parola di dio

Il fascino e il potere del vero amore

183089916.JPGCelebriamo, infatti, oggi la XXX Domenica del T.O. e la parola di Dio ci invita ad andare all’essenza stessa della nostra vita cristiana e religiosa, riportando al centro della nostra riflessione e meditazione il precetto dell’Amore che ha due indistinte e inscindibili direzioni: amore verso Dio e amore verso i fratelli. Due direzioni di marcia che si integrano in un cammino di santità e di purificazione, avendo fisso lo sguardo su ciò che davvero conta nella vita umana e cristiana: amare comunque e sempre, chiunque e qualsiasi persona, fosse anche il nostro più acerrimo nemico. Non è facile vivere di amore e nell’amore vero: E’ più semplice viveri di amori superficiali e passeggeri, inconcludenti, che producono piaceri di un momento. Il vero amore che utilizza il linguaggio di Cristo e si impernia su Cristo invita a salire fino al cima del Calvario, ove l’amore si manifesta come oblazione, obbedienza totale alla volontà di Dio, come risposta consapevole che Dio ci ama e ci ama fino a dare il suo Figlio per noi. Il Vangelo di Matteo che oggi ascoltiamo, nella sua estrema brevità, è tutto ciò che si può e si deve dire circa il senso della nostra fede e della nostra speranza. “In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».  Ai presunti maestri del tempo di Gesù era ben nota la legge di Dio al riguardo. Già nell’Antica Alleanza Dio aveva fatto conoscere il suo pensiero attraverso i i patriarci, i profeti, ed aveva posto al centro della religiosità del popolo israelitico l’amore verso di Dio, senza limiti, senza condizionamenti, senza parzialità o riduttività in tutti i sensi. Se il primo fondamentale comandamento del “Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altri dei al di fuori di me”, deve essere tradotto in stile di vita e di comportamento questo non può che essere amore e solo amore, perché Dio è Amore e Lui sorgente di ogni vero amore trova motivo ed efficacia ogni altro tipo di amore, ben altra cosa dalla passione. Gesù nuovamente in questa circostanza si rivolge ai farisei rispondendo ad una loro precisa domanda. Non c’è molto da discutere sull’argomento di qual è il comandamento più importante ed essenziale anche per lui Messia inviso, non creduto e contrastato in ogni circostanza: è l’amore a Dio e ai fratelli. Tutto qui su un piano concettuale e di messaggio e se si vuole su un piano giuridico. Il problema è come tradurre questo amore, a livello di principio ispiratore della religiosità ebraica e cristiana in concretezza di azioni e di operazioni. Da questo comandamento dipende la sapienza, l’organizzazione, la prospettiva di ogni persona e di ogni istituzione. Dove regna Dio regna la pace, la giustizia e la fratellanza. Dove regna l’egoismo, regna la divisione e la lotta fratricida. Ecco perché già nel libro dell’Esodo, che oggi ascoltiamo come testo della prima lettura della parola di Dio ci viene ricordato come si traduce in opere l’amore verso il prossimo: “Così dice il Signore:
«Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Non maltratterai la vedova o l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io darò ascolto al suo grido, la mia ira si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani. Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse. Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando griderà verso di me, io l’ascolterò, perché io sono pietoso».
In sintesi è detto con precisione che nel cuore di una persona che ama c’è attenzione verso lo straniero, l’orfano, la vedova, il forestiero, chi sta in difficoltà di qualsiasi genere, soprattutto economicamente, perché viene bandita l’usura e il pizzo sulle attività altrui. L’amore non ammette sconti ed eccezioni, tutti devono e possono  occupare un posto speciale nel nostro cuore e nei nostri affetti e pensieri. Nessuno che si trovi nel bisogno o nella normale condizione esistenziale deve essere escluso dal nostro amore vero, radicato in Gesù Cristo. E’ questione di renderlo visibile questo amore attraverso la testimonianza della nostra vita. A ricordarcelo oggi è san Paolo Apostolo nel brano della prima lettera ai Tessalonicesi che proclameremo nella liturgia della parola: “Fratelli, ben sapete come ci siamo comportati in mezzo a voi per il vostro bene. E voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore, avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito Santo, così da diventare modello per tutti i credenti della Macedònia e dell’Acàia. Infatti per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne. Sono essi infatti a raccontare come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene”. Chi pone Dio al centro della sua vita abbandona la via del male e dell’idolatria, che oggi sono il denaro, il successo, la carriera, la posizione sociale e quanto è esteriore e conta davanti agli uomini di questa generazione per nulla attratta dall’amore vero verso Dio e verso i fratelli, ma solo dall’amore verso se stessi e la propria realizzazione. Il Signore ci liberi da un egoismo sempre più imperante ed emergente in tutti i settori. Ecco perché la nostra preghiera giunga al Signore con tutte le nostre rette intenzioni e la nostra sincera volontà di operare il bene: “O Padre, che fai ogni cosa per amore e sei la più sicura difesa degli umili e dei poveri, donaci un cuore libero da tutti gli idoli, per servire te solo e amare i fratelli secondo lo Spirito del tuo Figlio, facendo del suo comandamento nuovo l’unica legge della vita”. Amen.

