Irpinia

Formia (Lt). Molta partecipazione alla novena di Sant’Erasmo

884268250.jpgDa mercoledì scorso, 23 maggio, è in corso la predicazione della Novena in onore di Sant’Erasmo nell’omonima chiesa parrocchiale al Castellone di Formia, dove da secoli si venera il santo vescovo e martire, patrono della città e dell’arcidiocesi di Gaeta. Tantissimi i fedeli che stanno frequentando la chiesa in questi giorni per seguire le prediche di padre Antonio Rungi, missionario passionista, che è ritornato a predicare la novena di Sant’Erasmo dopo 15 anni. Sono circa 300 i fedeli che ogni sera riempiono la bellissima ed artistica chiesa, nella cui cripta sono state rinvenute le spoglie mortali del vescovo martire. Oggi sono in corso lavori di sistemazione per presentare tutto il percordo del martirio che hanno subito i santi confessori della fede sotto la persecuzione di Diocleziano. Sant’Erasmo secondo fondi attendibile fu martirizzato il 2 giugno del 303 a Formia e per secoli sono state conservate le spoglie nella chiesa di Sant’Erasmo per poi essere traslate nella cattedrale di Gaeta.

In questi giorni di preparazione alla festa, orginazzata dal comitato sotto la guida del parroco don Alfredo Micalusi, padre Rungi sta sviluppando importanti tematiche di ordine teologico, spirituale e pastorale. Nella giornata del 24 maggio ha parlato dell’educazione alla fede nella famiglia, ieri 25 maggio ha parlato del gioia cristiana, stasera, 26 maggio ha parlato della chiamata alla santità. Il tutto riferito sempre al grande martire e santo, patrono della città di Formia.

Dopo alcuni anni si regista in chiesa a detta dei piàù una buona partecipazione dei fedeli alla novena in onore del santo. Segno evidente di una rinnovata fede e devozione verso il santo patrono di Formia e dei naviganti.

Certo vedere la chiesa piena di fedeli è una soddisfazione sia per chi predica e sia per chi ha fatto tanti sforzi per preparare degnamente il percorso liturgico e spirituale per la festa di Sant’Erasmo. Domani sera, domenica della Pentecoste presiede la messa delle 19, don Gianni, parrocco di San Giovanni, il compatrono della città di Formia, la cui festa è imminente, celebrandosi il 24 giugno. Il 2 giugno invece festa grande per sant’Erasmo con la processione e il panegirico conclusivo di padre Rungi, predicatore ufficiale della novena, che già riscuotendo grandi successi a gloria di Dio e ad onore del santo Patrono, da tutti i formiani onorato con grande devozione ed amore.

Il Messaggio del Papa per la giornata mondiale delle comunicazioni

11.jpgMESSAGGIO DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
PER LA XLVI GIORNATA MONDIALE
DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI  
 

“Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione”

[Domenica, 20 maggio 2012]

 

Cari fratelli e sorelle,

all’avvicinarsi della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2012, desidero condividere con voi alcune riflessioni su un aspetto del processo umano della comunicazione che a volte è dimenticato, pur essendo molto importante, e che oggi appare particolarmente necessario richiamare. Si tratta del rapporto tra silenzio e parola: due momenti della comunicazione che devono equilibrarsi, succedersi e integrarsi per ottenere un autentico dialogo e una profonda vicinanza tra le persone. Quando parola e silenzio si escludono a vicenda, la comunicazione si deteriora, o perché provoca un certo stordimento, o perché, al contrario, crea un clima di freddezza; quando, invece, si integrano reciprocamente, la comunicazione acquista valore e significato.

Il silenzio è parte integrante della comunicazione e senza di esso non esistono parole dense di contenuto. Nel silenzio ascoltiamo e conosciamo meglio noi stessi, nasce e si approfondisce il pensiero, comprendiamo con maggiore chiarezza ciò che desideriamo dire o ciò che ci attendiamo dall’altro, scegliamo come esprimerci. Tacendo si permette all’altra persona di parlare, di esprimere se stessa, e a noi di non rimanere legati, senza un opportuno confronto, soltanto alle nostre parole o alle nostre idee. Si apre così uno spazio di ascolto reciproco e diventa possibile una relazione umana più piena. Nel silenzio, ad esempio, si colgono i momenti più autentici della comunicazione tra coloro che si amano: il gesto, l’espressione del volto, il corpo come segni che manifestano la persona. Nel silenzio parlano la gioia, le preoccupazioni, la sofferenza, che proprio in esso trovano una forma di espressione particolarmente intensa. Dal silenzio, dunque, deriva una comunicazione ancora più esigente, che chiama in causa la sensibilità e quella capacità di ascolto che spesso rivela la misura e la natura dei legami. Là dove i messaggi e l’informazione sono abbondanti, il silenzio diventa essenziale per discernere ciò che è importante da ciò che è inutile o accessorio. Una profonda riflessione ci aiuta a scoprire la relazione esistente tra avvenimenti che a prima vista sembrano slegati tra loro, a valutare, ad analizzare i messaggi; e ciò fa sì che si possano condividere opinioni ponderate e pertinenti, dando vita ad un’autentica conoscenza condivisa. Per questo è necessario creare un ambiente propizio, quasi una sorta di “ecosistema” che sappia equilibrare silenzio, parola, immagini e suoni.

Gran parte della dinamica attuale della comunicazione è orientata da domande alla ricerca di risposte. I motori di ricerca e le reti sociali sono il punto di partenza della comunicazione per molte persone che cercano consigli, suggerimenti, informazioni, risposte. Ai nostri giorni, la Rete sta diventando sempre di più il luogo delle domande e delle risposte; anzi, spesso l’uomo contemporaneo è bombardato da risposte a quesiti che egli non si è mai posto e a bisogni che non avverte. Il silenzio è prezioso per favorire il necessario discernimento tra i tanti stimoli e le tante risposte che riceviamo, proprio per riconoscere e focalizzare le domande veramente importanti. Nel complesso e variegato mondo della comunicazione emerge, comunque, l’attenzione di molti verso le domande ultime dell’esistenza umana: chi sono? che cosa posso sapere? che cosa devo fare? che cosa posso sperare? E’ importante accogliere le persone che formulano questi interrogativi, aprendo la possibilità di un dialogo profondo, fatto di parola, di confronto, ma anche di invito alla riflessione e al silenzio, che, a volte, può essere più eloquente di una risposta affrettata e permette a chi si interroga di scendere nel più profondo di se stesso e aprirsi a quel cammino di risposta che Dio ha iscritto nel cuore dell’uomo.

Questo incessante flusso di domande manifesta, in fondo, l’inquietudine dell’essere umano sempre alla ricerca di verità, piccole o grandi, che diano senso e speranza all’esistenza. L’uomo non può accontentarsi di un semplice e tollerante scambio di scettiche opinioni ed esperienze di vita: tutti siamo cercatori di verità e condividiamo questo profondo anelito, tanto più nel nostro tempo in cui “quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse, la loro visione del mondo, le loro speranze, i loro ideali” (Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2011).

Sono da considerare con interesse le varie forme di siti, applicazioni e reti sociali che possono aiutare l’uomo di oggi a vivere momenti di riflessione e di autentica domanda, ma anche a trovare spazi di silenzio, occasioni di preghiera, meditazione o condivisione della Parola di Dio. Nella essenzialità di brevi messaggi, spesso non più lunghi di un versetto biblico, si possono esprimere pensieri profondi se ciascuno non trascura di coltivare la propria interiorità. Non c’è da stupirsi se, nelle diverse tradizioni religiose, la solitudine e il silenzio siano spazi privilegiati per aiutare le persone a ritrovare se stesse e quella Verità che dà senso a tutte le cose. Il Dio della rivelazione biblica parla anche senza parole: “Come mostra la croce di Cristo, Dio parla anche per mezzo del suo silenzio. Il silenzio di Dio, l’esperienza della lontananza dell’Onnipotente e Padre è tappa decisiva nel cammino terreno del Figlio di Dio, Parola incarnata. (…) Il silenzio di Dio prolunga le sue precedenti parole. In questi momenti oscuri Egli parla nel mistero del suo silenzio” (Esort. ap. postsin. Verbum Domini, 30 settembre 2010, 21). Nel silenzio della Croce parla l’eloquenza dell’amore di Dio vissuto sino al dono supremo. Dopo la morte di Cristo, la terra rimane in silenzio e nel Sabato Santo, quando “il Re dorme e il Dio fatto carne sveglia coloro che dormono da secoli” (cfr Ufficio delle Letture del Sabato Santo), risuona la voce di Dio piena di amore per l’umanità.

Se Dio parla all’uomo anche nel silenzio, pure l’uomo scopre nel silenzio la possibilità di parlare con Dio e di Dio. “Abbiamo bisogno di quel silenzio che diventa contemplazione, che ci fa entrare nel silenzio di Dio e così arrivare al punto dove nasce la Parola, la Parola redentrice” (Omelia, S. Messa con i Membri della Commissione Teologica Internazionale, 6 ottobre 2006). Nel parlare della grandezza di Dio, il nostro linguaggio risulta sempre inadeguato e si apre così lo spazio della contemplazione silenziosa. Da questa contemplazione nasce in tutta la sua forza interiore l’urgenza della missione, la necessità imperiosa di “comunicare ciò che abbiamo visto e udito”, affinché tutti siano in comunione con Dio (cfr 1 Gv 1,3). La contemplazione silenziosa ci fa immergere nella sorgente dell’Amore, che ci conduce verso il nostro prossimo, per sentire il suo dolore e offrire la luce di Cristo, il suo Messaggio di vita, il suo dono di amore totale che salva.

