Archivi Mensili: ottobre 2009

La solennità di Tutti i Santi

Rungi-Marcianise2008-1.jpgTrentesima domenica del tempo ordinario

Solennità di Tutti i Santi

1 Novembre 2009

 

I diversi aspetti e la varietà della santità

 

di padre Antonio Rungi

 

Celebriamo oggi la Solennità di Tutti i Santi, in questa prima domenica di novembre, che apre il mese dei morti. Domani, infatti, ricorderemo nell’annuale commemorazione di tutti i fedeli defunti, quanti hanno lasciato questo mondo e godono o sono in attesa di godere della visione beatifica di Dio.  La solennità odierna  ci porta nel cuore stesso del mistero della salvezza eterna verso la quale siamo tutti incamminati per strade e percorsi diversi. Siamo, infatti, tutti chiamati alla santità e tutti possono diventare santi, cioè realizzare la beatitudine nel tempo e nell’eternità.

Oggi la chiesa pone alla nostra attenzione i santi conosciuti e quelli meno conosciuti, quelli ignoti, in poche parole coloro che godono della visione beatifica di Dio. Tutti coloro che hanno vissuto nella legge di Dio, nel timore di Dio e si sono sforzati per diventare sempre più perfetti nell’amore verso Dio e verso i fratelli. E non sono pochi, perché l’evangelista Giovanni, nell’Apocalisse afferma che vide “una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua”. E’ la conferma biblico-teologica che la salvezza è rivolta davvero a tutti e tutti partecipano del banchetto del cielo. Certo chi ha avuto il dono di testimoniare la fede fino al martirio, fino allo spargimento del sangue per amore di Cristo, viene indicato come modello per eccellenza agli altri. D’altronde i martiri sono i testimoni della fede e quanti vogliono raggiungere la santità non possono non seguire la strada del martirio quotidiano. Ecco perché nel testo dell’Apocalisse della prima lettura di oggi si sottolinea in particolare la presenza dei martiri nella schiera dei beati. “Io, Giovanni, vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio». E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele. Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello». E tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen». Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello».

La vita cristiana richiede una purificazione continua, un cammino di perfezionamento nell’essere e nell’agire, che abbia di mira la Gerusalemme celeste, senza trascurare la Gerusalemme terrestre, cioè il mondo in cui siamo chiamati a realizzare la nostra vocazione ed applicare concretamente i carismi ricevuti. Santi non si nasce, ma si diventa, a partire da quel giorno del Battesimo, in cui siamo stati avviati a quel percorso di santità con il dono della grazia battesimale, con l’eliminazione del peccato originale e la nuova condizione di figli di Dio, per mezzo di quella stessa grazia battesimale che ci ha fatto passare dallo stato naturale a quello soprannaturale. L’atto fondante della nostra opzione per la santità è proprio quel dono del Battesimo che ci immette in quella linfa vitale che è la grazia santificante. Vivere nello stato di grazia significa allontanarsi dal peccato e seguire la via di Dio. Non è facile, ma con la vita di preghiera, la frequenza ai sacramenti, con la lotta contro le tentazioni della carne, degli occhi e la concupiscenza di ogni genere si può progredire nella santità e vivere in grazia.

Questa condizione speciale in cui siamo la sottolinea la prima lettera di san Giovanni apostolo, secondo lettura della liturgia odierna. “Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro”.

La fede nella vita eterna ci dice una cosa importante: “quando Dio si manifesterà, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è”. La speranza nella vita eterna ci mette in uno stato di purificazione, per essere puri come Dio è puro. Si tratta di quel cammino di spiritualità, in quanto Dio è puro spirito e la santità è sinonimo di spiritualità, ma anche umanità, sensibilità, carità, impegno per la pace, per la giustizia.

