sfoghi

Falciano del Massico (Ce). Ad un mese e mezzo dall’Ordinanza del Sindaco di “Non morire”

Chiese_Fa_01.jpgvista.jpgNel contesto del tempo pasquale sembra quanto mai appropriato il richiamo, per una doverosa riflessione sul tema del rispetto dei morti, all’ordinanza sindacale del Primo cittadino, il dottore Giulio Cesare Fava, del Comune di Falciano del Massico, in provincia di Caserta, nella Diocesi di Sessa Aurunca, N. 9 del 5 marzo 2012, nella quale dispone il “divieto di oltre passare il confine della vita terrena per andare nell’aldilà”, in poche parole dispone di “non morire” per i suoi concittadini. Non è una trovata pubblicitaria, forse sarà una vera provocazione per sollecitare l’interesse della città e delle istituzioni superiori all’Ente locale, circa la questione della mancanza di loculi nel cimitero locale e quindi l’impossibilità di dare segna sepoltura nel Comune di residenza a quanti lasciano questo mondo.
Le motivazioni sono chiaramente espresse nella premessa, ove si legge: “Premesso che: – il Comune di Falciano del Massico non ha il Cimitero nel proprio patrimonio immobiliare; – dalla data della acquisita autonomia, avvenuta nel settembre 1964, il Comune di Falciano del Massico si è sempre servito del vicino Cimitero “S. Lorenzo”, di proprietà del Comune di Carinola e ubicato nel suo territorio comunale; – che la gran parte delle tumulazioni è stata organizzata dalle locali confraternite che storicamente hanno avuto la disponibilità di un numero di loculi sufficiente per le esigenze cittadine; – tale Cimitero è arrivato a saturazione anche per quanto riguarda la componente confraternite che non dispongono più di adeguato numero di loculi”; inoltre si legge nell’ordinanza: “ Preso atto che il Comune di Falciano del Massico ha stipulato una convenzione con il Comune di Carinola per l’ampliamento dell’attuale Cimitero “S. Lorenzo”, ma che a tutt’oggi non sono iniziati i lavori; atteso che, allo stato, i cittadini di questo Comune incontrano gravi difficoltà, se non anche impossibilità, nel reperimento di loculi dove tumulare i propri cari deceduti; atteso che la mancanza di tumulazione di un defunto pone un grave problema di emergenza sanitaria e di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale; ritenuto di dover adottare apposita ordinanza contingibile e urgente, assumendo i poteri derivanti dall’art. 50, comma 5, del D. Lgs. 267/2000”, il Sindaco, Giulio Cesare Fava “Ordina: 1. Con decorrenza immediata, e per quanto nelle possibilità di ciascuno, è fatto divieto ai cittadini residenti nel Comune di Falciano del Massico, o comunque di passaggio per il territorio comunale, di oltrepassare il confine della vita terrena per andare nell’aldilà; 2. Di notificare la presente ordinanza ai cittadini di Falciano del Massico a mezzo notifica collettiva con affissione all’Albo Pretorio comunale on line e nelle bacheche comunali”.
Da tutto il contesto è facile rilevare l’amarezza del Primo Cittadino che da quasi 50 anni il Comune di Falciano del Massico non riesce ad avere uno spazio autonomo e realizzare il cimitero cittadino per una serie di motivi addotti dallo stesso Sindaco, ma che poi in concreto ingloba altri significativi aspetti umani, sociologici, storici e localistici.
Attualmente il Comune circa 4.000 abitanti, due parrocchie, 1.300 nuclei familiari. Molti sono gli anziani che vivono in questo piccolo centro a ridosso di Carinola e di Mondragone, dal quale dista 7 Km. L’attività prevalente è quella agricola, con limitato impegno nelle attività del terziario, dell’industria e del turismo. In assenza di lavoro i giovani della cittadino sono costretti ad emigrare in altre parti d’Italia o all’estero. Mancano le scuole superiori, manca il cimitero, mancano quei servizi utili alla popolazione, in ragione del fatto del limitato numero degli abitanti. Eppure dall’autonomia in poi, risalente al 1964, il Comune di Falciano è progredito tantissimo nei vari campi e nei servizi. Anche la presenza del noto Lago di Falciano costituisce un richiamo turistico per la zona, meta di costante visite di scuole e di villeggianti.
