Archivi Mensili: febbraio 2022

No alla guerra.Si alla pace in Ucraina.

ITRI (LT). IL TEOLOGO RUNGI: LANCIARE LA PACE IN EUROPA E NEL MONDO CON I TUTTI I MEDIA E I SOCIAL. UN REFERENDUM MONDIALE SULLA PACE.

“Lanciamo la pace in Europa e nel Mondo”, è lo slogan che padre Antonio Rungi, teologo passionista, delegato arcivescovile per la vita consacrata della diocesi di Gaeta (Lt), invita a fare attraverso i social ed anche in presenza mediante la diffusione di un semplice messaggio di pace a tutti indistintamente e con la partecipazione alle manifestazioni che le singole sigle pacifiste possono avviare in questo periodo delicato che sta attraversando l’Europa in particolare.
Padre Rungi poi tutti gli operatori della comunicazione, coloro che hanno in mano strumenti potentissimi come Tv, Radio, Network accogliendo le istanze e le richieste di pace dall’Italia, dall’Europa e dal Mondo.
“Si tratta di promuovere virtualmente un Referendum mondiale della pace accogliendo il pensiero anche del popolo russo e delle altre nazioni, legittimamente e democraticamente autodeterminatasi, perché possano esprimere il loro parere sulla questione Ucraina-Russia. Lanciamo la pace – prosegue padre Rungi- anche in quei territorio dove non si può parlare, esprimere il proprio pensiero e non vi è possibilità di conoscere cosa pensa il popolo su questo argomento. Per ora non ci sono restrizioni o blocchi su Internet e suoi social e quindi è quanto mai opportuno mediare la richiesta di pace utilizzando questi strumenti e facendoci carico, tutti, credenti, non credenti, uomini di buona volontà, pacifisti di tutte le latitudini del mondo, di questa necessità perché in questo tempo e sempre regni la pace e la concordia su tutta la Terra. Lanciamo la pace –aggiunge padre Rungi- con i nostri spot, messaggi, preghiere, poesie, aforismi, post, video, banner, manifesti e quanto altro che possa comunicare al mondo il nostro autentico e sincero desiderio di pace. Inviamo tutto ai potenti della Terra e vediamo che ascoltano il grido dei poveri e degli oppressi, perché la guerra non la fa chi la decide, ma i giovani, i soldati, i figli di famiglia che rischiano la vita, per vere questioni politiche, ideologiche o di interessi economici. E tanto per iniziare –conclude padre Rungi – alla sera accendiamo una candela nelle nostre abitazioni e lanciamo la pace con un semplice gesto di luce e di speranza che un lume acceso può simboleggiare nel buio di queste notti che mettono ansia ed angoscia in Europa e nel Mondo”.



Amare, perdonare, pregare e donare. La parola di Dio di domenica 22 febbraio 2022

RUNGI-VERDE

Domenica VII del Tempo ordinario

Domenica 20 febbraio 2022

Amare, perdonare, pregare, donare i quattro verbi dell’etica cristiana

Commento di padre Antonio Rungi

La parola di Dio di questa settima domenica del tempo ordinario ci presenta una serie di indicazioni di marcia, su cui noi cristiani dobbiamo camminare, sull’esempio di Gesù Cristo. Raccomandazioni che spaziano dall’amore, alla misericordia, alla giustizia, alla gratuità, alla verità e a quanto è utile per la santificazione personale.

Partendo dal testo del vangelo di Luca, esso inizia con il raccomandare di amare i nostri nemici. Cosa umanamente impossibile, ma cristianamente possibilissimo. Basta ricordare quanto Cristo ha fatto per noi, fino alla sua morte in croce.

Non basta amare. È anche importante fare del bene a quanti ci odiano, a benedire coloro che hanno la mente, il cuore e la bocca a maledire noi e gli altri.

Inoltre bisogna anche pregare per chi ci maltratta, al punto tale che dobbiamo essere disponibili ad offrire l’altra parte della faccia, pur di non reagire al torto e all’offesa subiti.

