SCAURI. SECONDO GIORNO DI CATECHESI. ELIA IL PROFETA DELL’INTERIORITA’

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Parrocchia Sant’Albina – Scauri

CATECHESI 2

MARTEDI’ 17 MARZO 2015 

ELIA: IL PROFETA DELL’INTERIORITA’

 

1.Introduzione

 

Il Concilio Vaticano II ha dato molta importanza alla coscienza della persona umana, ritenendola il sacrario dell’individuo che agisce in base alle proprie convinzioni e certezza. Questa sera in rapporto al tema della coscienza, pongo alla vostra attenzione in questo cammino di esercizi spirituali nella vita quotidiana, la figura biblica del profeta Elia, che è il profeta dell’interiorità.

L’esercizio del ministero profetico in Israele era sempre la prova della decadenza del popolo. Finché le grandi istituzioni nazionali erano in vigore e la dispensazione mosaica era conservata intatta secondo l’intenzione di Dio, non era necessario nulla di straordinario, e perciò non si udiva la voce d’un profeta. Ma quando le istituzioni, emanate da Dio stesso, cessavano d’essere osservate nella loro originaria potenza, allora si faceva sentire il bisogno di qualche comunicazione dello Spirito per mezzo dei profeti.

 

Un ministero come quello di Elia il Tishbita non era necessario nei giorni di gloria e di grandezza di Salomone; allora tutto era in ordine, in buono stato; il re era sul trono e portava lo scettro per la salvaguardia degli interessi civili d’Israele; i sacerdoti, nel tempio, adempivano le funzioni religiose; i leviti e i cantori erano al loro posto. Tutto si svolgeva con un ordine che rendeva superflua la voce d’un profeta.

 

Ma presto la scena cambiò; la corrente del male si levò con tale forza che spazzò via i fondamenti stessi del sistema politico e religioso d’Israele. Il regno fu diviso. Coll’andar del tempo, uomini empi salirono sul trono di Davide; e, soprattutto sul trono che l’apostata Geroboamo aveva innalzato, si videro uomini sacrificare gli interessi del popolo di Dio alle loro vergognose concupiscenze. Invece di un re come Salomone che aveva amministrato la giustizia secondo Dio, si vide il malvagio Achab, con sua moglie Izebel, occupare il trono di Samaria.

 

L’Eterno non poteva sopportare più a lungo un tale stato di cose; non poteva permettere che questa marea di iniquità continuasse a salire. Perciò scoccò una freccia per trafiggere la coscienza d’Israele, e per ricondurre il suo popolo alla posizione di una beata dipendenza da Lui.

 

Questa freccia era Elia il Tishbita, l’intrepido e incorruttibile testimone di Dio, che si tenne alla breccia in un momento in cui tutti sembravano essersi allontanati dal campo di battaglia, incapaci di resistere al torrente in piena.

 

2.Le fonti bibliche

 

Il profeta Elia appare nella Sacra Scrittura come l’uomo dell’assoluto di Dio. Il suo nome in ebraico significa “Dio mio è Jahvè”.

Di lui non abbiamo una descrizione precisa; sappiamo soltanto che proveniva da Tisbe (I Re 17,1) una città al di là del Giordano.

Esercita il suo ministero nel Regno del Nord, nel secolo IX a.C., è vestito di peli e una cintura di cuoio gli cinge i fianchi (2 Re 1,8).

L’attività del profeta è narrata nella Sacra Scrittura nei due libri dei Re in cui troviamo il “Ciclo di Elia” (1 Re 17- 2 Re 1,18). Ancora nell’Antico Testamento il Libro del Siracide ne intesse le lodi (48,1-11) esaltando le sue gesta compiute nel nome e per la gloria di Dio.

Altri testi come 1 Mac 2,58, e la celebre profezia di Malachia (3,1.23-24) sottolineano l’importanza del profeta in riferimento ai tempi messianici di cui sarebbe stato il precursore.

Nel Nuovo Testamento i riferimenti al profeta sono diversi.

In particolare troviamo l’attività del Cristo prefigurata da quella del profeta (cfr Lc 4,25-26) e il rapporto con il Messia è espresso chiaramente nel celebre evento della Trasfigurazione sul Tabor (Mt 17,1-12; Mc 9,2-13; Lc 9,28-36).

