Archivi Mensili: agosto 2017

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XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
Domenica 3 settembre 2017

La croce è il vero pensiero di Dio, perché è manifestazione del suo amore infinito.

Commento di padre Antonio Rungi

La XXII domenica del tempo ordinario ci presenta nuovamente Gesù in dialogo con Pietro e i suoi discepoli.

Questa volta al centro del loro pensare e ragione c’è la croce, c’è la morte in croce di Gesù.

Il Divino Maestro, infatti, prova a preparare il gruppo dei Dodici all’imminente scandalo che riguarderà il Figlio di Dio che verrà crocifisso, innocentemente e questo determinerà la crisi di fede nei gruppo e negli altri discepoli.

E’ bene leggere con attenzione tutto il testo del vangelo per capirne la grande portata spirituale per tutti noi cristiani, cogliere i vari passaggi che vi si incontrano: l’annuncio di Gesù della sua imminente croce e della risurrezione (“Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno”); il dispiacere e il risentimento di Pietro (“Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai»”);  la contro risposta di Gesù (“Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!»”); l’insegnamento finale e le raccomandazioni per quanto vogliono davvero discepoli del Signore (“Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?”); il richiamo al secondo e definitivo avvento di Dio, al giudizio universale (“Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni»”).

Nel testo del vangelo c’è al sintesi di cosa dobbiamo pensare e di come dobbiamo agire per essere in linea e in sintonia con Gesù. Chi non pensare alla croce e non si prende la responsabilità di portare la croce, non ha il pensiero di Cristo nella sua mente e di conseguenza è motivo di scandalo, perché rifiuta la croce, che è amore e donazione ed è apertura ad una vita nuova.

 

Gesù ribadisce con forza di fronte ad un Pietro smarrito e triste che se qualcuno vuole venire dietro Lui,  deve rinnegare se stesso, deve prendere la sua croce e mettersi alla sequela di Cristo segua.  Questa è la strada maestra che conduce alla salvezza dell’anima, quella che conta davvero davanti all’eternità. Infatti precisa Gesù, cercando di indurre ad un cambiamento di mentalità e di rotta il modo di pensare ed agire dei suoi discepoli: “Quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?”.

 

Molte persone sono convinte che la felicità sta nel possedere, nell’avere, nel ricoprire uffici e ruoli, nel comandare sugli altri, offendendo la dignità delle persone, strumentalizzando le loro debolezze per apparire più onesti e retti degli altri, quando in realtà sono dei sepolcri imbiancati come i farisei da Gesù contestati e condannati.

 

Quanta superficialità nel valutare davvero ciò che conta davanti a Dio e all’eternità, rispetto agli uomini e alla temporalità. Bisogna lasciarsi prendere totalmente da Dio, dalla prospettiva dell’amore e della consolazione che viene dal cielo, come ci ricorda il profeta Isaia nel bellissimo brano della prima lettura di oggi: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre”.

 

Questa seduzione spirituale ed interiore fa si che il profeta, per amore di Dio, condanna, denuncia, ma anche sopporta ogni umiliazione (“Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno”), ma lui testardo, perché profondamente innamorato di Dio, continua nella sua opera di parlare nel nome di Colui che è la verità assoluta (“Nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo”). Magari avessimo nel nostro cuore tanto amore ed ardore di annunciare la parola di Dio, nonostante i tanti ostacoli che la cultura materialistica, edonistica, positivista, atea del nostro tempo offre su scala locale e mondiale.

 

Noi, come il profeta Isaia andiamo per la nostra strada, mossi dal desiderio di parlare con la bocca e con la vita solo di Dio, forti e convinti più che mai dei consigli che ci vengono dall’apostolo Paolo, nel breve brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla lettera ai Romani, nel quale ci raccomanda come cristiani di non conformateci a questo mondo, ma di lasciarci trasformare rinnovando il nostro modo di pensare, “per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”.

Un itinerario spirituale, come è facile capire, che ci viene proposto oggi nella parola di Dio della XXII domenica, che parte dalla croce ed approda ad uno stile nuovo di essere e vivere da cristiani, non appiattiti sul modo di pensare e di agire di un mondo che non crede in Dio ed è senza Dio, come ci attestano tanti fatti di violenza, di sangue, di ingiustizia e di crudeltà, soprattutto verso i più piccoli e deboli della società.