Paradossi, metafore o vera disponibilità a lasciarsi martirizzare da chi non ha Dio nel cuore e fa il male ad ogni persona?

Il brano del vangelo di Luca non ammette fraintendimenti di sorta. Il nostro riferimento esemplare è Gesù Cristo, che è stato maltrattato, umiliato, schiaffeggiato, flagellato, caricato della croce, inchiodato alla croce e morto sulla croce per amore,

E proprio da questo altare che egli grida al Padre “perdonali perché non sanno quello che fanno”.

Certamente si ramane letteralmente scioccati da questo insegnamento di Cristo che ci invita a lasciare tutto, con l’essere generosi verso chi si prende la tunica ed anche il mantello, ovvero di prende tutto di noi.

Anche nei prestiti che si fanno e eventualmente, non bisogna pretendere restituzione di sorta.

Una società ideale quella che Cristo giustamente indica in base al suo insegnamento, basato sull’amore, sul perdono e sul dono.

Ma il Maestro va oltre nell’indicare il percorso della perfezione nell’amore. Infatti ci dice di essere misericordiosi, come è Dio nostro Padre. Da qui nasce il bisogno spirituale, umano e anche giuridico di non giudicare, per non essere giudicati; di non condannare per non essere condannati; di perdonare per essere perdonati.

Il riferimento qui è evidente al giudizio di Dio sulla nostra vita, quello che conta rispetto ad ogni altra valutazione e ad ogni altro giudizio umano e temporale.

E siccome la misericordia di Dio viene applicata in base alla carità e alla condivisione dei beni che possediamo, di qualsiasi genere, ne consegue che bisogna dare, senza misure limitate, per ricevere il premio divino che meritiamo.

Infatti, se usiamo una misura buona, pigiata, colma e traboccante per aiutare e sostenere gli altri, questo nostro modo di comportarci sarà pienamente e abbondantemente ricompensato da Dio, perché con la misura con la quale misuriamo, saremo misurati noi da Colui che fa il calcolo esatto e preciso di tutta la nostra vita e di tutto il nostro agire. Davanti a lui non si possono falsificare pesi e misure, ma tutto è ben registrato e pesato, nella giusta portata e consistenza, anzi è molto più abbondante la valutazione che Dio fa della nostra vita, rispetto a quello che effettivamente abbiamo fatto ed operato.

Basta ricordare quello che Gesù disse a Pietro da lui interrogato sulla questione del premio della sequela: «In verità vi dico che chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi a causa del mio nome, ne riceverà cento volte tanto, ed erediterà la vita eterna”. Gesù non tiene nulla per sé tutto dona e tutto offre abbondantemente su questa terra e nell’eternità. Impariamo da lui ad essere generosi nel donare, soffrire ed amare.

Su questi tempi si concentra anche la prima lettura, tratta dal primo libro di Samuele (1Sam 26,2.7-9.12-13.22-23), nella quale ci viene ricordato quello che fece Saul, che si mosse e scese al deserto di Zif, conducendo con sé tremila uomini scelti di Israele, per ricercare Davide nel deserto di Zif. Davide e Abisai scesero tra quella gente di notte ed ecco, Saul dormiva profondamente tra i carriaggi e la sua lancia era infissa a terra presso il suo capo, mentre Abner con la truppa dormiva all’intorno. Abisai disse a Davide: “Oggi Dio ti ha messo nelle mani il tuo nemico. Lascia dunque che io l’inchiodi a terra con la lancia in un sol colpo e non aggiungerò il secondo”. Ma Davide disse ad Abisai: “Non ucciderlo! Chi mai ha messo la mano sul consacrato del Signore ed è rimasto impunito?”. Evita quindi di perpetrare un delitto. Infatti, Davide portò via la lancia e la brocca dell’acqua che era presso il capo di Saul e tutti e due se ne andarono; nessuno vide, nessuno se ne accorse, nessuno si svegliò: tutti dormivano, perché era venuto su di loro un torpore mandato dal Signore”. Abbandonata la tentazione di eliminare fisicamente il suo avversario e nemico, “Davide passò dall’altro lato e si fermò lontano sulla cima del monte; vi era grande spazio tra di loro”. Davide a questo punto vuole liberarsi dell’arma che poteva servire per uccidere Saul e con voce forte grida al popolo: “Ecco la lancia del re, passi qui uno dei servitori e la prenda! Il Signore renderà a ciascuno secondo la sua giustizia e la sua fedeltà, dal momento che oggi il Signore ti aveva messo nelle mie mani e non ho voluto stendere la mano sul consacrato del Signore”. Questa cessione di uno strumento di morte, assolve in parte la generosità di Davide, rispetto ad una decisione più coraggiosa quella di distruggere quell’arma e non usarla mai più né lui, né nessun altro uomo al mondo. Di questi tempi sarebbe di grande esempio che chi ha in mano il potere di decidere o evitare le guerre e soprattutto di eliminare dalla faccia della terra tutte le armi lo facessero di comune accordo, senza pesare a guerre, ad avversari a nemici da abbattere e sopraffare.

