Archivi Mensili: luglio 2017

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO – DOMENICA XVII – 30 LUGLIO 2017

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XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
Domenica 30 Luglio 2017

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

La capacità religiosa di discernere il bene dal male

 

In questa XVII domenica del tempo ordinario risalta immediatamente ai nostri occhi la figura del Re Salomone, succeduto sul regno d’Israele a Re Davide, il quale, nel brano della prima lettura di oggi, tratto dal secondo libro dei Re, chiede al Signore nulla di materiale o di potere politico ed economico, ma solo la capacità di discernere il giusto per guidare saggiamente ed in modo equilibrato il popolo affidato alla sua responsabilità.

La consapevolezza della sua giovane età, dell’inesperienza e di quanto altro possa di fatto limitare un’azione di governo molto importante come quella di un Re, giustamente pone Salomone di fronte ad una richiesta ben precisa al Signore:  “Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso?». Di fronte a questa richiesta, lo stesso Signore rimane sorpreso, abituato Dio, da sempre, alle richieste degli esseri umani che hanno attinenza solo con le cose materiali (la salute, il lavoro, la casa, i soldi, ecc..). Infatti, nei successivi versetti del brano leggiamo queste bellissime espressioni riportate nel testo scritturistico: “Piacque agli occhi del Signore che Salomone avesse domandato questa cosa. Dio gli disse: «Poiché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te molti giorni, né hai domandato per te ricchezza, né hai domandato la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco, faccio secondo le tue parole. Ti concedo un cuore saggio e intelligente: uno come te non ci fu prima di te né sorgerà dopo di te».

Quante persone in qualsiasi posto di responsabilità, anche nell’ambito ecclesiastico chiedono al Signore solo questo? Ci sono poteri di qualsiasi genere e a tutti i livelli che si sono consolidati nel tempo e dai quali sono si riesce a sradicare quella persona o quel gruppo di potere che tra l’altro non governano neppure bene e saggiamente. Quanta corruzione nel mondo. Quanta gente affarista, quante persone che aspirano al comando e fanno carte false pur di raggiungere tali obiettivi della loro misera vita. Con le conseguenze ben note che fanno solo danni e si sistemano i loro affari e quelli dei familiari, degli amici e degli amici degli amici. Il saggio Re Salomone chiede al Signore un saggio e intelligente per discernere il bene del male e sapere guidare gli altri con il buon esempio e non con la prepotenza e l’imposizione.

Nel salmo responsoriale si ritorna sul tema della sapienza che viene dall’osservanza della legge di Dio, quella che dà certezze assolute e stabilità a livello personale e istituzionale. Infatti il salmista, sottolinea che “la mia parte è il Signore: ho deciso di osservare le tue parole. Bene per me è la legge della tua bocca, più di mille pezzi d’oro e d’argento”.

Nell’amore di Dio sta la saggezza di ogni persona retta e disposta a lasciarsi toccare da questo amore che va oltre la legge e l’osservanza esteriore. Ci ricorda, infatti, san Paolo Apostolo nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla sua lettera ai Romani, che “noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno”.

L’amore di Dio apre nuovi spazi di vita spirituale e prospettive di salvezza vera, in quanto come scrive l’apostolo: “Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati”.

Nel testo del vangelo di questa domenica troviamo altre tre parabole dette da Gesù per presentare il vero volto del Regno di Dio: la prima riguarda il tesoro nascosto nel campo e per averlo una persona si compra tutto il campo; la seconda riguarda un mercante che trovata la perla preziosa di cui andava alla ricerca, vende ogni cosa per acquistarla; la terza riguarda la rete gettata nel mare che pesca ogni tipo di pesce e alla fine i pescatori fanno la selezione tra i pesci buoni e quelli cattivi. Tre chiari riferimenti di come accogliere il regno di Dio nella nostra vita, come arricchirlo con il nostro personale impegno potenziando le opere di bene e ciò che conta davvero ed infine come essere accorti nell’operare per raggiungere il vero scopo dell’essere in cammino in questo regno, che è la salvezza eterna. In fondo, anche nel brano del vangelo di questa domenica ci viene detto con estrema chiarezza che “verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti”. Il rischio della dannazione eterna per tutti è un fatto vero e non ipotetico. Perciò alla fine del brano del vangelo Gesù stesso ci raccomanda di agire di conseguenza: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