I santi sono coloro che hanno la mente rivolta al cielo, ma camminano con i piedi per terra, cioè realizzano qualcosa concretamente, non limitandosi ad annunciare, ma ad operare. I beati e la beatitudine di cui parla il Vangelo di Matteo nel celebre discorso della Montagna, tenuto da Gesù davanti alle persone che lo seguivano è un insegnamento di ampia portata educativa, sul quel cammino di santità sul quale siamo immessi, ma non sempre seguiamo speditamente. A volte siamo noi stessi a rallentare questo cammino, anzi a fermarci, a bloccarci di continuo, perché ci facciamo distrarre da percorsi alternativi, come quando ci troviamo in un ingorgo e cerchiano vie di fuga. La santità richiede coerenza e costanza, fedeltà a Dio, coraggio nelle proprie azioni, forte propensione a guardare oltre e a non fermarsi al primo intoppo. Ecco perché questo testo sulle beatitudini è stato inserito nella liturgia della solennità di tutti i santi, in quanto in esso sono individuate le molteplici categorie di persone che sento davvero l’urgenza nel loro cuore di mettersi alla sequela del Cristo Maestro. Qui infatti troviamo espresso l’alto magistero di Cristo, il vero pedagogo, il maestro divino che parla ad esseri umani, con il linguaggio dell’amore, del perdono, della pace, della giustizia, della solidarietà. In poche parole il codice ed il linguaggio della vera santità concretizzata in scelte radicali di vita per amore di Dio e dei fratelli, secondo quando riusciamo a intendere dal Vangelo di Matteo: “In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli»

Nel pensare alla grande moltitudine di quelli che hanno raggiunto la gloria del cielo, vivendo gli insegnamenti del vangelo, ci si apre il cuore alla speranza. E’ vero che molti sono i chiamati e pochi gli eletti, ma è altrettanto vero che la misericordia di Dio è infinita e che il Signore non vuole che nessuno dei suoi figli vada perduto.

Ci affidiamo, quindi, alla protezione di tutti i santi e particolarmente dei nostri protettori, delle anime sante che abbiamo incontrato e conosciute nella nostra vita, perché si facciamo interpreti delle nostre attese e desideri di santità presso il trono dell’Altissimo, ma anche di una vita serena e tranquilla in questo mondo, nell’attesa di incontrare il Signore nella gloria del Santo Paradiso.

Molti di noi ricordo un vecchio proverbio che era anche una forma augurale che le persone di una certa età esprimevano in senso di affetto di fronte ai bambini appena nati o in fase si sviluppo: “Cresci santo e vecchietto”, cioè buono e per una lunga vita.

E’ augurio che rivolgo a ciascuno di voi in questa giornata di festa per tutti. Oggi è l’onomastico di tutti, perché noi cattolici in questo giorno ricordiamo i nostri santi patroni e protettori che dovremmo imitare nella vita e nella santità.

Sia questa la nostra preghiera che sgorga dal nostro cuore proiettato nella vita oltre la vita, a quella vita in vita, che ha solo un grande e promettente nome: il Paradiso.

“Dio onnipotente ed eterno, che doni alla tua Chiesa la gioia di celebrare in un’unica festa i meriti e la gloria di tutti i Santi, concedi al tuo popolo, per la comune intercessione di tanti nostri fratelli, l’abbondanza della tua misericordia. Amen.

Commento alla parola di Dio di domani

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Trentesima domenica del tempo ordinario

 

25 ottobre 2009

 