Ci serva per entrare in questa nuova mentalità pacifica e costruttrice di pace, quanto scrive san Paolo Apostolo nella sua prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 15,45-49), che mette a confronto il primo Adamo, l’uomo del peccato originale e l’ultimo Adamo, Gesù Cristo, il Figlio di Dio, portatore di vista, speranza, grazia e risurrezione. Nel confronto tra questi due opposti di umanità, Sam Paolo dice che “il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita”. E precisa i termini della netta differenza tra i due Adamo: “Il primo uomo, tratto dalla terra, è fatto di terra; il secondo uomo viene dal cielo. Come è l’uomo terreno, così sono quelli di terra; e come è l’uomo celeste, così anche i celesti”. Nel primo Adamo eravamo simili all’uomo terreno, nel secondo Adamo, Gesù risorto dai morti, noi saremo simili all’uomo celeste”.

Sia questa la nostra preghiera oggi, domenica giorno del Signore, al quale ci rivolgiamo con la speranza nel cuore, in questo tempo segnato da tanti problemi mondiali: “Padre misericordioso, che fai sorgere il sole sui buoni e sui malvagi, rendici capaci di perdonare chi ci fa del male, affinché il nostro amore non conosca nemici, e viviamo da figli e fratelli in Cristo Signore”. Amen.

COMMENTO E PREGHIERA DI P.RUNGI ALLA V DOMENICA DEL 6 FEBBRAIO 2022

RUNGI-VERDE

V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

DOMENICA 06 FEBBRAIO 2022

Nel mare della speranza

Commento di padre Antonio Rungi

La parola di Dio di questa quinta domenica del tempo ordinario ci offre l’opportunità di meditare su alcuni aspetti della vita cristiana che vanno tenuti in debita considerazione, a partire dall’importante passo del Vangelo che costituisce come sempre il punto di riferimento essenziale della nostra riflessione settimanale.

Si tratta del celebre passo della pesca miracolosa,        raccontata dai Vangeli di Luca e Giovanni, rispettivamente prima (Lc 5,1-11) e dopo la risurrezione (Gv 21,1-14) di Gesù. Un miracolo particolare, in quanto viene compiuto da Gesù per rincuorare l’animo di quei poveri pescatori, suoi discepoli, che avevano trascorso una nottata nel Lago di Gennesaret senza pescare nulla.

 

La delusione è forte e la stanchezza consistente al punto tale che al primo invito di Gesù di buttare nuovamente le reti in mare, i discepoli-pescatori hanno una forte esitazione che manifestano con grande semplicità e spontaneità a Gesù, dopo che egli aveva predicato alle folle ed era salito sulla barca di Pietro per andare all’altra riva e prendere il largo.

