salute

Proposta. Uno chiesabus per le parrocchie disagiate geograficamente

chiesabus.jpgAlcune riflessioni e proposte pastorali di padre Antonio Rungi, religioso passionista, per venire incontro alle esigenze dei fedeli e pubblicamente esposte durante la celebrazione eucaristica e il commento alla parola di Dio di questi giorni di Pasqua.

Per favorire la partecipare alla messa domenicale bisogna organizzare il trasporto parrocchiale. La limitata partecipazione alla messa domenicale  richiede una diversa organizzazione parrocchiale, interparrocchiale o cittadina, pensando a quanti, soprattutto anziani e senza mezzi di trasporto proprio e che abitano lontano fisicamente dalla chiesa vogliono partecipare alla messa e non possono fare, perché non hanno chi li accompagni e li vada a riprendere. Una sorta  Chiesa-bus, sul modello dei Scuola-bus comunali o dei Scuola-bus privati, in questo caso gestito dalle parrocchie o da più parrocchie che svolgano, durante la domenica, il servizio di navetta per portare i fedeli in chiesa. E ciò anche in considerazione della crisi economica e del costo della benzina e del gasolio. Un servizio di trasporto con uno o più pullmini che assicurino il trasferimento di quei fedeli impossibilitati a muoversi autonomamente, su indagine e richiesta preventiva. Un servizio gratis per i fedeli, pagato dalla comunità parrocchiale o con un piccolo contributo dei passeggeri. Oggi sempre più si ha difficoltà a trovare qualcuno, soprattutto gli anziani, anche all’interno della famiglia che sia attento a queste legittime esigenze di persone di una certa età, con vari problemi di salute, che vogliono andare in chiesa e partecipare alla messa e fare la comunione e non possono farlo, solo ed esclusivamente per questa ragione. Molte parrocchie italiane sono in luoghi disagiati, in quanto si trovano distribuite su un territorio vasto ed articolato, a livello cittadino, collinare o montuoso, che richiedono collegamenti specifici per favorire la partecipazione alla messa ed altre funzioni religiose. Se questo viene assicurato in determinate feste, ricorrenze e circostanze, dovrebbe essere fatto ogni domenica e per tutte le feste comandate. I bilanci delle casse parrocchiali, gli uffici affari economici delle parrocchie, in quei luoghi dove questo servizio viene considerato indispensabile potranno preventivare nel loro bilancio questo tipo di assistenza pastorale, inizialmente ad experimentum e successivamente, se dovesse decollare ed avere effetti benefeci e significativi sulla maggiore e miglior qualità di partecipazione alla messa, potrebbe essere una delle iniziative da sostenere nel tempo. Certo se la spesa non devesse valere l’impresa, nel senso che se non si dovessero vedessero risultati migliori e più consistenti a livello di partecipazione alla messa domenicale, tutto rientrerebbe nella normalità. Ma sono convinto che soprattutto per le persone anziane, che hanno problemi di lontananza geografica dalla chiesa, questo servizio sarebbe apprezzato e soprattutto utilizzato. Portare in chiesa soprattutto nelle domeniche e feste importanti, 50  o 100 persone in più, anche attraverso questi servizi e queste forme di assistenza parrocchiale e pastorale, farebbe crescere quel rapporto tra centro e periferia delle parrocchie, tra i responsabili della parrocchia e i fedeli lontani solo geograficamente dalla chiesa. Molte delle persone che non possono andare in chiesa per questi motivi, seguono per televisione i programmi religiosi e la santa messa e solo nelle grandi circostanze vi partecipano realmente in quanto trovano un’anima buona che li accompagna, perché pure tra i familiari è difficile oggi trovare una persona che venga incontro a queste ed altre necessità spirituali. La nuova evangelizzazione passa anche attraverso una diversa e migliore organizzazione della parrocchia e dei servizi pastorali sul territorio. Il servizio della Chiesa-bus potrebbe essere un aiuto in più per favorire la partecipazione alle attività liturgiche, formative e pastorali della parrocchia di appartenenza  o di frequenza”.

