Archivi Mensili: marzo 2016

COMMENTO DI PADRE ANTONIO RUNGI SULLA DOMENICA DELLA DIVINA MISERICORDIA

RUNGI2015

II DOMENICA DI PASQUA o della Divina Misericordia (ANNO C)

Domenica 3 aprile 2016

 

Una Chiesa missionaria della misericordia nel nome di Cristo Risorto

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

E’ la domenica più importante di questo anno giubilare dedicato alla misericordia, perché è la domenica specifica che San Giovanni Paolo II, da Papa, volle dedicare a questo tema, istituendo la seconda domenica di Pasqua come domenica della Divina Misericordia. La motivazione teologica e pastorale del grande papa, ora santo, che addusse il Pontefice furono i testi biblici, che la liturgia di questo giorno prende annualmente in considerazione, per il fatto che Gesù, esattamente, come rammenta il Vangelo di Giovanni, apparve nello stesso giorno della risurrezione e poi otto giorni dopo.

Nella prima apparizione Tommaso non era presente e fu in quel contesto che Gesù diede il mandato agli apostoli di rimettere i peccati, come leggiamo nel vangelo:  “La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Sarà stato un caso che Tommaso in quella circostanza non era presente? A leggere il testo mi sembra che non fu un caso. In Tommaso non è ancora maturata l’idea e il convincimento della risurrezione di Gesù. Possiamo dire non c’era ancora la fede necessaria, in quanto il ministero della riconciliazione e del perdono, parte da una prospettiva di fede, senza la quale non è possibile né amministrare il sacramento, né tantomeno riceverlo. Apostoli e fedeli devono avere fede, perché i sacramenti sono sacramenti della fede e non atti magici o di altra natura. L’assenza di Tommaso in quella prima apparizione di Gesù, nel giorno stesso della risurrezione è un’assenza giustificata e comprensibile alla luce di quanto è successo nel giorno di Pasqua. Mi sembra di trovarci in un aula scolastica, all’inizio di una lezione o di una giornata di scuola, quando si fa l’appello dei presenti. D’altra parte Gesù era ed è il Maestro divino di quel gruppo di discepoli, che si erano messi spontaneamente, senza alcuna costrizione alla sequela di Cristo, nel corso della sua vita terra. Con quali prospettive ed attese, lo sappiamo. Dopo la morte e risurrezione, dopo il tempo dello smarrimento e dello scoraggiamento il gruppo, che già ha perso Giuda il traditore, si ricompatta nel Cenacolo, dove attende, insieme a Maria gli eventi successivi. Quando Gesù appare la prima volta, come registra Giovanni, Tommaso non era presente. Infatti, leggiamo che “Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Ebbene arriva il tempo della maturazione della fede per Tommaso: appena una settimana, durante la quale quanto volte avrà pensato alle parole dei suoi colleghi che gli avevano detto di aver visto Gesù. E’ proprio vero per gli scettici, gli agnostici e gli atei, se non interviene un fatto significativo, rimangono nella loro convinzione di non credenti per tutta la vita. Per Tommaso questo fatto nuovo si verifica subito, dopo una settimana. In quel contesto il quadro familiare cambia, quando Gesù appare nuovamente e allora c’era anche Tommaso, come leggiamo nel testo giovanneo, particolarmente attendibile su questi aspetti dottrinali e teologici: “Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». La risposta di Tommaso fu sincera e sicuramente più convinta degli altri apostoli, in quanto era passato attraverso il vaglio della ragione, della riflessione, del dubbio, ma alla fine la risposta fu più convinta e maturata alla luce delle facoltà umane di intendere e di volere. D’altra parte, sappiamo benissimo che la fede e la ragione sono due ali che vanno verso la verità. Quando la fede non è sincera, forte ed immediata, necessità della ragione, del pensiero, della filosofia, del ragionamento che alla fine, se è autentico e segue dei canoni di ricerca, approda per forza di cosa alla fede. Perciò Gesù nel dialogo che intercorre tra lui e l’apostolo dubbioso ed incerto, che mette in dubbio la verità attestata dagli altri, ha un esplicito rimprovero per quanti vogliono dimostrare con la ragione ciò che non è dimostrabile, e dice, toccami, prendi atto della realtà e della verità; pertanto “non essere incredulo, ma credente!».

Credere questo è l’appello fondamentale che ci viene da Gesù, credere nella sua persona, nella sua missione e credere nella sua risurrezione. E scopo di ogni annuncio missionario, di ogni azione sacramentale che la Chiesa è chiamata a compiere in ogni tempo e in ogni situazione è quella di suscitare la fede. D’altra parte i sacramenti sono sacramento della fede. Perciò l’evangelista Giovanni conclude il suo vangelo con questi versetti finali che è tutto un programma missionario, apostolico della Chiesa di tutti i tempi, anche della Chiesa di Cristo, guidata oggi da Papa Francesco, in questo anno della misericordia: “Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome”.

Scrivere, trasmettere la fede è il compito di ogni cristiano che si fa araldo del vangelo e strumento di pace, riconciliazione, di speranza in ogni angolo del mondo. San Giovanni evangelista, anche nel Libro dell’Apocalisse, evidenzia questa sua missione di diffusore della fede e degli eventi salvifici che fanno espresso riferimento alla persona di Gesù Cristo. Leggiamo, infatti, nel brano dell’Apocalisse di questo giorno, ottava di Pasqua: “Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù. Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: «Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese». Mi voltai per vedere la voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri d’oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro. Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la sua destra, disse: «Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito».

Dai segni di Gesù, si passa ai segni, ai fatti ed eventi straordinari di fede, raccontati dagli Atti degli Apostoli, in particolare dal capo del collegio apostolico, Pietro, nel brano della prima lettura della liturgia della parola di Dio di questa seconda domenica di Pasqua: “Molti segni e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; nessuno degli altri osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava. Sempre più, però, venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne, tanto che portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro. Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti impuri, e tutti venivano guariti”.