 

Ed è proprio Pietro a rivolgersi a Gesù con queste parole di sconforto, ma anche di apertura e disponibilità al progetto di Dio che in quel momento si apriva davanti al pescatore di Galilea, esperto del mestiere e consapevole di non prendere nulla, senza qualche intervento dal cielo: «Maestro, disse Pietro a nome di tutti gli altri suoi soci- abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti».

 

La fiducia nella parola di Gesù è totale e davvero aperta alla speranza cristiana, quella che non ti delude mai. Appena ebbero eseguito l’ordine di Gesù, essi “presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano”. Sembra un intervento programmato quello di Gesù per evidenziare la sua grandezza di Figlio di Dio, ma non è così. Gesù interviene in quel momento perché vede la sofferenza dei suoi apostoli e la mancanza di quel cibo materiale che per i pescatori era il pescato da portare a casa per  essere consumato o da vendere per aver in cambio altri alimenti. E’ la legge dello scambio commerciale che sempre è esistita e sempre esisterà. L’abbondanza della pesca con le reti della barca di Pietro costrinse il capo del gruppo, a chiedere aiuto agli altri apostoli pescatori, essendo due le barche in azione. Cosicché chi stava a bordo della barca di Pietro fece cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli.

 

La risposta fu immediata e subito corsero a dare una mano, al punto tale che riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Il racconto non finisce qui con l’abbondante raccolto che era stato fatto con l’intervento di Gesù. Infatti, il testo del vangelo di Luca prosegue con la parte sicuramente più importante e significativa a livello spirituale che ci viene raccontato. Al vedere questo prodigio, “Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Pietro riconosce in quel momento la sua vera condizione umana, quella di essere immersa nel peccato e che necessita di conversione e purificazione per entrare in dialogo con il Signore e confidare pienamente in Lui. Ma non è solo Pietro a restare impressionato da ciò che era capitato. “Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone”.

 

La squadra dei pescatori, in questo lavoro quotidiano difficile da portare avanti, fatto di sacrifici e pericoli, è grata al Signore ed è riconoscente verso di Lui. Scatta a questo punto l’invito più importante con la chiamata di Pietro e della chiesa all’azione apostolica, missionaria ed ecclesiale, prima della Pasqua e della Pentecoste «Non temere, Pietro; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».

E’ delineata così la missione di Pietro e della Chiesa in ogni tempo, quella appunto di andare alla ricerca di uomini e donne,  senza Dio e senza fede, che nuotano in acque torbide e pericolose di questo mondo.

 

Cosa voglia dire questo straordinario miracolo compiuto da Gesù ce lo spiega il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Dalle fasce della sua nascita (cfr. Lc 2,7), fino all’aceto della sua passione (cfr. Mt 27,48) e al sudario della risurrezione (cfr. Gv 20,7), tutto nella vita di Gesù è segno del suo mistero. Attraverso i suoi gesti, i suoi miracoli, le sue parole, è stato rivelato che “in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9). In tal modo la sua umanità appare come “il sacramento”, cioè il segno e lo strumento della sua divinità e della salvezza che egli reca: ciò che era visibile nella sua vita terrena condusse al mistero invisibile della sua filiazione divina e della sua missione redentrice. (CCC,515).

D’altra parte la predicazione di Gesù è accompagnata da questi segni prodigiosi, attraverso i quali si rivela il volto del Dio misericordioso, che si china sull’uomo e lo libera dal male.

Perciò, tutti i miracoli compiuti da Gesù hanno qualcosa da dire anche all’uomo di oggi: gli pongono la domanda se egli pensi di poter guadagnare la salvezza con la propria oculatezza e con le proprie forze, o se sia disposto a farsi mostrare la via da Cristo e a lasciarsi guidare da Lui.

I miracoli, infatti, presuppongono generalmente la fede e sono finalizzati a suscitare la stessa fede nelle persone. Non sempre questo avviene, ma nel caso specifico della pesca miracolosa bisogna riconoscere che in Pietro e negli altri apostoli la conversione avviene in modo chiaro ed evidente.  Tale prodigio divino è un’attestazione precisa e dettagliata che con l’aiuto di Dio si possono ottenere risultati insperati e irraggiungibili per l’essere umano, mentre essi contando esclusivamente sulle loro forze falliscono tutti i tentativi gli sforzi fatti da loro, con il rischio reale di naufragare nel mare, apparentemente calmo e rassicurante, della loro sicurezza umana e temporale.