Padre Antonio Rungi

Falciano del Massico (Ce). Ad un mese e mezzo dall’Ordinanza del Sindaco di “Non morire”

Chiese_Fa_01.jpgvista.jpgNel contesto del tempo pasquale sembra quanto mai appropriato il richiamo, per una doverosa riflessione sul tema del rispetto dei morti, all’ordinanza sindacale del Primo cittadino, il dottore Giulio Cesare Fava, del Comune di Falciano del Massico, in provincia di Caserta, nella Diocesi di Sessa Aurunca, N. 9 del 5 marzo 2012, nella quale dispone il “divieto di oltre passare il confine della vita terrena per andare nell’aldilà”, in poche parole dispone di “non morire” per i suoi concittadini. Non è una trovata pubblicitaria, forse sarà una vera provocazione per sollecitare l’interesse della città e delle istituzioni superiori all’Ente locale, circa la questione della mancanza di loculi nel cimitero locale e quindi l’impossibilità di dare segna sepoltura nel Comune di residenza a quanti lasciano questo mondo.
Le motivazioni sono chiaramente espresse nella premessa, ove si legge: “Premesso che: – il Comune di Falciano del Massico non ha il Cimitero nel proprio patrimonio immobiliare; – dalla data della acquisita autonomia, avvenuta nel settembre 1964, il Comune di Falciano del Massico si è sempre servito del vicino Cimitero “S. Lorenzo”, di proprietà del Comune di Carinola e ubicato nel suo territorio comunale; – che la gran parte delle tumulazioni è stata organizzata dalle locali confraternite che storicamente hanno avuto la disponibilità di un numero di loculi sufficiente per le esigenze cittadine; – tale Cimitero è arrivato a saturazione anche per quanto riguarda la componente confraternite che non dispongono più di adeguato numero di loculi”; inoltre si legge nell’ordinanza: “ Preso atto che il Comune di Falciano del Massico ha stipulato una convenzione con il Comune di Carinola per l’ampliamento dell’attuale Cimitero “S. Lorenzo”, ma che a tutt’oggi non sono iniziati i lavori; atteso che, allo stato, i cittadini di questo Comune incontrano gravi difficoltà, se non anche impossibilità, nel reperimento di loculi dove tumulare i propri cari deceduti; atteso che la mancanza di tumulazione di un defunto pone un grave problema di emergenza sanitaria e di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale; ritenuto di dover adottare apposita ordinanza contingibile e urgente, assumendo i poteri derivanti dall’art. 50, comma 5, del D. Lgs. 267/2000”, il Sindaco, Giulio Cesare Fava “Ordina: 1. Con decorrenza immediata, e per quanto nelle possibilità di ciascuno, è fatto divieto ai cittadini residenti nel Comune di Falciano del Massico, o comunque di passaggio per il territorio comunale, di oltrepassare il confine della vita terrena per andare nell’aldilà; 2. Di notificare la presente ordinanza ai cittadini di Falciano del Massico a mezzo notifica collettiva con affissione all’Albo Pretorio comunale on line e nelle bacheche comunali”.
Da tutto il contesto è facile rilevare l’amarezza del Primo Cittadino che da quasi 50 anni il Comune di Falciano del Massico non riesce ad avere uno spazio autonomo e realizzare il cimitero cittadino per una serie di motivi addotti dallo stesso Sindaco, ma che poi in concreto ingloba altri significativi aspetti umani, sociologici, storici e localistici.
Attualmente il Comune circa 4.000 abitanti, due parrocchie, 1.300 nuclei familiari. Molti sono gli anziani che vivono in questo piccolo centro a ridosso di Carinola e di Mondragone, dal quale dista 7 Km. L’attività prevalente è quella agricola, con limitato impegno nelle attività del terziario, dell’industria e del turismo. In assenza di lavoro i giovani della cittadino sono costretti ad emigrare in altre parti d’Italia o all’estero. Mancano le scuole superiori, manca il cimitero, mancano quei servizi utili alla popolazione, in ragione del fatto del limitato numero degli abitanti. Eppure dall’autonomia in poi, risalente al 1964, il Comune di Falciano è progredito tantissimo nei vari campi e nei servizi. Anche la presenza del noto Lago di Falciano costituisce un richiamo turistico per la zona, meta di costante visite di scuole e di villeggianti.