Ma la storia del piccolo centro parte da molto lontano. Risalgono, infatti, tra i 70.000 e i 30.000 anni fa i primi ritrovamenti in località “Grottolelle” , poco fuori il centro abitato non lontano dalla strada provinciale Falciano -Mondragone. Nei lavori di escavazione di una cava fu scoperta una grotta nel cui interno si rinvennero numerosi strumenti in selce.Poco a nord del centro storico si localizza un altro sito riconducibile al Paleolitico Superiore (35.000 10.000 anni fa) che ha restituito cospicui manufatti preistorici. Falciano si consolida nella sua identità geografica e storica durante l’epoca romana. Nel 340 a.c. l’Ager Falernus (corrispondenti agli attuali territori dei comuni di Falciano del Massico Carinola e Mondragone) viene conquistato dai romani e tolto agli Aurunci. Nel suo centro i romani vi fondano la città di Foro Popilio (tra Falciano e Carinola), vi costruiscono la via Appia (312 a.C.) e distribuiscono il territorio (centurazione) a numerosi coloni. Intorno alla seconda metà del II secolo a. C. nascono molte ville rustiche, munite nella gran parte di una stanza per il torchio (torcular) nelle quali veniva prodotto il famoso Falerno, il vino più rinomato in età romana esportato in tutto il mondo allora conosciuto. Ancora oggi, sulle colline prospicienti Falciano, è possibile ammirare le vestigia di queste ville ( Castellone, Castelluccio, Le Mura, Finocchiaro, Macerone, ecc.). Mura in opera poligonale, pavimenti in cocciopesto con caratteristici disegni formati da tessere in marmo resti di torchi, cisterne, ecc. Ulteriore sviluppo della cittadina si registra durante l’intero Medioevo. Infatti, con la scomparsa nel V secolo d. C. del centro egemone di Foro Popili si assiste al proliferare dei nuovi nuclei abitati ed all’espansione dei pagi romani tra cui Falciano (Fauciano – Faustiano). Nell’alto Medioevo si segnala la grangia benedettina, di cui si ha notizia nell’875, di “S. Maria in Fauciano” e il Monastero di S. Laro di cui sono ancora visibili i resti presso l’omonima masseria. Particolare importanza riveste il monastero di Martino, Santo vissuto alla fine del VI secolo sulla cui tomba ben presto nacque un monastero, poi benedettino. Nella grotta che ospitò l’eremita sono presenti diversi cicli pittorici con affreschi che vanno dal IX secolo fino a tutto il periodo barocco Il museo (in via di allestimento) ospiterà i reperti archeologici di età preistorica e romana che nel corso di questi ultimi anni sono venuti alla luce a seguito dei numerosi scavi condotti in zona dalla Sopraintendenza. Ceramica a vernice nera, sigillata italica e sigillata africana troveranno spazio in bacheche con approfondite didascalie. Saranno visibili una ricostruzione a grandezza reale di un torchio di età romana nonché i vari tipi di anfore prodotte in zona(tipico contenitore per il trasporto del vino). Non mancheranno numerose epigrafi e pannelli a tema che aiuteranno il visitatore a seguire le dinamiche storico-evolutive del territorio. Una sezione del museo sarà dedicata alla fase preistorica con l’esposizione dei materiali in selce.
Falciano è una comunità profondamente cristiana con feste importanti come quella di San Rocco e San Pietro. Si divide in due parrocchie che in gergo comune sono dette di Falciano-capo e Falciano-Selice. Il nucleo più antico è quello che fa riferimento alla parrocchia S. Pietro. La chiesa è riccamente decorata da stucchi barocchi sembra sorta nel XVII secolo. Da ammirare al suo interno la splendida cantoria lignea con quattro scene neotestamentarie: Circoncisione di Gesù; Fuga in Egitto; Predica di S. Giovanni nel deserto e Battesimo di Gesù. L’altra chiesa parrocchiale è dedicata ai Santi Martino e  Rocco. Si accede nella piccola chiesa attraverso un portale architravato sormontato da una lunetta con archivolto decorata da motivi zoomorfi. Quest’ultimo è stato riutilizzato e può essere forse di età romanica. I numerosi quadri (dal XVI al XIX secolo),qui una volta presenti sono oggi conservati presso la nuova ed omonima chiesa in via Alloro.
Il Patrono è San Rocco e si festeggia il 16 agosto con una grande festa popolare che richiama in Paese i tanti falcianesi che sono emigrati all’estero o vivono altrove in Italia e che mantengono le loro radici nel loro paese d’origine.
A distanza di un mese e mezzo dall’ordinanza del Sindaco di Falciano del “divieto di oltrepassare il confine della vita terrena”, in altre parole di non morire, sarebbe interessante sapere quante persone sono morte in questi giorni e quale cittadino ha disobbedito al dispositivo del Sindaco. Sarebbe forse il caso di mettere anche una multa al caro estinto, se qualcuno se ne è andato su “volontà di Dio” che è Padrone della vita e della morte, contravvendo alle disposizioni sindacali. Certo un’anomala ordinanza del genere fa riflettere e ci fa pensare come oggi non solo sia difficile vivere, ma anche morire. E’ difficile trovare un posto non solo al Cimitero di Falciano, che cimitero non ha e deve far ricorso altrove, ma in tante altre parti d’Italia. Questo apre al problema della cremazione, che in molti comuni è autorizzata e che gli stessi cattolici possono praticare, purché non sia contro la fede e l’insegnamento del magistero della Chiesa.

