’amore del Signore e per il Signore è in eterno. E Gesù ce lo ricorda con parole pesanti nel vangelo di oggi: “Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto. E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa”.

L’amore di Dio che si concretizza con l’amore fatto di gesti semplici, anche di un bicchiere d’acqua, a chi ne ha bisogno. L’amore riempie, disseta, rigenera, ridà vita e speranza. E se l’amore è donato nel nome del Signore acquista un valore di eternità, che solo Dio potrà ricompensare nel modo adeguato.

I santi della carità, rimangono di esempio in questo nostro mondo in cui tanto si parla di carità e poco la si vive e la si attua nella vita quotidiana. Sia questa la nostra preghiera, che eleviamo al Signore in questo giorno di luce e di speranza per tutti: “O Dio, che ci hai reso figli della luce con il tuo Spirito di adozione, fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore, ma restiamo sempre luminosi nello splendore della verità”. Amen.

 

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 25 GIUGNO 2017 – XII T.O.

davide026

XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

Domenica 25 giugno 2017
Una fede coraggiosa che sappia affrontare tutte le sfide e le prove della vita

Commento di padre Antonio Rungi

Dopo le varie feste e solennità che abbiamo celebrato nelle domeniche precedenti, fino al Corpus Domini, con questa domenica XII del tempo ordinario, riprendiamo le nostre riflessioni sui testi biblici che ci offre la parola di Dio di questa Domenica. Sono testi davvero significativi che attendono di essere compresi e annunciati, meditante una degna condotta di vita cristiana.

La prima lettura tratta dal libro del profeta Geremìa, ci presenta un profeta di fronte al comportamento dei calunniatori nei suoi riguardi, per screditarlo, per rendere meno credibile la sua parola, di messaggero di Dio, ma non ci riescono, non raggiungono il loro scopo, in quanto il profeta, nonostante le calunnie, le denunce, gli inganni messi in atto, Egli sente vicino il Signore che lo protegge e lo fa prevalere contro i suoi avversari e nemici. Alla fine la scena si ribalta. Non è il profeta sotto inchiesta per false denunce e calunnie, ma proprio coloro che avevano operato in questa direzione immorale. Come dire, che chi si affida a Dio, prima o poi vincerà la sua battaglia di rettitudine e moralità, nonostante le debolezze personali e connaturali all’essere umano.

Questa pagina del profeta Geremia sembra essere la fotografia del mondo di oggi, basata sulla falsità, sulla menzogna, sulla diffamazione e calunnia di chi invece cerca di fare il suo dovere, di essere coerente con i principi morali e rispondere alla personale chiamata alla santità. Questo avviene in tutti gli ambienti, soprattutto oggi sui social, nella politica, nella comunicazione, nell’economia, nel campo giudiziario, ma avviene sempre più frequentemente nei confronti della chiesa e all’interno della Chiesa. Tanti santi sono stati diffamati e calunniati per invidia e gelosia all’interno degli ambienti, dove vivevano ed operano, sono stati avversati, ostacolati, bloccati, emarginati dal potere gerarchico, che non sempre ha la capacità di intercettare i segni dei tempi e capire i veri profeti di quel periodo. Basta far riferimento ad alcuni Santi a noi noti, come San Pio da Pietrelcina, San Tommaso Fusco, e sacerdoti come don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani, riportati al centro della considerazione della Chiesa ufficiale con la recente visita di Papa Francesco nei luoghi delle loro memorie e delle loro opere.

Il brano del profeta Geremia aiuti tutti coloro che si trovano di fronte a prove dolorosissime, provocate dai loro calunniatori e detrattori, a superarle. Con l’aiuto di Dio la verità verrà sempre alla luce, nei suoi molteplici aspetti, non sempre positivi, per come si è giunti ad  essa.