Ma la storia del piccolo centro parte da molto lontano. Risalgono, infatti, tra i 70.000 e i 30.000 anni fa i primi ritrovamenti in località “Grottolelle” , poco fuori il centro abitato non lontano dalla strada provinciale Falciano -Mondragone. Nei lavori di escavazione di una cava fu scoperta una grotta nel cui interno si rinvennero numerosi strumenti in selce.Poco a nord del centro storico si localizza un altro sito riconducibile al Paleolitico Superiore (35.000 10.000 anni fa) che ha restituito cospicui manufatti preistorici. Falciano si consolida nella sua identità geografica e storica durante l’epoca romana. Nel 340 a.c. l’Ager Falernus (corrispondenti agli attuali territori dei comuni di Falciano del Massico Carinola e Mondragone) viene conquistato dai romani e tolto agli Aurunci. Nel suo centro i romani vi fondano la città di Foro Popilio (tra Falciano e Carinola), vi costruiscono la via Appia (312 a.C.) e distribuiscono il territorio (centurazione) a numerosi coloni. Intorno alla seconda metà del II secolo a. C. nascono molte ville rustiche, munite nella gran parte di una stanza per il torchio (torcular) nelle quali veniva prodotto il famoso Falerno, il vino più rinomato in età romana esportato in tutto il mondo allora conosciuto. Ancora oggi, sulle colline prospicienti Falciano, è possibile ammirare le vestigia di queste ville ( Castellone, Castelluccio, Le Mura, Finocchiaro, Macerone, ecc.). Mura in opera poligonale, pavimenti in cocciopesto con caratteristici disegni formati da tessere in marmo resti di torchi, cisterne, ecc. Ulteriore sviluppo della cittadina si registra durante l’intero Medioevo. Infatti, con la scomparsa nel V secolo d. C. del centro egemone di Foro Popili si assiste al proliferare dei nuovi nuclei abitati ed all’espansione dei pagi romani tra cui Falciano (Fauciano – Faustiano). Nell’alto Medioevo si segnala la grangia benedettina, di cui si ha notizia nell’875, di “S. Maria in Fauciano” e il Monastero di S. Laro di cui sono ancora visibili i resti presso l’omonima masseria. Particolare importanza riveste il monastero di Martino, Santo vissuto alla fine del VI secolo sulla cui tomba ben presto nacque un monastero, poi benedettino. Nella grotta che ospitò l’eremita sono presenti diversi cicli pittorici con affreschi che vanno dal IX secolo fino a tutto il periodo barocco Il museo (in via di allestimento) ospiterà i reperti archeologici di età preistorica e romana che nel corso di questi ultimi anni sono venuti alla luce a seguito dei numerosi scavi condotti in zona dalla Sopraintendenza. Ceramica a vernice nera, sigillata italica e sigillata africana troveranno spazio in bacheche con approfondite didascalie. Saranno visibili una ricostruzione a grandezza reale di un torchio di età romana nonché i vari tipi di anfore prodotte in zona(tipico contenitore per il trasporto del vino). Non mancheranno numerose epigrafi e pannelli a tema che aiuteranno il visitatore a seguire le dinamiche storico-evolutive del territorio. Una sezione del museo sarà dedicata alla fase preistorica con l’esposizione dei materiali in selce.