Questa è la storia di una Chiesa che da 2000 anni guarisce le ferite di ogni genere nel nome e per mandato di Cristo Redentore dell’uomo, soprattutto quelle interne e spirituali che sono più gravi di quelle materiali e fisiche, con il sacramento della confessione e dell’unzione degli infermi, definiti i sacramenti della guarigione.

Sia questa la nostra preghiera conclusiva della celebrazione della parola di Dio nella Domenica della Divina Misericordia, che tanto affascinò l’esperienza ascetica di Santa Faustina Kowalska, giustamente indicata da Papa Francesco, nella Bolla di indizione dell’Anno Giubilare della Misericordia, come la principale santa della misericordia: Dio di eterna misericordia, che nella ricorrenza pasquale ravvivi la fede del tuo popolo, accresci in noi la grazia che ci hai dato, perché tutti comprendiamo l’inestimabile ricchezza del Battesimo che ci ha purificati, dello Spirito che ci ha rigenerati, del Sangue che ci ha redenti. Amen

PREGHIERA PER LA PASQUA 2016
COMPOSTA DA PADRE ANTONIO RUNGI, PASSIONISTA

Signore Gesù,
vincitore del peccato e della morte,
che nella tua Pasqua annuale
ridai significato e senso alla vita umana,
guarda a questa umanità,
segnata da tante sofferenze,
da tanta violenza,
da molteplici forme di ingiustizia
che gridano vendetta davanti a Dio.

Non permettere, Signore della vita,
che la cultura della morte e dello scarto
regni incontrastata
nel terzo millennio dell’era cristiana,
quando più forte ed esigente
si fa il bisogno di umana accoglienza
della vita nascente o che volge al termine,
di quella vita di ogni fratello e sorella della Terra
che ha il diritto di vivere dignitosamente.

Tu, Signore della gioia e della gloria
reca letizia e speranza,
in questa Pasqua della misericordia,
a quanti sono afflitti e sconfortati
per la mancanza di un lavoro, di una patria,
dei beni di prima necessità
e di tutto ciò che rende veramente umana
ogni vita umana.

Dal Paradiso, ove sei asceso per prepararci
un posto nel Tuo Regno,
tra la schiera degli Angeli e dei Santi,
continua ad inviare messaggeri di pace
in ogni angolo della Terra,
dove maggiore è il bisogno
di parlare di amore e non di odio,
di vera religione e non di falsa credenza,
di un Dio Amore,
che è Padre, Figlio e Spirito Santo,
come Tu ci hai rivelato,
durante il Tuo breve pellegrinaggio
tra questa umanità,
quando Ti sei abbassato
alla nostra condizione umana
e ci hai redento con il tuo sangue.

Maria, Madre della risurrezione e della vita,
associata a Te nella passione, morte e risurrezione
ci guidi nel cammino della vita di ogni giorno,
tra i tanti calvari di questo mondo,
ci protegga sempre in ogni situazione
per prepararci ad incontrare Te,
nel santo Paradiso,
Dio della vita, della gioia, dell’amore
e della misericordia senza fine. Amen

OMELIA PER LA SOLENNITA’ DELLA PASQUA 2016

consacrazione5

DOMENICA DI PASQUA – RISURREZIONE DEL SIGNORE (ANNO C)

DOMENICA 27 MARZO 2016

Rinati con Cristo Risorto ad una vita di amore per una Chiesa misericordiosa

Commento di padre Antonio Rungi

 

La solennità di questa Pasqua 2016 ha un sapore di vita e di risurrezione diverso rispetto agli anni precedenti, in quanto siamo nel pieno dell’anno giubilare della misericordia e questo giorno ha un valore enorme per ogni cristiano che ha una fede sincera in Cristo Redentore del genere umano. Siamo infatti chiamati a celebrare il nostro passaggio dalla morte alla vita della grazia, aprendo il nostro cuore alla misericordia e al perdono di Cristo, ma anche offrendo misericordia e perdono a chi necessita di una nostra attenzione e di un nostro sguardo di vero amore e purificazione.

La Pasqua che è luce, vita, risurrezione, rinascita, rivitalizzazione di ogni cosa, a partire dal creato, ci fa assaporare questo clima di reale rinnovamento, ogni volta che ci accostiamo con umiltà al grande mistero della risurrezione del Figlio di Dio, morto in croce per i nostri peccati, ma vivo e vero dopo i tre giorni di permanenza nel sepolcro nuovo e vuoto di Giuseppe d’Arimatea, il primo vero convertito alla passione, morte e risurrezione del Signore. Risuonano in questo giorno le bellissime e speranzose espressioni del Salmo 139, che fanno da apripista a questo tempo di grazia e di luce per tutti noi: “Sono risorto, e sono sempre con te; tu hai posto su di me la tua mano, è stupenda per me la tua saggezza. (cf. Sal 139,18.5-6).  Ci incoraggia nel cammino della vita quotidiana la preghiera iniziale del giorno di Pasqua che tutta l’assemblea eleva al Signore con grande gioia e speranza nel cuore, nonostante i tanti motivi di sofferenza, di sconforto, di morte e violenza in ogni angolo della Terra: O Padre, che in questo giorno, per mezzo del tuo unico Figlio, hai vinto la morte e ci hai aperto il passaggio alla vita eterna, concedi a noi, che celebriamo la Pasqua di risurrezione,  di essere rinnovati nel tuo Spirito, per rinascere nella luce del Signore risorto”.