Nella contemplazione silenziosa emerge poi, ancora più forte, quella Parola eterna per mezzo della quale fu fatto il mondo, e si coglie quel disegno di salvezza che Dio realizza attraverso parole e gesti in tutta la storia dell’umanità. Come ricorda il Concilio Vaticano II, la Rivelazione divina si realizza con “eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto” (Dei Verbum, 2). E questo disegno di salvezza culmina nella persona di Gesù di Nazaret, mediatore e pienezza di tutta la Rivelazione. Egli ci ha fatto conoscere il vero Volto di Dio Padre e con la sua Croce e Risurrezione ci ha fatti passare dalla schiavitù del peccato e della morte alla libertà dei figli di Dio. La domanda fondamentale sul senso dell’uomo trova nel Mistero di Cristo la risposta capace di dare pace all’inquietudine del cuore umano. E’ da questo Mistero che nasce la missione della Chiesa, ed è questo Mistero che spinge i cristiani a farsi annunciatori di speranza e di salvezza, testimoni di quell’amore che promuove la dignità dell’uomo e che costruisce giustizia e pace.

Parola e silenzio. Educarsi alla comunicazione vuol dire imparare ad ascoltare, a contemplare, oltre che a parlare, e questo è particolarmente importante per gli agenti dell’evangelizzazione: silenzio e parola sono entrambi elementi essenziali e integranti dell’agire comunicativo della Chiesa, per un rinnovato annuncio di Cristo nel mondo contemporaneo. A Maria, il cui silenzio “ascolta e fa fiorire la Parola” (Preghiera per l’Agorà dei Giovani a Loreto, 1-2 settembre 2007), affido tutta l’opera di evangelizzazione che la Chiesa compie tramite i mezzi di comunicazione sociale.

 

Dal Vaticano, 24 gennaio 2012, Festa di san Francesco di Sales

 

Itri (Lt). Festa grande per padre Mario Petrillo, missionario in Brasile

DSC05285.JPGDSC05329.JPGFesta grande per padre Mario Petrillo in occasione dei suoi 50 anni di ordinazione sacerdotale, oggi, domenica 13 maggio 2012. Circondato dall’affetto dei suoi cari, dagli amici, dai confratelli e dal primo cittadino della città di Itri, padre Mario oggi ha reso grazie al Signore e alla Madonna della Civita per il suo giubileo d’oro di sacerdozio. Missionario in Brasile da una vita continua la sua attività apostolica, nonostante i suoi 76 anni, che ha compiuto oggi, con lo stesso entusiasmo di quando partire missionario per terre lontane, da dove ritorna periodicamente per salutare i parenti, sparsi anche in Canada.

Stamattina la chiesa di Santa Maria Maggiore in Itri era piena, tra cui molti parenti e conoscenti del sacerdote. Ha presieduto padre Mario ed ha concelebrato padre Antonio Rungi, religioso della comunità di Itri, che al festeggiato ha rivolto il saluto iniziale della messa e quello conclusivo della celebrazione, a personale, del Superiore-parroco, padre Luigi Donati e della comunità passionista di Itri, dove padre Mario è ospite in questi giorni di permanenza in Italia. Padre Mario nell’omelia ha ripercorso le tappe più importanti della sua vita ed in particolare quella più dolorosa della malattia, da cui è uscito guarito per grazia ricevuta dalla Madonna della Civita. La santa messa è stata animata da Ernesto e dal gruppo liturgico della parrocchia.

A conclusione della messa ha rivolto al festeggiato un breve e sentito saluto il primo cittadino della città, il Sindaco, dottor Giuseppe De Santis, che ha apprezzato l’impegno di padre Mario per far conoscere nel mondo il buon nome di Itri e la devozione alla Madonna della Civita. Una targa ricordo a nome dell’amministrazione comunale della città originaria del padre missionario passionista in terra brasiliana è stata consegnata dal Sindaco a padre Mario.

Padre Mario è stato festeggiato insieme ai parenti e amici stretti, nonché dalle autorità civile in un ristorante della zona, condividendo con i presenti un momenti di vera gioia e fraternità. Il religioso farà rientro nelle terre di missioni all”inizio del mese di giugno, dopo la breve parentesi di vacanza e festa trascorsa in Italia nel suo paese natio e tra i confratelli della comunità di Itri e i parenti e conoscenti del religioso che vivono ancora in città o che sono partiti per altri lidi, come partì padre Mario chamato da Dio ad un impegno missionario oltre i confini dell’Italia e dell’Europa nel nome di San Paolo della Croce.

Trentuno racconti moderni ed attuali per il mese di maggio

madonna.jpgTrentuno racconti moderni ed attuali per il mese di maggio

Selezionati da padre Antonio Rungi, passionista

1. Apri la finestra della speranza
Un uomo disperava dell’amore di Dio.
Un giorno, mentre errava sulle colline che attorniano la sua città, incontrò un pastore.
“Che cosa ti turba, amico?”.
“Mi sento immensamente solo”.
“Anch’io sono solo, eppure non sono triste”.
“Forse perché Dio ti fa compagnia”.
“Hai indovinato”.
“Io invece non ho la compagnia di Dio. Non riesco a credere nel suo amore. Com’è possibile che ami me?”.
“Vedi laggiù la nostra città?”, gli chiese il pastore. “Vedi le case? Vedi le finestre?”.
“Vedo tutto questo”, rispose il pellegrino.
“Allora non devi disperare. Il sole è uno solo, ma ogni finestra della città, anche la più piccola e la più nascosta, ogni giorno viene baciata dal sole. Forse tu disperi perché tieni chiusa la tua finestra”. (Anonimo indiano)

2. La storia della matita
Il bambino guardava la nonna scrivere una lettera.
Ad un certo punto, chiese: “Stai scrivendo una storia su di noi? E’ per caso una storia su di me?”.
La nonna smise di scrivere, sorrise e disse al nipote: “In effetti, sto scrivendo su di te. Tuttavia, più importante delle parole, è la matita che sto usando. Mi piacerebbe che tu fossi come lei, quando sarai grande.”
Il bimbo osservò la matita, incuriosito e non vide niente di speciale.
“Ma è identica a tutte le matite che ho visto in vita mia!”.
“Tutto dipende dal modo in cui guardi le cose. Ci sono 5 qualità in essa che, se tu riuscirai a mantenere, faranno sempre di te un uomo in pace con il mondo.
Prima qualità: tu puoi fare grandi cose, ma non devi mai dimenticare che esiste una mano che guida i tuoi passi: questa mano noi la chiamiamo Dio e Lui ti dovrà sempre indirizzare verso la Sua volontà.
Seconda qualità: di quando in quando io devo interrompere ciò che sto scrivendo ed usare il temperino. Questo fa sì che la matita soffra un poco, ma alla fine essa sarà più affilata. Pertanto, sappi sopportare un po’ di dolore, perché ciò ti renderà una persona migliore.
Terza qualità: la matita ci permette sempre d’usare una gomma per cancellare gli sbagli. Capisci che correggere qualcosa che abbiamo fatto non è necessariamente un male, ma qualcosa di fondamentale per mantenerci sulla retta via.
Quarta qualità: ciò che è davvero importante nella matita non è il legno o la forma esteriore, ma la grafite che è all’interno. Dunque fai sempre attenzione a quello che succede dentro di te.
Infine la quinta qualità della matita: lascia sempre un segno. Ugualmente, sappi che tutto ciò che farai nella vita lascerà tracce e cerca d’essere conscio d’ogni singola azione. (Paulo Coelho)

3. Le tre massime del pettirosso
Un uomo trovò un pettirosso bloccato fra gli spini e lo catturò, dicendo: “Che bellezza, me lo porto a casa e me lo faccio allo spiedo”. Al che il pettirosso gli parlò: “Che ben magro pasto faresti col mio corpicino minuto! Se invece mi lasci libero, in cambio ti dirò tre massime di grande valore”.
“Si, d’accordo, – rispose l’uomo – ma prima dimmi le massime e poi ti lascerò andare”.
“E come posso fidarmi? Facciamo cosi: io ti dico la prima massima mentre mi hai ancora in mano. Se ti va, mi lasci andare e io volo su quel ramoscello vicino, da dove ti dico la seconda massima, e dove mi puoi anche raggiungere con un salto. Poi volerò sulla cima dell’albero, e da li ti dirò la terza massima”.
Cosi fu convenuto e l’uccellino cominciò: “Non ti lamentare mai di ciò che hai perso, tanto non serve a nulla”.
“Bene, – disse l’uomo – mi piace”, e liberò il pettirosso che dal ramoscello vicino disse la seconda massima: “Non dare mai per scontato ciò che non hai potuto verificare di persona”.
Dopo di che il pettirosso spiccò il volo, e mentre raggiungeva la cima dell’albero gridò tra i gorgheggi: “Uomo sciocco e stupido! Nel mio corpo è nascosto un bracciale tutto d’oro, tempestato di diamanti e rubini. Se mi avessi aperto, a quest’ora saresti un uomo ricco”.
Al che l’uomo, disperato, si buttò a terra stracciandosi le vesti e gridando: “Povero me: in cambio di tre massime ho perduto un tesoro favoloso! Me disgraziato, perché ho dato retta al pettirosso! Perché questo insulso scambio per tre sole massime …. Ma, un momento! Ehi pettirosso: me ne hai detto solo due; dimmi almeno anche la terza!”
E il pettirosso rispose: “Uomo sciocco, tre volte sciocco: ti ho pur detto come prima massima di non lamentarti per ciò che hai perso, tanto è inutile. Ed ecco che sei per terra a lamentarti. Poi ti ho detto di non dare mai per scontato ciò che non hai potuto verificare di persona, ed ecco che tu credi a quel che ti ho detto senza averne la benché minima prova. Ti sembra forse che il mio piccolo corpo possa racchiudere un grosso bracciale? Se non sai fare uso delle prime due massime, come puoi pretendere di averne una terza?” E volò via. (Francesco Piras s.j.)