Falciano è una comunità profondamente cristiana con feste importanti come quella di San Rocco e San Pietro. Si divide in due parrocchie che in gergo comune sono dette di Falciano-capo e Falciano-Selice. Il nucleo più antico è quello che fa riferimento alla parrocchia S. Pietro. La chiesa è riccamente decorata da stucchi barocchi sembra sorta nel XVII secolo. Da ammirare al suo interno la splendida cantoria lignea con quattro scene neotestamentarie: Circoncisione di Gesù; Fuga in Egitto; Predica di S. Giovanni nel deserto e Battesimo di Gesù. L’altra chiesa parrocchiale è dedicata ai Santi Martino e  Rocco. Si accede nella piccola chiesa attraverso un portale architravato sormontato da una lunetta con archivolto decorata da motivi zoomorfi. Quest’ultimo è stato riutilizzato e può essere forse di età romanica. I numerosi quadri (dal XVI al XIX secolo),qui una volta presenti sono oggi conservati presso la nuova ed omonima chiesa in via Alloro.
Il Patrono è San Rocco e si festeggia il 16 agosto con una grande festa popolare che richiama in Paese i tanti falcianesi che sono emigrati all’estero o vivono altrove in Italia e che mantengono le loro radici nel loro paese d’origine.
A distanza di un mese e mezzo dall’ordinanza del Sindaco di Falciano del “divieto di oltrepassare il confine della vita terrena”, in altre parole di non morire, sarebbe interessante sapere quante persone sono morte in questi giorni e quale cittadino ha disobbedito al dispositivo del Sindaco. Sarebbe forse il caso di mettere anche una multa al caro estinto, se qualcuno se ne è andato su “volontà di Dio” che è Padrone della vita e della morte, contravvendo alle disposizioni sindacali. Certo un’anomala ordinanza del genere fa riflettere e ci fa pensare come oggi non solo sia difficile vivere, ma anche morire. E’ difficile trovare un posto non solo al Cimitero di Falciano, che cimitero non ha e deve far ricorso altrove, ma in tante altre parti d’Italia. Questo apre al problema della cremazione, che in molti comuni è autorizzata e che gli stessi cattolici possono praticare, purché non sia contro la fede e l’insegnamento del magistero della Chiesa.

Riflessione. Gli sportivi si curino meglio e si preoccupino di più della loro salute. Spesso hanno famiglia e figli!

Morosini1.jpgIl caso Morosini solleva anche questioni di ordine morale. La cura della salute, viene prima di ogni attività sportiva professionistica, fosse pure quella certificata come ai massimi livelli diagnostici e di prevenzione. Bisogna prestare maggiore attenzione alla salute e non solo fisica degli atlenti, evitando di sottoporli a sforzi continuativi, se non a livello fisico, a livello psicologico e neurologico. Oggi il calcio, come tanti altri sport stressa gli atleti, in quanto le prestazioni ad alto livello e il buon rendimento in campo, compensa anche il rendimento fuori campo. Per cui lo sforzo di riuscire sempre meglio, spesso si paga con il compromettere la salute complessiva. La competizione eccessiva, il contesto culturale, sociale ed economico in cui si muove il cacio e gli altri sport non aiutano a far stare sereni né i calcatori e né i tifosi. Ridimensionare il fenomeno e l’affare calcio penso che sia dovere di tutti. Troppo esaltazione e troppa rivalità, ma anche troppi interessi che ruotano intorno al mondo del calcio. Di fronte alla morte di un giovane giocatore, bisogna non solo sospendere il campionato per una partita, che non necessariamente si deve recuperare (un turno lo si può anche annullare), ma si tratta di ripensare tutto il settore non solo alla luce delle conoscenze e del progresso medico, ma anche dell’etica in generale e della deontologia professionale. A tale riguardo  bisogna valutare attentamente da un punto di vista di etica cristiana, personale e sociale fino a che punto il calcio portato a questi livelli rispetti davvero la persona umana e nel caso specifico il “lavoratore” sportivo. E’ bene ricordare quanto è scritto nel Catechismo della Chiesa cattolica circa il quinto comandamento di “Non uccidere”, circa la cura della salute: “La vita