Sia questa la nostra preghiera, con il salmo 62: “O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora io ti cerco, ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua… Signore, il tuo amore vale più della vita, le mie labbra canteranno la tua lode in eterno”. Amen.

P.RUNGI. COMMENTO ALLA XXI DOMENICA – 27 AGOSTO 2017

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XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
Domenica 27 agosto 2017

 

Gesù, anche per noi, come per Pietro,

Tu sei il Figlio del Dio vivente,

il nostro Redentore e Salvatore.

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

La XXI domenica del tempo ordinario, ci mette di fronte alla grande domanda che pone Gesù anche a noi oggi: “Io chi sono per te?”.

E’ la stessa domanda, che ha posto agli apostoli per sapere quale idea si erano fatti di lui, sia come gente comune, sia come discepoli ed apostoli. La riposta data, dopo un’indagine demoscopica, condotta dagli apostoli, è quella di una pluralità di opinioni e di idee che la gente si era fatto di Gesù: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».

Ma a Gesù non interessa tanto l’opinione pubblica, ciò che pensa la gente o il popolo, va direttamente alla questione centrale del suo rapporto con i discepoli. Per cui, giustamente, chiede: «Ma voi, chi dite che io sia?».

Chiaramente, per evitare una pluralità di opinione tra gli stessi apostoli, prende la parola Pietro e a nome di tutti, dice: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».

La professione di fede è chiara, non ammette tentennamenti e dubbi, è precisa anche nella terminologia biblica: “Tu, Signore, sei il consacrato, sei il Figlio di Dio”.

E’ una professione dettata da ispirazione divina e non dalle capacità razionali di Pietro di riflettere e capire chi era davvero Gesù.

E Gesù lo dice con parole molto precise, per far capire a Pietro, il perché lui si è pronunciato in quel modo: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli».

Da questa professione, nasce e si struttura la funzione di Pietro nella Chiesa e il suo ruolo preciso che gli assegna Gesù: «E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

E’ il celebre potere delle chiavi con cui anche nell’iconografia cristiana è rappresentato Pietro, primo degli apostoli e principe del gruppo dei Dodici. Questo potere delle chiavi è stato esplicitato teologicamente e dottrinalmente nel corso dei millenni. Essenzialmente, Gesù, affida a Pietro e quindi ai suoi successori, cioè il Pontefice, il Papa, il Vicario di Cristo sulla terra, di mantenere la comunione e l’unità all’interno della comunità dei credenti.

Non è solo la potestà della confessione, della scomunica, ma il positivo ruolo di creare comunione e di mantenere l’unità nel santo popolo di Dio, che è la chiesa, che è edificato sul solido fondamento degli apostoli. Questi, insieme a Pietro, guidano la chiesa, la reggono, la riformano, la mantengono viva, la fortificano, la correggono, in caso di necessità, e rettificano percorsi sbagliati di credere e di operare da cristiani e come cristiani.

Questo passo del vangelo che risulta essere tra i importanti per legittimare il servizio del Papa nella Chiesa, come Vescovo di Roma e come pastore universale della Chiesa cattolica, il suo primato di servizio e non di autorità, ci fa capire l’importanza di costruire la comunione ecclesiale intorno al pastore universale, il Papa, ai pastori delle chiese locali, i vescovi, ai parroci, responsabili delle comunità parrocchiali, di quella minima porzione del popolo di Dio che è la parrocchia.

La conclusione del brano del Vangelo, presenta una raccomandazione del Signore a Pietro e agli apostoli: “Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo”.

Gesù non vuole che si faccia una campagna pubblicitaria nei suoi confronti da parte di coloro che, più vicini a Lui, ispirati dal cielo, potevano affermare con assoluta certezza di fede, che Egli era il Cristo, il Figlio di Dio.

Vuole che a tale professione di fede, la gente vi arrivi attraverso un cammino interiore, un percorso di vita spirituale e personale che nessuna campagna pubblicitaria poteva far scattare, in quanto la fede è un dono di Dio e se uno lo accoglie, lo vive e lo professa con coraggio e senza paura, anche quando si tratta, come i martiri, di andare al patibolo per questa causa.

Su questo Dio di bontà e misericordia è incentrato il brano della prima lettura di oggi, tratto dal profeta Isaia, che guarda al futuro Re Messia con le insegne della vera regalità divina: “Sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme e per il casato di Giuda. Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire. Lo conficcherò come un piolo in luogo solido e sarà un trono di gloria per la casa di suo padre”.