Nel salmo 68, che è inserito come salmo responsoriale per questa domenica, viene ribadito il concetto di accettazione della sopportazione, dell’insulto, dell’esclusione sociale, nel seguire la legge del Signore che pone in evidente contrasto con quanto è capace di elaborare l’uomo che offende e denigra i propri fratelli. Anche qui ci si affida al Signore che non può lasciare da solo chi confida in Lui.

Nel testo della lettera ai Romani, che costituisce il brano della seconda lettura di questa domenica, san Paolo Apostolo, scrivendo ai cristiani di Roma e della capitale dell’impero, nuovo centro del cristianesimo nascente e ormai diffuso oltre lo spazio geografico della Palestina, parla di peccato e grazia, del primo Adamo, prefigura di Cristo. Il primo si raccorda al peccato originale, il secondo, Gesù Cristo è il salvatore e redentore e si raccorda alla grazi. Questo modo di procedere dell’apostolo per analizzare il termine del peccato, va chiaramente contro una visione della legge, che è parametro di confronto del peccato stesso, in quanto “fino alla Legge c’era il peccato nel mondo”. Con la legge sinaitica entra in campo la misericordia di Dio. Scrive, infatti, che “la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire”. E conclude nel segno della misericordia e della grazia: “Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti”.

Nel contesto generale della parola di Dio di questa domenica, si colloca perfettamente quello che è scritto nel testo del Vangelo di Matteo e che sarà alla nostra attenzione durante la celebrazione della santa messa.  Non dobbiamo aver paura della verità. Anche nelle proprie debolezze e nelle tue fragilità, il Signore guarda al nostro cuore  e non alle nostre credenziali sociali o di altra natura. Gli altri non sono né migliori, né peggiori di noi. Tutto viene chiarito davanti al cospetto di Dio. Dobbiamo aver il coraggio dell’annuncio, della denuncia del male e della corruzione. Non possiamo adattarci alle situazioni di ingiustizia presenti nel mondo. Non dobbiamo aver paura di coloro che ci ammazzano nel corpo (e lo fanno spesso, soprattutto ai nostri giorni), ma di coloro che uccidono la speranza, la gioia, la vita, la libertà in ogni essere umano. In poche parole, dobbiamo aver paura di colui o di coloro che sono strumenti nelle mani di Satana per distruggere in noi ciò che veramente conta, e cioè l’immagine di Dio in noi.

Noi non siamo soli in questa lotta. Dio è dalla nostra parte ed è il Vincitore. Avere il coraggio della propria fede ed essere testimoni credenti e credibili ci fa comprendere meglio chi siamo realmente, come preghiamo in questa domenica con la colletta di introduzione alla santa messa: “O Dio, che affidi alla nostra debolezza l’annunzio profetico della tua parola, sostienici con la forza del tuo Spirito, perché non ci vergogniamo mai della nostra fede, ma confessiamo con tutta franchezza il tuo nome davanti agli uomini, per essere riconosciuti da te nel giorno della tua venuta”. Amen.

 

CORPUS DOMINI 2017 – LA RIFLESSIONE DI PADRE ANTONIO RUNGI

cira-antonio

SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (ANNO A)