4. Il sacchetto dei chiodi
C’era una volta un ragazzo con un pessimo carattere. Suo padre gli diede un sacchetto di chiodi e gli disse di piantarne uno sul muro del giardino ogni volta che avrebbe perso la pazienza e avrebbe litigato con qualcuno.
Il primo giorno ne piantò 37 nel muro. Le settimane successive, imparò a controllarsi, ed il numero di chiodi piantati diminuì giorno dopo giorno: aveva scoperto che era più facile controllarsi che piantare chiodi.
Infine, arrivò un giorno in cui il ragazzo non piantò nessun chiodo sul muro. Allora andò da suo padre e gli disse che quel giorno non aveva piantato nessun chiodo.
Suo padre gli disse allora di togliere un chiodo dal muro per ogni giorno in cui non avesse mai perso la pazienza.
I giorni passarono e infine il giovane poté dire a suo padre che aveva levato tutti i chiodi dal muro. Il padre condusse il figlio davanti al muro e gli disse:
“Figlio mio, ti sei comportato bene, ma guarda tutti i buchi che ci sono sul muro. Non sarà mai come prima. Quando litighi con qualcuno e gli dici qualcosa di cattivo, gli lasci una ferita come questa. Puoi piantare un coltello in un uomo e poi tirarglielo via, ma gli resterà sempre una ferita. Poco importa quante volte ti scuserai, la ferita resterà. E una ferita verbale fa male tanto quanto una fisica.

5. La lezione della farfalla
Un giorno, apparve un piccolo buco in una crisalide. Un uomo, che passava di lì per caso, si fermò ad osservare la farfalla che, per varie ore, si sforzava per uscire da quel piccolo buco.
Dopo molto tempo, sembrava che essa si fosse arresa ed il buco fosse sempre della stessa dimensione. Sembrava che la farfalla ormai avesse fatto tutto quello che poteva, e che non avesse più la possibilità di fare niente altro.
Allora l’uomo decise di aiutare la farfalla: prese un temperino ed aprì il bozzolo. La farfalla uscì immediatamente. Però il suo corpo era piccolo e rattrappito e le sue ali erano poco sviluppate e si muovevano a stento.
L’uomo continuò ad osservare, perché sperava che, da un momento all’altro, le ali della farfalla si aprissero e fossero capaci di sostenere il corpo, e che essa cominciasse a volare.
Non successe nulla! E la farfalla passò il resto della sua esistenza trascinandosi per terra con un corpo rattrappito e con le ali poco sviluppate. Non fu mai capace di volare.
Ciò che quell’uomo, con il suo gesto di gentilezza e con l’intenzione di aiutare non capiva, era che passare per lo stretto buco del bozzolo era lo sforzo necessario affinché la farfalla potesse trasmettere il fluido del suo corpo alle sue ali, così che essa potesse volare. Era il modo in cui Dio la faceva crescere e sviluppare.
A volte, lo sforzo è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno nella nostra vita.
« Chiesi la forza… e Dio mi ha dato le difficoltà per farmi forte. Chiesi la Sapienza… e Dio mi ha dato problemi da risolvere. Chiesi l’amore… e Dio mi ha dato persone con problemi da poter aiutare. Non ho ricevuto niente di quello che chiesi… Però ho ricevuto tutto quello di cui avevo bisogno. »
Vivi la vita senza paura, affronta tutti gli ostacoli e dimostra che puoi superarli.

6. Solo se si ha sete
Un discepolo andò dal suo maestro e gli disse: “Maestro, voglio trovare Dio”.
E il maestro sorrise. E siccome faceva molto caldo, invitò il giovane ad accompagnarlo a fare un bagno nel fiume.
Il giovane si tuffò e il maestro fece altrettanto. Poi lo raggiunse e lo agguantò, tenendolo a viva forza sott’acqua. Il giovane si dibatte alcuni istanti, finche il maestro lo lasciò tornare a galla.
Quindi, gli chiese che cosa avesse desiderato di più mentre si trovava sott’acqua.
Il discepolo rispose: “L’aria, evidentemente”.
“Desideri Dio allo stesso modo e la sua parola allo stesso modo?” gli chiese il maestro.
“Se lo desideri così, non mancherai di trovare lui e la sua parola. Ma se non hai in te questa sete ardentissima, a nulla ti gioveranno i tuoi sforzi e i tuoi libri. Non potrai trovare la fede, se tu non la desideri come l’aria per respirare”.
Quando affiora il problema di Dio, vorremmo una risposta immediata, possibilmente che non ci chieda fatica e sforzo. In questo caso non ci sarà risposta.
Per arrivare a una soluzione, essa esige umiltà, perseveranza nella ricerca, il superamento degli ostacoli che impediscono di vederne i pericoli, e di operare rettamente, decisione senza compromessi e mezze misure. (Francesco Piras s.j.).

7. Come il caffè
Una figlia si lamentava con suo padre circa la sua vita e di come le cose le risultavano tanto difficili.
Non sapeva come fare per proseguire e credeva di darsi per vinta. Era stanca di lottare.
Sembrava che quando risolveva un problema, ne apparisse un altro. Suo padre, uno chef di cucina, la portò al suo posto di lavoro.
Lì riempì tre pentole con acqua e le pose sul fuoco.
Quando l’acqua delle tre pentole stava bollendo, in una collocò carote, in un’altra collocò uova e nell’ultima collocò grani di caffè.
Lasciò bollire l’acqua senza dire parola.
La figlia aspettò impazientemente, domandandosi cosa stesse facendo il padre.
Dopo venti minuti il padre spense il fuoco.
Tirò fuori le carote e le collocò in una scodella.
Tirò fuori le uova e le collocò in un altro piatto.
Finalmente, colò il caffè e lo mise in un terzo recipiente.
Guardando sua figlia le disse:
“Cara figlia mia, carote, uova o caffè?” fu la sua domanda.
La fece avvicinare e le chiese che toccasse le carote, ella lo fece e notò che erano soffici, dopo le chiese di prendere un uovo e di romperlo, mentre lo tirava fuori dal guscio, osservò l’uovo sodo.
Dopo le chiese che provasse il caffè, ella sorrise mentre godeva del suo ricco aroma.
Umilmente la figlia domandò: “Cosa significa questo, padre?”
Egli le spiegò che i tre elementi avevano affrontato la stessa avversità, “l’acqua bollente”, ma avevano reagito in maniera differente.
La carota arrivò all’acqua forte, dura, superba; ma dopo avere passato per l’acqua, bollendo era diventata debole, facile da disfare.
L’uovo era arrivato all’acqua fragile, il suo guscio fine proteggeva il suo interno molle, ma dopo essere stato in acqua, bollendo, il suo interno si era indurito.
Invece, i grani di caffè, erano unici: dopo essere stati in acqua, bollendo, avevano cambiato l’acqua.
“Quale sei tu figlia?” le disse.
“Quando l’avversità suona alla tua porta; come rispondi?”
“Sei una carota che sembra forte ma quando l’avversità ed il dolore ti toccano, diventi debole e perdi la tua forza?”
“Sei un uovo che comincia con un cuore malleabile e buono di spirito, ma che dopo una morte, una separazione, un licenziamento, una pietra durante il tragitto diventa duro e rigido?
Esternamente ti vedi uguale, ma sei amareggiata ed aspra, con uno spirito ed un cuore indurito?
“O sei come un grano di caffè? Il caffè cambia l’acqua, l’elemento che gli causa dolore.
Quando l’acqua arriva al punto di ebollizione il caffè raggiunge il suo migliore sapore.”
“Se sei come il grano di caffè, quando le cose si mettono peggio, tu reagisci in forma positiva, senza lasciarti vincere, e fai si che le cose che ti succedono migliorino, che esista sempre una luce che illumina la tua strada davanti all’avversità e quella della gente che ti circonda.”
Per questo motivo non mancare mai di diffondere con la tua forza e positività il “dolce aroma della bontà e della speranza nel domani” (Anonimo)

8. Paradiso e inferno
Dopo una lunga e coraggiosa vita, un valoroso samurai giunse nell’aldilà e fu destinato al paradiso.
Era un tipo pieno di curiosità e chiese di poter dare prima un’occhiata anche all’inferno.
Un angelo lo accontentò.
Si trovò in un vastissimo salone che aveva al centro una tavola imbandita con piatti colmi di pietanze succulente e di golosità inimmaginabili. Ma i commensali, che sedevano tutt’intorno, erano smunti, pallidi, lividi e scheletriti da far pietà.
“Com’è possibile?” chiese il samurai alla sua guida.
“Con tutto quel ben di Dio davanti!”
“Ci sono posate per mangiare, solo che sono lunghe più di un metro e devono essere rigorosamente impugnate all’estremità. Solo così possono portarsi il cibo alla bocca”
Il coraggioso samurai rabbrividì.
Era terribile la punizione di quei poveretti che, per quanti sforzi facessero, non riuscivano a mettersi neppure una briciola sotto ai denti.
Non volle vedere altro e chiese di andare subito in paradiso.
Qui lo attendeva una sorpresa.
Il paradiso era un salone assolutamente identico all’inferno!
Dentro l’immenso salone c’era un’infinita tavolata di gente seduta davanti ad un’identica sfilata di piatti deliziosi.
Non solo: tutti i commensali erano muniti degli stessi bastoncini lunghi più di un metro, da impugnare all’estremità per portarsi il cibo alla bocca.
C’era una sola differenza: qui la gente intorno al tavolo era allegra, ben pasciuta, sprizzante di gioia.
“Ma com’è possibile?”, chiese stupito il coraggioso samurai.
L’angelo sorrise:
“All’inferno ognuno si affanna ad afferrare il cibo e portarlo alla propria bocca, perché così si sono sempre comportati nella loro vita. Qui al contrario, ciascuno prende il cibo con i bastoncini e poi si preoccupa di imboccare il proprio vicino”. Paradiso e inferno sono nelle tue mani. Oggi (Fiaba cinese)