In fondo, è quello che è stata e continua ad essere la missione di Cristo nel mondo.

Missione che l’Apostolo Paolo sintetizza e precisa nel brano della lettera ai Romani, nel versetto finale, che oggi ascoltiamo come seconda lettura: “Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen”.

Gesù Cristo è il centro della storia della creazione e della redenzione, in poche parole della storia della salvezza. E’ il Figlio di Dio, venuto su questa terra per ridare all’uomo dignità, libertà e speranza, perdute a causa del peccato originale, a causa del vecchio Adamo.

Sia questa la nostra umile preghiera, espressa nel salmo responsoriale di questa domenica XXI del tempo ordinario, con il pensiero costantemente rivolto ai tanti drammi dell’uomo moderno, specialmente di questi giorni, tra terrorismo e terremoti avvenuti o semplicemente ricordati: “Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore: hai ascoltato le parole della mia bocca. Non agli dèi, ma a te voglio cantare, mi prostro verso il tuo tempio santo. Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà: hai reso la tua promessa più grande del tuo nome. Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto, hai accresciuto in me la forza. Perché eccelso è il Signore, ma guarda verso l’umile; il superbo invece lo riconosce da lontano. Signore, il tuo amore è per sempre: non abbandonare l’opera delle tue mani.

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO – DOMENICA XX- 20 AGOSTO 2017

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XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
Domenica 20 agosto 2017

 

Fede e preghiera camminano insieme.

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

La parola di Dio di questa XX domenica del tempo ordinario, pone davanti a noi due temi importanti della religiosità cattolica: la fede e la preghiera.

 

Le due tematiche sono strettamente legate e non ci può essere fede senza la preghiera e pregare senza aver fede.

Se da un lato, infatti, preghiamo senza aver fede, senza credere in ciò che diciamo e speriamo perdiamo tempo inutilmente. Se diciamo di aver fede e non alimentiamo questa fede con la preghiera, questa fede rimane stabile e immobile e non progredisce e non ci fa progredire nella vita cristiana. Fede e preghiera camminano insieme. Questi concetti li comprendiamo benissimo alla luce della parola di Dio che ascolteremo in questa domenica di fine estate 2017.

Partendo dal vangelo, in cui troviamo una donna supplicante il Signore, perché liberi dalla possessione diabolica la sua figlia, con il risultato finale che la donna ottiene da Gesù quello che sta legittimamente chiedendo, in quanto “grande è la sua fede”, ma anche perché non si limita la sua richiesta ad un primo gesto, ad un primo atto del pregare. Anzi il suo pregare e il suo aver fede è talmente insistente che gli apostoli sono scocciati e fanno osservare a Gesù: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». La considerano in poche parole, una che da fastidio.

Nella struttura della richiesta di aiuto da parte della donna cananea, vediamo importanti atteggiamenti religiosi, che tutti dovremmo avere e curare.

Primo atto. Chiedere perdono: “Pietà di me, Signore, figlio di Davide!”, così  si rivolge la Cananea a Gesù. Ed aggiunge il motivo di questa richiesta che non è per se stessa, ma per sua figlia: “Mia figlia è molto tormentata da un demonio».

La risposta sta nel primo rifiuto del Signore alla richiesta: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». Come dire, tu sei cananea e non entri per ora nel progetto di Dio. Ma come sappiamo non è così. Tutto sono chiamati alla salvezza. E lo dimostra il fatto che alla fine, la donna viene esaudita, perché ha fede.

Nel secondo momento della richiesta, la donna si prostra davanti a Gesù e dice una cosa importante: «Signore, aiutami!». Dal riconoscimento del bisogno del perdono di Dio, alla richiesta del suo aiuto. Ma la risposta di Gesù a questa successiva richiesta è sempre di rifiuto: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». Potremmo pensare a Gesù come una persona senza cuore, che offende addirittura. Ma l’immagine del cagnolino è molto significativa nella Bibbia ed esprime la condizione del servo, del bisognoso, dell’emarginato. Ricordiamo tutti il passo del Vangelo del povero Lazzaro e del Ricco Epulone.