Con la Pasqua di quest’anno c’è solo un atteggiamento e un comportamento da assumere per ogni cristiano seriamente intenzionato a risorgere ad una vita nuova, quella dello Spirito, come ci viene ricordato nel testo della seconda lettura di questa giornata solenne, tratto dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési: “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra”. Cercatori del cielo, della vera felicità e gioia che solo chi vive con il pensiero costantemente rivolto verso l’eternità è capace di sperimentare nella vita quotidiana. Chi guarda il cielo con gli occhi della fede e della speranza di un domani senza tempo e sofferenze può dirsi davvero risorto con Cristo. Chi invece continua a guardare il mondo e la storia con gli occhi del tempo, rimane prigioniero di esso e non sa uscire fuori dal carcere delle cose terrene, che limitano di fatto e di molto il cammino dell’uomo verso l’assoluto. Farsi messaggi di una vita nuova, di una misericordia divina che è il cuore stesso dell’annuncio dei primi cristiani, come ci ricordano gli Atti degli Apostoli, oggi. Qui sta il senso più vero di questa Pasqua 2016, nella quale risuonano le parole di Papa Francesco: “L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole. La Chiesa «vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia». Forse per tanto tempo abbiamo dimenticato di indicare e di vivere la via della misericordia. La tentazione, da una parte, di pretendere sempre e solo la giustizia ha fatto dimenticare che questa è il primo passo, necessario e indispensabile, ma la Chiesa ha bisogno di andare oltre per raggiungere una meta più alta e più significativa. Dall’altra parte, è triste dover vedere come l’esperienza del perdono nella nostra cultura si faccia sempre più diradata. Perfino la parola stessa in alcuni momenti sembra svanire. Senza la testimonianza del perdono, tuttavia, rimane solo una vita infeconda e sterile, come se si vivesse in un deserto desolato. È giunto di nuovo per la Chiesa il tempo di farsi carico dell’annuncio gioioso del perdono. È il tempo del ritorno all’essenziale per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli. Il perdono è una forza che risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare al futuro con speranza”.

In questa prospettiva di rilancio missionario della Chiesa della Misericordia, di una chiesa misericordiosa nei pensieri e nelle azioni, come ci invita a fare Gesù stesso nel giorno della sua risurrezione, inizio della nostra risurrezione, dobbiamo operare nell’imminenza e nel prossimo futuro, dopo la Pasqua 2016.

Non ci sono più motivi per dilazionare i tempi per arrivare ad una vera conversione nell’orizzonte del perdono e della riconciliazione. Cristo Morto e Risorto è un forte appello a rinascere nello spirito per una vita segnata esclusivamente dall’amore e dall’accoglienza, senza limiti di razza, religioni e provenienze. La Pasqua che è vita, è vita per tutti. La Pasqua che è primavera, è primavera per tutti, per il creato e gli esseri viventi. La Pasqua che è gioia, lo è per tutti gli uomini del mondo in cui la tristezza costituisce lo stato permanente del loro vivere ed esistere nel tempo. La Pasqua è luce e dalle tenebre ci fa emergere, soprattutto da quelle tenebre spirituali, dalle quali usciamo con una forte propensione al bene e alla pace.

Chiudiamo questa riflessione nella solennità della Pasqua 2016 con alcune espressioni tratte da Papa Francesco: “Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato”.

Sia questo l’augurio di una buona Pasqua 2016 per tutti voi, carissimi fedeli, che leggerete questa meditazione o l’ascolterete in tanti modi e versioni, perché a nessun uomo della terra venga a mancare, fosse anche il più accanito delinquente, la luce di un cambiamento che il Cristo Risorto, con i segni della Passione porti nel cuore e nella vita di ognuno di noi. Buona Pasqua a tutti.

PREGHIERA PER LA PASQUA 2016
COMPOSTA DA PADRE ANTONIO RUNGI, PASSIONISTA

Signore Gesù,
vincitore del peccato e della morte,
che nella tua Pasqua annuale
ridai significato e senso alla vita umana,
guarda a questa umanità,
segnata da tante sofferenze,
da tanta violenza,
da molteplici forme di ingiustizia
che gridano vendetta davanti a Dio.

Non permettere, Signore della vita,
che la cultura della morte e dello scarto
regni incontrastata
nel terzo millennio dell’era cristiana,
quando più forte ed esigente
si fa il bisogno di umana accoglienza
della vita nascente o che volge al termine,
di quella vita di ogni fratello e sorella della Terra
che ha il diritto di vivere dignitosamente.

Tu, Signore della gioia e della gloria
reca letizia e speranza,
in questa Pasqua della misericordia,
a quanti sono afflitti e sconfortati
per la mancanza di un lavoro, di una patria,
dei beni di prima necessità
e di tutto ciò che rende veramente umana
ogni vita umana.

Dal Paradiso, ove sei asceso per prepararci
un posto nel Tuo Regno,
tra la schiera degli Angeli e dei Santi,
continua ad inviare messaggeri di pace
in ogni angolo della Terra,
dove maggiore è il bisogno
di parlare di amore e non di odio,
di vera religione e non di falsa credenza,
di un Dio Amore,
che è Padre, Figlio e Spirito Santo,
come Tu ci hai rivelato,
durante il Tuo breve pellegrinaggio
tra questa umanità,
quando Ti sei abbassato
alla nostra condizione umana
e ci hai redento con il tuo sangue.