I doveri e i diritti religiosi e civili dei cristiani

1396602524.JPGCi avviamo verso a fine dell’anno liturgico, Celebriamo, infatti, demenica 19 ottobre, la XXIX Domenica del T.O. e la parola di Dio ci invita a vivere coerentemente con i principi morali, ma anche cn quelli civili. Il cristiano non vive al di fuori del mondo ed è immerso nel mondo con la caratteristica dell’uomo di fede. Il dare a Dio di cui oggi parla il Vangelo sono tutti i doveri che morali e religiosi che abbiamo verso il Signore e che non possiamo disattendere, come quello della lode, della preghiera, del ringraziamento per tutto quello che ci dona nella sua provvidenza. Parimenti, proprio perché esseri sociali, immersi nel mondo e nelle società in cui risiediamo abbiamo anche il dovere di essere cittadini retti ed onesti, che pagano le tasse, si impegnano nella cultura, nel sociale, nella politica in tutto ciò che espressione di vita sociale e di relazione. Non per il fatto che abbiamo una fede e il nostro pensiero è costantemente rivolto a Dio e i doveri verso di Lui vengono prima di ogni altra cosa siamo esonerati dai doveri civili e sociali. Anzi proprio in questo dobbiamo dare l’esempio ed essere retti e onesti fino in fondo. Per cui, non dobbiamo farci criticare da chi cristiano non è magari osserva il nostro modo di agire disonesto proprio nel campo dell’economia. La lezione di questi giorni in cui la crisi mondiale dei mercati deve essere un insegnamento per tutti. I soldi davvero non sono nulla, come ci ricorda il Papa, Benedetto XVI, ma è anche vero che il denaro va gestito con oculatezza, sapienza e prudenza. “In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Come al tempo di Gesù, anche oggi i farisei dei nostro tempo osservano il nostro comportamento, per contestare a noi cristiani proprio un comportamento non rispettoso delle leggi dello Stato. Chiesa e Stato sono due entità separate e che cammino ognuno per il suo fine e che devono comunque incontrarsi in certe situazioni per il bene comune e dell’umanità. Il dovere di contribuire alla crescita della famiglia umana nel modi leciti spetta a tutti i cristiani e sono essi per primi che devono dare il buon esempio. I nostri doveri religiosi e civili devono camminare di pari passi, soprattutto quando le leggi di uno Stato sono giuste e vanno osservate nel campo della contribuzione, della tassazione e dell’equa distribuzione dei beni, del rispetto della proprietà dello Stato. Non bisogna fare confusione, né favorire una commistioni di ruoli e di funzioni. Dio viene prima di ogni altra cosa nella vita del credente, è la base di partenza per ogni altra azione umana e sociale. Ce lo ricorda un testo molto bello e significativo del Libro del profeta Isaia che oggi ascoltiamo nella prima lettura della liturgia della parola. “Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: «Io l’ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso. Per amore di Giacobbe, mio servo, e d’Israele, mio eletto, io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca. Io sono il Signore e non c’è alcun altro, fuori di me non c’è dio; ti renderò pronto all’azione, anche se tu non mi conosci, perché sappiano dall’oriente e dall’occidente che non c’è nulla fuori di me. Io sono il Signore, non ce n’è altri».  Il testo si rifà alla legge mosaica ricevuta sul Monte Sinai e che passa come i dieci fondamentali comandamenti della legge divina per il popolo dell’antica allenza, ma anche per la Chiesa, popolo della nuova alleanza che in Gesù Cristo, morto e risorto per la nostra salvezza, trova le ragioni più profonde per agire nel tempo avendo di mira sempre e comunque Dio. Dobbiamo fare tesoro in questo di quello che scrive l’Apostolo delle Genti nel brano della seconda lettura, tratto dalla prima lettera ai Tessalonicesi, di oggi nel quale ci richiama alla fede, alla speranza e alla carità nel nome di Cristo, nostro unico salvatore. “Paolo e Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicési che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: a voi, grazia e pace. Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere e tenendo continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro. Sappiamo bene, fratelli amati da Dio, che siete stati scelti da lui. Il nostro Vangelo, infatti, non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione”. Il nostro vivere la fede in questo tempo difficile chiede a noi cristiani una fermezza nelle nostre convinzioni religiose, una coerenza ed uno stile di vita che va adeguato costantemente alla parola di Dio e monitorato nei risultati. Parimenti non possiamo collocarci tra i disfattisti e i nichilisti di questo mondo, ma avere una grande fiducia e speranza nel Signore, che mai potrà deluderci, men che mai nella prospettiva di quella vita oltre il tempo, l’eternità, verso la quali siamo incamminati, percorrendo la strade del tempo e dello spazio che Egli ha assegnato a noi per realizzare la nostra santificazione.  Sia questa la nostra umile preghiera che insieme all’assemblea domenicale rivolgiamo al Signore dal profondo del cuore, ma anche nell’unità di intenti e di progetti da realizzare per tutti i cristiani e l’umana società “O Padre, a te obbedisce ogni creatura nel misterioso intrecciarsi delle libere volontà degli uomini; fa’ che nessuno di noi abusi del suo potere, ma ogni autorità serva al bene di tutti, secondo lo Spirito e la parola del tuo Figlio, e l’umanità intera riconosca te solo come unico Dio”. Il Signore ci conceda davvero saggi ed equilibrati politici, amministratori, governanti perché anche i sacrifici fatti per il bene degli altri e della stessa società non vadano perduti e dissipati per l’avidità del denaro e del potere, dimenticandosi dei poveri e di chi è in necessità. Il dare a Cesare quello che spetta a Cesare significare dare ai cittadini ciò che spetta ai cittadini, soprattutto se più deboli e indifesi, senza garanzie sociali e protezioni economiche. Tra questi cittadini ci sono i cristiani che non devono essere favoriti e privilegiati, ma neppure esclusi dai benefici statali.

Un banchetto succulente per chi vuole salvarsi

1396602524.JPGCelebriamo oggi la XXVIII Domenica del T.O. e la parola di Dio ci invita ad accogliere il regno di Dio nella nostra vita nel modo migliore possibile, con semplicità, purezza di sentimenti, autenticità, purificati nel corpo e nella mente in un atteggiamento di conversione permanente. E’ soprattutto il testo del Vangelo di Matteo a proporsi un cammino di adesione progressiva e responsabile del regno di Dio, dal qual nessuno è escluso, in quanto la salvezza e per tutti. C’è il rischio di autoescludersi da questo regno, ma da parte di Chi questo regno è venuto ad istituirlo in questo mondo non c’è nessuna preclusione per alcuno; anzi tutti sono inviati al banchetto e tutti possono parteciparvi nella misura in cui si parte dall’accettazione del regno stesso, di quella fede in Gesù Cristo che è il fondamento stesso della religione cristiana nella quale crediamo. Non possiamo aderire a questo regno solo per formalità o tradizione familiare, solo perché si è fatto sempre così nelle nostre famiglie e nei nostri ambienti, ma perché questo regno lo sento che mi appartiene e al quale liberamente aderisco. Vi entro con quella veste della purificazione, del battesimo di penitenza o del battesimo sacramento che mi introduce in modo degno e responsabile all’interno della famiglia di Dio, invitata a partecipare al banchetto dell’amore e della misericordia in questo tempo e soprattutto in vista dell’eternità. In questo regno ognuno ha un ruolo ed una missione, tutti dobbiamo lavorare per l’unico scopo che ci unisce che è quello di far conoscere,amare e servire Dio e gli uomini quali figli del Figlio suo che ha redento il mondo con la croce e la risurrezione.  In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti». Il monito finale del testo del Vangelo dei tanti chiamati e dei pochi eletti dovrebbe far scattare l’attenzione di ognuno di noi sull’operato in vista della nostra salvezza eterna. Il rischio di aver accolto il regno e non di non aver vissuto in esso e con esso esiste di fatto soprattutto ai nostri giorni. Tanti i cristiani battezzati, pochissimi i praticanti e i convinti che la via maestra per la felicità in questo mondo è solo Cristo e la sua Parola. Molti pensano che la felicità sia altrove e disertato il banchetto della vera felicità, in cerca di illusorie felicità del mondo, che piena e duratura felicità non può dare adesso e neppure per sempre. I fatti di questi giorni con la recessione mondiale in atto con la crisi delle banche, del denaro ci fa ripetere con il Papa, Benedetto XVI e con i santi di sempre, che il soldi ed il denaro sono un nulla, mentre Dio è tutto. Chi si mette nella prospettiva di Dio e segue la via di Cristo non può che essere che una persona felice. E’ necessario accogliere l’invito, non dilazionare il tempo di partecipazione al banchetto della parola e dell’eucaristia