A questo punto, la donna potrebbe fermarsi nella richiesta e dire, qui non c’è niente da fare; ma lei non si ferma, è talmente convinta di ottenere quello che sta chiedendo al Signore al punto tale che, dice a Gesù: ». «È vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Come, dire che qualcosa lo puoi donare anche a me, infima tra i fratelli di fede.

La conclusione l’abbiamo anticipata nella parte iniziale della nostra riflessione, ma è davvero importante quello che fece e disse Gesù a questa donna di Canaan: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita”.

C’ è poco da capire e discutere su questo testo del vangelo, che è così di grande insegnamento per tutti coloro che hanno poca fede.

Questa donna e mamma, ha il coraggio, la forza, la costanza e sfrontatezza di ottenere da Gesù quello che la fede le suggeriva di chiedere per sua figlia.

Noi dobbiamo imparare da questa donna a chiedere e a sapere chiedere cose giuste per noi e per gli altri, rispettando i tempi del Signore e non aspettando in base ai nostri tempi ed esigenze.

La fede, dicevo, cammina con la preghiera, e la prima lettura di oggi ci fa riscoprire anche questo importante strumento per essere in comunione con Dio.

La preghiera è anche rispetto della sacralità dei luoghi e dei giorni. E qui nel brano, tratto dal profeta Isaia, troviamo espressi proprio questi concetti: “quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli”.

E’ evidente che il discorso della salvezza riguarda tutti i popoli e la casa del Signore, il tempio santo di Dio, è luogo in cui tutta l’umanità si trova unita per lo stesso scopo, quella della salvezza.

Il luogo di preghiera è il luogo dell’incontro e della fratellanza universale. E Dio, in Cristo ci ha reso fratelli tutti, di qualsiasi cultura, nazione, colore e razza.

Questa visione universale della salvezza è ben espressa nel desiderio di Paolo Apostolo di vedere i suoi ex-correligiosi convertirsi a Cristo.

In alcuni versetti di questo brano della sua lettera ai Romani mette, appunto, in evidenza questo suo desiderio e come cerca di lavorare per raggiungere questo scopo, non dimenticando, che bisogna lavorare su più fronti, perché l’ecumenismo non è un processo unilaterale di una religione rispetto ad un’altra.

Ci vuole dialogo e ci vuole il tempo necessario per maturare e andare nella direzione giusta ed unitaria: “Fratelli, a voi, genti, ecco che cosa dico: come apostolo delle genti, io faccio onore al mio ministero, nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni. Se infatti il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, che cosa sarà la loro riammissione se non una vita dai morti?”.

La grande speranza che nutre l’apostolo delle genti nel suo cuore di missionario del vangelo è quella della salvezza per tutti. Quella stessa speranza che deve animare la nostra azione apostolica e missionaria e deve caratterizzare la nostra preghiera quotidiana, come facciamo oggi nella colletta: “O Padre, che nell’accondiscendenza del tuo Figlio mite e umile di cuore hai compiuto il disegno universale di salvezza, rivestici dei suoi sentimenti, perché rendiamo continua testimonianza con le parole e con le opere al tuo amore eterno e fedele”. Amen.

SOLENNITA’ DELL’ASSUNTA 2017 – COMMENTO DI PADRE RUNGI CON PREGHIERA FINALE

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Solennità dell’Assunzione in cielo di Maria Santissima