Rinnovarsi, camminare, non fermarsi è questo l’impegno del cristiano battezzato che ha chiara davanti a sé la meta da raggiungere che non è il successo materiale, ma la salvezza della sua anima. La sapienza e la saggezza sta proprio in questo, come ci fa pregare la colletta di questa domenica: “O Padre, fonte di sapienza,
che ci hai rivelato in Cristo il tesoro nascosto e la perla preziosa, concedi a noi il discernimento dello Spirito, perché sappiamo apprezzare fra le cose del mondo
il valore inestimabile del tuo regno, pronti ad ogni rinunzia per l’acquisto del tuo dono”. Amen.

 

P.RUNGI. COMMENTO ALLA XVI DOMENICA T.O. – 23 LUGLIO 2017

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XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

 

Domenica 23 luglio 2017

 

Noi vogliamo essere il grano buono che fruttifica per l’eternità

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

Nella prima lettura di questa XVI domenica del tempo ordinario, tratta dal Libro della Sapienza, troviamo la ragion d’essere di metterci davanti a Dio con la consapevolezza dei nostri peccati e della necessità di un’autentica conversione del nostro cuore e della nostra vita a Colui che è amore e misericordia infinita.

Il Signore, infatti, comprende le nostre debolezze e dopo il peccato concede il perdono.

Aver fiducia nella misericordia di Dio non deve costituire un alibi per continuare a peccare e mai cambiare strada. Anzi, non dobbiamo abusare di tale misericordia, in quanto il Demonio ci spinge ad agire in modo immorale, perché “tanto il Signore comunque perdona”.

Quanti cristiani vivono in tale atteggiamento sbagliato e anche nei confronti del sacramento della confessione non hanno un rispetto e quindi banalizzano il momento in cui vanno a confessare la reiterazione dei propri peccati, senza progredire minimamente nella vita etica.

E’ bene ricordare che la misericordia di Dio è infinita, ma ha anche un limite di fronte a chi non vuole cambiare vita e convertirsi.

Leggiamo, infatti, nel brano citato: “Non c’è Dio fuori di te, che abbia cura di tutte le cose, perché tu debba difenderti dall’accusa di giudice ingiusto. La tua forza infatti è il principio della giustizia, e il fatto che sei padrone di tutti, ti rende indulgente con tutti. Mostri la tua forza quando non si crede nella pienezza del tuo potere, e rigetti l’insolenza di coloro che pur la conoscono. Padrone della forza, tu giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza, perché, quando vuoi, tu eserciti il potere”.

Chiaramente si tratta di un potere spirituale e che ha attinenza con la vita interiore e religiosa di ogni credente.

Chi si lascia toccare da questo potere si trasforma in persona davvero credente. “Il mio potere non è di questo mondo” precisava Gesù durante il processo che lo portò alla condanna a morte, pur essendo l’unico vero innocente tra tutti gli esseri viventi, essendo il Figlio di Dio.

E nel Salmo 85 proposto nella liturgia della parola di oggi, come salmo responsoriale, vengono ribaditi gli attributi fondamentali di Dio che sono la bontà, la misericordia, la disponibilità all’ascolto, ricco di amore e fedeltà.

All’opposto di questo Dio, grande e vicino all’uomo, troviamo la sua creatura che è facile all’ira, non sa perdonare ed ascoltare ed è tutta piena di sé, presuntuosa ed arrogante in ogni atteggiamento della sua vita.

Per superare le nostre fragilità umane e le nostre debolezze, l’Apostolo Paolo, nel sintetico brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla sua lettera ai Romani, ci incoraggia a guardare avanti nel segno di un cambiamento radicale e rinnovamento vero della nostra vita: “Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio”.

Lo Spirito di Dio è su di noi e sa ogni cosa di noi, conosce tutto ciò di cui abbiamo bisogno a livello interiore, e prima di tutto abbiamo bisogno della grazia santificante che ci rigeneri continuamente nella vita spirituale, quella che conta molto di più rispetto ad una vita solo di esteriorità e di apparenze su cui è strutturato, in particolare, il modo di vivere di molta gente del nostro tempo, come i farisei del tempo di Gesù. Quante falsità e menzogne nella vita di tante persone che hanno bisogno di essere purificate dal fuoco di una vera conversione interiore e non dalla solo risistemazione esteriore.

