Frattamaggiore. Ritiro spirituale con le Ancelle del Sacro Cuore

225px-Beata_Caterina_Volpicelli.jpgANCELLE DEL SACRO CUORE DI CATERINA VOLPICELLI

FRATTAMAGGIORE 22 NOVEMBRE 2012

ESSERE COSCIENTE DELLA PROPRIA FEDE

L’ESEMPIO DI CATERINA VOLPICELLI

Perché un Anno della fede? La domanda non è retorica e merita una risposta, soprattutto dinanzi alla grande interesse che si sta sviluppando in tutta la chiesa dall’11 ottobre 2012, data di inizio dell’anno della fede, indetto dall’attuale pontefice.

 Benedetto XVI ha dato una prima motivazione quando ne ha annunciato l’indizione: «La missione della Chiesa, come quella di Cristo, è essenzialmente parlare di Dio, fare memoria della sua sovranità, richiamare a tutti, specialmente ai cristiani che hanno smarrito la propria identità, il diritto di Dio su ciò che gli appartiene, cioè la nostra vita. Proprio per dare rinnovato impulso alla missione di tutta la Chiesa di condurre gli uomini fuori dal deserto in cui spesso si trovano verso il luogo della vita, l’amicizia con Cristo che ci dona la vita in pienezza». Questa è l’intenzione principale. Non far cadere nell’oblio il fatto che caratterizza la nostra vita: credere. Uscire dal deserto che porta con sé il mutismo di chi non ha nulla da dire, per restituire la gioia della fede e comunicarla in modo rinnovato.

Questo anno, quindi, si rivolge in primo luogo a tutta la Chiesa perché dinanzi alla drammatica crisi di fede che tocca molti cristiani sia capace di mostrare ancora una volta e con rinnovato entusiasmo il vero volto di Cristo che chiama alla sua sequela.

 È un anno per tutti noi, perché nel perenne cammino di fede sentiamo la necessità di rinvigorire il passo, divenuto a volte lento e stanco, e rendere la testimonianza più incisiva. Non possono sentirsi esclusi quanti hanno consapevolezza della propria debolezza, che spesso prende le forme della indifferenza e dell’agnosticismo, per ritrovare il senso perduto e per comprendere il valore di appartenere a una comunità, vero antidoto alla sterilità dell’individualismo dei nostri giorni.

In «Porta fidei», comunque, Benedetto XVI ha scritto che questa «porta della fede è sempre aperta». Ciò significa che nessuno può sentirsi escluso dall’essere positivamente provocato sul senso della vita e sulle grandi questioni che soprattutto ai nostri giorni colpiscono per la persistenza di una crisi complessa che aumenta gli interrogativi ed eclissa la speranza. Porsi la domanda sulla fede non equivale a estraniarsi dal mondo, piuttosto fa prendere coscienza della responsabilità che si ha nei confronti dell’umanità in questo frangente storico.

Un anno durante il quale la preghiera e la riflessione potranno più facilmente coniugarsi con l’intelligenza della fede di cui ognuno deve sentire l’urgenza e la necessità. Non può accadere, infatti, che i credenti abbiano ad eccellere nei diversi ambiti della scienza, per rendere più professionale il loro impegno lavorativo, e ritrovarsi con una debole e insufficiente conoscenza dei contenuti della fede. Uno squilibrio imperdonabile che non consente di crescere nell’identità personale e che impedisce di saper dare ragione della scelta compiuta.

 

CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA 

PARTE PRIMA LA PROFESSIONE DELLA FEDE

SEZIONE PRIMA «IO CREDO» – «NOI CREDIAMO»

CAPITOLO TERZO LA RISPOSTA DELL’UOMO A DIO

 

142 Con la sua rivelazione, « Dio invisibile nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli ed ammetterli alla comunione con sé». La risposta adeguata a questo invito è la fede.

 

143 Con la fede l’uomo sottomette pienamente a Dio la propria intelligenza e la propria volontà. Con tutto il suo essere l’uomo dà il proprio assenso a Dio rivelatore. La Sacra Scrittura chiama « obbedienza della fede » questa risposta dell’uomo a Dio che rivela.