 

Ma è soprattutto l’evangelista Luca a presentare Gesù come nuovo Elia, utilizzando fonti veterotestamentarie che lo riguardano in una sorta di parallelismo (cfr Lc 4,25-26 – 1 Re 17,9; Lc 7,12.15 – 1 Re 17,17-24; Lc 9,42 – 1 Re 17,23; Lc 9.51. 54.57.61-62 – 2 Re 1,10-12; Lc 22,43-45 – 1 Re 19,5-7).

Va sottolineato il riferimento del profeta a Giovanni il Battista (Lc 1,1-20), che condurrà una vita secondo lo stile penitenziale di Elia (Mt 3,4; 11,14; 17,11-13).

 

3. La storia narrata dalla Scrittura

 

La storia di Elia è tutta narrata nei testi biblici.

Egli è il profeta del Signore, appare improvvisamente in scena in un contesto di forzato e violento “tradimento religioso”.

Armato della Parola di Dio fin dalla prima riga della narrazione a lui dedicata (I Re 17,1), si presenta come accusatore della strumentalizzazione religiosa (I Re 17,18; II Re 1,16) e del potere (I Re 21,20-24) da parte del Re Acab e della moglie Gezabele.

Si impegna a reintrodurre i veri valori religiosi della tradizione, soprattutto Jahvè come unico Dio per Israele (I Re 18,21-24; 36-39).

Si scaglia contro i culti alle divinità cananee, introdotti in Israele a motivo del matrimonio d’interesse tra il re e la figlia del re di Tiro e Sidone, Gezabele.

Elia viene inviato dal Signore per annunciare al re Acab il castigo imminente per il suo comportamento empio (I Re 21,21-24), prorogato in seguito al suo pentimento, ma esteso alla moglie e ai figli (1 Re 21,29; 2 Re 9,7-10; 26;36).

Gezabele si vendica di ciò massacrando i profeti di Jahvè (1 Re 18,4-13; 19,20). Allora il profeta Elia, preannuncia prima una siccità di tre anni e sei mesi, durante la quale egli si rifugia presso il torrente Kerit, in Transgiordania, dove viene nutrito dai corvi (1 Re 17,2-6), e poi per comando del Signore, giunge a Sarepta, a sud di Sidone, dove viene mantenuto da una vedova alla quale egli moltiplica miracolosamente olio e farina e risuscita il figlio (1 Re 17,7-24).

Ma la prova più significativa che testimonia che Jahvè è il vero ed unico Dio si ha nel confronto tra Elia e i quattrocentocinquanta profeti di Baal, divinità cananea, sul monte Carmelo (1 Re 18, 20-39).

Sul santo monte, il profeta offre il suo sacrificio al Signore, il quale risponde dal cielo bruciando l’olocausto, mentre le grida, le danze e le mutilazioni dei profeti di Baal non ottengono alcun risultato (1 Re 18,40).

Dal vertice del Carmelo, il santo profeta Elia, assisterà alla fine della siccità con il prodigio della nuvoletta, che simile ad una mano d’uomo sale dal mare, quale termine del periodo di forte siccità nel paese (1 Re 18,41-45): “41 Poi Elia disse ad Acab: «Risali, mangia e bevi, poiché già si ode un rumore di grande pioggia». 42 Acab risalì per mangiare e bere; ma Elia salì in vetta al Carmelo; e, gettatosi a terra, si mise la faccia tra le ginocchia, 43 e disse al suo servo: «Ora va’ su, e guarda dalla parte del mare!» Quegli andò su, guardò, e disse: «Non c’è nulla». Elia gli disse: «Ritornaci sette volte!» 44 E la settima volta, il servo disse: «Ecco una nuvoletta grossa come la palma della mano, che sale dal mare». Allora Elia ordinò: «Sali e di’ ad Acab: “Attacca i cavalli al carro e scendi, perché la pioggia non ti fermi”». 45 In un momento il cielo si oscurò di nuvole, il vento si scatenò, e cadde una gran pioggia. Acab montò sul suo carro, e se ne andò a Izreel”.

Dopo questi fatti, per evitare le ire dell’empia regina Gezabele, Elia fugge e attraverso un cammino di quaranta giorni nel deserto (1 Re 19,1-8), giunge al monte di Dio, l’Horeb.

Lì in una teofania (1 Re 19,9-14), riceve una triplice missione: investire Hazaèl come re di Damasco, Ieu come re d’Israele ed Eliseo come profeta al suo posto (1 Re 19,15-17).