Maria, Madre della risurrezione e della vita,
associata a Te nella passione, morte e risurrezione
ci guidi nel cammino della vita di ogni giorno,
tra i tanti calvari di questo mondo,
ci protegga sempre in ogni situazione
per prepararci ad incontrare Te,
nel santo Paradiso,
Dio della vita, della gioia, dell’amore
e della misericordia senza fine. Amen

 

 

LA PREGHIERA PER LE STUDENTESSE MORTE IN SPAGNA

RUNGI2015

 

ITRI (LT). IL TEOLOGO RUNGI COMPONE PREGHIERA PER LE 13 STUDENTESSE MORTE IN SPAGNA

 

Il dolore per la perdita di tante studentesse, di cui sette italiane, nel tragico incidente stradale di questa mattina in Spagna, ha suggerito al teologo morale, padre Antonio Rungi, sacerdote passionista, docente di Filosofia e Scienze Umane nelle scuole superiori statali, per molti anni docente nel Magistero delle Scienze Religiose, di comporre una speciale preghiera per queste giovani vittime che il sacerdote affida per la recita a tutti i credenti perché ne facciano oggetto di meditazione in questi giorni di grande sofferenza per tutti, specialmente per i genitori. Ecco il testo dell’orazione.

 

PREGHIERA PER LE STUDENTESSE MORTE IN SPAGNA

COMPOSTA DA PADRE ANTONIO RUNGI, PASSIONISTA

 

Signore della vita,

ti affidiamo le anime delle tredici vittime

delle studentesse del programma Erasmus,

morte nella Domenica delle Palme 2016

in un tragico incidente stradale in terra di Spagna

 

In particolare la nostra preghiera

si rivolge a Te, Signore della risurrezione.

per le sette studentesse nostre connazionali.

Il nostro dolore è grande, ma resta poca cosa,

rispetto a quello dei loro cari.

 

Dona Signore, conforto, rassegnazione e consolazione

a quanti piangono queste giovani vite umane

tolte prematuramente da questa terra,

per essere trapiantate nel giardino eterno del cielo.

 

Ti chiediamo, o Divino Maestro,

di proteggere tutti gli studenti della Terra,

soprattutto quelli che nell’impegno quotidiano

e con la prospettiva di un domani,

lasciano la loro casa e patria

in cerca di cultura, formazione e lavoro,

nel resto del mondo.

 

Alle tredici vittime della strada,

di cui sette nostre connazionali,

dona il riposo senza fine,

nella sede di una scuola, quella eterna,

che è il santo Paradiso,

dove tutto è luce, sapienza e bontà infinita. Amen

 

IL NUOVO ALFABETO DELL’ANTI-TERRORISMO GLOBALE

rungi-informazioni

P. Rungi (Teologo morale). L’alfabeto anti-terrorismo

Dopo gli attacchi terroristici di oggi, in Belgio, padre Antonio Rungi, teologo morale passionista, per dare un suo personale contributo di riflessione “per capire e azzerare il fenomeno del terrorismo, di qualsiasi matrice,  suggerisce un itinerario culturale, religioso, morale, sociale ed economico, legislativo espresso nell’alfabeto anti-terrorismo che lo stesso teologo ha elaborato.

“Troppe parole si dicono e troppe promesse si fanno quando succedono fatti così gravi come quello di oggi a Bruxelles –afferma padre Rungi – ma poi passato il pericolo e l’emergenza, tutto ritorna nella normalità dei comportamenti. Qui si stratta di una strategia mondiale, che deve prendere avvio nelle sedi competenti internazionali, ove è necessario proporre delle risoluzioni in grado di fronteggiare l’emergenza terrorismo a vari livelli. Non sono in gioco lotte tra religioni e culture soltanto, ma è in gioco la stessa conflittualità umana e sociale che, nel mondo globalizzato, assume i connotati di un terrorismo generalizzato. Cosa fare allora? Impariamo tutti l’alfabeto dell’antiterrorismo e applichiamo al nostro agire quotidiano”.

 

A= Accogliere tutti senza discriminare nessuno.

B= Bloccare i siti internet che appoggiano il terrorismo.

C= Collaborare tra tutti i Paesi del mondo per comprendere il fenomeno.

D= Dialogare tra le varie culture e religioni nelle sedi di formazione iniziale e permanente.

E= Eliminare qualsiasi forma di pregiudizio e stereotipi verso culture diverse.

F= Fortificare il sistema di relazioni economiche e umane.

G= Giudicare con obiettività ciò che sta succedendo nel mondo a livello planetario.

H= Hackerare i sistemi informatici di chi propaganda qualsiasi guerra, terrorismo e violenza.

I = Invocare misure legislative restrittive nei confronti del terrorismo.

L= Lavorare per il bene della comunità internazionale

M= Movimentare energie e professionalità per combattere il terrorismo globale.

N= Neutralizzare con le armi delle leggi civili e militari i terroristi di ogni genere.

O= Operare congiuntamente tra le varie forze di polizia e intelligence per prevenire le stragi.

P= Prevenire le ingiustizie sociali ed economiche a livello mondiale.

Q= Quotare in modo giusto i beni dei paesi in via di sviluppo e sottosviluppati.

R= Rispettare tutte le fedi e i sistemi etici, purché siano pacifici e rispettosi della vita.

S= Studiare le varie culture, rispettandole nelle loro caratteristiche essenziali.

T= Trovare soluzioni politiche e non militari in tempo di emergenza e di terrore.

U= Usare la mente, l’intelligenza e non le armi per arginare qualsiasi violenza.

V= Volere il bene di tutta la gente, in modo da far vivere dignitosamente ogni essere umano.

Z= Zelare il nome di Dio, che per sua natura è pacifico, a qualsiasi religione si riferisca.

 

 

Preghiera per la pace

 

Signore Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo,

ci rivolgiamo a te, con il cuore trafitto,

in questi tempi di guerra,

perché doni la pace a tutta la terra.

 

Non permettere più che nel mondo

ci siamo stragi di persone innocenti,

di qualsiasi razza, religione, popolo,

nazione, condizione sociale e personale

o colore degli occhi o della pelle.

Mai più guerre di nessun genere,

ma solo pace e speranza per il mondo intero.