Riflessione. Gli sportivi si curino meglio e si preoccupino di più della loro salute. Spesso hanno famiglia e figli!

Morosini1.jpgIl caso Morosini solleva anche questioni di ordine morale. La cura della salute, viene prima di ogni attività sportiva professionistica, fosse pure quella certificata come ai massimi livelli diagnostici e di prevenzione. Bisogna prestare maggiore attenzione alla salute e non solo fisica degli atlenti, evitando di sottoporli a sforzi continuativi, se non a livello fisico, a livello psicologico e neurologico. Oggi il calcio, come tanti altri sport stressa gli atleti, in quanto le prestazioni ad alto livello e il buon rendimento in campo, compensa anche il rendimento fuori campo. Per cui lo sforzo di riuscire sempre meglio, spesso si paga con il compromettere la salute complessiva. La competizione eccessiva, il contesto culturale, sociale ed economico in cui si muove il cacio e gli altri sport non aiutano a far stare sereni né i calcatori e né i tifosi. Ridimensionare il fenomeno e l’affare calcio penso che sia dovere di tutti. Troppo esaltazione e troppa rivalità, ma anche troppi interessi che ruotano intorno al mondo del calcio. Di fronte alla morte di un giovane giocatore, bisogna non solo sospendere il campionato per una partita, che non necessariamente si deve recuperare (un turno lo si può anche annullare), ma si tratta di ripensare tutto il settore non solo alla luce delle conoscenze e del progresso medico, ma anche dell’etica in generale e della deontologia professionale. A tale riguardo  bisogna valutare attentamente da un punto di vista di etica cristiana, personale e sociale fino a che punto il calcio portato a questi livelli rispetti davvero la persona umana e nel caso specifico il “lavoratore” sportivo. E’ bene ricordare quanto è scritto nel Catechismo della Chiesa cattolica circa il quinto comandamento di “Non uccidere”, circa la cura della salute: “La vita e la salute fisica sono beni preziosi donati da Dio. Dobbiamo averne ragionevolmente cura, tenendo conto delle necessità altrui e del bene comune.La cura della salute dei cittadini richiede l’apporto della società perché si abbiano le condizioni d’esistenza che permettano di crescere e di raggiungere la maturità: cibo e indumenti, abitazione, assistenza sanitaria, insegnamento di base, lavoro, previdenza sociale. Se la morale richiama al rispetto della vita corporea, non ne fa tuttavia un valore assoluto. Essa si oppone ad una concezione neo-pagana, che tende a promuovere il culto del corpo, a sacrificargli tutto, a idolatrare la perfezione fisica e il successo sportivo. A motivo della scelta selettiva che tale concezione opera tra i forti e i deboli, essa può portare alla perversione dei rapporti umani. La virtù della temperanza dispone ad evitare ogni sorta di eccessi, l’abuso dei cibi, dell’alcool, del tabacco e dei medicinali. Coloro che, in stato di ubriachezza o per uno smodato gusto della velocità, mettono in pericolo l’incolumità altrui e la propria