Domenica 18 giugno 2017

La santissima eucaristia, il pane degli angeli e pane dei pellegrini

Commento di padre Antonio Rungi

Oggi celebriamo la solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Gesù, il Corpus Domini, il Corpo del Signore, il Corpo di Cristo. Celebrare il corpo del Redentore è celebrare il mistero che lo contiene e lo esprime ed è la santissima eucaristia. Noi cattolici, crediamo, infatti, quello che la Chiesa da sempre ha creduto e vissuto, celebrando ogni giorno la santa eucaristia, nelle catacombe, come nelle grandi basiliche o nelle piccole chiese di campagna o di periferia. Dovunque c’è un altare e che un sacerdote, dove c’è almeno una delle due specie eucaristiche, il pane o il vino o come è prassi entrambi, il ministro consacrato, pronunciando le stesse parole che Gesù disse nell’ultima cena, sul pane e sul vino, si rinnova lo stesso sacrificio di Cristo sulla Croce, la sua morte e la sua risurrezione. La messa, memoriale della Pasqua di Cristo attualizza l’evento salvifico ed è luogo teologico privilegiato per fare vera comunione con Cristo, con il suo corpo donato e il suo sangue versato. E, l’Eucaristia, il sacramento del corpo e sangue del Signore che ci sostiene nel pellegrinaggio della vita, come persone e come comunità. E’ quel pane degli angeli disceso dal cielo e dato a noi come pane dei viandanti, per il nostro cammino nel tempo, in preparazione dell’eternità si colori di gioia e speranza e trovi in questo sostegno interiore la forza della grazia per superare ogni ostacolo e barriera che si incontra lungo il tragitto della vita, non sempre facile e semplice da affrontare e vivere. Nella preghiera iniziale della santa messa di questa solennità, noi ci rivolgiamo a Dio con queste parole: “Dio fedele, che nutri il tuo popolo
con amore di Padre, ravviva in noi il desiderio di te, fonte inesauribile di ogni bene:
fa’ che, sostenuti dal sacramento del Corpo e Sangue di Cristo, compiamo il viaggio della nostra vita, fino ad entrare nella gioia dei santi,  tuoi convitati alla mensa del regno.
Entrando nei testi biblici che ci riportano alle sorgenti della santissima eucaristia, il brano della prima lettura di oggi, tratto dal libro del Deuteronòmio, ci riporta al racconto della storia del passaggio di Israele dalla schiavitù dell’Egitto, alla libertà della Terra Promessa, la Palestina. Mosè, il condottiere, sale in cattedra e illustra la storia come è andata e quale senso bisognava dare a quanto il Signore aveva fatto per loro. Parole che toccano il cuore di ogni animo veramente religioso e che ci aprono la strada alla vera comprensione del mistero del santissimo sacramento dell’altare, partendo dalla prima storica pasqua di liberazione sociale e ambientale. E’ un invito a non dimentica e a fare memoria:  «Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto… Egli ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. Non dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile…. che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri». Mosè chiede al popolo di non dimenticare. Gesù nell’ultima cena dopo aver distribuito il pane e il vino ai dodici apostoli, chiede di rinnovare e fare le stesse cose in memoria di Lui. E’ la nuova Pasqua che si configura in quella cena, che viene consacrata attraverso i segni del pane e del vino, memoriale della morte e risurrezione del Signore. Dalla prima Pasqua, quella degli Ebrei, alla nuova e definitiva Pasqua di Cristo, celebrata nella sua morte e risurrezione in riscatto dei nostri peccati e quelli del mondo intero. Nel Salmo responsoriale di questa solennità, tratto dal salmo 147, c’ un forte appello, a rendere lode al Signore, perché ha rinforzato le sbarre delle porte di Gerusalemme, ha benedetto i suoi figli, ha messo  pace nei suoi confini e la sazia con fiore di frumento. Per il suo popolo santo manda sulla terra il suo messaggio e sua parola corre veloce, stabilizza con la legge dell’amore Israele, dando ad essa un posto di rilievo tra le nazioni. conoscere loro i suoi giudizi. Israele, come la nuova Gerusalemme, la Chiesa è nel cuore di Dio e di Cristo.

Da parte sua san Paolo Apostolo, riflettendo sul mistero eucaristico, scrivendo ai cristiani di Corinto, nel brano della seconda lettura di oggi, ci viene a confermare l’essenza stessa della comunione o della celebrazione eucaristica nella sua completezza nelle specie e nella liturgia che pure veniva attentamente seguita e attuata nella comunità cristiana di Corinto. E chiede a mo’ di interrogativo teologico e morale: Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?” Duplice interrogativo posto in riferimento all’utilizzo del pane e del vino per la celebrazione dell’eucaristia. Un duplice interrogativo che trova risposta nel versetto seguente, che fa da sintesi di pensiero e di azione liturgico. Egli, infatti, scrive: “poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane”. E’ evidente che il pane eucaristica costituisce la chiesa in unità e chi partecipa alla mensa eucaristica fa la comunione con Cristo e vive in comunione con i fratelli, nella fede  e nell’umanità.