 

In questi giorni, in cui sentiamo più forte

l’appello alla fraternità universale,

Ti eleviamo la nostra umile preghiera,

perché possa illuminare le menti e i progetti

dei potenti di oggi e di sempre,

di quella vera luce d’amore e di pace

che Gesù Cristo ha portato sulla terra

venendo in questo mondo

e versando il suo sangue per noi sull’altare della Croce.

 

Noi rinnoviamo la nostra fede in Te,

Dio della pace e della bontà,

e ci impegniamo a vivere in comunione con tutti

i nostri fratelli e sorelle del mondo,

specialmente con quanti professano

la fede nell’unico Dio,

che a tutti ha lasciato

come dovere fondamentale

quello di Non uccidere e di amare e difendere la vita.

 

Perdona quanti continuano a massacrare fratelli e sorelle,

in questa spezzettata terza guerra mondiale.

Non abbiano più spazio e possibilità di affermarsi,

uomini e donne che odiano gli altri

e fanno guerra per interessi personali.

 

Vengano abbattuti i superbi e i guerrafondai

con la forza della ragione e della fede

prima che compiano altri crimini contro l’umanità.

 

Mai più Signore, esaltati e prepotenti che uccidono

e distruggono la vita della gente, soprattutto bambini e donne,

azzerando la speranza e la gioia dell’umano genere.

 

Mai più crimini contro l’umanità. Mai più per i secoli futuri!

Te lo chiediamo per l’intercessione di Maria, Regina della pace

e consolatrice degli afflitti, dei morti e degli invalidi

di tutte le guerre che ci sono state

su questa martoriata Terra. Amen.

 

DOMENICA DELLE PALME 2016. LA RIFLESSIONE DI P.ANTONIO RUNGI

padre rungi

DOMENICA DELLE PALME (ANNO C)

DOMENICA 20 MARZO 2016

LA PALMA E LA CROCE DELLA MISERICORDIA

Commento di padre Antonio Rungi

Questa che celebriamo oggi è la domenica della Passione, meglio conosciuta come Domenica delle Palme. E’ una domenica speciale, per molti versi più sentita della stessa Pasqua, per un duplice motivo di fondo. Il primo è il simbolo della pace, che è la palma benedetta, che ci scambieremo in segno di ritrovata amicizia e comunicazione tra noi o conferma e potenziamento di tale esperienza umana gratificante; il secondo è il simbolo della croce, di cui facciamo memoria attraverso la lettura della passione di Gesù Cristo. In questa domenica delle Palme e della Passione di Cristo, noi possiamo bene dire di benedire la Palma della Misericordia e di accostarci alla Croce della Misericordia. L’anno giubilare che stiamo vivendo ci immerge sempre più nel mistero della misericordia di Dio, che trova il suo punto culminate nel mistero della morte e della risurrezione di Gesù. Oggi, con la benedizione delle palme e con la lettura del Passio entriamo nella settimana maggiore, la settimana più importante da un punto di vista liturgico e soprattutto il triduo pasquale. In questi giorni, a partire da questa celebrazione festiva, ma anche di dolore, noi siamo chiamati a metterci sui passi del Salvatore, di Gesù Cristo, l’inviato del Padre che viene a noi come messaggero di pace. Il suo ingresso a Gerusalemme accolto da una folla festante è il grande segno di questa speciale attenzione che la gente semplice, di allora come di oggi, presta al Messia. Il quale non entra in Gerusalemme con cavalli, esercito o in veste regale, ma su una mula e con un semplice mantello di stoffa di poco conto e poverissimo. Gesù come Re fa ingresso nella città santa con le insegne regali della misericordia, del perdono, della pace e della riconciliazione. Viene per il popolo di Israele, ma anche per noi, cristiani di questo tempo, con la segreta speranza di cambiare il nostro cuore, da un cuore di pietra e di indifferenza, ad un cuore di carne e di attenzione verso gli altri. Il simbolo con il quale gli abitanti di Gerusalemme lo accolgono è quel ramo di ulivo che riporta alla storia della salvezza dopo la tragedia del diluvio universale. Segno della rappacificazione cosmica e della purificazione di un mondo, oggi ci viene riproposto come segno di rappacificazione tra di noi, segno della misercordia, che significa avere un cuore buono e tenero verso ogni uomo e donna di questa martoriata terra. La Domenica delle Palme è perciò a ben ragione la domenica della misericordia, del perdono e della riconciliazione, tra tutti noi esseri umani che spesso invece di vivere in pace, preferiamo vivere in una guerra continua con noi stessi, con gli altri e con il mondo intere. Il principe della pace, Gesù, viene a portare la gioia del perdono in una Gerusalemme deserta, per mancanza di fede, di speranza e di amore, simbolo delle tante città, popoli e nazioni della società di oggi, dove Dio non trova più posto, non solo per nascere, ma neppure per morire e farllo risorgere nel cuore e nell’intimo di chi crede in Dio. Chiediamo al Signore, in questo giorno della palma misericordiosa e della croce benedetta, quello che il sacerdote rivolge al Signore, all’inizio del rito della benedizione delle Palme: “Fratelli carissimi,
questa assemblea liturgica è preludio alla Pasqua del Signore, alla quale ci stiamo preparando con la penitenza e con le opere di carità fin dall’inizio della Quaresima.
Gesù entra in Gerusalemme per dare compimento al mistero della sua morte e risurrezione. Accompagniamo con fede e devozione il nostro Salvatore nel suo ingresso nella città santa, e chiediamo la grazia di seguirlo fino alla croce, per essere partecipi della sua risurrezione”. Noi dobbiamo accompagnare Gesù vero il calvario. Non ci possiamo tirare indietro. Non scompariamo dalla sua vista e dai suoi occhi che sprizzano amore e misericordia, anche se incastonati in un volto insanguinato. Non abbiamo paura di guardare in faccia ad un Dio crocifisso per amore e che per riconciliare il mondo con l’eternità, offre se stesso sul patibolo della croce, un supplizio il più ignobile che possa esistere per uccidere un uomo e soprattutto Lui, il nostro Signore, l’Agnello immacolato, che muore sull’altare per ridonare pace al genere umano. Immergiamoci oggi in questo grande mistero dell’amore di Dio, che nella sua passione, morte e risurrezione ci ridona speranza e vita nuova. L’immagine del crocifisso, l’Ecce Homo, ci accompagni in questi giorni santi, non solo meditando sul grande mistero della sofferenza di un Dio innocente, ma anche sulla sofferenza di tanti innocenti della terra, a partire dai tanti bambini uccisi dalla guerra, dalla violenza, dalla fame, dalla globalizzazione dell’indifferenza, nel silenzio più assordante di un mondo che non ama guardare in faccia alla realtà, ma che preferisce narcotizzarsi con varie droghe culturali, ideologiche, religiose, politiche, economiche che non vanno nella direzione giusta, non vanno verso Dio e verso Cristo e per ciò stesso non vanno verso l’uomo e l’umanità. Consapevoli dell’infinito amore di Dio verso di noi, meditiamo sulla passione di Cristo, come hanno fatto tutti i santi della Chiesa, a partire dai primi martiri del cristianesimo, fino agli ultimi della immensa schiera di quanti per amore di Cristo e dei fratelli hanno donato la vita per la causa del vangelo, come le quattro suore Figlie della Carità della Beata Teresa di Calcutta uccise nei giorni scorsi nello Yemen. L’inno cristologico della lettera di San Paolo Apostolo ai Filippesi, ci aiuterà moltissimo a fare un cammino di vera conversione, di vero rinnovamento spirituale per questa Pasqua 2016, che è la Pasqua dell’anno giubilare della misericordia. La sintesi di questa croce misericordiosa di Gesù, la troviamo espresso in modo esemplare in questo bellissimo brano, che dovremmo sempre avere davanti agli occhi e nella nostra mente per bene operare con noi stessi e con gli altri: “Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce”.