9. L’amicizia
Un uomo, il suo cavallo ed il suo cane camminavano lungo una strada.
Mentre passavano vicino ad un albero gigantesco, un fulmine li colpì, uccidendoli all’istante.
Ma il viandante non si accorse di aver lasciato questo mondo e continuò a camminare, accompagnato dai suoi animali. A volte, i morti impiegano qualche tempo per rendersi conto della loro nuova condizione…
Il cammino era molto lungo; dovevano salire una collina, il sole picchiava forte ed erano sudati e assetati. A una curva della strada, videro un portone magnifico, di marmo, che conduceva a una piazza pavimentata con blocchi d’oro, al centro della quale s’innalzava una fontana da cui sgorgava dell’acqua cristallina.
Il viandante si rivolse all’uomo che sorvegliava l’entrata.
“Buongiorno”
“Buongiorno” rispose il guardiano.
“Che luogo è mai questo, tanto bello?”
“E’ il cielo”
“Che bello essere arrivati in cielo, abbiamo tanta sete!”
“Puoi entrare e bere a volontà”.
Il guardiano indicò la fontana.
“Anche il mio cavallo ed il mio cane hanno sete”
“Mi dispiace molto”, disse il guardiano, “ma qui non è permesso l’entrata agli animali”.
L’uomo fu molto deluso: la sua sete era grande, ma non avrebbe mai bevuto da solo.
Ringraziò il guardiano e proseguì.
Dopo avere camminato a lungo su per la collina, il viandante e gli animali giunsero in un luogo il cui ingresso era costituito da una vecchia porta, che si apriva su un sentiero di terra battuta, fiancheggiato da alberi.
All’ombra di uno di essi era sdraiato un uomo che portava un cappello; probabilmente era addormentato.
“Buongiorno” disse il viandante.
L’uomo fece un cenno con il capo.
“Io, il mio cavallo ed il mio cane abbiamo molta sete”.
“C’è una fonte fra quei massi”, disse l’uomo, indicando il luogo, e aggiunse: “Potete bere a volontà”. L’uomo, il cavallo ed il cane si avvicinarono alla fonte e si dissetarono.
Il viandante andò a ringraziare.
“Tornate quando volete”, rispose l’uomo.
“A proposito, come si chiama questo posto?”
“Cielo”
“Cielo? Ma il guardiano del portone di marmo ha detto che il cielo era quello là!”
“Quello non è il cielo, è l’inferno”.
Il viandante rimase perplesso.
“Dovreste proibire loro di utilizzare il vostro nome! Di certo, questa falsa informazione causa grandi confusioni!”
“Assolutamente no. In realtà, ci fanno un grande favore. Perché là si fermano tutti quelli che non esitano ad abbandonare i loro migliori amici….” (Paulo Coelho).

10. Una singolare  espressione di perdono
Si racconta che san Francesco era in punto di morte e tutti i suoi discepoli si erano radunati intorno a lui per ascoltare le ultime parole del santo che per tutta la vita aveva viaggiato a dorso d’asino, da un paese all’altro, per condividere le sue esperienze con la gente. Le ultime parole, quelle che un uomo dice in punto di morte, sono sempre le più significative, perché contengono l’intera esperienza di una vita. Ma i discepoli non riuscirono a credere alle proprie orecchie: san Francesco non stava parlando con loro ma con il suo asino!
Il santo disse: “Fratello asino, sento di aver un gran debito con te. Mi hai sempre trasportato da un paese all’altro, senza mai lamentarti, senza mai protestare. Desidero solo che tu mi perdoni, prima che io lasci questo mondo, perché mi sono comportato in modo disumano con te”.
Queste furono le ultime parole di san Francesco. Occorre una sensibilità enorme per poter chiamare il proprio asino: “Fratello asino”, chiedendo il suo perdono. Noi oltre a non chiedere perdono alle persone che offendiamo, non chiediamo neppure perdono a Dio che ci ha creati e redenti.

11. I primi e gli ultimi
Un re si recò un giorno a far visita ad un Maestro e assistette, in qualità di osservatore, alla riunione presieduta dal Saggio.
Più tardi, durante il pranzo, il re disse al Maestro:
“Maestro dell’Epoca! Quando presiedi l’assemblea, i tuoi discepoli sono seduti in semicerchio secondo una disposizione che somiglia molto a quella che di solito si adotta alla mia corte: ha per caso un significato?”.
Egli rispose:
“Re del Mondo! Come sono disposti i tuoi cortigiani? Dimmelo, e ti descriverò come sono disposte le file dei cercatori”.
“Il primo cerchio”, spiegò il re, “si compone di quelli che, per ragioni particolari, godono dei miei favori, in modo da essere i più vicini. Il secondo cerchio è riservato ai dignitari più importanti e potenti del regno, come pure agli ambasciatori. Quanto al cerchio esterno, esso è composto da gente di minore importanza”.
“In questo caso”, disse il Saggio, “l’ordine nel quale le persone sono qui disposte è ben lungi dal rispondere alle preoccupazioni che hai espresso. Coloro che sono seduti vicino a me sono i sordi; così possono sentire. Il gruppo intermedio è costituito dagli ignoranti; così possono prestare attenzione all’insegnamento. Quelli più lontani sono gli Illuminati; questa forma di vicinanza per loro non ha alcuna importanza”.

12. Sii te stesso
C’era una volta una coppia con un figlio di 12 anni e un asino. Decisero di viaggiare, di lavorare e di conoscere il mondo. Così partirono tutti e tre con il loro asino.
Arrivati nel primo paese, la gente commentava: “Guardate quel ragazzo quanto è maleducato…lui sull’asino e i poveri genitori, già anziani, che lo tirano”. Allora la moglie disse a suo marito: “Non permettiamo che la gente parli male di nostro figlio.” Il marito lo fece scendere e salì sull’asino.
Arrivati al secondo paese, la gente mormorava: “Guardate che svergognato quel tipo…lascia che il ragazzo e la povera moglie tirino l’asino, mentre lui vi sta comodamente in groppa.” Allora, presero la decisione di far salire la moglie, mentre padre e figlio tenevano le redini per tirare l’asino.
Arrivati al terzo paese, la gente commentava: “Pover’uomo! dopo aver lavorato tutto il giorno, lascia che la moglie salga sull’asino. E povero figlio, chissà cosa gli tocca, con una madre del genere! “Allora si misero d’accordo e decisero di sedersi tutt’e tre sull’asino per cominciare nuovamente il pellegrinaggio.
Arrivati al paese successivo, ascoltarono cosa diceva la gente del paese: “Sono delle bestie, più bestie dell’asino che li porta. Gli spaccheranno la schiena!”
Alla fine, decisero di scendere tutti e camminare insieme all’asino. Ma, passando per il paese seguente, non potevano credere a ciò che le voci dicevano ridendo: “Guarda quei tre idioti; camminano, anche se hanno un asino che potrebbe portarli!”
Conclusione: ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa andare bene come sei.
Quindi: vivi come credi. Fai cosa ti dice il cuore… ciò che vuoi… una vita è un’opera di teatro che non ha prove iniziali. Canta, ridi, balla, ama… e vivi intensamente ogni momento della tua vita… prima che cali il sipario e l’opera finisca senza applausi (Charlie Chaplin)

13. Ho pranzato con Dio
Un bambino desiderava incontrare Dio. Sapeva che c’era tanta strada da fare, per incontrarlo, così riempì lo zainetto con merendine e aranciata e cominciò il suo viaggio.
Dopo circa tre isolati, s’imbatté in una vecchia, che se ne stava lì al parco, seduta su una panchina a fissare i piccioni. Il bambino le si sedette accanto ed aprì lo zainetto per prendersi qualcosa da bere, quando notò che la vecchia sembrava affamata, così le offrì una merendina.
Lei l’accettò e gli sorrise con gratitudine. Il suo sorriso era così bello che il bambino lo voleva vedere ancora, così le offrì un’aranciata. La vecchia gli sorrise di nuovo, e il bambino ne era entusiasta!
Se ne restarono lì seduti per tutto il pomeriggio, a mangiare e sorridere, ma senza mai scambiarsi una sola parola. Poi si fece buio, e il bambino si rese conto di essere molto stanco, così si alzò per andarsene ma, dopo appena pochi passi, si voltò, corse verso la vecchia, e l’abbraccio forte-forte.
Lei lo ricambiò con il più grande sorriso che si sia mai visto.
Poco dopo, quando il bambino aprì la porta di casa sua, sua madre era stupita, tanta era la gioia che gli si poteva leggere in volto. Gli domandò: “Cos’hai fatto, oggi, che t’ha reso così felice?” Il bambino rispose: “Ho pranzato con Dio.” Poi, prima ancora che sua madre potesse rispondere, aggiunse: “Sai una cosa? Dio ha il più bel sorriso che abbia mai visto!”
Nel frattempo, la vecchia, pure lei raggiante di gioia, fece ritorno a casa sua. Suo figlio era sbalordito, nel vederla così in pace, e le domandò: “Mamma, cosa hai fatto oggi che ti ha resa così felice?” e lei rispose: “Ho mangiato merendine al parco con Dio.”. Poi, senza lasciare al figlio il tempo di rispondere, aggiunse: “Sai una cosa? Dio è molto più giovane di quel che mi aspettassi.”
Troppo spesso sottovalutiamo l’importanza di un tocco, di un sorriso, di una parola gentile, di un orecchio che ci presta ascolto; l’importanza anche del più piccolo gesto che dimostra affetto; tutte cose, queste, che potrebbero cambiarci la vita.
Le persone arrivano nella nostra vita per una ragione, per una stagione, o per tutta la vita. Abbracciamole tutte!
Ricorda: faglielo sempre sapere, alle persone che ti hanno toccato il Cuore, quanto sono importanti! (Anonimo).