 

ARTICOLO 1 -IO CREDO

I. L’obbedienza della fede

144 Obbedire (« ob-audire ») nella fede è sottomettersi liberamente alla parola ascoltata, perché la sua verità è garantita da Dio, il quale è la verità stessa. Il modello di questa obbedienza propostoci dalla Sacra Scrittura è Abramo. La Vergine Maria ne è la realizzazione più perfetta.

 

Abramo – « padre di tutti i credenti »

145 La lettera agli Ebrei, nel solenne elogio della fede degli antenati, insiste particolarmente sulla fede di Abramo: « Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava » (Eb 11,8). 172 Per fede soggiornò come straniero e pellegrino nella Terra promessa. 173 Per fede Sara ricevette la possibilità di concepire il figlio della Promessa. Per fede, infine, Abramo offrì in sacrificio il suo unico figlio.

146 Abramo realizza così la definizione della fede data dalla lettera agli Ebrei: « La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono » (Eb 11,1). « Abramo ebbe fede in Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia » (Rm 4,3). 175 « Forte in [questa] fede » (Rm 4,20), Abramo è diventato « padre di tutti quelli che credono » (Rm 4,11.18). 176

147 Di questa fede, l’Antico Testamento è ricco di testimonianze. La lettera agli Ebrei fa l’elogio della fede esemplare degli antichi che « ricevettero » per essa « una buona testimonianza » (Eb 11,2.39). Tuttavia « Dio aveva in vista qualcosa di meglio per noi »: la grazia di credere nel suo Figlio Gesù, « autore e perfezionatore della fede » (Eb 11,40; 12,2).

Maria – «Beata colei che ha creduto»

148 La Vergine Maria realizza nel modo più perfetto l’obbedienza della fede. Nella fede, Maria accolse l’annunzio e la promessa a lei portati dall’angelo Gabriele, credendo che « nulla è impossibile a Dio » (Lc 1,37), 177 e dando il proprio consenso: « Sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto » (Lc 1,38). Elisabetta la salutò così: « Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore » (Lc 1,45). Per questa fede tutte le generazioni la chiameranno beata.

149 Durante tutta la sua vita, e fino all’ultima prova, 179 quando Gesù, suo Figlio, morì sulla croce, la sua fede non ha mai vacillato. Maria non ha cessato di credere « nell’adempimento » della parola di Dio. Ecco perché la Chiesa venera in Maria la più pura realizzazione della fede.

 

II. «So a chi ho creduto» (2 Tm 1,12)

Credere in un solo Dio

150 La fede è innanzi tutto una adesione personale dell’uomo a Dio; al tempo stesso ed inseparabilmente, è l’assenso libero a tutta la verità che Dio ha rivelato. In quanto adesione personale a Dio e assenso alla verità da lui rivelata, la fede cristiana differisce dalla fede in una persona umana. È bene e giusto affidarsi completamente a Dio e credere assolutamente a ciò che egli dice. Sarebbe vano e fallace riporre una simile fede in una creatura.

Credere in Gesù Cristo, Figlio di Dio

151 Per il cristiano, credere in Dio è inseparabilmente credere in colui che egli ha mandato, il suo Figlio prediletto nel quale si è compiaciuto; 181 Dio ci ha detto di ascoltarlo. 182 Il Signore stesso dice ai suoi discepoli: « Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me » (Gv 14,1). Possiamo credere in Gesù Cristo perché egli stesso è Dio, il Verbo fatto carne: « Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato » (Gv 1,18). Poiché egli « ha visto il Padre » (Gv 6,46), è il solo a conoscerlo e a poterlo rivelare.

 

Credere nello Spirito Santo

152 Non si può credere in Gesù Cristo se non si ha parte al suo Spirito. È lo Spirito Santo che rivela agli uomini chi è Gesù. Infatti « nessuno può dire: “Gesù è Signore” se non sotto l’azione dello Spirito Santo » (1 Cor 12,3). « Lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. […] Nessuno ha mai potuto conoscere i segreti di Dio se non lo Spirito di Dio » (1 Cor 2,10-11). Dio solo conosce pienamente Dio. Noi crediamo nello Spirito Santo perché è Dio.

La Chiesa non cessa di confessare la sua fede in un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo.