Il racconto della passione di Cristo, tratto dal Vangelo di Luca che oggi ascolteremo ci darà ulteriori elementi di riflessione e di approfondimento, ma soprattutto per chiedere davvero perdono a Gesù, ai sui piedi come Maria, l’apostolo prediletto, le pie donni e i soldati convertiti. Non lo facciamo passare invano o scivolare nel nostro cervello, ma chiediamo davvero al Signore, per intercessione della Madonna Addolorata, che in questo venerdì l’abbiamo ricordata come “Desolata”, che la Passione di Gesù Cristo sia sempre impressa nei nostri cuori.  E con questo spirito di attenzione a colui che muore per noi sulla croce, questa nostra attenzione si sposti in questi giorni su quanti stanno morendo e soffrendo, come Gesù in Croce, nel silenzio più coerente con la propria fede cristiano che ci invia a rivolgere lo sguardo a Colui che è stato trafitto e crocifisso per amore, per l’amore verso ognuno di noi. Domenica delle Palme è il giorno per leggere nei disegni di Dio la sua volontà su ciascuno di noi e su tutta l’umanità.

Sia questa la preghiera augurale per noi e per gli altri in questa giornata di pace e di fraternità universale, che abbiamo la possibilità di essere vissuta almeno per 24 ore, con la palma in mano come i martiri di ieri e di sempre: “Accresci, o Dio, la fede di chi spera in te, e concedi a noi tuoi fedeli, che rechiamo questi rami  in onore di Cristo trionfante,  di rimanere uniti a lui,  per portare frutti di opere buone”. Amen

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DELLA QUINTA DOMENICA DI QUARESIMA

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V DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)

Domenica 13 marzo 2016 

La misericordia di Cristo verso l’adultera 

Commento di padre Antonio Rungi 

Verso la fine del tempo quaresimale (oggi celebriamo la quinta domenica) la parola di Dio ritorna sul tema della misericordia. Un tema centrale nel vangelo e che in questo anno giubilare ha un significato particolare. Ci fa vivere e toccare con mano come è grande e infinità la misericordia di Dio, la misericordia di Gesù Cristo. Se nella parabola del figliol prodigo comprendiamo la misericordia di Dio Padre, nel racconto dell’adultera, di cui ci parla il vangelo di Giovanni, comprendiamo la misericordia di Gesù Cristo, Figlio di Dio che, in base alla sua autorità divina può dire alla donna, di fronte ai suoi accusatori che la volevano lapidare, uccidere e massacrare, perché colta in flagrante adulterio: “Donna, nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Siccome solo a Dio spetta il potere di perdonare il peccato, come spesso ha ricordato nei suoi molteplici interventi di guarigione, soprattutto del paralitico. Affinché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati, alzati e cammina. E così guarì il paralitico.

La donna che in questo racconto è sotto tiro dei giudizi, ma anche delle armi è una peccatrice, colta nell’atto di offendere il matrimonio. La legge prevedeva la lapidazione della donna e stranamente non la lapidazione dell’uomo. Segno evidente della sudditanza della donna nei confronti dell’uomo e della legge maschilista che ha sempre dominata e domina in certe culture e in certe religioni. Stando a quella legge, la donna doveva morire ed essere quindi lapidata. Gesù non permette che questo avvenga, perché nessuno ha l’autorità di togliere la vita agli altri. La pena di morte con qualsiasi strumento non è legittimata da nessuna legge o peggio religione. La persona umana ha una dignità che, anche nei crimini più efferati, deve seguire la logica del perdono e della misericordia e non dell’odio e della vendetta. Gesù quindi, nella sua piena autorità di Maestro e di nuovo legislatore, la cui legge fondamentale è l’amore: perdona la donna e non la condanna;  ma obbliga anche a tutti i boia presenti al rito dell’esecuzione collettiva della condanna, di riflettere seriamente sulla loro condotta di vita. L’effetto di questa forzata introspezione di quelle persone la descrive in modo molto preciso l’evangelista che era presente al fatto: “Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani”. Facile commentare questi versetti del vangelo: nessuno di loro era senza peccato, come nessuno al mondo è senza colpa e senza peccato. Neppure noi che pensiamo di essere più giusti e retti degli altri, solo perché siamo furbi a non farci trovare con le mani nel sacco. Se andiamo bene ad analizzare il nostro cuore e la nostra vita, davvero ci rendiamo conto che nessuno di noi è senza peccato, dai più leggeri o veniali a quelli più pesanti e mortali.