e la salute fisica sono beni preziosi donati da Dio. Dobbiamo averne ragionevolmente cura, tenendo conto delle necessità altrui e del bene comune.La cura della salute dei cittadini richiede l’apporto della società perché si abbiano le condizioni d’esistenza che permettano di crescere e di raggiungere la maturità: cibo e indumenti, abitazione, assistenza sanitaria, insegnamento di base, lavoro, previdenza sociale. Se la morale richiama al rispetto della vita corporea, non ne fa tuttavia un valore assoluto. Essa si oppone ad una concezione neo-pagana, che tende a promuovere il culto del corpo, a sacrificargli tutto, a idolatrare la perfezione fisica e il successo sportivo. A motivo della scelta selettiva che tale concezione opera tra i forti e i deboli, essa può portare alla perversione dei rapporti umani. La virtù della temperanza dispone ad evitare ogni sorta di eccessi, l’abuso dei cibi, dell’alcool, del tabacco e dei medicinali. Coloro che, in stato di ubriachezza o per uno smodato gusto della velocità, mettono in pericolo l’incolumità altrui e la propria sulle strade, in mare, o in volo, si rendono gravemente colpevoli. L’uso della droga causa gravissimi danni alla salute e alla vita umana. Esclusi i casi di prescrizioni strettamente terapeutiche, costituisce una colpa grave. La produzione clandestina di droghe e il loro traffico sono pratiche scandalose; costituiscono una cooperazione diretta, dal momento che spingono a pratiche gravemente contrarie alla legge morale”. Sono riferimenti e richiami morali molto precisi, soprattutto in ordine al successo sportivo, che richiede la virtù della temperanza da parte di chi sono i responsabili dei club e ai giocatori. Bisogna evitare eccessi di ogni genere, così pure nell’uso dei medicinali, degli stimolatori, dei vari integratori che si usano per recuperare le energie dopo prolungati sforzi e stress da attività sportiva. Tutto deve contribuire al bene della persona e lo sport deve essere occasione di sano divertimento  e non di frustrazioni di ogni genere. Le cause della morte di Morosini che saranno gli esperti a stabilirle scientificamente, mediante l’esame autoptico, qualsiasi risultaro darà (davvero secondario rispetto alla morte di un giovane atleta) deve fare riflettere seriamente tutto il settore dello sport. Anche se una sola morte in campo ogni 40 anni è un dato statistico irrilevante, come sembra sia capitato in Italia, rimane una sconfitta, perché, al di là dell’evento imprevedibile come un aneurisma cerebrale, rimane il fatto che la salute fisica, psichica e spirituale dei calciatori va controllata non ogni sei mesi o ogni anno, ma tutte le volte che iniziano gli allenamenti e soprattutto le gare, quelle che si presentano con più cariche motivazionali ed emotive. I controlli devono essere sistematici in ragione anche al tipo di vita ed anche alla storia della salute dello sportivo e dei suoi familiari. I fattori ereditari ed a rischio in determinate famiglie non possono non essere considerati quando si sottopone un atleta a sforzi continui, tra ritiri, allenamenti, partite di due tre alla settimana, spostamenti in pullman o in aero, ritorno a casa e i tanti pensieri che occupano la mente dei calciori e sportivi. A ciò si aggiunga la pressione dei media e tutto ciò che viene valutato dallo stesso giocatore utile o dannoso per se e il quadro di preoccupazione e tensione si può innalzare facilmente. Poi lo stress in campo, gli sconti corporali volontari ed involontari durante le partite, certo tutte queste cose non aiutano lo sportivo a stare in salute, al contrario gli mettono ansia e producono stanchezza e stress. Il calcio come lo sport in genere a livello professionistico non è più un sano divertimento e un relax,  ma un lavoro a tutti gli effetti che se si fa sotto stress e pressione può generare sofferenze e malattie di ogni genere e qualche volta anche la morte in campo o fuori campo, questo poco importa. La vita umana anche se una sola vale più di miliardi e miliari di soldi e successi che circolano intorno allo sport e anche oltre lo sport”.