15 Agosto 2017

Bella tu sei qual sole, bianca più della luna

Commento di padre Antonio Rungi

Un canto popolare che ben conosciamo ci fa tessere le lodi di Maria assunta alla gloria del cielo e prendendo spunto dal passo dell’Apocalisse di San Giovanni Apostolo fissa in alcuni versi chi è la nostra Madre celeste e come ci piace immaginarla nel santo paradiso, vicino al suo Figlio Gesù e vicino a tutti i figli redenti dal sangue preziosissimo di Cristo: Dell’aurora tu sorgi più bella coi tuoi raggi a far lieta la terra e fra gli astri che il cielo rinserra non v’è stella più bella di te. Bella tu sei qual sole bianca più della luna e le stelle più belle non son belle al par di te. T’incoronano dodici stelle, ai tuoi piedi hai l’ali del vento e la luna si curva d’argento; il tuo manto ha il colore del ciel. Col tuo corpo in Cielo assunta t’invochiamo devoti e festanti, la regina degli Angeli e Santi, la gran Madre di Cristo Gesù”. Con queste particolari e specifiche strofe del canto mariano popolare mi piace iniziare questa riflessione in occasione dell’annuale solennità di Maria Assunta in cielo, che è tra le più importanti che la cristianità dai primi secoli dedica alla Madre del Signore e quindi è quella che maggiormente è stata celebrata con particolare cura e devozione. E non solo da un punto di vista liturgico, ma anche artistico e associativo. Con la proclamazione del dogma, il 1 novembre 1950, Pio XII veniva a confermare anche nel dato dottrinale il culto all’Assunta vissuto nella liturgia dal popolo cristiano. In questo caso davvero il senso comune della fede, la religiosità popolare ha anticipato di secoli quello che poi è stato dichiarato un dogma di fede, con il quale professiamo che Maria è stata assunta in cielo in corpo e anima e quindi non ha sperimentato la morte, ma i meriti del Cristo suo Figlio: è stata assunta dalla potenza di Dio alla gloria dei cieli. In questi nostri tempi in cui la cultura della festa si è trasformata in qualcosa di assolutamente esteriore, questa giornata si colloca nel cuore dell’estate ed è un forte richiamo ai valori soprannaturali e spirituali. Con la Vergine Maria noi vogliamo sperimentare giorno per giorno quanto sia importante vivere completamente di Dio ed attendere il momento del nostro passaggio all’eternità come qualcosa di positivo, senza angoscia o preoccupazione del buio e del nulla dopo la morte. Questa è da considerarsi davvero come un addormentarsi in Cristo per essere accolti, ce lo auguriamo tutti, subito nella gloria del suo Regno, ben sapendo che anche i nostri corpi mortali risorgeranno alla fine dei tempi per un’eternità beata. Per Maria questo è stato possibile, in quanto per singolare privilegio, preservata dal peccato originale, non ha potuto essere soggetta alla morte, in quanto Dio stesso l’ha voluta tutta per sé dall’eternità e una volta concluso il cammino terreno nella sua realtà di composto umano costituito dall’anima e dal corpo. Ecco perché all’inizio della celebrazione della santa messa del giorno dell’Assunta noi preghiamo con tutta la chiesa con queste espressioni di grande apertura alla speranza. E Maria Stella della Speranza, come l’ha definita il Santo Padre Benedetto XVI nella sua Enciclica, Spe Salvi, è certamente la Maestra di vita spirituale da cui vogliamo apprendere il linguaggio dell’amore, della verità, della bontà e dell’eternità. Dio onnipotente ed eterno, che hai innalzato alla gloria del cielo in corpo e anima l’immacolata Vergine Maria, madre di Cristo tuo Figlio, fa’ che viviamo in questo mondo costantemente rivolti ai beni eterni, per condividere la sua stessa gloria.

La parola di Dio ci aiuta ad introdurci in modo responsabile e pieno alla solennità di oggi, che ha un forte richiamo all’essenza stessa della vita cristiana.

Dalla prima lettura tratta dall’Apocalisse di san Giovanni apostolo, come tutti i grandi esegeti, teologi e biblisti riferiscono questo brano alla figura di Maria: questa donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, un corona di dodici stelle, noi vediamo la Vergine Santissima assunta alla gloria del paradiso. Ed è un consolante segno per il popolo pellegrino sulla terra, perché dove è giunta lei possiamo, con la nostra risposta di fede, giungere anche noi.

Il Vangelo di Luca ci riporta alla realtà storica di Maria che fa visita alla sua cugina Elisabetta. Una Maria operativa, concreta, fattiva, vicino ai bisogni degli altri, modello di attenzione verso chi ha più bisogno, tabernacolo dell’altissimo che reca agli altri il suo Figlio, concepito in Lei per opera dello Spirito Santo e portato nel suo grembo verginale. Lo stile di vita di una donna che, per quanto preservata dal peccato originale e purissima in ogni suo comportamento è gesto, era una donna libera, perché la libertà vera è quella che si esercita per il bene, e quindi una donna che ci invita costruire la nostra felicità futura e presente lavorando seriamente per la nostra personale santificazione, con concreti gesti di amore, con il ringraziamento e la lode a Dio, con il riconoscerci umili e servi del Signore, con l’abbattere nella nostra vita tutte quelle forme ed espressioni di orgoglio che non possono aiutarci a dialogare in profondità con Dio e con la Vergine Maria.