La cecità delle nostre idee, la luce della fede in Cristo

di padre Antonio Rungi

Celebriamo oggi la XXX Domenica del tempo ordinario e la parola di Dio ci mette di fronte alla guarigione del cieco, che come tematica ci richiama alla nostra attenzione la cecità delle nostre idee e la luce che viene dalla fede in Cristo. L’incontro con Gesù da parte di Timeo lo guarisce nel corpo riacquistando la vista, ma soprattutto nell’anima perché scatta in lui il dono meraviglioso della fede. Una fede espresso con l’implorazione, con la insistenza, con il grido forte del disperato, della richiesta della misericordia e dell’aiuto divino. La coscienza che la malattia fisica fosse conseguenza del peccato, è evidente nella sacra scrittura. Ma come sappiamo non c’è uno stretto rapporto tra malattia del corpo e lo stato di peccato. Basta considerare che molte sante persone, che conosciamo o che sono stati proposti come modelli di vita e dichiarati santi, nella loro vita non vivevano in peccato eppure sono stati toccati da tante infermità che hanno accettato per amore di Dio e fissando lo sguardo nel Crocifisso e abbracciandosi la croce; altri invece che vivono in una evidente e pubblica condizione di peccato e che sono ottimamente in salute. Qui entriamo in quel mistero della incomprensione della sofferenza umana che privilegia alcuni e lascia liberi altri. Timeo, il cieco del vangelo avverte su di sé il pesa del peccato e chiede la conversione del cuore e della guarigione dell’anima. Egli ottiene l’uno e l’altro dono, tanto che una volta guarito non va viene, ma si mette alla sua sequela. Non fa come tanti cristiani o credenti che ottenuti la grazia e l’aiuto di Dio si dimenticano con facilità del dono ricevuto, ritornando ad uno stile di vita di indifferenza o apatia interiore. Quest’uomo guarito si mette alla sequela di Cristo e il dono ricevuto lo trasforma in missione e discepolato. Come è difficile lasciare dietro di se le esperienze negative per iniziare un nuovo cammino. Il cieco è esempio che è possibile iniziare una vita diversa dal passato non più fatta di cecità sulla propria vita e su quella degli altri, ma fatta di apertura alla fede, alla verità, alla luce. Non dobbiamo diventare giudici severi degli altri prendendo il posto di Dio nel valutare la vita, la condizione e la interiorità dei nostri fratelli, noi dobbiamo accogliere solo il grido di aiuto quando ci viene richiesto e se possibile rispondere a questo grido non con l’orgoglio di chi sa o pensa di sapere di più o di essere nel giusto, ma di chi si mette alla ricerca e alla sequela come il cieco guarito. Solo Cristo è la nostra vera guida e luce. Tutti gli altri possono rifletterlo più o meno in modo adeguato, ma nessuno si deve sostituire all’azione sanante e santificatrice della grazia del perdono e della conversione che viene dal Signore. In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

Bisogna prende coscienza anche tra i credenti o quanti hanno la responsabilità pastorale che l’unico Salvatore e Cristo e nessun può negare alle persone che chiedono di incontrare Cristo nella confessione, nella comunione mettendo paletti ed ostacoli di ogni genere, facendo pesare sugli altri la responsabilità morali e avendo poca attenzione ad un cuore in cerca di perdono e avvicinamento al Signore. Molti sono i ciechi spirituali dei nostri tempi che hanno bisogno di incontrare il Signore. Aiutiamoli ad avvicinarsi a Lui e non ad ostacolarli, come la gente che riprova il cieco, mentre gli chiede di Gesù alzando la voce.

Stesso bisogno di Dio viene espresso nel libro del profeta Geremìa, testo della prima lettura di oggi, in cui il popolo pone la sua fiducia e speranza nel Signore Così dice il Signore: «Innalzate canti di gioia per Giacobbe, esultate per la prima delle nazioni, fate udire la vostra lode e dite: “Il Signore ha salvato il suo popolo, il resto d’Israele”. Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione e li raduno dalle estremità della terra; fra loro sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente: ritorneranno qui in gran folla. Erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni; li ricondurrò a fiumi ricchi d’acqua per una strada dritta in cui non inciamperanno, perché io sono un padre per Israele,
Èfraim è il mio primogenito».

Quanto è importante leggere oggi queste parole del profeta “Dio è Padre” non giudice solo. Egli ci conforta e ci consola. La sofferenza non può essere l’unica compagna della nostra vita. Perché partiamo spesso con essa e poi arriva la gioia e la consolazione, il momento della tranquillità e della serenità interiore.

Gesù è davvero l’eterno, sommo sacerdote che guarisce le nostre ferite del cuore e del corpo. In lui possiamo e dobbiamo riporre ogni legittima aspettativa di salvezza terrena ed eterna. Nonostante le nostre fragilità egli ci aiuta in questo itinerario verso la salvezza, meta ultima del nostro cammino nel tempo. Il suo sacrificio sulla Croce per noi è compassione per noi, è comprensione della nostra debolezza, è purificazione dei nostri peccati è soprattutto riconciliazione e misericordia. “Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo. Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato», gliela conferì come è detto in un altro passo: «Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek».