La parabola della zizzania che ci viene presentata oggi, nel brano del Vangelo di Matteo, ci aiuta a fare vera pulizia spirituale personale, ma anche ecclesiale, nei rapporti con le persone.

Penso che nella vita, ognuno di noi si è trovato di fronte a persone sagge, sante e buone e di fronte a persone che seminano odio, rancore, divisione nelle famiglie, nelle comunità di credenti, nella società, in qualsiasi posto dove c’è da affermare la propria persona a danno degli altri, calunniando, diffamando, approfittando della bontà e generosità altrui, facendo passare per vere, autentiche menzogne e bufale di ogni genere.

Oggi soprattutto, che siamo esposti ad un mondo in  perenne comunicazione globale, si rischia di entrare in quel vortice dei buoni e cattivi, secondo il modello di una cultura del pensiero debole, che non premia i santi e i buoni, ma protegge di delinquenti e i cattivi.

Grano buono e zizzania stanno insieme in ogni parte della terra, di questa terra, di questo tempo, ma alla fine arriverà il giudizio di Dio e si farà vera e definitiva pulizia. Consideriamo quello che Gesù stesso dice, spiegando ai discepoli, dopo aver congedato la gente,  nella parabola del grano e della zizzania: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro”.

Gesù semina il grano buono, il Diavolo, che esiste ed agisce nella vita delle persone che fanno il male e dividono i figli dai genitori, i fratelli dai fratelli, i cristiani da altri cristiani, gli esseri umani da altri esseri umani, ecc… sono dipendenti dal Demonio ed agiscono per il suo conto e sono il male assoluto per tutti.

Guardiamoci intorno e vediamo chi sono i seminatori di odio! Forse stanno in mezzo a noi, nelle nostre famiglie divise, nelle nostre case, nelle nostre chiese, nei luoghi di carrierismi vari, nelle comunità di credenti dove non c’è l’amore di Dio al centro dei loro interessi, ma gli interessi di ogni genere di chi vi fa parte e vi entra non per costruire, ma per divedere e distruggere. Il Diavolo è tutto questo.

Gesù è amore, unione, pace e serenità in tutti gli ambienti e i luoghi di questa terra. Chi sta dalla parte di Cristo vive felice. Chi sta dalla parte del Maligno è un’anima persa, difficilmente recuperabile, se si è venduta l’anima al Diavolo, cioè al male.

Sia questa la nostra preghiera oggi: “Ci sostenga sempre, o Padre,
la forza e la pazienza del tuo amore; fruttifichi in noi la tua parola, seme e lievito della Chiesa, perché si ravvivi la speranza di veder crescere l’umanità nuova,  che il Signore al suo ritorno farà splendere come il sole nel tuo regno”. Amen.

 

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 16 LUGLIO 2017

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XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