Il Magnificat, inno mariano per eccellenza, costituisca la nostra personale preghiera nelle varie circostanze della vita non solo per rivolgerci alla Madonna per la preghiera del vespro quotidiano, ma anche per riflettere continuamente su questo brano del vangelo e trarre da esso la forza necessaria per vivere nella legge di Dio e nella carità verso il prossimo.

San Paolo apostolo, giustamente, nella sua riflessione sul mistero della risurrezione di Cristo e, indirettamente sull’Assunzione della Madonna al cielo, usa nei confronti dei cristiani di Corinto espressioni di portata teologica unica, in quanto ci dice esattamente ciò che succederà alla fine dei tempi, leggendo il tutto nel mistero del Cristo risorto. Le cose che verranno sono state descritte in questo testo, ma il giudizio universale, a cui fa riferimento l’Apostolo delle Genti, al secondo e definitivo avvento di Cristo sarà quello conclusivo in quanto il dolore e la morte saranno vinti per sempre, essendo la morte non solo quella fisica, ma quella spirituale ed interiore dell’uomo il vero nemico di Cristo, in quanto Lui vuole che tutti gli uomini si salvino nella sua morte e risurrezione. Egli è il primo di tutti i fratelli che nella fede e nella verità e bontà lo seguiranno nell’eternità. Maria in questa eternità per espresso volere e disegno di Dio c’è tutta interamente.

Per cui rallegriamoci tutti nel Signore, in questa solennità della Vergine Maria e con questa mia preghiera ci affidiamo a lei lungo tutto il cammino della nostra esistenza.

<<O Maria, Madre della gloria e della gioia, 

che oggi ti contempliamo tra i cori festanti degli Angeli e dei Santi, 

guida il nostro cammino, difficile e tortuoso, 

in questa valle di lacrime, perché nessuno dei tuoi figli, 

redenti dal sangue preziosissimo di Gesù, 

possa sentirsi abbandonato, umiliato, offeso nella sua dignità umana, 

nel nostro essere figli nel tuo Figlio, 

amati da un immenso cuore di Mamma 

che vigilia e protegge dal cielo ogni uomo di questa terra. 

Stendi la tua mano benedicente 

su quanti lottano per un mondo nuovo, 

in cui la giustizia e la pace 

possano trovare accoglienza a livello globale 

e nessun essere umano venga offeso, disprezzato e deriso, 

perché anch’essi destinati alla risurrezione finale, nel giudizio universale. 

Madre Santissima, prega ogni momento per noi 

che siamo nella prova e nell’attesa di tempi migliori” Amen.

P.RUNGI. IL COMMENTO ALLA XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – 13 AGOSTO 2017

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XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

 

Domenica 13 agosto 2017

 

Vicinanza e presenza di Dio, certificato di garanzia di salvezza per tutti.

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

La parola di Dio di questa XIX domenica del tempo ordinario che celebriamo all’antivigilia della solennità dell’Assunta ci aiuta a camminare sulla strada di una fede più forte, adulta, coraggiosa e fiduciosa nel Signore. Senza la fede e senza fiducia in Dio non possiamo risolvere nessun problema della nostra vita, soprattutto della vita interiore. Lo comprendiamo alla luce del Vangelo di oggi, in cui Gesù interviene per sedare una tempesta marina, durante la quale i suoi discepoli rischiarono di morire. Il vangelo di oggi è la successione dei fatti che avvennero dopo la moltiplicazione dei pani. Gesù si era ritirato solo sulla montagna a pregare, mentre i discepoli continuavano a svolgere il loro mestiere di pescatori. Finito di pregare si diresse verso di loro camminando sul mare e Pietro pensava che fosse un fantasma. E chiede la verifica se fosse davvero Lui, il Signore, per avere la certezza di uscire vivo da una situazione, che si era creata a bordo. Gesù più che rasserenarlo con le parole, gli chiede di venire verso di lui, camminando sulle onde del mare. Pietro incomincia a farlo, ma evidentemente la forza del vento e le onde del mare gli fanno perdere sicurezza dentro di sé e soprattutto la fiducia sulla parola che il Signore gli aveva detto. Poi tutto si ricompone nella salute e nella serenità di tutti, quando Gesù sale sulla barca e si quieta il mare e soprattutto la coscienza di Pietro e degli altri. Ma il rimprovero fu chiaro e sicuramente fece pensare a Pietro e al Gruppo e fa pensare anche a ciascuno di noi: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».