Agganciandoci, al Vangelo di oggi, tratto da San Giovanni, noi possiamo ben capire, perché Gesù dichiari apertamente che Egli è “il pane vivo, disceso dal cielo”. Aggiungendo il valore e il peso spirituale per chi si ciba di Lui: “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Di fronte ad un’affermazione così importante, di questa nuova teofania della divinità di Cristo e della sua figliolanza con Dio, “i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro”, ponendosi la domanda: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». E Gesù risponde subito, dando le motivazioni personali, bibliche e teologiche in merito al quesito posto, replicando: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.  Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

E’ il celebre discorso di Gesù sul pane della vita, che è Egli stesso e al quale dobbiamo accedere sistematicamente, in stato di grazia, per camminare verso l’eternità e prepararci con la nostra risposta di amore eucaristico, che è amore di lode e di ringraziamento, ma anche di amore e oblazione, la nostra vita futura, che non è su questa terra, ma si colloca nel cielo.

La sequenza del Corpus Domini, inserita nella liturgia della messa di oggi, ci riporta fondamentalmente al senso più vero dell’eucaristia come, pane dei pellegrini, pane che prepara ad una vita oltre la vita, anzi che la fa anticipare e gustare  giù su questa terra, se viviamo davvero come anime eucaristiche e adoriamo il santissimo sacramento con lo stesso animo che  lo hanno adorato i santi devoti del sacramento dell’altare: “Buon pastore, vero pane, o Gesù, pietà di noi: nutrici e difendici, portaci ai beni eterni nella terra dei viventi. Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra, conduci i tuoi fratelli alla tavola del cielo nella gioia dei tuoi santi”. Amen

RUNGI2015

SANTISSIMA TRINITA’ (ANNO A)

 

DOMENICA 11 GIUGNO 2017

 

IL NOSTRO DIO E’ IMMENSO NELL’AMORE

 

ED INFINITO NELLA MISERICORDIA

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

Il mistero della Santissima Trinità che celebriamo oggi con un’apposita liturgia della parola e dell’Eucaristia, ci sostiene nella profonda convinzione della nostra fede, nel Dio Uno e Trino, che il nostro Dio è grande nell’amore ed immenso nella sua misericordia.

Padre, Figlio e Spirito Santo è la grande rivelazione che Gesù Cristo, nostro Salvatore, fa all’uomo nella sua venuta sulla terra, quale redentore, inviato dal Padre, la cui missione, una volta completata con la sua ascensione al cielo, viene continuata dall’azione dello Spirito Santo che “procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre ed il Figlio è adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti” (Credo). Questo Dio Uno e Trino, è vicino a noi e vive dentro di noi. Questo Dio che è Uno nella natura, Trino nelle persone, forte ed immenso nell’amore, generoso nel concedere il perdono.

Nella preghiera della colletta di questa festività, noi, infatti, ci rivolgiamo con queste bellissime espressioni di fede: “O Dio Padre, che hai mandato nel mondo il tuo Figlio, Parola di verità, e lo Spirito santificatore per rivelare agli uomini il mistero della tua vita, fa’ che nella professione della vera fede riconosciamo la gloria della Trinità e adoriamo l’unico Dio in tre persone.

Dal brano della prima lettura di questa festa, ci vengono indicati alcuni attribuiti essenziali di Dio, così come sono descritti nel testo dell’Esodo, che narra la liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto, del passaggio del Mar Rosso e della comunicazione di Dio della sua fondamentale volontà, scritta e fissata nei Dieci Comandamenti, dati a Mosè sul Monte Sinai, dove Egli stipula con l’uomo una prima fondamentale alleanza, quella appunto sinaitica. Infatti leggiamo che “in quei giorni, Mosè si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano. Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà».