14. Amore, ricchezza e successo
Rientrando a casa, una donna vide tre uomini dalle lunghe barbe bianche seduti nel cortile. Disse loro: “Non ci conosciamo, ma avete l’aria affamata: entrate, che vi offro qualcosa da mangiare.”
“Tuo marito è in casa?”, le domandarono.
“No. È uscito.”
“Allora non possiamo entrare.”
Quella sera, rincasato suo marito, la donna gli spiegò cos’era successo. Lui le rispose:
“Beh, adesso sono qua: va’ da loro, digli che son tornato, e falli entrare.”
“Non entriamo tutti nella stessa casa”, rispose l’uomo a sinistra.
“Perché?”, domandò la donna.
L’uomo in mezzo, indicando i suoi due compagni, spiegò: “Il suo nome è Ricchezza, e il suo è Successo. Io sono Amore.”, poi aggiunse: “Adesso rientra in casa, e decidi con tuo marito chi di noi desideri in casa tua.”
La donna entrò e ripeté a suo marito ciò che le era stato detto. Lui era entusiasta: “Che bello! Be’, visto che le cose stanno così, invitiamo Ricchezza, e che riempia la nostra casa di ricchezza!”
Sua moglie non era d’accordo: “Ma, caro, perché non invitiamo Successo?”
La loro bambina, che aveva ascoltato tutto da un’altra stanza, li raggiunse proponendo invece di invitare Amore: “Così la nostra casa sarà piena d’amore.”
I genitori si sorrisero, e decisero di darle ascolto. Così la donna uscì, e domandò: “Chi di voi è Amore? Vieni, entra, e sii nostro ospite.”
Amore si alzò e cominciò a camminare verso la casa. A quel punto anche gli altri due si alzarono, e lo seguirono.
Esterrefatta, la donna domandò loro: “Io ho invitato Amore: come mai venite anche voi?”
I due vecchi risposero all’unisono: “Se tu avessi invitato Ricchezza o Successo, gli altri due sarebbero rimasti fuori. Ma visto che hai invitato Amore, ovunque lui vada noi lo seguiamo: dove c’è Amore, c’è sempre sia Ricchezza che Successo.” (Anonimo).

15. La consapevolezza
C’era una volta un povero frate. Tutto il santo giorno lavorava e pregava come i suoi confratelli e si sentiva l’animo in pace. Ma quando veniva l’ora di coricarsi, lo assalivano terribili visioni, demoni lussuriosi che lo tentavano con promesse e minacce.
Il povero frate cercava di allontanare le visioni, si flagellava, pregava, si prostrava davanti al crocefisso, ma a nulla valevano le sue pratiche: le visioni continuavano a tormentarlo. Si rivolse al priore che gli consigliò di recitare 20 Ave Maria e chiedere protezione alla Madonna. Così fece, ma le visioni restavano. Allora andò dalla Madonna, c’era una bella statua nella chiesa del convento. La Madonna, sorridente ma triste, gli consigliò di recitare 200 Pater noster e chiedere la protezione del Signore.Di nuovo, il povero fraticello seguì il santo consiglio, ma  le visioni restarono a tentarlo. Disperato, il fraticello corse ad inginocchiarsi davanti al crocefisso, e rimirando le sacre ferite, si appellò al Cristo per avere protezione dalle tentazioni. Cristo lo rimirò a lungo e alla fine parlò: “Se proprio ci tieni, io posso allontanare le malefiche visioni e le tentazioni, ma se lo faccio la tua anima non si rafforzerà mai. Sei proprio sicuro di volerlo?
Allora dimmi, replicò il frate, come posso resistere e rafforzare la mia anima? Non combatterle, non temerle, lascia che si pascino del tuo corpo senza muoverti o parlare. Se riuscirai a resistere per tre notti di seguito, la tua anima sarà salva e le visioni spariranno. Così fece il povero frate, e dopo tre notti tremende di tormenti le visioni scomparvero e la sua anima trovò pace.

16. Soluzioni possibili
Un uomo si sentiva perennemente oppresso dalle difficoltà della vita e se ne lamentò con un famoso maestro di spirito.
“Non ce la faccio più! Questa vita mi è insopportabile”.
Il maestro prese una manciata di cenere e la lasciò cadere in un bicchiere pieno di limpida acqua da bere che aveva sul tavolo, dicendo: “Queste sono le tue sofferenze”.
Tutta l’acqua del bicchiere si intorbidì e s’insudiciò. Il maestro la buttò via.
Il maestro prese un’altra manciata di cenere, identica alla precedente, la fece vedere all’uomo, poi si affacciò alla finestra e la buttò nel mare.
La cenere si disperse in un attimo e il mare rimase esattamente come prima.
“Vedi?” spiegò il maestro “ogni giorno devi decidere se essere un bicchiere d’acqua o il mare”.
Troppi cuori piccoli, troppi animi esitanti, troppe menti ristrette e braccia rattrappite. Una delle mancanze più serie del nostro tempo è il coraggio. Non la stupida spavalderia, la temerarietà incosciente, ma il vero coraggio che di fronte ad ogni problema fa dire tranquillamente: “Da qualche parte certamente c’è una soluzione e io la troverò”.

17. Una vecchia storiella
«Nella vecchia Russia, in uno scompartimento di treno, si trovarono casualmente a viaggiare insieme un vecchio ebreo e un soldato russo. Il viaggio era lungo e dopo qualche centinaio di chilometri il vecchio trasse fuori un cartoccio che aveva con sé con dentro tre pesci e consumò il suo magro pranzo. Ma non buttò via le teste. Anzi, le riavvolse con cura e le ripose nella valigia. Il soldato lo guardava con un misto di disprezzo e curiosità.
Dopo una decina di minuti il soldato chiese: “Dimmi un po’ vecchio, come mai voi giudei siete così intelligenti?”. Gli occhi del vecchio brillarono, ma si schermì. Dopo qualche minuto di silenzio però rispose: “Beh, una ragione c’è, ma non potrei dirtela, visto che si tratta di un segreto che custodiamo gelosamente. Ma tu sei un giovane simpatico. Perciò te lo dico. Noi ebrei siamo intelligenti perché mangiamo le teste di pesce”.
Il soldato lo guardò tra l’incredulo e lo speranzoso, ma non disse nulla. Dopo un altro silenzio, inframmezzato dallo sferragliare del treno, il soldato disse:
“Ehi, vecchio, ho visto che hai messo via tre teste di pesce: non me le venderesti?”. L’ebreo si fece pregare un pò, ma infine la transazione fu fatta. E il soldato entrò in possesso delle teste di pesce per tre rubli.
Dopodiché, vincendo il disgusto, se le mangiò una dietro l’altra. Poi s’attaccò a una bottiglia di vodka per digerirle e purificare la bocca dal saporaccio. Dopo qualche istante, ancora deglutendo disgustato, il soldato si rivolse al vecchio: “Maledetto giudeo, ti ho pagato tre rubli tre teste di pesce quando tutti e tre i pesci interi costeranno sì e no trenta copechi”. “Vedi che funziona?” rispose il vecchio».

18. Era tutto risolto
Il prete del villaggio era un santo, tanto che tutte le volte che aveva bisogno di aiuto, la gente si rivolgeva a lui. Allora egli si ritirava in un angolo segreto della foresta e formulava una preghiera speciale. Dio non mancava mai di esaudire la sua supplica e tutto era risolto.
Dopo la sua morte, la gente, quando aveva bisogno di aiuto, ricorreva al suo successore, il quale non era un santo, ma conosceva sia l’angolo segreto della foresta, sia la preghiera speciale. Egli diceva cosi’: “Signore, tu sai che non sono un santo, ma questo non ti impedirà di aiutare la mia gente, vero? Ascolta la mia supplica e vieni in nostro aiuto”. E ogni volta Dio esaudiva la sua preghiera e tutto era risolto.
Quando anch’egli morì, se la gente aveva bisogno di aiuto si rivolgeva al suo successore, il quale conosceva la preghiera speciale, ma non l’angolo segreto della foresta. Queste erano le sue parole:  “Che importanza ha per te un luogo piuttosto che un altro, Signore? Non è forse la tua presenza che rende santo ogni luogo? Ascolta dunque la mia supplica e vieni in nostro aiuto”. E ogni volta Dio esaudiva la sua preghiera e tutto era risolto.
Anche costui morì e la gente, quando aveva bisogno di aiuto, ricorreva al suo successore, il quale non conosceva, ne’ la preghiera speciale, ne’ l’angolo segreto della foresta e diceva:  “Non è la formula che conta, Signore, ma il grido di dolore di chi soffre. Ascolta quindi la mia supplica e vieni in nostro aiuto”. E anche allora Dio esaudiva la preghiera e tutto era risolto.
Dopo la sua morte la gente, quando aveva bisogno di aiuto, ricorreva al suo successore. Questo prete aveva piu’ dimestichezza con il denaro che con la preghiera e quindi diceva a Dio: “Che razza di Dio sei tu se, pur essendo perfettamente capace di risolvere i problemi che tu stesso hai provocato, ti ostini a non alzare un dito finche’ non ci vedi piangere e strepitare? Ebbene, comportati con la gente come ti pare”. E subito tornava alle sue faccende. Anche in quel caso Dio esaudiva la sua preghiera e tutto era risolto. (Anthony De Mello).