La nostra poca fede si manifesta proprio nei momenti di maggiore difficoltà nella nostra vita. Pensiamo che Dio non sia dalla parte nostra e che nonostante si riveli a noi in tanti modi Egli non c’è vicino. Ma vicino il Signore è sempre a ciascun credente e all’intera chiesa, è vicino all’intera umanità, che spesso naviga in mari burrascosi e senza l’aiuto del Signore rischia di affondare o naufragare sotto le forze delle guerre e dell’odio e delle ingiustizie.

Anche nei momenti della vita personale ed ecclesiale, Dio si manifesta a noi nel silenzio, nella semplicità, nella croce, nella gioia più vera. Non ha bisogno, come tanti uomini, di fare rumore, di fatti eclatanti per dirci che c’è e ci sarà sempre, come ci rammenta la prima lettura di oggi, tratta dal primo libro dei Re, nella quale è presentata l’ esperienza del profeta Elia nel momento in cui il Signore gli parla, in una caverna del monte Oreb, dove si era ritirato per trascorrere la notte: «Esci e fèrmati sul monte alla presenza del Signore». Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna”.

La caverna è simbolo della chiusura in noi stessi, nelle presunte nostre sicurezze. Dobbiamo uscire da noi stessi per poter davvero incontrare Dio ed ascoltare con chiarezza la sua voce. Se conserviamo un atteggiamento di estrema prudenza per garantire solo noi stessi, saremo degli egoisti e non avremo il cuore aperto a Dio e ai fratelli.

Perciò l’apostolo Paolo nel brano della seconda lettura di oggi, sempre tratto dalla sua fondamentale lettera ai Romani, rivela tutta la sua preoccupazione per la sua vita, per il mondo, per gli altri, inquadrando il tutto nella visione cristologica della storia della salvezza, che viene portata a compimento nel mistero della Pasqua di Gesù. Scrive, infatti, con estrema sincerità, quello che leggiamo e che riguarda i suoi fratelli israeliti, che non hanno capito ed accettato il Messia: “ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne”. E sottolinea, senza dimenticare tutto l’antica alleanza, che “essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi”, ma alla fine bisogna pure ammettere che Gesù Cristo “proviene da loro secondo la carne”, è Lui, “che è sopra ogni cosa”, e il  “Dio benedetto nei secoli”. E’ l’ammissione totale della sua fede nel Cristo Redentore e la conferma della sua autentica conversione al Signore sulla via di Damasco.

Forte richiamo a noi uomini del XXI secolo dell’era cristiana di avere fede in Cristo, unico Salvatore del mondo, il Dio fatto uomo nel grembo verginale di Maria e venuto nella storia nostra per portare la gioia della vera vita a tutta l’umanità.

Sia questa la nostra preghiera, unita a tutta la comunità dei credenti che ascolta questa parola e speriamo la possa vivere ogni giorno con maggiore impegno di vita cristiana ed umana: “Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: egli annuncia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli. Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme, perché la sua gloria abiti la nostra terra. Amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno. Verità germoglierà dalla terra e giustizia si affaccerà dal cielo. Certo, il Signore donerà il suo bene e la nostra terra darà il suo frutto; giustizia camminerà davanti a lui: i suoi passi tracceranno il cammino” (Dal Salmo 84).

TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE – 6 AGOSTO 2017- COMMENTO DI P.RUNGI

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Solennità della Trasfigurazione del Signore

 

Domenica 6 agosto 2017

 

I veri cristiani sono gli eroi dei due monti, il Tabor e il Calvario

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

 

La solennità della Trasfigurazione del Signore che celebriamo in questa prima domenica di agosto 2017, ci invita a fare un cammino tra due monti importanti, quello del Tabor e quello del Calvario. Fondamentalmente si tratta si seguire Gesù, insieme a Pietro Giacomo e Giovanni e salire sul luogo dove Cristo si trasfigura