Il taglio profetico e missionario dei testi sacri di questa quinta domenica è confermato dal brano della prima lettura di oggi, tratta dal Profeta Isaia, nel quale si racconta della visione che l’uomo di Dio ebbe pensando all’eternità, al paradiso definitivo e durante la quale gli viene conferito il compito di profetizzare. Uno dei serafini gli toccò la bocca e gli disse: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato». Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!».

La scelta del profeta Isaia è anticipazione della scelta di Pietro alla guida della Chiesa, come si legge nel brano del Vangelo di oggi.

E in merito a questo tema, fa da sintesi e coordinazione il brano della prima lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi, nel quale egli sottolinea l’importanza del vangelo e la necessità di annunciare ed accoglierlo nella sua integrità, nella sua sostanza, a partire dal mistero della Pasqua di nostro Signore: “A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici”.

Richiamando le varie apparizioni, san Paolo non fa altro che confermare le verità di fede che hanno attinenza stretta con Gesù, Figlio di Dio e Redentore dell’umanità.

Le continue apparizioni massive di Gesù a più di cinquecento fratelli in una sola volta la dice lunga sulla validità della sua religione, in quanto queste verità possono essere attestate dalla  maggior parte di essi, perché  vivono ancora, mentre alcuni sono morti.  Anche l’apparizione di Gesù a Giacomo e a tutti gli apostoli conferma la risurrezione di Cristo, morto in croce.

Ultimo testimone del Cristo risorto è proprio Paolo, che nonostante questo straordinario dono ricevuto sulla via di Damasco, alla fine sottolinea che egli è il più piccolo tra gli apostoli e non è degno di essere chiamato apostolo perché aveva perseguitato i cristiani. La trasformazione di Paolo avviene per grazia e perciò stesso egli è completamente diverso dal passato, in quanto l’azione di Dio su di lui non è stata vana, anzi ha prodotto la conversione, il coraggio e l’amore di annunciare il Signore in ogni parte del mondo. Dalla pesca miracolosa all’avventura di un’evangelizzazione per portare nella Chiesa quanti vogliono assaporare la vera e profonda gioia di vivere nella prospettiva di Dio crocifisso e risorto per amore.

Sia questa la nostra preghiera oggi, nella giornata di festa dedicata a Colui che è il nostro Salvatore e scritta per questa finalità liturgica, dal titolo “Nel mare della speranza”.

“Non è facile, Gesù ricominciare

dopo aver faticato tutta una vita

per costruire la nostra tranquillità spirituale.

 

Non è semplice buttare di nuovo in mare

le reti vuote dopo una nottata senza risultati

senza quel minimo di risposta spontanea

al desiderio di vivere con onestà.

 

Eppure siamo qui Signore

a confidare fortemente sulla tua parola

ad accogliere il tuo invito

a riprovarci ancora con l’aiuto di Dio

buttando in mare non solo le reti reali,

ma quelle ideali della nostra vera felicità

per pescare ciò che è davvero buono e santo.

 

Noi caliamo di nuovo le reti

nella tempesta di questa esistenza,

fatta di sofferenza, pandemia, conflitti ed insuccessi,

sicuri, oggi più di ieri,

che Tu non ci abbandoni mai

e rendi fruttuoso il lavoro delle nostre mani

e soprattutto quello del nostro cuore,

desideroso di conoscere, amare e servire Te

oltre i limiti delle nostre povertà e stanchezze.

 

Signore donaci la forza

e la sincera volontà di ricominciare

da dove abbiamo lasciato

per non farci rubare la speranza

che Tu ci doni, senza nostro merito, in ogni istante. Amen” (Preghiera di padre Antonio Rungi).