DOMENICA 16 LUGLIO 2017

Seminare per raccogliere frutti spirituali

Commento di padre Antonio Rungi

Al centro della parola di Dio di questa XV domenica del tempo ordinario è la parabola del Seminatore, chiaro riferimento a nostro Signore Gesù Cristo, vero ed unico seminatore della parola di Dio nel cuore dei fedeli. Egli stesso è la parola di Dio per eccellenza, il Verbo fatto carne, nel grembo purissimo di Maria Vergine. Ed oggi che la Chiesa ricorda anche la festa della Madonna del Monte Carmelo, questo stretto rapporto tra Gesù e Maria è messo in evidenza proprio attraverso la semina e l’accoglienza della parola di Dio.
Di questa parabola raccontata da Gesù in riva al mare, a tanta folla che si era riunita per ascoltare, Gesù stesso né da la spiegazione dettagliata nella seconda parte del brano del Vangelo, che ascolteremo, in questa domenica e che è tratto dall’evangelista Matteo. Il seminatore semina dovunque e i risultati della semina fatta variano da luogo a luogo, da ambiente ad ambiente e da persona a persona. Gesù, infatti, nella parte introduttiva della parabola, sottolinea l’azione del seminatore e nella parte conclusiva la risposta data dal suo seminare: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti». Chiaramente di fronte a questa abbondante semina della parola di Dio a cui fa riferimento il testo, i discepoli chiedono a Gesù delucidazioni, volendo sapere, come mai la parola non dà frutti allo stesso modo. Ed ecco la spiegazione di ordine spirituale: “Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».
Si comprendono, così, le ragioni perché la parola di Dio non dà frutto adeguato nelle persone, perché si è concentrati su altre problematiche e si presta poco attenzione ad essa, per farla crescere e maturare, per poi portare a decisioni importanti della nostra vita. Chiaramente, ci si domanda: cosa fare per non far vanificare la semina che la Chiesa effettuata in ogni angolo della terra? La risposta è molto immediata e diretta: bisogna rendere il cuore e la mente disponibile all’ascolto e a lasciarsi interpellare dalla parola stessa.
Da questo punto di vista, possiamo assumere come immagine per la produttività della parola, quello che leggiamo nel brano della prima lettura di questa domenica, tratto dal profeta Isaia, che utilizza il fenomeno naturale della pioggia per far comprendere la capacità di trasformare le persone, se la parola trova un terreno disponibile e non refrattario: «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».
Effettivamente è così. Se noi ci lasciamo permeare nel profondo del nostro essere dalla parola di Dio, tutto diventa più semplice, in quanto essa riesce a produrre i frutti spirituali necessari alla nostra personale santificazione, nonostante le sofferenze e le croci.
D’altra parte, il Salmo Responsoriale, tratto dal Salmo 64, viene a ribadire i concetti espressi nella prima lettura, con una impostazione a carattere orante, come è tipico di ogni salmo, che sono vere e proprie preghiere: “Tu visiti la terra e la disseti, la ricolmi di ricchezze… Così prepari la terra: ne irrìghi i solchi, ne spiani le zolle, la bagni con le piogge e benedici i suoi germogli”.
E’ tutta la creazione che viene continuamente rigenerata mediante la parola di Dio che spinge ad agire nel cuore dell’uomo, come ci ricorda l’apostolo Paolo nella seconda lettura di oggi, tratta dalla lettera ai Romani: “Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo”.
Protesi verso l’eternità ed in attesa del giudizio universale e della risurrezione finale, questo è la storia di ogni credente che si lascia guidare dalla parola di Dio, che è parola di verità e di speranza in un mondo davvero bello e infinitamente vitale e luminoso per sempre.
Pertanto, a conclusione della nostra riflessione sulla parola di Dio di questa domenica chiediamo al Signore ciò che è veramente necessario per la nostra salvezza: “Accresci in noi, o Padre, con la potenza del tuo Spirito la disponibilità ad accogliere il germe della tua parola, che continui a seminare nei solchi dell’umanità, perché fruttifichi in opere di giustizia e di pace e riveli al mondo la beata speranza del tuo regno”.

Maria Goretti, santa emigrante e degli emigranti – Festa 6 luglio 2017

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MARIA GORETTI, SANTA EMIGRANTE E DEGLI EMIGRANTI

 

di Antonio Rungi

 

La Chiesa cattolica, il 6 luglio, ricorda una santa, di appena 12 anni, morta martire all’inizio del secolo XX nella palude pontina: il suo nome è Maria Goretti, la santa emigrata dalle Marche e morta alle Ferriere di Conca, nei pressi di Nettuno (Rm) il 6 luglio 1902.

Come tante famiglie contadine di fine Ottocento e di inizio Novecento, in mancanza di lavoro emigravano per l’Italia, da poco costituita nel Regno Unito. E come tutti i processi di aggregazione politica, sociale, economica, sono sempre le aree e zone più povere e deboli a soffrirne. E le Marche non offrivano lavoro, per cui i capi-famiglia avevano l’obbligo di girovagare per l’Italia o espatriare per mantenere la famiglia. Non fu la prima grande emigrazione interna, ma certamente quella di Fine Ottocento – Inizio Novecento è una delle più consistenti.  Oggi, Maria Goretti, si presenta a noi, come la bambina santa emigrante e degli emigranti che è l’icona di tanti bambini e ragazzi emigranti che muoiono martiri nei nostri mari. Non fu la stessa cosa per lei, ma rappresenta in pieno questa emergenza di bambini non accompagnati o accompagni che non arrivano alle porte della speranza.