19. Il villaggio della felicità
Tre individui partono per raggiungere il villaggio della felicità.
A metà cammino trovano la strada sbarrata da un altissimo muro di granito: impossibile aggirarlo, da entrambe le parti c’è il precipizio.
Il primo individuo si abbatte scoraggiato, piange lacrime disperate e si arrende, in un mare di lamenti, all’ingiustizia del suo destino.
Il secondo individuo accetta la situazione affrontandola. Si rende conto di non poter scavalcare il muro, inutile lamentarsi. Pianta invece delle bougainville e osserva la loro crescita. Gioisce nel vederle spuntare, germogliare; il muro diventa il loro sostegno e lentamente esse lo ricoprono. Materialmente il muro esiste ancora, ma non ha più presa negativa sulla psiche del secondo individuo, il quale, malgrado l’ostacolo, raggiunge la felicità nel più profondo di se stesso.
Il terzo, tipo sportivo ed intraprendente, tesse una corda di liana, si costruisce un gancio e con un lancio da pescatore l’aggancia alla cima del muro, si tira su e ridiscende dall’altra parte.
In ciascuno dei tre viandanti il muro ha provocato una reazione diversa, il muro non era né buono né cattivo, era semplicemente un muro – una sfida – e ciascuno dei tre ha reagito secondo la propria indole, positivamente o negativamente. Oggetti, circostanze e fatti hanno l’importanza che noi gli diamo. L’ostacolo è una creazione mentale e, cosi come l’abbiamo creato, lo possiamo distruggere.
Ci sono due metodi: quello di volerlo distruggere fisicamente, annientarlo, e quello di volerlo vincere mentalmente, interiormente.
Nel primo caso, appena vittoriosi, ci troviamo già dinnanzi al prossimo ostacolo.
Nel secondo caso, avendo vinto la nostra battaglia interiore, non ci saranno altri ostacoli, solo sfide, dure e difficili forse, ma meravigliose e inebrianti, come lo è l’ardua scalata di una parete rocciosa.

20. La scatola dei baci natalizi
La storia ha inizio tempo fa, quando un uomo punisce sua figlia di 5 anni… per la perdita di un oggetto di valore, ed il denaro in quel periodo era poco.
Era il periodo di Natale, la mattina successiva alla punizione la bambina portò un regalo al padre dicendogli: “Papà, è per te”.
Il padre era visibilmente imbarazzato, ma la sua arrabbiatura aumentò quando, aprendo la scatola, vide che dentro non c’era nulla.
Disse in modo brusco: “Non lo sai che quando si fa un regalo, si presuppone che nella scatola ci sia qualcosa?”.
La bimba lo guardò dal basso verso l’alto e con le lacrime agli occhi disse: “Papà,…non è vuoto. Ho messo dentro tanti baci fino a riempirlo”.
Il padre si sentì annientato. Si inginocchiò mise le braccia al collo della sua bimba e le chiese perdono.
Passò del tempo e una disgrazia portò via la bambina. Per tutto il resto della sua vita, il padre tenne sempre la scatola vicino al suo letto e, quando si sentiva scoraggiato o in difficoltà, apriva la scatola e tirava fuori 1 bacio immaginario ricordando l’amore che la bambina ci aveva messo dentro.

21. Le apparenze ingannano
Due angeli viaggiatori si fermarono per passare la notte nella casa di una ricca famiglia…
Era una famiglia di persone molto avare che si rifiutarono di far dormire i due angeli nella camera degli ospiti.
Infatti concessero agli angeli solo un piccolo spazio fuori, sul duro e freddo pavimento del pergolato davanti alla casa.
Mentre si preparavano come potevano un giaciglio per terra, il più vecchio degli angeli vide un buco nel muro e lo riparo’.
Quando l’angelo giovane gli chiese perché lui rispose soltanto: “Le cose non sono sempre quello che sembrano” .
La notte dopo…
La coppia di angeli cercò riparo nella casa di una poverissima, ma molto ospitale, famiglia, dove furono accolti da un contadino e sua moglie.
Dopo aver condiviso con gli angeli il poco cibo che avevano, i contadini cedettero loro anche i propri letti, dove finalmente i viaggiatori ebbero la possibilità di riposare comodamente. Al sorgere del sole, la mattina dopo, gli angeli trovarono l’uomo e sua moglie in lacrime. La loro unica mucca, la sola loro fonte di sostentamento, giaceva morta nel campo. Il giovane angelo ne fu infuriato e chiese al più vecchio come avesse potuto lasciare accadere una cosa del genere: “Al primo uomo, che pure aveva tutto, hai fatto un favore”, lo accusò, “Questa famiglia così indigente ha condiviso con noi il poco che aveva, e tu hai lasciato che la mucca morisse!”…
“Le cose non sono sempre quello che sembrano” replicò l’angelo: “Quando eravamo nel cortile della villa ho notato dell’oro nascosto nel muro, che si poteva scoprire a causa di quel piccolo buco. Siccome quell’uomo era così avaro e ossessionato dal denaro io ho riparato quel buco, così non troveranno mai quella ricchezza.”
“Poi la notte scorsa quando dormimmo nel letto del contadino, l’angelo della morte si presentò per sua moglie. Io, invece di lei, gli ho dato la mucca.
Le cose non sono sempre quello che sembrano.”

22. La ricerca
A Bagdad c’era un uomo molto povero. Viveva di stenti, nella miseria più nera, e non faceva che lamentarsi della sua condizione.
«Signore, aiutami! Dimmi cosa fare! Sai che sono un tuo servo fedele, soltanto un po’ sfortunato. Ho lavorato sodo, ma non sono mai riuscito a guadagnare abbastanza. E ora sto morendo di fame. Ti prego, non mi abbandonare!»
La stessa notte, l’uomo fece un sogno. Una voce sconosciuta gli diceva: «Va’ in Egitto, non perdere tempo. Nel luogo tal dei tali c’è un tesoro nascosto. Potrai risolvere tutti i tuoi problemi».
Il poveruomo si svegliò, eccitato. Senza esitare, partì subito per l’Egitto.
«Sono certo che la voce non mente. Il tesoro esiste, e lo prenderò».
Ma, al confine, fu fermato dai poliziotti egiziani, che lo perquisirono minuziosamente. Stavano cercando un ladro e pensavano si trattasse dell’uomo di Bagdad.
Nonostante le sue ripetute rimostranze, i poliziotti lo trattennero.
«Potresti essere la persona che cerchiamo. Dovrai restare a disposizione finché non arriverà il derubato. Se non ti denuncerà come suo assalitore, sarai immediatamente rilasciato».
L’uomo di Bagdad fremeva, temendo di perdere il tesoro.
Poiché la vittima tardava ad arrivare, le guardie cominciarono a interrogarlo.
«Ammettiamo pure che non sei il ladro. Perché sei venuto in Egitto? E qual è il tuo alibi, se ne hai uno?».
«Voglio dirvi tutto» rispose l’uomo di Bagdad «tanto so che non mi crederete. D’altra parte, perché mentire? La verità è sempre la cosa migliore. Sono qui perché ho sognato che avrei trovato un tesoro!».
«Sì, un tesoro! Sei capitato in un bel guaio, invece. Ma che vuoi dire? Sei venuto in Egitto solo perché vi hai sognato un tesoro?».
«Proprio così. Mi sono fidato di una voce sconosciuta che me lo ha sussurrato in sogno. Che ne pensate?».
«Che sei un credulone! Fidarsi dei sogni!».
Un altro poliziotto si fece avanti, e disse: «Anch’io ho avuto un’esperienza simile. In sogno mi è apparsa una figura che non avevo mai visto, indicandomi un certo luogo di Bagdad dove avrei trovato dei gioielli, o qualcosa del genere».
L’uomo di Bagdad s’interessò molto al racconto.
«E… che tipo di posto era?»
«Non ricordo bene, forse all’ingresso della città. Sì, proprio così: la seconda casa dopo la porta maestra. Una molto vecchia, mi sembra».
L’uomo di Bagdad era stupefatto. Quell’uomo stava indicando la sua casa! Senza tradire l’emozione, rimase in silenzio. Le guardie non sapevano che fosse di Bagdad e mancarono di notarne la reazione.
«Naturalmente, non mi sono preoccupato di cercare il tesoro. Non ho creduto a una sola parola. Nei sogni, dovresti saperlo, non c’è verità» concluse il poliziotto.
L’uomo di Bagdad era assorto nei suoi pensieri. Strano che la guardia avesse accennato alla sua abitazione: non poteva essere una coincidenza.
Finalmente il derubato arrivò. E si affrettò a discolpare l’uomo ingiustamente accusato.
«Tutte le nostre scuse, amico. Ma, come puoi capire, abbiamo fatto il nostro dovere» disse il capoguardia.
L’uomo di Bagdad non lo ascoltava. Lasciò il posto di blocco, e fece per avventurarsi in Egitto. Ma, dopo pochi passi, si fermò. “Si,” pensò “è inutile cercare il tesoro di un sogno”.
Tornò a Bagdad, e, mentre rincasava, fu colto da uno strano presentimento. Sentì che doveva rimuovere un certo mattone dal muro e…
Uno scrigno di monete d’oro gli cadde sulle ginocchia.
Era andato in Egitto a cercare ciò che aveva in casa!