 

III. Le caratteristiche della fede

La fede è una grazia

 

153 Quando san Pietro confessa che Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente, Gesù gli dice: « Né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli » (Mt 16,17). 184 La fede è un dono di Dio, una virtù soprannaturale da lui infusa. « Perché si possa prestare questa fede, è necessaria la grazia di Dio che previene e soccorre, e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia “a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità” ».

La fede è un atto umano

154 È impossibile credere senza la grazia e gli aiuti interiori dello Spirito Santo. Non è però meno vero che credere è un atto autenticamente umano. Non è contrario né alla libertà né all’intelligenza dell’uomo far credito a Dio e aderire alle verità da lui rivelate. Anche nelle relazioni umane non è contrario alla nostra dignità credere a ciò che altre persone ci dicono di sé e delle loro intenzioni, e far credito alle loro promesse (come, per esempio, quando un uomo e una donna si sposano), per entrare così in reciproca comunione. Conseguentemente, ancor meno è contrario alla nostra dignità « prestare, con la fede, la piena sottomissione della nostra intelligenza e della nostra volontà a Dio quando si rivela »  ed entrare in tal modo in intima comunione con lui.

155 Nella fede, l’intelligenza e la volontà umane cooperano con la grazia divina: « Credere est actus intellectus assentientis veritati divinae ex imperio voluntatis a Deo motae per gratiam – Credere è un atto dell’intelletto che, sotto la spinta della volontà mossa da Dio per mezzo della grazia, dà il proprio consenso alla verità divina».

 

La fede e l’intelligenza

156 Il motivo di credere non consiste nel fatto che le verità rivelate appaiano come vere e intelligibili alla luce della nostra ragione naturale. Noi crediamo « per l’autorità di Dio stesso che le rivela, il quale non può né ingannarsi né ingannare ».  « Nondimeno, perché l’ossequio della nostra fede fosse “conforme alla ragione”, Dio ha voluto che agli interiori aiuti dello Spirito Santo si accompagnassero anche prove esteriori della sua rivelazione ». 189 Così i miracoli di Cristo e dei santi,  le profezie, la diffusione e la santità della Chiesa, la sua fecondità e la sua stabilità «sono segni certissimi della divina rivelazione, adatti ad ogni intelligenza»,  sono motivi di credibilità i quali mostrano che l’assenso della fede non è «affatto un cieco moto dello spirito».

157 La fede è certa, più certa di ogni conoscenza umana, perché si fonda sulla Parola stessa di Dio, il quale non può mentire. Indubbiamente, le verità rivelate possono sembrare oscure alla ragione e all’esperienza umana, ma « la certezza data dalla luce divina è più grande di quella offerta dalla luce della ragione naturale ».  « Diecimila difficoltà non fanno un solo dubbio ».

158 « La fede cerca di comprendere »: 195 è caratteristico della fede che il credente desideri conoscere meglio colui nel quale ha posto la sua fede, e comprendere meglio ciò che egli ha rivelato; una conoscenza più penetrante richiederà a sua volta una fede più grande, sempre più ardente d’amore. La grazia della fede apre « gli occhi della mente » (Ef 1,18) per una intelligenza viva dei contenuti della Rivelazione, cioè dell’insieme del disegno di Dio e dei misteri della fede, dell’intima connessione che li lega tra loro e con Cristo, centro del mistero rivelato. Ora, « affinché l’intelligenza della Rivelazione diventi sempre più profonda, lo […] Spirito Santo perfeziona continuamente la fede per mezzo dei suoi doni ». Così, secondo il detto di sant’Agostino: « Credi per comprendere: comprendi per credere ».

159 Fede e scienza. « Anche se la fede è sopra la ragione, non vi potrà mai essere vera divergenza tra fede e ragione: poiché lo stesso Dio che rivela i misteri e comunica la fede, ha anche deposto nello spirito umano il lume della ragione, questo Dio non potrebbe negare se stesso, né il vero contraddire il vero ». « Perciò la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio. Anzi, chi si sforza con umiltà e perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza che egli se ne avveda, viene come condotto dalla mano di Dio, il quale, mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quello che sono ».