Nella vicenda dell’uccisione di Na-bot, fatto assassinare dal re sotto istigazione della mo-glie Gezabele per impossessarsi della sua vigna, il profeta interverrà energicamente per smascherare il piano nefasto e l’omicidio attuato dal monarca (1 Re 21,1-27).

Dopo ciò il re Acab muore (852 a.C.) nel corso di una battaglia (1 Re 22,1-40) e il figlio, che gli succede nel governo del regno, riceve una profezia di morte per bocca del profeta Elia per aver consultato un dio pagano a motivo di una grave infermità che aveva contratto (2 Re 1,2.6-7).

 Giunto al termine della sua missione profetica, Elia seguito da Eliseo che aveva chiamato dai campi (1 Re 19,19-21) e da un gruppo di profeti del Signore, si reca al Giordano con tappa a Betel e a Gerico.

 Dopo aver attraversato il fiume Giordano all’asciutto insieme ad Eliseo che prontamente gli succede nel ministero profetico, Elia viene assunto in cielo su un carro di fuoco scomparendo di mezzo al turbine, mentre due terzi del suo spirito si posano su Eliseo secondo la sua richiesta (2 Re 2,1-15).

 Quest’ultimo, continuerà le gesta del padre svolgendo il suo ministero profetico a favore del popolo d’Israele.

 

4. Il profeta del silenzio, dell’interiorità e della coscienza.

 

Non siamo più abituati al silenzio. Un noto passo della Scrittura racconta l’incontro di Elia con Dio sul monte Oreb avvenuto non nel frastuono, ma nel silenzio e nella quiete: “11 Dio gli disse: «Va’ fuori e fermati sul monte, davanti al SIGNORE». E il SIGNORE passò. Un vento forte, impetuoso, schiantava i monti e spezzava le rocce davanti al SIGNORE, ma il SIGNORE non era nel vento. E, dopo il vento, un terremoto; ma il SIGNORE non era nel terremoto. 12 E, dopo il terremoto, un fuoco; ma il SIGNORE non era nel fuoco. E, dopo il fuoco, un mormorio di vento leggero. 13 Quando Elia lo udì, si coprì la faccia con il mantello, andò fuori, e si fermò all’ingresso della spelonca; e una voce giunse fino a lui, e disse: «Che fai qui, Elia?» (1Re 19,11-13).

 

La Sacra Scrittura al cap. 19 del primo libro dei Re presenta Elia che fugge verso l’Oreb, dove incontra Dio e riceve la missione che dovrà compiere. Nel Regno del Nord – siamo intorno all’ 850 a.C. – il re Acab e sua moglie Gezabele avevano introdotto il culto di Baal. L’autore sacro ci racconta al cap. 18 come Elia sul monte Carmelo sconfigge e distrugge i profeti di Baal. Naturalmente si sente fiero e protagonista perché ha riportato la verità. Gezabele si infuria e promette che Elia sarà ucciso entro una giornata. Elia si impaurisce e fugge nel deserto.

 

Elia aveva fatto tutto per Dio, ma non aveva ancora capito che era Dio a voler fare tutto per lui. E c’è voluta una crisi, c’è voluta una prova, c’è voluto un momento duro perché questo uomo, pieno di zelo per il Signore, si fermasse e interrompesse la sua “guerra santa”. Allora Dio lo conduce nel deserto e lì Elia apre il suo cuore, parla a Dio: “Basta Signore, prendi la mia vita, perché non sono migliore dei miei padri”. (1Re 19,4)

 

Inizia a ripensare a sé. Dice la Scrittura che il sonno lo coglie; ma più che un sonno è una fuga, è un desiderio di morte. È voler lasciare la missione per cui si era sentito chiamato da Dio. È successo anche agli apostoli, nell’orto degli ulivi, quando Gesù si preparava alla Passione: non son stati capaci di vegliare, si sono addormentati. Si reagisce a volte così, quando si avverte il fallimento. Elia pensa che sia per lui l’inizio della fine. Pensa realmente alla morte.

 

Ma Dio ha preparato per lui altre strade.  Ci sarà una morte, sì, ma non quella fisica. Ci sarà la morte di se stesso, la morte del suo orgoglio, morirà il suo sentirsi “giusto servitore di Dio”. Dovrà passare attraverso il deserto, purificare il suo cuore e imparare la strada dell’umiltà, perché l’umiltà è la sola strada che conduce a Dio. Dio non si lascia trovare se non da un cuore umile. Dio non forza mai la mano, ma prepara; a volte permette che questa preparazione passi anche attraverso eventi drammatici, come è successo ad Elia, ma anche nella prova più grande non si allontana mai dall’amico.