Questo esame di coscienza è possibile farlo a tutto con il Signore. Ed è bello e significativo quello che succede dopo la fuga dei peccatori (che si ritengono giusti) dalla peccatrice pubblica che non si ritiene tale. Giovanni descrive questo bellissimo dialogo tra Gesù e l’adultera con          questo versetto: “Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono?”. Gesù è a tu a tu con quella peccatrice. La donna sta in mezzo a quello spazio della miseria umana, della debolezza umana, una vera e propria agorà della vergogna. Da quella situazione di abbattimento, di prostrazione, di toccare il fondo e la terra, Gesù si erge, si mette in piedi, come facevano e fanno i veri maestri. L’autorità sta nel comando vero che è quello del cuore e dello spirito, della pulizia morale. Gesù fa esattamente questo: nella sua piena autorità di Figlio di Dio, perdona e con condanna; ma raccomanda d non ripetere lo stessa cosa. Se quella donna abbia appreso la lezione di Gesù ed abbia agito d conseguenza non lo sappiamo. L’evangelista Giovanni non vi ritorna sulla notizia, sul caso posto al giudizio del maestro,  dagli scribi e i farisei circa un caso di adulterio.  Ma essi “dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo” e quindi condannarlo a morte anche Lui, visto che la legge mosaica era chiara, in quanto Mosè aveva  comandato di lapidare donne adultere. Vogliono sapere le opinioni di Gesù. E Gesù non si mette a discutere sulla legittimità e validità della legge, sul diritto civile o diritto penale, si mette a scrivere a terra e dice poche parole ai presenti:Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra”. Una grande lezione della bontà e della misericordia divina. Quella lezione che dovremmo apprendere tutti e che dovrebbe ispirare il nostro comportamento in tantissime e frequentissime situazioni del genere che si verificano ai noi giorni. Non siamo nessuno da potere giudicare gli altri; ma solo Dio può comprendere il cuore dell’uomo e valutarlo nella sua interezza.  Bisogna riappropriarsi delle bellissime ed incoraggianti parole della prima lettura di questa quinta domenica di Quaresima, che da sole ti fanno assaporare la vera Pasqua della nostra vita, come ci ricorda il profeta Isaia nel brano della prima lettura di oggi: “Così dice il Signore, che aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti, che fece uscire carri e cavalli, esercito ed eroi a un tempo; essi giacciono morti, mai più si rialzeranno, si spensero come un lucignolo, sono estinti: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi». Oppure immergerci totalmente nel pensiero di Cristo, come scrive l’apostolo Paolo nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla sua lettera ai Filippesi: “Ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti”. Guardare avanti e non voltarsi indietro. Le cose di prima sono passate. Sono passate anche le nostre debolezze, i nostri peccati, i nostri errori e le nostre ipocrisie. Ora è tempo di guardare oltre, all’eternità. La meta è ancora lontana, ma bisogna sforzarsi per arrivarci in buono stato di salute spirituale, perché il Paradiso è per tutti e non solo per alcuni o pochi eletti. La corsa si fa difficile e stancante, ma alla meta bisogna arrivarci. Sia, perciò, quella nostra umile preghiera che innalziamo al Signore in questo giorno di festa:  Vieni in nostro aiuto, Padre misericordioso, perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità, che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi”. Amen.

COMMENTO ALLA QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA – 6 MARZO 2016

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IV DOMENICA DI QUARESIMA – LAETARE (ANNO C)
DOMENICA 6 MARZO 2016

NEL CUORE DELLA MISERICORDIA DI DIO: LA GIOIA DEL PERDONO.