23. L’arroganza
Un uomo andò a visitare un asceta, e gli disse: “Voglio discutere con te del mio problema”. “E io non voglio discuterne”, rispose l’asceta.
“Come puoi essere così categorico, dato che non lo conosci?”, disse il visitatore, contrariato.
L’asceta sorrise. “A che pro sottopormi un problema, se non lo conosco e non ho una percezione maggiore degli altri?”.
Ora il visitatore era al tempo stesso sconcertato e desideroso di saperne di più.
“Allora, dimmi qual è il mio problema, e questo mi convincerà”.
“Oh, essere umano!”, disse l’asceta. “Sei quasi completamente fuori strada. Se ti dimostrassi di sapere ciò che ti preoccupa, svierei la tua attenzione verso il ‘miracoloso’, e invece del Servizio – che è il mio vero compito – farei una messinscena”.  “Allora dammi soltanto la soluzione del mio problema, così risponderai alle esigenze del Servizio”.
“Questo l’ho già fatto”, disse l’asceta.
“Non ci capisco più nulla.”, esclamò il visitatore. “Non mi risulta che tu mi abbia fornito la benché minima soluzione”.
“E allora va’ a cercare la risposta altrove!”.
Per mesi quest’uomo viaggiò per il paese intrattenendosi con molte persone, alle quali non mancava mai di raccontare il suo incontro con l’asceta.
Un giorno cominciò a intravedere che il suo problema era stato l’egocentrismo, e che l’asceta glielo aveva indicato.
Il suo vero problema era questo, e non quello che aveva immaginato.
Qualche tempo dopo, in una città lontana dal luogo del loro incontro, si ritrovò a faccia a faccia con l’asceta.
“Ora”, gli disse, “ho preso coscienza della saggezza delle tue parole, e vorrei ricompensarti per il servizio che mi hai reso”.
“Lo hai già fatto.”, disse l’asceta. “Parlando a tutti della nostra conversazione hai contribuito, senza volerlo, alla trasmissione dell’insegnamento: non eri forse l’esempio vivente dell’ignoranza e della perplessità?
“Sì, eri come un uomo che cammina con una freccia conficcata nel cranio che tutti possono vedere eccetto lui, e che è l’unico ad attribuire il suo mal di testa allo sforzo che ha fatto per pensare profondamente.
“Ecco come hai servito. Tu credevi, e sembravi voler servire te stesso, ma in realtà servivi la saggezza, come ti ho spiegato. La saggezza, dunque, si è manifestata in parte per consentirti di vederti un po’ meglio.
“Tuttavia, non soltanto hai servito la saggezza, ma anche la tua auto ossessione, non te. A dire il vero, chiunque può incitarti a servire chiunque o qualsiasi cosa. Per questo basta che ti persuada che puoi servire te stesso adottando una certa linea di condotta, che in realtà serve ad altri fini! Chi è che ci guadagna, in tutto ciò?”.

24. La tranquillità
«Un economo era impiegato in un palazzo, in India. Mori’, ed il figlio, molto giovane, dovette subentrare al suo lavoro. Era un giovane intelligente, ben istruito, attratto dalla vita spirituale. Aveva studiato la lingua del proprio paese. Si era ben preparato per la ricerca spirituale.

Pur obbligato a lavorare nel palazzo, trascorreva ogni giorno al tempio, vi pregava e, quindi, ritornava nella dimora. Erano nate, nei suoi riguardi, delle difficoltà nel palazzo perché la regina si era innamorata di lui. Egli non cercava attaccamenti di quel genere; ciò lo turbava e costituiva la ragione per la quale egli trascorreva lunghe ore nel tempio.
Un giorno, scorse, nell’angolo del tempio un uomo assorbito nella meditazione. Era la prima volta che notava quella persona. Si sentì pieno di curiosità, mentre, tra l’altro, provava un forte desiderio di ricevere un consiglio spirituale. Si sedette, di conseguenza, davanti a quello. Le ore trascorsero: mezzanotte, l’una, le due, le tre. Dopo circa quattro ore, il santo aprì gli occhi. Vide un giovane seduto davanti a lui, e se ne stupì: “Figlio mio, perché ti trovi qui? – gli domandò. “Signore, vorrei ricevere un vostro consiglio spirituale. “Resta tranquillo” – fu la sola risposta».

25. Il pettegolezzo
«Un giorno, un uomo andò a trovare Socrate il grande filosofo e pedagogo greco e gli disse: “Socrate, devo raccontarti una cosa su un tuo giovane allievo. Vedi, il fatto è che lui…”
Ma il grande filosofo interruppe il pettegolo: “Non continuare, prima vorrei farti tre semplici domande su quello che hai da dirmi”.
“Tre domande? Quali domande, Socrate?”.
“La prima domanda si chiama verità. Puoi giurare che quello che vuoi raccontarmi è l’assoluta verità?”.
“No, ma ne parlavano al mercato, e pensavo che tu…”
“Quindi tu personalmente non sai se ciò che vuoi dirmi è vero.
La seconda domanda si chiama bontà. Quello che vorresti dirmi è buono?”.
“Veramente no, perché sembra che quel tipo.. “
“Quindi vorresti dirmi qualcosa di cattivo, anche se non sei sicuro che sia vero?”.
“Io credevo che…”.
“Resta la terza domanda, l’utilità. Mi sarà utile sapere ciò che vorresti dirmi?”.
“Non saprei…”.
“Allora perché vorresti riferirmi una cosa che ha almeno il 50% di probabilità di essere falsa, cattiva e inutile?”.
Sentendo questo, il pettegolo si vergognò di se stesso e se ne andò con la coda tra le gambe».

26. Tre uomini ed un santo
Una notte un grande santo giaceva prono a terra con le braccia in avanti e le mani giunte, immerso in profonda meditazione, come se dormisse.
Allorché un ladro si avvicinò e si chiese “Chi è quel tale sdraiato a terra?”. Osservandolo da vicino, subito arrivò alla sua conclusione: “Deve essere un ladro. Deve aver rubato qualche casa nel vicinato e deve aver corso per tutta la strada fino a qui. Ora dorme preso da una forte stanchezza. La polizia potrebbe arrivare da un momento all’altro, è meglio che mi allontani per non farmi trovare vicino a lui!”. E così si allontano di fretta.
Dopo un po’, un altro uomo si avvicinò barcollante per aver bevuto un po’ troppo. Appena vide il santo, disse: “Bene, bene, bene! Chi è questo gentiluomo che sta campeggiando qui in mezzo alla strada nel cuore della notte?”
“Eh mio caro! devi aver alzato un po’ troppo il gomito per essere caduto in questo fosso…”
“Eh eh eh! Posso camminare stabilmente molto meglio di quello che sai fare tu… sic… e non andrò a fare un capitombolo come te… ciao ciao!”. E così anche l’ubriaco si allontanò.
Subito dopo, un saggio passò per quella via e immediatamente si avvicinò all’uomo sdraiato per vedere se avesse bisogno di aiuto. Osservandolo da vicino si rese conto che il viso dell’uomo era assolutamente sereno e che le sue mani erano giunte come in preghiera. “Dev’essere un grande santo assorto in meditazione!”, subito pensò.
Così il saggio cominciò a massaggiare con delicatezza le gambe del santo, dicendo fra sé e sé: “Tu giaci su una strada polverosa, ma il tuo cuore è così pieno di gioia e amore per Dio… tu sei un vero santo!”.

27. La luna nel pozzo.
“Un monaco aveva a lungo studiato e meditato per raggiungere il nirvana. Ma senza successo. Convinto di aver fallito il suo scopo, una notte si recò al pozzo per attingere l’acqua con un vecchio secchio di legno.
Tornando indietro, si accorse che l’immagine della luna si rifletteva nell’acqua del secchio. Si fermò ad ammirarla come in uno specchio. All’improvviso il manico si spezzò, il secchio cadde a terra e l’acqua si disperse, e, con essa, scomparve l’immagine della luna. Non più acqua, non più luna … il monaco ebbe un’intuizione della verità”.
Spesso pensiamo che i nostri sforzi non ci portino da nessuna parte, che l’obbiettivo del nostro cercare non si raggiunga mai e sperimentiamo, come il monaco, un senso di fallimento. Questo è il risultato della tensione continua verso un obbiettivo e di un eccessivo attaccamento ai frutti delle nostre azioni. Quando però smettiamo di cercare e viviamo pienamente il presente, ecco che veniamo “cercati” e si apre a noi la vera natura della realtà: scompare la luna, l’acqua, il secchio, e con essi anche l’immagine distorta che avevamo di noi stessi, ed in un istante luminoso ci appare la verità. Lo studio e la meditazione ci preparano a questo incontro con la grazia di Dio. (F. Piras s.j.).

28. Un padre ed un figlio.
C’era una volta un padre che era continuamente disturbato nel lavoro dal proprio bambino. Per salvarsi, prese dal vecchio atlante un foglio dove c’era tutto il mondo con gli stati e le città, lo fece in piccoli pezzi che consegnò al figlioletto perché li rimettesse a posto.
“Ci metterà molto tempo”, pensò. Ma dopo poco tempo, il piccolo tornò con il mondo messo insieme perfettamente!
“Come hai fatto così in fretta?” “Semplice, papà: sul rovescio era disegnato un uomo, ho messo in ordine prima quello e il mondo è andato a posto da sé”.29. Il valore della preghiera
“Dei pescatori pescarono una bottiglia dall’abisso. Dentro c’era una carta e sulla carta queste parole: “Aiuto, salvatemi! L’oceano mi ha gettato su un’isola disabitata. Sto sulla costa e aspetto aiuto. Fate in fretta. Sono Qui!”
Il primo pescatore disse: “Manca la data. Certo ormai è troppo tardi. La bottiglia può aver viaggiato in mare a lungo”. E il secondo aggiunse: “Il luogo non è indicato. Persino l’oceano non si sa quale sia“. Ma il terzo replicò: “Non è troppo tardi, né troppo lontano. L’isola Qui è ovunque”. L’atmosfera si fece imbarazzata. Cadde il silenzio. Questa è Proprio una delle verità universali”.

30. L’aiuto di Dio e la nostra collaborazione
Un uomo di preghiera era in viaggio con uno dei suoi discepoli. Il discepolo doveva occuparsi del cammello. Arrivarono di notte, stanchi, ad un caravanserraglio. Era compito del discepolo legare il cammello, ma egli non se ne preoccupò e lasciò il cammello all’aperto. Si limitò a pregare Dio: “Occupati tu del cammello”, e si addormentò.
Al mattino, il cammello non c’era più. O era stato rubato, o si era perso, qualcosa doveva pur essere successa. L’uomo chiese al giovane: “Dov’è il cammello?”. E il discepolo rispose: “Non lo so. Chiedilo a Dio. Ho detto al Signore di prendersi cura del cammello, io ero troppo stanco, non so che cosa sia successo. E non ne sono nemmeno responsabile perché l’ho detto a Dio, e in modo molto chiaro! E tu insegni sempre a fidarsi di Dio ed io mi sono fidato”. 
L’uomo  disse al giovane: “Fidati di Dio sempre, ma prima lega il tuo cammello, perché Dio non ha altre mani che le tue”.