La libertà della fede

160 Perché la risposta di fede sia umana, « è elemento fondamentale […] che gli uomini devono volontariamente rispondere a Dio credendo; che perciò nessuno può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volontà. Infatti l’atto di fede è volontario per sua stessa natura». «Dio chiama certo gli uomini a servirlo in spirito e verità, per cui essi sono vincolati in coscienza, ma non coartati. […] Ciò è apparso in sommo grado in Cristo Gesù». Infatti, Cristo ha invitato alla fede e alla conversione, ma a ciò non ha affatto costretto. « Ha reso testimonianza alla verità, ma non ha voluto imporla con la forza a coloro che la respingevano. Il suo regno […] cresce in virtù dell’amore, con il quale Cristo, esaltato in croce, trae a sé gli uomini ».

La necessità della fede

161 Credere in Gesù Cristo e in colui che l’ha mandato per la nostra salvezza, è necessario per essere salvati. 203 «Poiché “senza la fede è impossibile essere graditi a Dio” (Eb 11,6) e condividere la condizione di suoi figli, nessuno può essere mai giustificato senza di essa e nessuno conseguirà la vita eterna se non “persevererà in essa sino alla fine” (Mt 10,22; 24,13)».

La perseveranza nella fede

162 La fede è un dono che Dio fa all’uomo gratuitamente. Noi possiamo perdere questo dono inestimabile. San Paolo, a questo proposito, mette in guardia Timoteo: Combatti « la buona battaglia con fede e buona coscienza, poiché alcuni che l’hanno ripudiata hanno fatto naufragio nella fede » (1 Tm 1,18-19). Per vivere, crescere e perseverare nella fede sino alla fine, dobbiamo nutrirla con la Parola di Dio; dobbiamo chiedere al Signore di accrescerla;  essa deve operare «per mezzo della carità» (Gal 5,6), essere sostenuta dalla speranza  ed essere radicata nella fede della Chiesa.

La fede – inizio della vita eterna

163 La fede ci fa gustare come in anticipo la gioia e la luce della visione beatifica, fine del nostro pellegrinare quaggiù. Allora vedremo Dio « a faccia a faccia » (1 Cor 13,12), « così come egli è » (1 Gv 3,2). La fede, quindi, è già l’inizio della vita eterna: « Fin d’ora contempliamo come in uno specchio, quasi fossero già presenti, le realtà meravigliose che le promesse ci riservano e che, per la fede, attendiamo di godere ».

164 Ora, però, « camminiamo nella fede e non ancora in visione » (2 Cor 5,7), e conosciamo Dio « come in uno specchio, in maniera confusa…, in modo imperfetto » (1 Cor 13,12). La fede, luminosa a motivo di colui nel quale crede, sovente è vissuta nell’oscurità. La fede può essere messa alla prova. Il mondo nel quale viviamo pare spesso molto lontano da ciò di cui la fede ci dà la certezza; le esperienze del male e della sofferenza, delle ingiustizie e della morte sembrano contraddire la Buona Novella, possono far vacillare la fede e diventare per essa una tentazione.

165 Allora dobbiamo volgerci verso i testimoni della fede: Abramo, che credette, « sperando contro ogni speranza » (Rm 4,18); la Vergine Maria che, nel «cammino della fede»,  è giunta fino alla « notte della fede» partecipando alla sofferenza del suo Figlio e alla notte della sua tomba; e molti altri testimoni della fede: «Circondati da un così gran numero di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede» (Eb 12,1-2).

 

L’ESEMPIO DI CATERINA VOLPICELLI

Le diverse vicende umane e spirituali dei Santi (oggi ricordiamo Santa Cecilia, vergine e martire, protettrice della musica sacra)  stanno a mostrarci il rinnovamento profondo che nel cuore dell’uomo opera il mistero della Pasqua di Cristo; mistero fondamentale che orienta e guida tutta la storia della salvezza. Giustamente pertanto la Chiesa sempre, ed ancor più in questo anno della fede, ci invita a dirigere i nostri sguardi verso Cristo risorto, realmente presente nel Sacramento dell’Eucaristia.