A questo sommo ed eterno sacerdote devono ispirarsi tutti i sacerdote che, purtroppo, non sempre sanno compatire e capire chi si trova nella sofferenza, nel dolore, nel peccato, nella fragilità, perché molti sono nella ignoranza e nell’errore e devono essere guidati alla comprensione del vero ed eterno Dio, rivelato in Cristo. Non si tratta di mettersi sul piedistallo della sapienza umana e acquisita sui libri, ma dal piedistallo della Croce, come Cristo, perché nel sacrificio redentore del Cristo noi comprendiamo il vero senso del suo essere sacerdote e del nostro sacerdozio comune e ministeriale. Nell’amore e nell’oblazione della sua vita, Gesù ci dà lo strumento essenziale ed indispensabile per vivere ed esercitare il nostro sacerdozio, soprattutto se è quella speciale vocazione al servizio nella Chiesa e per la Chiesa, a modo di Cristo Capo.

Sia questa la nostra umile preghiera di questa giornata di festa che apre il nostro cuore alla speranza e alla gioia nel Signore. Quella gioia che solo un volto illuminato dalla luce di Cristo può assaporare anche nei momenti più bui della sua vita: “O Dio, luce ai ciechi e gioia ai tribolati, che nel tuo Figlio unigenito ci hai dato il sacerdote giusto e compassionevole verso coloro che gemono nell’oppressione e nel pianto, ascolta il grido della nostra preghiera: fa’ che tutti gli uomini riconoscano in lui la tenerezza del tuo amore di Padre e si mettano in cammino verso di te”. Amen

 

P.Rungi guida pellegrinaggio a S.Gabriele

Rungi-Marcianise2008-3.jpgMondragone (Ce). P.Rungi guida il pellegrinaggio dell’Associazione nazionale dei Carabinieri Sez. Marcianise al Santuario di San Gabriele dell’Addolorata. Vicino ai terrmotati de L’Aquila

Sarà padre Antonio Rungi, religioso passionista della comunità di Mondragone, teologo morale campano, ex-Superiore provinciale dei Passionisti della Campania e Lazio Sud, a guidare domenica, 25 ottobre, il pellegrinaggio dell’Associazione nazionale carabinieri, Sezione di Marcianise, presieduta dal maresciallo Davide Morrone, al Santuario di San Gabriele dell’Addolorata, all’Isola del Gran Sasso d’Italia, in provincia di Terano. Il gruppo di pellegrini partirà da Marcianise e Caserta alle ore 7.00 ed arriverà alle ore 10,30. Alle ore 11.00 è prevista la santa messa nel Santuario di San Gabriele, presieduta da padre Antonio Rungi ed animata dal gruppo dei pellegrini. L’associazione si presenterà alla celebrazione in uniforme e renderà culto al grande santo, protettore dell’Abruzzo e compatrono della gioventù cattolica italiana. La sezione di Marcianise dell’Associazione nazionale dei Carabinieri conta oltre 100 iscritti e ne fanno parte militari in servizio, ex-militari, parenti e conoscenti diretti dei Carabinieri della zona di Marcianise e Caserta. Una bellissima realtà umana e sociale, oltre che spirituale, che ha un punto di riferimento stabile in Marcianise e il suo assistente spirituale in padre Antonio Rungi che ne segue la crescita spirituale nei momenti forti dell’anno liturgico come la Festa della Virgo Fidelis, quest’anno in programma il 22 novembre alle ore 11.00 presso la Chiesa dell’Assunta ai Pagani in Marcianise, retta dal parroco don Alfonso Marotta. Il precetto pasquale, i vari pellegrinaggi ed altri momenti di preghiera condivisa tra tutti gli associati, come la recente celebrazion eucaristica del 20 settembre scorso nella Chiesa dei Padri passionisti di Mondragone. Il pellegrinaggio a San Gabriele dell’Addolorata è motivato dal fatto che diversi membri dell’Associazione sono sentiti e fedeli devoti di questo santo della famiglia passionista, fondata da San Paolo della Croce, i cui figli spirituali hanno avuto ed hanno una presenza significativa nella Provincia di Caserta, non solo con conventi, ma anche con la predicazione itineranti in vari comuni della Provincia di Terra di Lavoro. Basta ricordare il convento dei passionisti nella Reggia di Caserta, poi chiuso, con un’importante via che costeggia la Reggia dedicata ai passionisti, o la presenza dei passionisti ad Aversa, convento chiuso. Oggi i religiosi pssionisti sono presenti in provincia di Caserta a Mondragone e Calvi Risorta. La devozione a San Gabriele è stata diffuso attraverso la predicazione delle missioni popolari e la predicazione itinerante che ancora oggi viene assicurata in varie parti del casertano. Quindi un gesto di gratitudine ad un santo della grande famiglia passionista, San Gabriele dell’Addolorata, punto di riferimento spirituale per giovani, adulti, anziani, ammalati, persone in difficoltà che ricorrono a questo santo nel cuore dell’Abruzzo, toccato dal disastroso terremoto del 6 aprile scorso e che in parte ha interessato l’antico santuario di San Gabriele dell’Addolorata. Il gruppo dei fedeli, circa 50 devoti, guidato da padre Antonio Rungi, partirà alla volta dell’Isola el Gran Sasso, con la speranza di ritornare da questo momento di preghiera davanti alle sacre spoglie di San Gabrile dell’Addolorata più ricaricati spiritualmente per affrontare le sofferenze, le prove e le pene della vita quotidiana contando sull’aiuto e la protezione di questo grande e miracoloso santo,ma anche per portare conforto e solidarietà alle popolazioni terremotate de L’Aquila e dintorni.