sulle strade, in mare, o in volo, si rendono gravemente colpevoli. L’uso della droga causa gravissimi danni alla salute e alla vita umana. Esclusi i casi di prescrizioni strettamente terapeutiche, costituisce una colpa grave. La produzione clandestina di droghe e il loro traffico sono pratiche scandalose; costituiscono una cooperazione diretta, dal momento che spingono a pratiche gravemente contrarie alla legge morale”. Sono riferimenti e richiami morali molto precisi, soprattutto in ordine al successo sportivo, che richiede la virtù della temperanza da parte di chi sono i responsabili dei club e ai giocatori. Bisogna evitare eccessi di ogni genere, così pure nell’uso dei medicinali, degli stimolatori, dei vari integratori che si usano per recuperare le energie dopo prolungati sforzi e stress da attività sportiva. Tutto deve contribuire al bene della persona e lo sport deve essere occasione di sano divertimento  e non di frustrazioni di ogni genere. Le cause della morte di Morosini che saranno gli esperti a stabilirle scientificamente, mediante l’esame autoptico, qualsiasi risultaro darà (davvero secondario rispetto alla morte di un giovane atleta) deve fare riflettere seriamente tutto il settore dello sport. Anche se una sola morte in campo ogni 40 anni è un dato statistico irrilevante, come sembra sia capitato in Italia, rimane una sconfitta, perché, al di là dell’evento imprevedibile come un aneurisma cerebrale, rimane il fatto che la salute fisica, psichica e spirituale dei calciatori va controllata non ogni sei mesi o ogni anno, ma tutte le volte che iniziano gli allenamenti e soprattutto le gare, quelle che si presentano con più cariche motivazionali ed emotive. I controlli devono essere sistematici in ragione anche al tipo di vita ed anche alla storia della salute dello sportivo e dei suoi familiari. I fattori ereditari ed a rischio in determinate famiglie non possono non essere considerati quando si sottopone un atleta a sforzi continui, tra ritiri, allenamenti, partite di due tre alla settimana, spostamenti in pullman o in aero, ritorno a casa e i tanti pensieri che occupano la mente dei calciori e sportivi. A ciò si aggiunga la pressione dei media e tutto ciò che viene valutato dallo stesso giocatore utile o dannoso per se e il quadro di preoccupazione e tensione si può innalzare facilmente. Poi lo stress in campo, gli sconti corporali volontari ed involontari durante le partite, certo tutte queste cose non aiutano lo sportivo a stare in salute, al contrario gli mettono ansia e producono stanchezza e stress. Il calcio come lo sport in genere a livello professionistico non è più un sano divertimento e un relax,  ma un lavoro a tutti gli effetti che se si fa sotto stress e pressione può generare sofferenze e malattie di ogni genere e qualche volta anche la morte in campo o fuori campo, questo poco importa. La vita umana anche se una sola vale più di miliardi e miliari di soldi e successi che circolano intorno allo sport e anche oltre lo sport”.