Dodici anni di vita non sono tanti, eppure, per Maria Goretti, assumono un valore infinito nel tempo e nello spirito, perché con il suo espresso volere ha saputo vivere fino in fondo la sua vocazione battesimale, che è la chiamata alla santità, passando attraverso i sacramenti della confessione e della comunione.

Una santità, fatta di sofferenze, sacrifici, rinunce, ma anche di profonde gioie di una fede accolta, vissuta e testimoniata in pochissimi anni di vita, di cui alcuni in peregrinatio per le campagne italiane, tra Paliano (Fr) e Nettuno (Rm) con la sua famiglia, in cerca di un dignitoso lavoro.

La santità non la si inventa dall’oggi al domani, ma la si costruire nel tempo. E la santità di Maria Goretti si è struttura nel tempo, in famiglia, in parrocchia e nelle località dove è iniziata la sua avventura spirituale (il 16 ottobre del 1890 a Corinaldo, Ancona, dove nasceva) e poi si è conclusa tragicamente in quel 6 luglio 1902, nell’ospedale di Nettuno, dopo essere stata pugnalata più volte dal suo aggressore (il giovane Alessandro Serenelli), che perdonò dal profondo del suo cuore.  Era il 5 luglio 1902 quando si verificò la vile aggressione, nel pieno dell’estate rovente delle paludi pontine, dove la malaria la faceva da padrone e dove sopravvivere era una lotta quotidiana. Quando la piccola Maria, giunse con la famiglia alle Ferriere, aveva già quasi nove anni e possedeva un bagaglio di educazione e conoscenze religiose sufficienti per farle capire la sostanziale differenza tra il bene e il male e il dovere cristiano di scegliere sempre il bene, evitando il male.

La fanciulla era in grado di formulare i suoi buoni propositi. Poi la grazia di Dio fece il resto. Ecco perché seppe dire no a chi voleva non solo intaccare la purezza del suo corpo, ma soprattutto la bellezza e la purezza del suo cuore e della sua anima.

“Così, una piccola contadina”, come l’ha definita, san Giovanni Paolo II, sul luogo del martirio, il 29 settembre 1991, “diviene per noi un modello: modello di vita cristiana, modello di autentica santità. Ed aggiunge: “Questa fanciulla che, in tempi ben più duri degli attuali, conobbe le difficoltà di un’esistenza precaria, povera, segnata dalla spossante fatica del lavoro nei campi, ma saldamente ancorata alle nobili tradizioni familiari e ai fondamentali valori umani e cristiani. Seguendone l’esempio, restate anche voi fedeli a tali valori: il rispetto per la vita, la mutua solidarietà, la disponibilità all’ospitalità e all’accoglienza dell’immigrato, l’amore per la legge divina, il sacro timor di Dio. Questo è il patrimonio prezioso che avete ereditato dai vostri antenati, anch’essi emigrati, qui, come la famiglia Goretti, da altre Regioni d’Italia”.

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO XIV DEL T.O. – 9 LUGLIO 2017

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XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
DOMENICA 9 LUGLIO 2017

Mitezza ed umiltà di cuore come Cristo Signore

Commento di padre Antonio Rungi

La parola di Dio di questa XIV domenica del tempo ordinario, in piena estate 2017, ci fa riflettere su alcuni aspetti importanti della vita di nostro Signore Gesù Cristo, modello di comportamento per ogni suo vero discepolo.

E’ soprattutto, nella prima lettura e nel Vangelo, che i testi sacri si concentrano sulla mitezza, sull’umiltà del futuro messia e del messia già presente nella storia dell’umanità con la venuta di Gesù, Figlio di Dio, sulla Terra.

Chiaro invito a tutti noi cristiani a riscoprire alcuni valori o virtù importanti che abbiamo dimenticato, quale la semplicità, la bontà, la tenerezza ed altri comportamenti virtuosi, oggi poco considerati da un punto di vista spirituale, eppure essenziali per camminare sulla strada della santità.

Partendo dal brano del profeta Zaccaria, che troviamo nella prima lettura, questo ci presenta la venuta del messia come un’era o tempo di pace, di riconciliazione generale e come prospettiva di risanamento globale di Gerusalemme.