31. C’è sempre tempo per imparare
Un giovane, ma scrupoloso studente, si avvicinò al suo padre spirituale e gli domandò: “Se lavoro duramente e mi applico con diligenza, quanto impiegherò a pregare seriamente? Il Maestro rifletté sulla domanda, ed infine rispose: “Dieci anni”.
Lo studente allora disse: “Ma se mi applico molto, molto duramente, e mi sforzo veramente al massimo per imparare velocemente, quanto tempo?”
Il Maestro rispose: “Bene, allora vent’anni”.
“Ma se veramente mi impegno con ogni mia forza, quanto tempo?” Insistette il discepolo.
“Allora trent’anni” replicò il Maestro.
“Ma io non capisco – disse lo studente deluso – ogni volta che dico che lavorerò più duramente, Voi rispondete che impiegherò più tempo. Perché dite così?”
Il Maestro rispose: “Quando tieni un occhio rivolto al traguardo, hai solo un occhio rivolto al sentiero”.
 

Fatima. Un profondo desiderio di pace.

IDSC03504.JPGDSC03489.JPGl 13 maggio del 1917, nel pieno svolgimento della prima guerra mondiale, la Madonna appare a tre pastorelli nella Cova di Iria in Portogallo, per inviare, attraverso questi semplici fanciulli messaggi di pace ad un mondo in guerra. Preghiera, conversione e perdono furono le parole che la Madre del Signore comunicò in modo misterioso all’umanità di allora.

Furono comunicati a Francesco, Giacinta (oggi Beati in Paradiso) e a Lucia, morta da pochi anni, tre importanti segreti per le sorti dell’umanità intera. Due di essi furono svelati dagli stessi tragici eventi del tempo; il terzo, quello che ha fatto preoccupare intere generazioni di uomini e credenti, fu svelato proprio su disposizione dell’oggi Beato Giovanni Paolo II. La Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, in un documento ufficiale ne ha dato l’esatta interpretazione. Per cui, non c’è da attendere altra spiegazione del terzo segreto. Anche questo è stato svelato dagli avvenimenti degli ultimi decenni.
E qual è stato lo svelamento del terzo segreto: l’attentato al Papa Giovanni Paolo II, che come tutti ricordano fu perpetrato ai suoi danni il 13 maggio 1981. Secondo quanto lo stesso Sommo Pontefice ha interpretato, da quell’attentato egli fu salvato dalla mano potente della Madre di Gesù, venerata sotto il titolo della Madonna di Fatima, proprio nel giorno dedicato a Lei. Tanto è vero che il proiettile, che deviò, per intervento divino e che non colpì a morte il Santo Padre, è stato incastonato tra le pietre preziose della corona della statua originale della Madonna di Fatima. Corona che lo scorso hanno ho potuto personalmente vedere incastonato nella corona della Madonna che si conserva nel Museo Mariano di Fatima, che sorge di fronte alla cappella delle apparizioni.
Circostanze casuali o disegni di Dio? Sicuramente un disegno di Dio manifestato nel corso degli anni con eventi e fatti, non privi di espressione della cattiveria umana e dell’azione del Maligno.

A Fatima ci ero stato in ritiro spirituale in occasione del primo incontro internazionale di tutti i sacerdoti del mondo in preparazione all’anno santo del 2000. Fu un’esperienza spirituale bellissima ed intensissima per un’intera settimana. Quei luoghi della memoria storica dell’apparizione della Madonna, quella piccola-grande cappella che conserva gelosamente il posto dell’apparizione, segnato dalla presenza della bellissima icona della Vergine Santa, erano costanti inviti alla preghiera per la pace nel mondo, un appello continuo alla conversione, un forte richiamo a guardare avanti nel segno della speranza.

Oggi il mio pensiero va allo scorso anno quando con un gruppo di amici di Marcianise, insieme al carissimo maresciallo Davide Morrono sono ritornato, guidando un pellegrinaggio dell’Opera Romana Pellegrinaggi. Il momento più bello che conservo nel mio cuore di sacerdote è stato la solenne concelebrazione eucaristica, presieduta dal sottoscritto con la partecipazione di circa 50 sacerdoti e 5.000 fedeli alla Grotta delle Apparizioni. Lì ho pregato per me, per i miei cari, per la pace e soprattutto per quanti nel mondo semina odio, menzogna, falsità, calunniano e fanno del male positivamente agli altri. Per loro ho chiesto la conversione del cuore, dopo aver valutato attentamente la mia vita. Maria mi ha confermato nel proposito che di fronte alle cattiverie la vera via di liberazione è il perdono e la misericordia.

E’ vero che in ogni luogo della terra è possibile adorare Dio e venerare Maria. Ma ci sono luoghi in cui tocchi con mano “il miracolo della fede”. Quella fede che riesce a trasformare piccoli sobborghi in centri di spiritualità mondiale. In questi luoghi i pellegrini di tutto il mondo giungono con il segreto desiderio di attingere forza e coraggio nella dura battaglia dell’esistenza.
Fatina è tra questi luoghi mariani, centri di spiritualità profonda, che costituiscono su un piano esperienziale mezzi per andare avanti con più carica spirituale verso Dio.
Non voglio “mitizzare” questo luogo né tanti altri nel mondo. Ma i santuari hanno un loro valore ed hanno un loro significato spirituale. Il pensiero di Fatima, con tutta la carica interiore e spirituale che esso rappresenta per noi cattolici, ci sollecita a rivedere la nostra vita nell’ottica della pace, della riconciliazione, della preghiera e del perdono.
Fatima, città della pace, dove da circa un secolo si prega la Vergine Santa soprattutto per la Pace.

In ogni angolo del Globo terrestre, ancora oggi segnato da tanti focolai di guerra si combattono guerre ideologiche, guerre di religione, guerre soprattutto per motivi economici e di presunta superiorità di un popolo o di una civiltà rispetto ad un’altra. Ed oggi in una crisi economica mondiale c’è il rischio di aggravamento della situazione a livello generale e nei singoli stati.

In un mondo reso di fatto un villaggio globale non c’è più spazio per coltivare progetti limitati di pace. E’ necessario tendersi una mano e gettare ponti di solidarietà, gli unici che possono assicurare un vero periodo di pace e di stabilità per tutta l’umanità.

Non solo nei nostri occhi rimangono scolpite le immagini dell’attentato del Papa in Piazza San Pietro in quel tragico 13 maggio 1981, ma anche le immagini di tante guerre locali o zonali che si sono combattute e si combattono in ragione di farneticanti discorsi, di tanti efferati crimini, di tante violenze soprattutto su persone innocenti. Restano ugualmente nitide nella nostra mente le immagini terribili ed angoscianti delle Torri gemelle di New York dell’11 settembre scorso, ma anche quelle della Guerra in Afghanistan, della morte per fame di milioni di persone in ogni angolo del mondo. Ma anche le tante guerre dimenticate. I tanti attentati degli ultimi mesi contro i cristiani o comunque lo spargimento del sangue innocente in varie parti della Terra.

Terrorismo, guerre civili, lotte politiche all’interno ed all’esterno degli Stati sono continui richiami ad una realtà che stenta a decollare nella direzione della pace, della reciproca tolleranza e della solidarietà.

Unire oggi tre nomi: Fatima, Giovanni Paolo II e la Pace è un modo immediato per dire a noi stessi che insieme è possibile lavorare per la pace, anche mediante la rete telematica “Internet”, che nata nell’ambito militare può essere uno strumento di pace a livello globale. Basta curare anche qui, attraverso la reti infinite, messaggi  eprogetti di pace, ma anche di autentica solidarietà.

Affidiamo alla Madonna di Fatima, la cui festa ricorre domani, domenica, 13 maggio 2012, questo anelito di pace di quanti hanno a cuore davvero le sorti di questa umanità in evidente difficoltà, smarrita da tanti falsi ideali. Affidiamo alla Regina della Pace, mediante la preghiera la nostra incessante domanda di Pace per il mondo intero.

 

Il mio ricordo di una mamma speciale

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Per la festa della mamma 2012

Nel Silenzio della notte

Nel silenzio della notte
un’amorevole mano mi accarezza il volto
e mi trasmette tutto il suo amore.
Sei tu mamma, che anche nel cuore delle notti
della nostra vita, vigili sul cammino di tuo figlio
e dei tuoi figli.

Non dormi perché il tuo vigilare
sia di sostegno ai tuoi cari.
da quando piccolini, nel cuore della notte,
eri costretta a svegliarti dai nostri pianti
di bambini appena nati,
a quando ormai grandi
attendevi il nostro ritorno a casa
o un segnale al telefono
per comunicarti che eravamo arrivati.

Mai neppure per un attimo
non hai allontanato il tuo sguardo su di noi.
Mai, neppure per un attimo, hai smesso
di amare il frutto del tuo grembo
generato alla vita del tempo,
per un grande amore per l’Eterno.

Grazie, mamma, anche se oggi non sei più con me,
ma voli negli immensi spazi celesti,
accanto ad una Madre, più grande di te,
ma con lo stesso cuore di mamma,
sofferente, vigilante ed aperta alla speranza.

Lì, dove sono certo, che tu godi della visione di Dio
pensa ancora oggi ai tuoi figli,
immersi in un mondo molto difficile,
in cui i figli ammazzano le madri,
ma anche, cosa più terribile, le madri sopprimono la vita
prima, durante e dopo il partorire.

Madre dell’avvenire, madre della nostra felicità
proteggi dal cielo, insieme alla Vergine Maria,
questa umanità senza più Dio
e senza più vero amore alla vita.

Padre Antonio Rungi, passionista