Commento di padre Antonio Rungi

Con la quarta domenica di Quaresima, detta della letizia entriamo nel pieno dell’anno giubilare e del vero significato di questo tempo di grazia, che è tempo di misericordia. Se come ha detto Gesù c’è più gioia in cielo per un peccatore che si pente e non per 99 che si ritengono giusti, oggi è la domenica in cui facciamo festa e siamo nella gioia perché ci viene in aiuto e a nostro conforto il testo del vangelo di questa domenica che è dedicato alla parabola del figliol prodigo. E’ una delle tre parabole della misericordia su cui siamo chiamati a riflettere in questo giorno in particolare ma anche per tutta la vita: Dio essenzialmente è amore e misericordia. E non è difficile capirlo. Basta accostarsi con animo sincero al testo di questa parabola per comprendere dove sta esattamente il cuore di Dio: sta dalla parte dei suoi figli che sono lontani da lui, che hanno deciso, nella loro piena e legittima libertà, proprio concessa dal creatore all’uomo, di camminare per strade che non sono quelle del Signore. Il figliol prodigo che va via dalla casa del Padre è il peccatore che esce dalla comunione con Dio e rompe ogni legame con il Signore, in attesa del ripensamento e del ritorno. Dio non si stanca di aspettare, fino all’ultimo istante di ogni persona, questo ritorno. E lui ci attende non solo sull’uscio della chiesa, per darci il perdono qui su questa terra, mediante il sacramento della confessione; ma ci attende sull’uscio del paradiso, per donarci la felicità senza fine. Sta a noi entrare in questo cammino di ritorno a Dio da celebrare continuamente con una forte comunione di grazia e in grazia con Lui. Il modo per farlo è mettersi nella condizione di quel che realmente siamo: peccatori e perciò bisognosi di perdono e di misericordia di Dio. Non illudiamo noi stessi e gli altri: siamo tutti peccatori e perciò stesso abbiamo bisogno del suo perdono. Sta a noi chiederlo questo perdono ed ottenerlo da Dio, secondo le modalità che noi ben conosciamo, che non è una confessione frettolosa, affrettata, ma un profondo e radicale cambiamento della vita, in sintonia con la volontà di Dio, di quel Padre che è tenerezza e compassione. Di quel padre che scruta l’orizzonte della storia e del mondo e scruta l’orizzonte del nostro cuore, spesso privo di quel rosso di sera, che fa ben sperare per l’avvenire personale a livello spirituale. Molte volte questo orizzonte è cupo e intristito dal male e dalla mancanza di speranza ed anche in queste situazioni limite si cala forte lo sguardo di Dio, che ne cambia le sorti e le prospettive. Mettiamo sulle nostre labbra le espressioni di un sincero pentimento del cuore e della vita che pronunciò il figlio prodigo nella parabola raccontata da Gesù e che suscitò nei presenti reazioni diverse: “Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre”. Ci vogliamo alzare dalla nostra depressione spirituale, dalla mancanza di fede, speranza, amore e gioia. Vogliamo, stando a contatto con Dio, sperimentare la gioia sempre, nonostante le nostre gravi lacune e deficienze spirituali. Lontano dai nostri pensieri l’atteggiamento del figli maggiore, geloso e risentito, per il ritorno del fratello, morto e poi ritornato in vita, al quale il Padre dedica una festa senza paragoni e senza precedenti. Quanto è difficile capire, quando si sta nella grazia, nell’amicizia e nella vicinanza a Dio, tale grande bene che si possiede. Quel bene di cui non si è accorto il figlio “santo”, perfetto e vicino al padre, che non è scappato via, non ha chiesto nulla, ha avuto tuttavia tutto, ma non ha saputo gioire di quello che aveva: la grazia di stare vicino a Dio. Quanti cristiani non sanno apprezzare la fede, la grazia che hanno vivendo vicino alla Chiesa, praticando e condividendo i progetti pastorali e spirituali a tutti i livelli e in ogni tempo. Forse anche loro avvertono il desiderio di andare via, come ha fatto, sbagliando, il figlio più piccolo ed incosciente, quando ha deciso di rompere il legame interiore e profondo con il Padre. Solo i santi hanno saputo capire quanto è brutto e disastroso vivere nel peccato; per cui si confessavano spesso e avevano tanti scrupoli e trovavano in essi tante imperfezioni.  Non bisogna crogiolarsi nei peccati; anzi bisogna riemergere da esso prima che sia troppo tardi, prima che si abbia toccato il fondo del disastro morale più grave. Non dobbiamo attendere i tempi del figliol prodigo per rinsavire dalle nostre condotte non buone.  E non diciamo mai, e poi mai: io sono senza peccato. Che peccato faccio o posso fare? In questo caso saremo un po’ come il fariseo al tempio che vantava davanti a Dio la sua presunta perfezione legale ed esteriore della legge, ma senza cuore e senza amore verso il Signore e verso gli altri, al punto tale che giudica il pubblicano come peccatore, da allontanare. Mentre quel povero pubblicano, già riconosciuto di fatto peccatore pubblico per il pessimo ruolo ed ufficio che ricopriva, si batteva il petto e chiedeva perdono, non si avvicinava alla parte più sacra del tempio, né alzava gli occhi al cielo, perché si considerava indegno. Stessa situazione che ha vissuto il figliol prodigo quando ha preso coscienza del suo stato di immoralità in cui si è trovato, dopo l’allontanamento dalla casa del Padre. Facciamo nostre le bellissime parola, scritte da Paolo Apostolo ai suoi cristiani di Corinto, nel breve brano della lettura di oggi, tratta dalla seconda lettera a questi problematici cristiani del suo tempo e a questa comunità alquanto vivace:  “Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio”. Oppure immergiamoci nell’esperienza esodale che, è esperienza di gioia e di libertà, come ci rammenta la prima lettura di oggi, tratta dal Libro di Giosué, colui che ebbe il dono di vedere la terra della libertà, la terra promessa, la terra della vera gioia che il Signore donò al suo popolo, di mettere piede fisico e spirituale su di essa: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto». Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico. Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, àzzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno. E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell’anno mangiarono i frutti della terra di Canaan”. Togliere l’infamia dal nostro volto e dal volto dei nostri fratelli è questo il compito che spetta ad ogni cristiano seriamente intenzionato a fare la Pasqua e lasciare la via del peccato per vivere nella grazia di Dio, soprattutto in questo anno giubilare, durante il quale la misericordia non è solo un annuncio o una catechesi, ma è esperienza vera di un Dio buono e misericordioso, lento all’ira e ricco nel perdono, che ci attende per parlare al nostro cuore, per cambiare in bene e in vero bene la nostra vita. Con il profeta Isaia cantiamo con gioia: “Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione”.

E con il salmista proclamiamo: “Ho cercato il Signore: mi ha risposto e da ogni mia paura mi ha liberato. Guardate a lui e sarete raggianti, i vostri volti non dovranno arrossire. Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo salva da tutte le sue angosce”. La nostra vera gioia è liberarci da angosce e paure di qualsiasi genere, perché chi sta con Dio non ha paura di nulla in questa vita e nell’eternità, ma vive solo nella dimensione gioiosa dell’esistenza umana.