Riflettere sul senso della vita e della morte

morosini.jpgMorosini1.jpgmorosini_193122--473x264.jpgDi fronte alla morte improvvisa di un giovane calciatore, come Piermario Morosini, che militava in serie B nel Livorno, si resta interdetti e shoccati. Non ci sono parole di fronte ad immagini terribili in diretta Tv che molti hanno visto, che registrano il crollo fisico di una persona, giovanissima, 25 anni, che in pochi secondi, lascia questo mondo per volare in cielo, dove ad attenderlo ci sono i suoi genitori, morti abbastanza giovani, un fratello e tante altre persone a lui care. Tutti descrivono Morosini come un ragazzo d’oro, pulito, dal cuore semplice, provato dalla vita e dalla sofferenza, impegnato nel campo sociale, sempre sorridente nonostante la sofferenza che si portava dentro. Muore un giocatore come muoiono ogni giorno milioni di persone al mondo, mentre ne nascono altrettante. E’ la storia della vita umana segnata dalla nascita e dalla morte, che ha un inizio ed ha una fine, un termine che non sta nelle nostre possibilità conoscerlo con esattezza e precisione di anno, giorno, ore, minuti e secondi. Tutto resta un mistero. Davanti alla morte di un giovane che ha fatto il giro del mondo, ha giustamente costretto i responsabili della Figc e del Coni di sospendere tutti i campionati di calcio per lutto, che ha provocato tanta sofferenza in tante persone che lo conoscevano, suoi parenti, la fidanzata, i calciatori, i suoi amici e compagni, noi vogliamo capire perché succede questo. Un motivo c’è. Non è vero che non si può spiegare una morte così improvvisa? Non è la fatalità, né il destino. Per cui se non è questo qualcosa altro sarà. Sarà un progetto di Dio sulla nostra vita che va capito. E allora anche la morte di Morosini entra nei misteri di quella vita umana, come entra nei misteri della vita umana la morte di tanti bambini, giovani, adulti, anziani, ammalati che ogni giorno nelle varie parti del mondo lasciano la terra per volare in cielo. Altrimenti dobbiamo capire il perchè di una morte, le cause del decesso, che verranno determinate scientificamente dall’autopsia sul corpo del giovane atleta, che verrà esequita lunedì, visto che devono passare almeno 24 ore dalla dichiarazione di morte per procedere all’autopsia. Sarà stato infarto? Aneurisma cerebrale? Tutte e due le cose o qualche altra causa. Sta di fatto che Piermario non c’è più su questa terra è già nella gloria del cielo e in attesa della risurrezione finale. Come tanti messaggi sottolineano in questo momento di dolore egli è volato in cielo ad incontrare i suoi genitori. In quel cielo in cui spesso fissava lo sguardo quando entrava in campo o nei momenti di gioia o di dolore o quando diceva che giocava a pallone per far sorridere in cielo i suoi genitori che non c’erano più. Il cielo, che bello dire il cielo, l’infinito ed azzurro cielo dove ci attende oltre lo stesso cielo, chi del cielo è il Signore. Ci attende Cristo che ha vinto la morte ed è risorto ed è andato a prepararci un posto proprio nel cielo. In questi giorni di Pasqua è consolante pensare al cielo e alla vita oltre al morte, anzi oltre la vita terrena ed anche di fronte alla morte di un giovane calciatore che ha lasciato interdetti tutti noi pensarlo in cielo è davvero una gioia più che un dolore, una sofferenza per quanti non sanno vedere la propria esistenza oltre questo orizzonte. Rivedere le immagini di questo giocatore che entrava in campo e come tanti si faceva il segno della croce, è esprimere quella necessità di protezione dal cielo che questa volta c’è stata ugualmente perché quel cielo lo ha voluto lassù, perché era giunta la sua ora. Nessuno nasce e muore per caso, ma tutti nasciamo e moriamo perchè così è scritto nel libro della vita. Quel libro che custodisce gelosamente Dio e dove egli ha già scritto la parola fine, che per Lui e per noi significa inizio. Inizio di una vita più bella, eterna, senza più morte, dolore e sofferenza, perché è la vita di Dio ed è la vita per sempre in Dio.