 

Così, nel deserto, il deserto del suo cuore più che quello di sabbia, Dio manda ad Elia un angelo a nutrirlo. Il comando è perentorio: “Alzati e mangia” (1Re 19,5), non sei qui per morire. Alzati e mangia, alzati, ascolta la mia parola, nutriti della mia parola, e cammina. La professione di fede di Israele “Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio” (Dt 6,4) è ciò che è chiesto ad Elia nel tempo di deserto della sua vita. Elia deve ascoltare. Con la forza di quel cibo camminerà 40 giorni, 40 notti fino al monte di Dio, all’Oreb. Ripercorrerà il viaggio di Mosè e del popolo nel deserto, il viaggio della salvezza, verso la terra promessa. Lo rivivrà sulla sua pelle: anche là il popolo era stato nutrito da Dio con la manna; anche là Mosè aveva implorato Dio che scaturisse acqua dalla roccia. Anche là Mosè era salito fino all’Oreb, da solo. E lì, da solo, aveva visto Dio faccia a faccia, mentre la sua gente rimasta a valle, costruiva il vitello d’oro – ancora una divinità pagana – e tradiva il Dio unico di Mosè. Ma intanto Mosè aveva incontrato Dio faccia a faccia. Elia ripercorre la strada di Mosè, la strada della salvezza del popolo di Israele, e si ritrova sul monte, chiuso in una caverna, per passare la notte.

 

La caverna, quasi come un utero dove rinascere un’altra volta. Così avviene nella vita spirituale di ognuno di noi, quando ci si ritira in deserto: si arriva ad un tempo in cui si rinasce. Elia si è rifugiato in una caverna per passare la sua notte. La notte è il tempo in cui non si vede nulla, e si attende la luce dell’alba. È il tempo della ricerca, il tempo dell’attesa.

 

Lì Dio si rivela a Elia.  Gli rivolge la Sua Parola: “Che fai qui Elia?”. Nei deserti della nostra vita, nel buio della notte della nostra fede, la parola di Dio prima o poi, arriva sempre, ci trova sempre e non passa senza che una traccia resti nella mente e nel cuore di ognuno di noi. Se ascoltiamo. La parola di Dio, piano, piano, aiuta Elia a fare luce dentro di sé, a fare la verità, anche di se stesso. E mentre Elia spiega a Dio ciò che è successo, comprende meglio se stesso, si spiega: “Sono qui, Signore. Sono pieno di zelo per Te. Io voglio servirti, io volevo liberare questa terra dagli dei stranieri, Signore, ma tutti Ti hanno abbandonato. Sono rimasto solo, cercano di togliermi la vita”.

 

Elia non si nasconde più la verità, non si nasconde più la sua paura, non pensa più a morire. Finalmente guarda dentro di sé. Guarda se stesso e comincia a leggere la storia di Dio nella sua vita. È pronto finalmente ad incontrare Dio: faccia a faccia. Il Signore lo chiama di nuovo: “Esci, fermati lì, alla mia presenza”. Elia adesso è pronto, attende il Signore nella sua vita; lui che aveva fatto tanto per Dio adesso, fermo, nella notte, nella caverna, in silenzio, finalmente attende l’incontro personale con Dio.

 

Non sa come riconoscere la Presenza;  si rifà alla tradizione del suo tempo e aspetta che Dio gli parli attraverso qualche evento atmosferico: un uragano, un terremoto, un fuoco. Ma Dio parla al cuore, ed Elia avverte la Presenza di Dio “nel sussurro di una brezza leggera”. È una presenza forte, viva, tutta per lui ed Elia si copre il volto con il mantello. Mosè si era tolto i sandali quando aveva avvertito la Presenza nel roveto che ardeva e non bruciava. Quando si incontra Dio ci si copre sempre il volto parchè l’incontro con Lui ci rivela la nostra povertà, la nostra fragilità, il nostro peccato, la nostra inadeguatezza: non siamo mai pronti ad incontrare Dio.