davanti a loro, cambiando aspetto e esteriore, al punto tale che “il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce”. Questa esperienza di gioia e di paradiso, fa chiede agli apostoli a Gesù, che è accompagnato da Mosè e da  Elia, di restare lì per  sempre. Quella montagna è gradevole e invita addirittura a stabilizzarsi lì, vivendo in contemplazione,  per tutta la vita. Ma Gesù ricorda agli apostoli che bisogna lasciare quella montagna, perché a lui e a tutti ce ne aspetta un’altra quella che si chiama Calvario. Si è eroi non solo nel successo, ma anche nell’apparente insuccesso. Il Monte Tabor è il monte della Gloria, il Monte Calvario e il Monte della Salvezza e della Redenzione. L’uno e l’altro sono legati da un filo conduttore, che è la vita di Gesù.  Salire su questi due monti, vuol dire per un cristiano essere davvero dalla parte di Dio, che si rivela a noi nella gloria, ma anche nel dolore. Amare Cristo del Tabor è amare Cristo Crocifisso, perché è l’unico Figllio di Dio che si rivela a noi, sia sul Tabor che sulla Croce. Non a caso il testo del vangelo di questa solennità, puntualizza la nuova manifestazione di Gesù Cristo come Figlio di Dio: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». La conseguenza di questa nuova manifestazione, sta nell’adorazione degli apostoli e nell’atteggiamento della piena sottomissione a  Dio della loro vita, Infatti,  i tre apostoli “all’udire ciò caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo”. Dopo l’esperienza della gioia e della gloria si ritorna a stare tu a tu con Gesù, riprendo un cammino di cui il Tabor è solo una tappa bellissima, ma proiettata al Calvario. Tanto è vero che “mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti». Perché Gesù chiede ai tre di mantenere il segreto di quello che hanno visto? La risposta è semplice: perché nella gioia, quando le cose vanno bene, si è portati a credere facilmente, senza ragionare più di tanto. E’ quando ci troviamo di fronte al dolore, alla morte, alla prova, alla sofferenza, quando dobbiamo salire anche noi il nostro Calvario portando la nostra croce, allora diventa difficile credere ed affidarsi al Signore. Gesù vuole preparare i suoi te apostoli più vicini a Lui al mistero della Croce che si compirà da li a poco. Questa fede nel crocifisso e risorto, necessità di verifiche e di convinte adesioni personali ed ecclesiali. San Pietro nel brano della seconda lettura di questa solennità, ci dice esattamente come si giunge alla fede e quali percorsi interiori profondi essa richiede: “Carissimi, vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza”. Pietro si riferisce al Tabor, ma anche alla croce e alla risurrezione. Egli è presente a tutti questi avvenimenti e dopo la risurrezione del Signore e il dono dello Spirito Santo, si fortifica nell’annuncio missionario della salvezza operata da Cristo nel mistero della Pasqua. In poche parole, dice il principe degli apostoli, non vi stiamo vendendo chiacchiere o altro, ma vi stiamo dicendo la verità, che abbiamo constato con i nostri occhi. Infatti, precisa ciò che è davvero successo. Gesù “ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria: «Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento». Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte”.

Evidente il segno profondissimo che aveva lasciato nella vita di Pietro e degli altri Apostoli la trasfigurazione.  Ma Pietro non si ferma a ripresentare ciò che ha visto e sentito, ma rivolge anche un caloroso appello a valorizzare la parola di Dio dell’Antico Testamento, per accostarsi in modo lodevole alla figura del Messia:  “E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino”. Chiaro invito a fare spazio nella propria vita a Cristo, come lampada che brilla nel buio della nostra esistenza e apre il cuore alla luce della fede.

Quella luce di cui ne descrive le connotazioni essenziali il testo della prima lettura di oggi, tratto dal profeta Daniele, nel quale, in una visione del tutto particolare, riguardante il Figlio di Dio, Daniele, riporta testualmente: “Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno;

tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto”. Cosicché la Trasfigurazione di Gesù si raccorda con la solennità conclusiva dell’anno liturgia: Gesù Re dell’universo. La regalità di Cristo è sul Tabor, ma soprattutto sul Calvario, sulla Croce, l’atto più grande dell’amore infinito di Dio per noi.

Preghiamo, allora con la Chiesa, con le stesse parole della colletta di questa solennità: “ O Dio, che nella gloriosa Trasfigurazione  del Cristo Signore, hai  confermato i misteri della fede con la testimonianza della legge e dei profeti e hai mirabilmente preannunziato  la nostra definitiva adozione a tuoi figli, fa’ che ascoltiamo la parola del tuo amatissimo Figlio  per diventare coeredi della sua vita immortale.  Amen