Il commento alla parola di Dio di Domenica

15102009(002).jpgVentinovesima domenica del tempo ordinario

 

18 ottobre 2009

 

La via maestra dell’umiltà e della fiducia in Dio

di padre Antonio Rungi

Celebriamo oggi la XXIX Domenica del tempo ordinario e la parola di Dio ci mette di fronte alla via maestra dell’umiltà e del servizio. Il cristiano, sul modello del Cristo che da ricco si fece povero, è chiamato a vivere la radicale scelta dell’ultimo posto, nel servizio umile e disinteressato. Il modello etico a cui ispirare la propria condotta di vita non potrà essere un uomo qualsiasi assetato di potere e dei primi posti, come era al tempo di Cristo e come è stato sempre, soprattutto a nosti tempi. Di dittatori di ogni genere la storia ne conta tantissimi, quelli che hanno seminato solo morte e distruzione, quelli che hanno messo in moto uno stile di prepotenza e di arroganza dal quale per liberarsene l’umanità ha avuto necessità di fare guerre e rivoluzioni. Se la logica del mondo segue i parametri del potere, la logica della Croce e del Vangelo segue le regole del servizio e del distacco dalle cose. Il vero credente e discepolo del Cristo non si fa affascinare dai bagliori delle potenze economiche, militari, mass-mediali, non va alla ricerca della ribalta, ma se per caso dovesse trovarsi involontariamente in tali situazioni non deve fare altro, in ragione della sua posizione favorevole e vantaggiosa, di servire, di farsi schiavo per gli altri, di rinunciare alle proprie vedute delle cose, per dare spazio alle vedute degli altri, a non rivendicare diritti e primazie, ma a sentirsi in dovere di scegliere l’ultima posizione della gerarchia e della valutazione umana. Per il cristiano conta l’essere primi al traguardo della vita, cioè nella condizione, in base alla vita svolta di servizio e generosità verso gli altri, di trovarsi degni di essere accolti nella gloria del cielo. Correre verso questo traguardo, significa dare spazio a Dio nella nostra vita e non cercare spazio per noi stessi, magari togliendo lo spazio anche a forza di gomitate a chi ha diritto di occuparne almeno una parte. Proprio perché vogliamo a tutti i costi primeggiare spesso ci troviamo di fronte ai primi che sono primi davvero in senso di testimonianza di santità a non essere considerati ed esclusi, mentre gli ultimi, quelli che sono l’opposto della virtù, del bene ad occupare posti che non meritano, anche perché sono di scandalo e non di esempio. Il testo del Vangelo di oggi è molto esplicito e chiaro, non necessita di commenti, ma solo di concreta attuazione nella vita quotidiana, dovunque ci troviamo ad agire. E’ chiaro che la superbia e l’arroganza non si coniugano per nulla con l’insegnamento di Cristo, che è venuto a servire e non per essere servito, si è fatto letteralmente schiavo per liberare noi dalla schiavitù del peccato. Considerare questo per un cristiano di oggi è andare all’origine stessa dei fondamenti della sua fede. Una fede non sola di dogmi, ma soprattutto di vita il cui modello principale è il Cristo Crocifisso. “In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Al mistero della Croce e del Crocifisso fanno direttamente riferimento i due altri testi biblici di oggi, la prima e la seconda lettura, tratti rispettivamente dal Libro del Profeta Isaia e dalla Lettera, di scuola paolina, agli Ebrei. Due brani di ampio spessore dottrinale e dogmatico. “Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità”. Come