 

Elia lascia tutto, si ritira in un luogo deserto,  silenzioso, lontano da tutti e lì comprende che il Dio di Israele è il suo Dio, comprende che Dio è Dio per lui. Noi dovremmo conoscere “il sussurro di brezza leggera”, dovremmo riconoscere il tocco di Dio, perché l’abbiamo tante volte avvertito nella nostra vita e tante volte l’abbiamo incontrato nei passi del Nuovo Testamento, leggendo la vita di Gesù. Quante volte questo soffio passa da Gesù a qualcuno dei suoi amici, fino al soffio dello Spirito che Gesù risorto dona ai suoi riuniti nel Cenacolo. Eppure anche noi facciamo una gran fatica a cercare spazi di silenzio. Anche noi facciamo fatica a ritirarci da qualche parte, soli, con noi stessi, a cercare l’incontro con Dio. Forse perché abbiamo paura di trovare la miseria che c’è dentro di noi, come aveva paura Elia. Eppure è solo lì che avviene l’incontro.

 

Quando incontriamo Dio faccia a faccia,  quando nel nostro cuore si realizza questo incontro, non siamo più quelli di prima. Come succede a Elia, siamo pronti a riprendere la strada. Elia riceve subito il mandato da Dio: viene riconfermato. Dio gli dice: “Su, ritorna sui tuoi passi”. Gli svela che non è rimasto il solo a credere in Lui, ma che si è riservato un resto: vai da quel resto di gente che mi sono riservato, torna a essere il loro profeta. L’incontro personale con Dio non ci allontana mai dalla gente, non ci allontana mai dalla nostra missione. Anzi, è solo quando incontriamo Dio che incontriamo veramente noi stessi e che incontriamo veramente la missione.

 

Ogni volta che accogliamo la Parola capita anche a noi di ripercorrere la storia della salvezza, di ritrovare le ribellioni, i tradimenti, le fragilità di chi ci ha preceduto e di trovare anche la nostra vita. E capita anche a noi di ritornare a Dio con tutto il cuore. Questo è ciò che la Parola produce in noi ogni volta che l’accogliamo con il cuore umile che Dio cerca di donare al suo profeta più grande, a Elia. Ho sperimentato tante volte nella mia vita, che devo solo all’incontro con Dio se sono stata vicino alla gente, vicina alle persone che hanno bisogno di me.

Quando si conosce un Amore grande,  non si desidera altro che di comunicarlo a tutti quelli che si incontrano. Mi ripeto che vale la pena cercare del tempo per ritirarci in qualche caverna, per ritirarci un po’ dentro noi stessi, e nel silenzio lasciare che Dio faccia rinascere in noi la sua profezia per il nostro tempo.

 

Teresa Benedetta della Croce e il profeta Elia

 

S. Teresa Benedetta della Croce ha molto amato il profeta Elia. Cito alcuni passi delle sue opere che ne mettono in risalto la figura. Commentando un passo della Regola carmelitana ella scrive: “Meditare nella legge del Signore“ può essere una forma di preghiera quando assumiamo la preghiera nel suo ampio senso abituale.

Ma noi pensiamo al “vigilare nella preghiera” come all’inabissarci in Dio, come è proprio della contemplazione, allora la meditazione ne è solo una via». «Vegliando in preghiera, esprime lo stesso che Elia disse con le parole: “Stare davanti al Volto del Signore”…

La preghiera è guardare in alto al Volto dell’Eterno. Lo possiamo solo quando lo Spirito veglia nelle ultime profondità, sciolti da ogni attività e godimento terreno, che lo attutiscono. Essere vigilanti con il corpo non garantisce quest’essere vigilanti e la quiete, desiderata secondo la natura, non lo impedisce». «Non abbiamo il Salvatore solo nelle narrazioni dei testimoni sulla sua vita. Egli è presente a noi nel Santissimo Sacramento, e le ore di adorazione dinanzi al Massimo Bene, l’ascolto della voce del Dio eucaristico sono: “meditare la Legge del Signore” e “vigilare nella preghiera” nel contempo». «Elia ritornerà come testimone della rivelazione segreta, quando si avvicinerà la fine del mondo, nella lotta contro l’Anticristo per patire la morte dei martiri per il suo Signore». Ella parla del popolo ebraico: La Chiesa era fiorita, ma lontano rimaneva la massa del popolo, lontano dal Signore e da sua Madre, nemico della Croce. Esso erra qua e là e non può trovare riposo, oggetto di scherno e di disprezzo: Tale rimarrà fino all’ultima battaglia. allora prima che la Croce nel cielo appaia, prima ancora che Elia venga a radunare i suoi, il Buon Pastore in silenzio percorrerà le nazioni.

SCAURI. SECONDO GIORNO DI CATECHESI. ELIA IL PROFETA DELL’INTERIORITA’ultima modifica: 2015-03-17T23:46:31+01:00da pace2005
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