Leggiamo, infatti, nel brano queste testuali parole: “Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della terra».

Tutte immagini e riferimenti alla situazione in cui si trovava Israele al tempo del profeta, in cui non c’era pace, c’era la guerra e non si vivevano giorni tranquilli. Perciò, questo inno alla gioia e alla speranza viene innalzato dal profeta a nome di tutta Gerusalemme in prospettiva di questo re umile, che cavalca un’asina, ma che avrò il potere di dominare da fiume a fiume, da mare a mare: «Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme!>>.

Questa gioia che ci viene chiesta di vivere anche a noi, ogni volta che ci mettiamo in uno stato di attesa della venuta del Signore, che a noi giunge in molteplici modi, soprattutto, attraverso le vie scelte proprio da Lui per essere con noi, quale il sacramento dell’eucaristia, al quale ci accostiamo, penso con grande dignità ed umiltà, durante almeno la celebrazione della messa domenicale o festiva.

Il salmo 144, che costituisce il salmo responsoriale di questa domenica, ci aiuta nella preghiera di lode in questo giorno del Signore, la Domenica, durante il quale si moltiplica il nostro grazie, a Colui che è la nostra gioia, vita e speranza: O Dio, mio re, voglio esaltarti e benedire il tuo nome in eterno e per sempre. Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre… Ti lodino, Signore, tutte le tue opere e ti benedicano i tuoi fedeli. Dicano la gloria del tuo regno e parlino della tua potenza”.

A questo nostro Dio, noi ci rivolgiamo, convinti più che mai che da Lui riceviamo misericordia e perdono per le nostre debolezze e per i nostri piccoli o grandi errori della vita: “Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature…. Fedele è il Signore in tutte le sue parole e buono in tutte le sue opere. Il Signore sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto”.

La dimensione più vera dell’esistenza cristiana in prospettiva di spiritualità vera è messa in evidenza nel brano della seconda lettura di questa domenica, tratto dall’epistolario di San Paolo Apostolo e precisamente dalla Lettera ai Romani, che è una delle più importanti scritte dall’apostolo delle Genti: “Fratelli, voi non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene”.

E conclude con queste parole: “Fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete”.

Carne e spirito sono in evidente opposizione nella vita cristiana. Chi segue una vita carnale, vive nel peccato e nelle passioni più disordinate e quindi è lontano da Dio; chi vive secondo lo spirito agisce volando sempre più in alto nel cammino della santità e della moralizzazione personale; per cui chi segue lo spirito, segue la vita e segue Dio.

A noi la scelta di seguire la strada dello spirito, che  libera e santifica o quella della carne che rende schiavi e purtroppo porta alla perdizione. E su questi valori non ci sono vie di mezzo, né si può tentare una conciliazione tra le opposizioni. Spirito e carne rimarranno sempre l’uno contro l’altra.

Di conseguenza è necessario mettersi sulla via tracciata dal divino Maestro, per vivere secondo lo spirito e far liberare in noi le potenzialità dell’anima, riflesso della bellezza e della tenerezza di Dio, come ci ricorda il significativo brano del vangelo di oggi, incentrato sull’imitazione di Cristo: “imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita”.

Da questa scuola della tenerezza, dobbiamo uscire con la consapevolezza di alcune importanti cose da sapere per la nostra vita: Dio si rivela ai piccoli e ai semplici e non ai potenti e prepotenti; Dio ci è vicino nella fatica quotidiana per la lotta per la sopravvivenza e non ci abbandona mai; Dio ci invita a seguirlo anche a costo di grosse rinunce, in quanto rinunciare a cose importanti della nostra vita per amore di Dio, rende leggero ogni giogo ed ogni croce e prova.

Sia questa la nostra umile e fiduciosa preghiera, che rivolgiamo al Signore nella domenica dell’umiltà e della semplicità del cuore: “ O Dio, che ti riveli ai piccoli
e doni ai miti l’eredità del tuo regno, rendici poveri, liberi ed esultanti, a imitazione del Cristo tuo Figlio,  per portare con lui il giogo soave della croce e annunziare agli uomini la gioia che viene da te”. Amen