Lì sta Piermario e lì ci sono tutte quelle persone che nella vita hanno sofferto ed hanno costruito non tanto un avvenire calcistico, economico, di benessere, ma hanno costruito il loro Paradiso, perché hanno vissuto con il cuore ed i sentimenti di Cristo.

DIO E’ BONTA’ TENEREZZA

9ie3ya.jpgTra i tanti attributi di Dio quelli della tenerezza e della bontà meglio si addicono a Lui e più facilmente sono comprensibili, in quanto sono concetti facili da intendersi e soprattutto facili da sperimentale nella propria vita. Oggi che sembrano allontanarsi sempre più dall’esperienza umana questi sentimenti e valori, richiamarli all’attenzione e rifletterci sopra è quanto mai necessario.

Tenerezza e bontà sembrano, infatti, molto lontani dalla vita del nostro tempo. Violenza e cattiveria molte volte fanno da padroni nella storia di questo mondo e di questi nostri affannosi giorni. Lo conferma il fatto che l’esperienza della tenerezza e della bontà non la fanno né i figli dei nostri tempi, né i genitori di oggi e neppure chi dovrebbe per ufficio e necessità di cose vivere e testimoniare questi valori con il tenore della propria vita e con la sensibilità che gli deriva dall’essere umano.

Interessante è un breve testo del Profeta Isaia (49, 15), nel quale cogliamo l’atteggiamento di Dio nei confronti dell’umanità e nei confronti di ogni singola persona umana: ”Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai”. Un Dio che si prende cura e che non si dimentica di nessuno e sul modello di ogni mamma, fosse anche la più ingrata, egli ricorda ogni nostra necessità e nei limiti del possibile viene incontro ad esse nei modi e nei termini che nessuno pensa. E’ un Dio che parte da lontano e che non manifesta la tenerezza e la bontà in base al momento e alle convenienze, tanto per catturare l’interesse e l’affetto della persona solo in determinate circostanze. E’ un Dio buono e tenero sempre, anche se qualche volta diventa giudice severo, autorevole, capace di far rettificare i comportamenti mediante segni straordinari e fatti eccezionali. Quel Dio che, come ricorda il Profeta Isaia nei successivi versi del capitolo 49, ha posto il suo sguardo amorevole su di noi da sempre: “Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome”. Il Salmo 145 da parte sua ci ricorda che “Paziente e misericordioso è il Signore, lento all’ira e ricco di grazia. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature”. E’ stato sottolineato, infatti, che “il Salmo 145 è un canto all’umanità di Dio”. Un Dio così vicino all’uomo, da farsi uomo lui stesso, con l’incarnazione (cf. Tt 3,4). Per questo il Regno che il Signore vuole realizzare è un Regno con l’uomo, un Regno per l’uomo. Un Dio davvero tenero e straordinariamente buono, nonostante le infedeltà dell’umanità e il continuo deviare della stessa su vie contrarie a Dio medesimo. Da qui la necessità di essere oggi annunciatori della tenerezza e della bontà di Dio, piuttosto che della severità di questo Dio. D’altra parte, L’evangelizzazione è annuncio a tutti della grandezza e della tenerezza di Dio che s’espande su tutto e su tutti. Questa totalità, colta da Santa Teresa di Lisieux fin da bambina, la farà optare per Dio, come il suo tutto. Il nostro Dio è anche un Dio che si commuove e va incontro all’umanità in difficoltà o che ha deviato con il peccato, come ci ricorda il brano evangelico del Figliuol prodigo: “Il Padre, commosso, gli corse incontro” (Lc. 15,20). Il Signore, pur essendo “giusto e santo”, sa farsi vicino ai suoi fedeli per infondere loro fiducia. Così egli trasforma il timore reverenziale in amore filiale. Ed è solo con l’amore che l’uomo può sperimentare nel profondo del suo essere la vera bontà e la grande tenerezza di questo Padre che è nei cieli, ma anche sempre vicino a noi sulla Terra.
A Pasqua siamo chiamati a sperimentare la dolcezza, la bontà e la tenerezza di Dio soprattutto nella sua infinita misericordia che ha per noi; ma siamo pure chiamati a vivere e a testimoniare questi valori nei confronti dei nostri fratelli e sorelle che necessitano del nostro amore misercordioso.