Dio si autorivela, si dichiara per quello che Egli è sostanzialmente: un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà”.

Come si vede, è un Dio che prende l’iniziativa per farsi conoscere e per dire all’uomo, che non è solo, ma oltre di Lui che un Essere superiore che lo sostiene nel cammino della vita e della storia e che cammina al suo fianco non con le armi e le frecce in mano, né con la potenza del governo di ogni genere umano e terreno, ma con l’amore, la tenerezza e la bontà di un Padre, che guarda davvero nel cuore di ogni suo figlio, comprendendolo e rassicurandolo nelle sue fragilità.

Lo stesso salmo responsoriale, tratto da libro di Daniele è un inno di lode e di riconoscenza al nostro Dio, il cui nome è glorioso e santo. Egli che penetra con lo sguardo gli abissi  siede sui cherubini.

Nel brano della seconda lettura di questa festa, Paolo Apostolo, scrivendo ai Corinzi, ci raccomanda di essere gioiosi, di tendere alla perfezione, di farci coraggio a vicenda nella prova,  di avere gli stessi sentimenti e di vivere in  pace con se stessi, con gli altri e soprattutto con Dio.

Nel testo di questo brano viene riportato il noto saluto iniziale della celebrazione eucaristica o di apertura di varie liturgia, che ben conosciamo e che ci riporta nel mistero della Santissima Trinità: “La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi”.

Ebbene, davvero facciamo sì che la santissima Trinità inabiti in noi e ci dia tutta quella forza che ci serve per camminare nella vita di tutti i giorni, verso il traguardo finale dell’eternità, dove vedremo Dio faccia a faccia, così come Egli è, e sapremo la verità di tutto quello che abbiamo creduto, amato e sperato nel tempo, non senza dubbi e problemi. In questa fede nella santissima Trinità, siamo cresciuti e siamo stati allattati con il latte spirituale dei nostri genitori e di quanti ci hanno educati ad alzarci al mattino e farci il segno della Croce, per iniziare il nuovo giorno sotto la protezione di Dio e così, man mano per tutta la giornata, nelle varie attività e celebrazione, nei vari spostamenti, passando davanti ad una chiesa o un cimitero o fermandosi in sosta davanti ad una icona della Vergine Santissima, la Madre di Dio e Madre di nostro Signore Gesù Cristo. Quel Dio che, come ci ricorda San Giovanni nel brano del Vangelo di questa festa che «ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.

Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio». Il mistero della santissima Trinità è un mistero d’amore infinito e di misericordia senza limiti. Egli da cielo sa e conosce ogni nostra esigenze e bisogno e con autorevolezza di Padre ci sostiene nel cammino del pellegrinaggio terreno, indicando nel suo Figlio, morto e risorto, la strada maestra per andare in cielo e lasciandoci guidare dallo Spirito Santo, consolatore perfetto e dolce ospite della nostra vita di credenti. Sia questa la nostra preghiera in onore della Santissima Trinità: “Padre della vita, che con infinito amore guardi e custodisci coloro che hai creato, ti ringraziamo per tutti i tuoi doni. Ascoltaci quando ti invochiamo, sostienici quando vacilliamo, perdona ogni nostro peccato. Signore Gesù, Salvatore del mondo, che hai preso su di te i pesi e i dolori dell’umanità, ti affidiamo ogni nostra sofferenza. Quando non siamo compresi, consolaci, nell’inquietudine donaci la pace, se siamo considerati ultimi, tu rendici primi. Spirito Santo, consolatore degli afflitti e forza di coloro che sono nella debolezza, ti imploriamo: scendi su di noi. Con il tuo conforto, il pellegrinaggio della nostra vita sia un cammino di speranza verso l’eternità beata del tuo Regno. Amen” (Card Dionigi Tettamanzi).