al quale il Signore ci invita e rispondere subito e generosamente, lasciando da parte anche altri impegni e convinzioni. Ci rammenta tutto questo anche il brano della prima lettura di oggi, tratto dal libro del profeta Isaìa: “Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza, poiché la mano del Signore si poserà su questo monte». Gustare il sapore di questo regno, sperimentare la dolcezza dei cibi succulenti e di bevande speciali che questo regno particolare ci offre non è andare ad un ristorante qualsiasi dei nostri giorni, ma ad un albergo a cinque stelle, il massimo possibile e proponibile, dove non conta il lusso esterno, ma la nobiltà dell’anima, la signorilità del cuore e della mente e soprattutto la bontà d’animo. Come non rispondere a questo invito pressante che il Signore ci rivolge indirizzando i nostri pensieri ai luoghi di preghiera, di raccoglimento, di ascolto della sua parola, alla mensa eucaristica che si celebra ogni giorno nelle nostre comunità parrocchiali. Quanti assenti ingiustificati, quanti che trovano scusa per non partecipare, quanti che preferiscono altri banchetti meno impegnativi e apparentemente più sazianti e gratificanti, lasciando davvero a pochi eletti quotidianamente il potersi gustare la parola di Dio e partecipare al banchetto eucaristico. La crisi di fede e di religiosità praticata oggi soprattutto in alcune realtà del mondo ci dà la chiave di lettura di questa parabola e ce ne fa capire i risvolti pratici. La conclusione di questa nostra riflessione sulla parola di Dio ed in particolare su testo del Vangelo non può che essere il sintetico ma ricco testo della seconda lettura di oggi, tratto dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési: Tutto posso in Colui che mi da forza. “Fratelli, so vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza. Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni. Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù. Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen”. Davvero Cristo è la nostra forza e la nostra gioia, la nostra speranza, la nostra certezza, la nostra pasqua nel tempo e la nostra pasqua eterna. Su questa forza che viene dal cielo fondiamo la nostra vita e la nostra felicità. Egli non ci deluderà, perché saprà ricompensarci nel tempo e nell’eternità facendoci assaporare le dolcezze che solo Dio può dare ad un cuore che ama. 

Un canto d’amore per la vigna del Signore

1805952688.JPGCelebriamo oggi la XXVII Domenica del T.O. e la parola di Dio ci invita ad accogliere il Regno di Dio e far tesoro di ogni occasione che arriva a noi perché questo Regno cresca dentro di noi, fuori di noi e intorno a noi. Il Vangelo di Matteo ci presenta oggi un’altra parabola di Gesù che illustra in modo circostanziato l’itinerario della salvezza che Dio ha posto in essere prima nei confronti del popolo eletto ed successivamente per l’intera umanità. Nel preparare il terreno ad accogliere il suo regno pensa pure al momento in cui chiederà conto di come si è lavorato in questo regno, quali risultati si sono dati, se si sono accolti i suggerimenti. E’ evidente il discorso anche del rifiuto dei capi d’Israele della figura del messia individuata qui nel Figlio del Padrone della Vigna, che affida la custodia e lo sviluppo di essa a dei contadini e quindi a dei lavoratori che dovevano far progredire questa vigna. Invece alla fine oltre a rifiutare tutti gli inviati di Dio, dai profeti a tutti gli altri, rifiutano anche il Figlio di Dio, che come ben sappiamo viene condannato a morte e crocifisso. Possiamo perciò ben dire che il Regno di Dio è per le persone disponibili ad accogliere Cristo. Tutto il brano del Vangelo indirizza verso questa interpretazione e lettura, ma anche è un forte richiamo a far tesoro di quella fede che abbiamo ricevuto in dono e che se non ben curata si rischia di perdere, fino al punto che “la cura della vigna” passa in mano ad altre persone e popoli più disposti a lavorare in sintonia con il Padrone di tale spirituale possedimento. “In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti». Sappiamo come il tema e il termine vigna ricorra spesso nei testi sacri sia dell’Antico che del Nuovo Testamento. Nella prima lettura di oggi tratta dal profeta Isaia si parla proprio della vigna non in segno reale ma metaforica, per indicare appunto il campo del lavoro ove Dio direttamente opera o agisce per tramite di suoi messaggeri ed inviati e soprattutto coinvolgendo nel progetto di bene e di salvezza l’intero popolo eletto. Il brano del profeta Isaia è di straordinaria bellezza e ricchezza, tanto da richiedere un adeguato approfondimento personale per interiorizzarlo meglio e far portare frutti nella nostra vita di credenti e cristiani. E’ evidente che la vigna del Signore è la casa d’Israele. A mio modesto avviso è un canto d’amore per la Chiesa di Dio. “Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva; essa produsse, invece, acini acerbi. E ora, abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda, siate voi giudici fra me e la mia vigna. Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto? Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha prodotto acini acerbi? Ora voglio farvi conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata. La renderò un deserto, non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni; alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia. Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele; gli abitanti di Giuda sono la sua piantagione preferita. Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi”. La descrizione dettagliata di questa vigna ci fa capire con quanto cura e passione il profeta legge gli avvenimenti della storia di Israele, non sempre rispondente alla volontà di Dio, Infatti Dio in questa vigna del mondo “si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi”. E’ la fotografia del mondo di allora, ma soprattutto del mondo di oggi, di questi travagliati giorni che riguardano il nostro Paese, ma il Mondo intero, con tanto spargimento di sangue, sofferenze, ingiustizie, cattiverie, malvagità. Reagire a questo modo di pensare è di agire compete soprattutto a quanti hanno fede in Dio e in Cristo, unico salvatore del mondo. Dio non farà mia mancare il suo sostegno a questo mondo, per la sua vigna farà ogni cosa, oltre quello che già ha fatto. Ma cosa fa l’uomo perché questa vigna cresca e dia frutti abbondanti di bene? A guardare il nostro tempo, possiamo dire ben poco, considerato il fatto che questa vigna è stata spiantata e trapiantata altrove, perché non dava più frutti come doveva, ove è stata piantata per prima. E’ la storia di questi nostri giorni ove la fede è venuta meno nei paesi di antica tradizione cristiana e si sta affermando nelle giovani chiese dell’intero pianeta. Questo dovrebbe farci preoccupare e non adagiarci sulle cose fatte o che si fanno, ma far scattare un’ansia missionaria a largo raggio, in modo da coinvolgere intorno al progetto della riscoperta della fede, soprattutto i bambini, i ragazzi e i giovani distratti da altre cose che non sono Dio, ma sono idoli. Il nostro dovere come educatori è quello di fare del nostro meglio per far conoscere ed amare Cristo in questo mondo, iniziando ad amarlo noi, in quanto la testimonianza trascina più di ogni altra parola o discorso. In nostro soccorso, davanti al male del mondo e allo scoraggiamento che può prenderci, soprattutto se non si vedono i frutti di un lavoro pastorale, sacerdotale, educativo e spirituale è quanto scrive l’Apostolo Paolo nel breve ma intenso brano della Lettera ai Filippesi, che vogliamo fare nostro come stile di vita quotidiana in tutte le circostanze dell’esistenza giornaliera segnata dalla gioia o dalla sofferenza: “Fratelli, non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù. In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri.Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!”. Non ci vogliamo angustiare per nulla, ma non vogliamo neppure essere passivi e indifferenti rispetto al tanto male che esiste nel mondo e che con il nostro piccolo contributo possiamo debellare dentro di noi ed intorno a noi. Non vogliamo neanche angustiarci quanto facendo tesoro proprio della parola di Dio si pensa e si organizza qualcosa di utile per il bene di tutti e frainteso volutamente e maliziosamente si fanno naufragare tutte le iniziative di bene, mentre quelle del male si affermano sempre più prepotentemente. Noi dobbiamo avere nei nostri pensieri e progetti quello che scrive l’Apostolo e ci pone alla nostra attenzione: “quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri”. Perciò vogliamo chiudere questa riflessione e meditazione con la preghiera della colletta di oggi, domenica XXVII: “O Dio, fonte di ogni bene, che esaudisci le preghiere del tuo popolo al di là di ogni desiderio e di ogni merito, effondi su di noi la tua misericordia: perdona ciò che la coscienza teme e aggiungi ciò che la preghiera non osa sperare”.Amen.