E domenica che celebriamo la Festa del Perdono, la Domenica della Divina Misericordia, istituita dal Beato Giovanni Paolo II, sia per tutti noi occasione per dare e ricevere il perdono cristiano, se non l’abbiamo fatto in questi primi giorni di Pasqua 2012.

Nave Concordia. No a telenovela, sì a soluzione del problema

nave3.jpgE’ proprio così. Ogni cosa che succede in Italia e nel mondo viene spettacolarizzato al punto tale che i fatti più drammatici diventano una telenovela con puntate e programmi su tutte le televisioni. Anche per la nave Concordia, della Costa Crociere, arenata all’Isola del Giglio che ha prodotto tanto dolore e sofferenza, è successo così. Da circa una settimana non si parla di altro e tutto converge su questa notizia. Tra cronaca nera, gialla, adesso emerge anche la cronaca rosa e il gossip. Di fronte all’immane tragedia di  11 morti, di oltre 20 dispersi, di una catastrofe ambientale annunciata, penso che sia più importante fare silenzio per ricostruire nella serietà il dramma che si è consumato in quella notte davanti all’Isola del Giglio su una nave da crociera che portava a bordo circa 5000 persone. A mano a mano stanno venendo fuori testimonianze di ogni genere, eroi di qualsiasi provenienza, ma sta di fatto che non è ancora chiaro tutta la dinamica dell’incidente. Ci vorrà del tempo e non penso che le trasmissioni televisive possono accelerare per giungere quanto prima alla verità. Forse ostacolano la stessa verità, perchè si frappongono tante idee e informazioni, tanti sospetti e giudizi che solo l’autorità giudiziaria è chiamata a verificare nella loro veridicità, ai fini di un processo civile e penale che pure dovrà trovare dei responsabili. Ecco noi ci auguriamo che d’ora in poi si faccia silenzio e chi deve parlare lo faccia nelle sedi competenti e comunicando ai magistrati tutto ciò che è utile ai fini dell’inchiesta e in un futuro del processo. Perché un processo ci sarà e ci auguriamo che non si cerca il caprio espiatorio di tutto un disastro, ma ognuno, mantenendo fede ai propri doveri ed uffici, si assuma la colpa o le colpe che ha per fare luce su una vicenda che sa dell’incredibile e dell’irreale. In questi giorni la liturgia della parola di Dio ci sta parlando di Davide e Golia, del piccolo uomo e del grande guerriero. Alla fine con un sasso ed una fionda Davide abbatte il possente Golia. Una roccia  visibile ad occhi nudi, ben nota ai naviganti e presente forse da millenni in questa zona dell’Isola del Giglio, davanti all’Argentario, è stata in grado di squarciare il ventre di un colosso come la nave da crociera Concordia. Questo sta a significare che le piccole cose possono abbattere le grandi.  Gli scogli dell’Isola del Giglio sono stati il sasso di Davide per bloccare il cammino di una delle navi da criciera più belle e rinomate al mondo, facendo parte della Famiglia Costa. Un nome di prestigio e un marchio di sicurezza ed affidabilità, una garanzia assoluta nel campo della marina civile, che dopo questo drammatico incidente certamente perderà molto sull’immagine e sulla sua sicurezza in mare. E non basta scaricare il proprio comandante e lasciarlo senza assistenza legale, costituendosi parte civile nel processo che si avvierà appena si concluderà l’inchiesta, per dire che non c’entra l’azienda, ma anche un’azienda così importante al mondo non si può lavare le mani e dire è colpa solo di chi comandava la nave in quel momento, dell’equipaggio a bordo e degli adetti ai lavori. In questa tragedia cognuno ha una sua parte di responsabilità che è bene ammettere. E di fronte all’ammissione delle proprie colpe resta solo una cosa da fare: essere più umili senza sfidare più di tanto non solo la scienza e la natura, ma l’intelligenza umana e se si vuole anche Dio stesso. L’uomo deve rientrare in se stesso e ammettere i propri limiti. Non può strafare in  nessun campo, perché prima o propria una reazione negativa arriverà. Noi non abbiamo da lodare degli eroi, né tantomeno attribuire degli encomi, ma semplicemente richiamare quelli che hanno sbagliato e riconoscore i meriti a chi ha operato con dovizia e generosità per salvare il salvabile e non fare di una tragedia una catastrofe di una porta immane. Certo 11 morti e oltre 20 dispersi sono già di per sé un’immane tragedia. Ma lì in quell’area marina dell’Isola del Giglio potevano morire in pochi minuti migliaia di persone se la nave fosse sprofondata in poco tempo. Forse anche in questa prova la mano di Dio è intervenuta per salvare la vita umana di tante persone, impegnando il cuore e le competenze di persone generose e coraggiose, che non sono, né devono essere visti come eroi, ma semplicemente uomini, veri uomini, perché del resto, chi non ha fatto il proprio dovere, è solo un quaqquaraqquà o uominicchio, come diceva qualcuno che sapeva benissimo distinguere le persone coraggiose da quelle pavide e vigliacche. Anche il Vangelo sa differenziare chi opera con perizia e per il bene, in quanto di sua competenza e dovere, da chi agisce rifuggendo il pericolo, o addirittura venendo meno ai propri doveri e ai ruoli: “Dovevamo fare quello che ci spetta fare. Siamo servi inuti e ogni cosa fatta per il bene degli altri non va ascritto al merito o all’eroicità della persona, ma alla persona umana e basta. Perché un vero uomo si mostra tale nel momento della prova, della sofferenza e del dolore,intervendo con cuore e generosità per salvare prima gli altri e poi se stesso.

