prima domenica di avvento

Tu nostro Padre e Redentore

Prima Domenica di Avvento

30 Novembre 2008

Tu sei nostro Padre e Redentore

di padre Antonio Rungi

Con la prima domenica di Avvento, inizia il nuovo anno liturgico. Ci accompagnerà nella riflessione e meditazione domenicale la Parola di Dio del Legionario Anno B. I testi revisionati ultimamente da parte della Conferenza Episcopale Italiana ci permettono di entrare nella Parola di Dio con più cognizione terminologica e con più precisione concettuale e pastorale. Iniziando il nuovo anno, non possiamo con valutare il cammino che ci attende da compiere per la nostra personale santificazione in questo nuovo tempo di grazia che il Signore ci dona, sia perché ci prepariamo al Natale, proprio con il tempo di Avvento, e sia perché davvero davanti a noi si aprono nuovi orizzonti di salvezza, in quanto la grazia che il Signore abbondantemente ci donerà in questo nuovo anno servirà per elevarci a Lui, non trascurando di sta accanto ai nostri fratelli, specie quelli più in necessità e toccati dalla fragilità umana. Ecco che la nostra preghiera iniziale, non solo della celebrazione eucaristica di questa prima domenica di Avvento, ma per tutto l’anno liturgico e soprattutto per tutti i rimanenti giorni del nostro pellegrinaggio terreno sia questo: O Dio, nostro Padre, suscita in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene, perché egli ci chiami accanto a sé nella gloria a possedere il regno dei cieli”. La nostra buona volontà di andare incontro a Cristo passa attraverso le azioni buone, quella che possiamo classificare come frutto e dono dello Spirito Santo. Si entra nella dinamica spirituale che il vangelo di oggi indica come vigilanza. Vigilare sul nostro pensiero e sulle nostre azioni, sul nostro intelletto e sulla nostra volontà, in quanto entrambi possono deviare ed entrambi possono indiziarci verso il male. Vigilando si va verso il controllo delle proprie convinzioni ed azioni e ci si rende continuamente conto se rispondono perfettamente o solo sufficientemente alla volontà di Dio e al nostro progetto di salvezza. Il testo del Vangelo di Marco ci aiuta in questo discernimento: “In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.  Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!». E’ evidente che per chi ha cuore la propria e personale crescita interiore non può abbandonarsi ad opere che non siano espressione di quella volontà di incontrarsi continuamente con chi è la fonte della nostra gioia e consolazione, che è Cristo Signore. Egli vive in un atteggiamento di continua attesa, non perché abbia paura, ma semplicemente perché quando il Signore giungerà lo trovi sveglio e cioè ricco di opere di bene. Il sonno, in campo spirituale, denota lo stato di abbandono, parziale o totale, della legge di Dio. Questa tipologia di sonno va evitata ad ogni costo, perché se effettivamente ci lasciamo andare, non sarà facile risvegliarsi, soprattutto se la sveglia chi chiede di recuperare le energie perdute ed il tempo perduto. La vigilanza è perciò attenzione alla moralità dei propri atti, ma è preghiera e dialogo continuo con il Signore, soprattutto nell’eucaristia, ove Egli si offre a noi come cibo e bevanda, come farmaco di immortalità. Si comprende, allora, alla luce di quanto detto, quello che scrive di se stesso l’Apostolo delle Genti, nel breve brano della Prima Lettera ai Corinzi che oggi ascoltiamo come seconda lettura della Parola di Dio di questa prima domenica di Avvento: “Fratelli, grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo! Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza.
La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. Egli vi renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro!”.
L’Apostolo Paolo è riconoscente al Signore per i doni ricevuti, ma anche della crescita delle fede in Cristo tra i cristiani di Corinto. Due le vie che Paolo indica per entrare nel mistero di Cristo con la piena consapevolezza e adesione: la via della conoscenza e la via dell’annuncio. Conoscere è fare esperienza profonda di Cristo. Da questa esperienza nasce il desiderio e la volontà di dire agli altri e comunicare ai fratelli la grande bontà di Dio. Entra così in gioco il criterio del dire e fare in stretto rapporto tra loro, che in termini di oggi si dice testimonianza. Il cristiano convinto della propria fede vive in attesa dell’incontro continuo con Cristo, facendo sì che la sua condotta sia irreprensibile, cioè senza colpa e peccato alcuno, ma coerente con quando ci viene indicato dal Dio quale via di santità e perfezionamento nella carità. Al riguardo ci risulta di estrema ricchezza spirituale quanto è scritto dal profeta Isaia nella prima lettura di oggi. Una vera preghiera che si snoda attraverso vari impetrazioni, aiuti, assistenza, interventi divini ed attese di ogni genere: “Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore. Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, cosi che non ti tema? Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità. Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti. Quando tu compivi cose terribili che non attendevamo, tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti. Mai si udì parlare da tempi lontani, orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui. Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue vie. Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità. Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani”. “Tu signore sei nostro Padre e nostro Redentore”, così questa preghiera del grande profeta dell’antico testamento, Isaia. Questa sia la nostra preghiera all’inizio del cammino spirituale in vista del Natale, ma soprattutto è la preghiera che ci accompagnerà tutti i nostri giorni. La certezza di avere un Padre e un Redentore ci conforta nel nostro cammino di vita umana e cristiana, perché non siamo orfani e abbandonati a noi stessi, ma abbiamo la certezza che questo Padre così solerte vigila su di noi e non ci lascia facilmente sbagliare, perché ci richiama continuamente con la sua parola di vita, con gli insegnamenti della chiesa e con la testimonianza credibile di tanti nostri fratelli e sorelle nella fede. Da parte sua, il prefazio di oggi ci rammenta il significato più vero dell’Avvento e quanto siamo chiamati a fare per vivere degnamente questo tempo di preparazione al Natale annuale, ma soprattutto al suo ultimo  definitivo avvento nella storia dell’umanità: Al suo primo Avvento nell’umiltà della nostra natura umana egli portò a compimento la promessa antica, e ci aprì la via dell’eterna salvezza. Verrà di nuovo nello splendore della gloria, e ci chiamerà a possedere il regno promesso che ora osiamo sperare vigilanti nell’attesa.