non leggere in questo brano il mistero della Croce di Gesù. Si prefigura qui l’uomo del dolore, ma anche il redentore, colui che porterà la salvezza, porterà la luce all’umanità, quella luce della grazia mediante la quale noi possiamo rivolgerci a Dio e chiamarlo Padre e ottenere da Lui la pace e la riconciliazione. La prefigurazione del Cristo Redentore dell’umanità, che Isaia ci delinea in questo brano, pur riferendosi ad altre realtà del suo tempo e della sua personale esperienza di profeta del Signore, ci aiuta a capire come fin dal tempo di Israele il discorso della salvezza è posto al centro della propria esperienza di popolo di Dio, un popolo di salvati, un polo eletto, un popolo unico, perché caro a Dio, Padre di tutti. In Cristo non una salvezza ridotta ad un solo popolo, ma estesa all’umanità intera. Ecco il senso di quella discendenza numerosa che scaturirà della Croce del Signore, ovvero tutti coloro che seguendo Cristo, patendo e soffrendo con Lui, per Lui ed in Lui, troveranno la forza per guardare nell’orizzonte della luce che salva, la luce della croce e del Calvario. E proprio sul sacrificio di Cristo in Croce che si sofferma per nostro personale insegnamento il breve brano della lettera agli Ebrei: “Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno”. In questo Dio Crocifisso dobbiamo mettere tutta la nostra fiducia e riporre ogni nostra speranza. Egli sa prendere parte alle nostre sofferenze e non chiude il suo cuore davanti alle nostre richieste di perdono e misericordia per i peccati commessi. Bisogna accostarsi con fiducia a questo trono non del giudizio, ma della misericordia. Per troppo tempo abbiamo nascosto o non considerato adeguatamente il volto misericordioso di Dio Padre, facendo risaltare più il Dio Giudice, il Dio che condanna, che punisce, il Dio terribile. In realtà il Dio che Cristo ci ha rivelato è il Dio Amore, carità, pazienza, compassione, misericordia, gioia che fa festa per ogni peccatore che si converte, che vuole la salvezza di tutti, che va alla ricerca della pecorella smarrita e che ha perso l’orientamento morale ed etico e si è smarrita nel dedalo delle tentazioni della carne e delle passioni umane. Anche questi sono figli di Dio, sicuramente più bisognosi del suo aiuto e della sua dolcezza e tenerezza di Padre. Ecco perché bisogna accostarci con fiducia alla misericordia, mai disperare della salvezza eterna, anche se la nostra vita è stata contrassegnata da tanti peccati e tante fragilità. Dio non vuole la nostra morte spirituale definitiva, ma che ci convertiamo e viviamo. Ed ogni tempo è opportuno perché questo avvenga se siamo docili alla grazia di Dio, allo Spirito Santo e se ci facciamo guidare da persone sagge e sante e non da esaltati e fanatici che distorcono il senso della vera fede cattolica. Sia questa la nostra preghiera domenicale, che ci introduce nella celebrazione eucaristica, ma soprattutto ci immette in quel clima di fiducia nel Signore che mai deve venir meno anche se abbiamo toccato il fondo della nostra debolezza e immoralità: “Dio della pace e del perdono, tu ci hai dato in Cristo il sommo sacerdote che è entrato nel santuario dei cieli in forza dell’unico sacrificio di espiazione; concedi a tutti noi di trovare grazia davanti a te, perché possiamo condividere fino in fondo il calice della tua volontà e partecipare pienamente alla morte redentrice del tuo Figlio”. Amen.