Nella pagina evangelica sui discepoli di Emmaus (Lc 24,35-48), san Luca riferisce una delle apparizioni di Gesù risorto. Proprio all’inizio del brano, l’evangelista annota che i due discepoli di Emmaus, tornati in fretta a Gerusalemme, raccontarono agli Undici come lo avevano riconosciuto “nello spezzare il pane” (v. 35). E mentre essi stavano narrando la straordinaria esperienza del loro incontro con il Signore, Egli “in persona stette in mezzo a loro” (v. 36). A causa di questa sua improvvisa apparizione gli Apostoli restarono intimoriti e spaventati, al punto che Gesù, per rassicurarli e vincere ogni titubanza e dubbio, chiese loro di toccarlo – non era un fantasma, ma un uomo in carne ed ossa – e domandò poi qualcosa da mangiare. Ancora una volta, come era avvenuto per i due di Emmaus, è a tavola, mentre mangia con i suoi, che il Cristo risorto si manifesta ai discepoli, aiutandoli a comprendere le Scritture e a rileggere gli eventi della salvezza alla luce della Pasqua. “Bisogna che si compiano – egli dice – tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi” (v. 44). E li invita a guardare al futuro: “nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati” (v. 47).

 

Questa stessa esperienza, ogni comunità la rivive nella celebrazione eucaristica, specialmente in quella domenicale. L’Eucaristia, il luogo privilegiato in cui la Chiesa riconosce “l’autore della vita” (cfr At 3,15), è “la frazione del pane”, come viene chiamata negli Atti degli Apostoli. In essa, mediante la fede, entriamo in comunione con Cristo, che è “altare, vittima e sacerdote” (cfr Prefazio pasquale 5). Ci raduniamo intorno a Lui per far memoria delle sue parole e degli eventi contenuti nella Scrittura; riviviamo la sua passione, morte e risurrezione. Celebrando l’Eucaristia comunichiamo con Cristo, vittima di espiazione, e da Lui attingiamo perdono e vita. Cosa sarebbe la nostra vita di cristiani senza l’Eucaristia? L’Eucaristia è la perpetua e vivente eredità lasciataci dal Signore nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, che dobbiamo costantemente ripensare ed approfondire perché, come affermava il venerato Papa Paolo VI, possa “imprimere la sua inesauribile efficacia su tutti i giorni della nostra vita mortale” (Insegnamenti, V [1967], p. 779). Nutriti del Pane eucaristico, i santi hanno portato a compimento la loro missione di amore evangelico nei diversi campi, in cui hanno operato con i loro peculiari carismi…….

“Testimone dell’amore divino fu anche santa Caterina Volpicelli, che si sforzò di “ essere di Cristo, per portare a Cristo” quanti ebbe ad incontrare nella Napoli di fine Ottocento, in un tempo di crisi spirituale e sociale. Anche per lei il segreto fu l’Eucaristia. Alle sue prime collaboratrici raccomandava di coltivare una intensa vita spirituale nella preghiera e, soprattutto, il contatto vitale con Gesù eucaristico. E’ questa anche oggi la condizione per proseguire l’opera e la missione da lei iniziate e lasciate in eredità alle “Ancelle del Sacro Cuore”. Per essere autentiche educatrici della fede, desiderose di trasmettere alle nuove generazioni i valori della cultura cristiana, è indispensabile, come amava ripetere, liberare Dio dalle prigioni in cui lo hanno confinato gli uomini. Solo infatti nel Cuore di Cristo l’umanità può trovare la sua ‘stabile dimora”. Santa Caterina mostra alle sue figlie spirituali e a tutti noi, il cammino esigente di una conversione che cambi in radice il cuore, e si traduca in azioni coerenti con il Vangelo. E’ possibile così porre le basi per costruire una società aperta alla giustizia e alla solidarietà, superando quello squilibrio economico e culturale che continua a sussistere in gran parte del nostro pianeta”….Lasciamoci attrarre dagli esempi dei santi, lasciamoci guidare dai loro insegnamenti, perché anche la nostra esistenza diventi un cantico di lode a Dio, sulle orme di Gesù di Caterina e di Cecilia, adorato con fede nel mistero eucaristico e servito con generosità nel nostro prossimo (Omelia di Papa Benedetto XVI, 26 maggio 2009 per la canonizzazione di Caterina Volpicelli).

Frattamaggiore. Ritiro spirituale con le Ancelle del Sacro Cuoreultima modifica: 2012-11-22T23:30:00+01:00da pace2005
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