La lista dei salvatori della nave Concordia nei prossimi giorni è destinata ad aumentare di numero, soprattutto se saranno premiati ufficialmente o messi ad esempio degli altri. E tutto questo è anche giusto da farsi. Ma ciò che è passato è passato, oggi avremo bisogno di altri eroi e uomini coraggiosi che sappiano risolvere in breve tempo una tragedia che rimane tale finquando la nave Concordia non sarà rimossa in massima sicurezza dal quel contesto e da quella situazione che produce angoscia e rabbia in Italia e nel Mondo, in quanto una simile tragedia si poteva evitare con la prudenza e la dovizia di tutti, compresi dei tanti passeggeri che erano a bordo e che davanti ai rischi di morire affogati nel mare hanno attuato la legge della sopravvivenza: mors tua, vita mea. Si salvi chi può. E chissà che i diversi morti e dispersi non siano il frutto di un atteggiamento come questo! O peggio di ordini sbagliati dati dai responsabili o collaboratori della nave.  Ecco perché è preferibile il silenzio e la preghiera, anche se chiediamo anche noi da queste pagine che si faccia chiarezza e soprattutto giustizia, in quanto i morti e dispersi hanno diritto di essere ripagati con il fare luce sul dramma che loro hanno vissuto e che continuano a vivere i loro congiunti, di cui nessuno parla, anche perché forse sono la maggior parte stranieri. Noi chiediamo silenzio, mentre la magistratura e le varie istituzioni facciano piena luce su tutto. Ma chiediamo pure che si portano a conclusione quanto prima le operazioni di recupero dei morti e dei dispersi e per la messa in sicurezza del Golia abbattuto e giacente nello stretto dell’Isola del Giglio. Gli scogli  del Giglio hanno abbattuto la potenza della nave da Crociera Concordia. Già il nome è tutto un progetto di vita. Che questo sia di insegnamento per il futuro sia in mare, che per terra e per cielo. I mezzi di trasporto sono una cosa seria e vanno guidati con prudenza, sapienza e competenza dagli addetti al mestiere, ma non da persone incompetenti o che si distraggono facilmente, causando pianti, drammi e sofferenze tra la gente.