FRATTAMAGGIORE (NA). PRIMO INCONTRO DEL CORSO DI FORMAZIONE PERMAMENTE PER LE ANCELLE DEL SACRO CUORE

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E’ iniziato oggi, 23 ottobre 2014, il corso di formazione spirituale sulla vita consacrata per le Ancelle del Sacro Cuore di Gesù di Santa Caterina Volpicelli, presenti nella totalità dei membri della comunità frattese. Insieme alle religiose presenti all’incontro le Piccole Ancelle e le Aggregate. In totale circa 50 persone, con la straordinaria partecipazione delle Suore di Gesù Redentore di Mondragone (Suon Angela e Suor Veridiana). A tenere la conferenza, come da tre anni a questa parte, è stato padre Antonio Rungi della comunità passionista del Santuario della Civita in Itri (Lt), a cui ha fatto seguito l’adorazione eucaristica con le confessioni e la celebrazione conclusiva della santa messa per tutti i partecipanti all’incontro. Padre Rungi ha tenuto l’omelia sui testi biblici della liturgia del giorno soffermandosi sull’amore cristiano, sull’unità ecclesiale e comunitaria sul superamento di tutto ciò che ci può allontanare da Dio da ritenersi, come dice l’Apostolo Paolo, una vera spazzatura da gettare via.

Ecco il testo completo della meditazione dettata da padre Rungi ai partecipanti al primo incontro di formazione spirituale iniziale e permanente delle Ancelle, Piccole Ancelle ed Aggregate alla famiglia volpicelliana.

FRATTAMAGGIORE – SUORE ANCELLE DEL SACRO CUORE

RITIRO SPIRITUALE MENSILE – 23 OTTOBRE 2014

GUIDA SPIRITUALE: P.ANTONIO RUNGI PASSIONISTA

Diventare un fuoco  che accende altri fuochi. (Lc 12,49)

La vita consacrata alla vigilia dell’anno per i religiosi

e alla scuola di Santa Caterina Volpicelli

La vita oggi, più che mai è chiamata a essere un fuoco che accende altri fuochi e ad «accendere il cuore» (Benedetto XVI); è chiamata al fervore, alla intensità della preghiera, alla radicalità evangelica e al servizio della missione, quella che è propria del discepolo missionario.

«La vita religiosa consacrata – scrive il gesuita padre Carlos Pelagio – soffre oggi una innegabile “anemia evangelica”. Personale e istituzionale… Per superare tale anemia è necessario riscattare la passione per la persona di Gesù Cristo, il primo amore che deve irradiare la vita religiosa consacrata».

Questo amore per Caterina Volpicelli si espresse nella devozione al Sacro Cuore di Gesù e ebbe concrete attuazioni con l’apostolato della preghiera, con la carità operosa.

La spiritualità della vostra congregazione la conoscete bene, ma è opportuna rileggerla del contesto di una chiesa che si rinnova costantemente attraverso l’azione dello Spirito Santo che agisce in essa. Si è celebrato un sinodo straordinario sulla famiglia e penso che questo evento, sotto la guida di Papa Francesco, segnerà un cambiamento radicale in certi aspetti importanti della famiglia naturale ed indirettamente nelle famiglie religiose, in quanto le vocazioni alla vita consacrata, la consacrazione in generale muove i primi significativi passi nelle famiglie, dove si vive la fede e dove si alimenta la speranza e la carità, dove si formano le vocazioni speciali.

Rivediamo questo

Per compiere bene questi passi dobbiamo partire da un principio di realtà e da una chiamata all’umiltà.

Ritorniamo a cosa possiamo e dobbiamo fare, anche attraverso il nostro essere consacrati a vario titolo e situazione giuridica, al Sacro Cuore di Gesù nella famiglia di Santa Caterina Volpicelli.

La Congregazione delle Ancelle del S. Cuore si fonda sul carisma di Santa Caterina Volpicelli, che propone di incarnare Cristo amore, con le specifiche caratteristiche della spiritualità del S. Cuore -immolazione, riparazione e sacrificio – alla scuola di Gesù stesso, il quale “assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini …umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, …perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi…. a gloria di Dio”. Fil 2, 6-11.

Cristo è Mediatore, Motivo e Modello della consacrazione delle Ancelle, in quanto Egli, la sua Persona, la sua Dottrina, la sua Passione, la sua Risurrezione, il suo Cuore e la sua Eucaristia sono al centro della vita di ogni Ancella e di ogni Comunità. “Non perdiamo mai di vista che siamo state chiamate a seguire da vicino Gesù, che ha dichiarato soave il suo giogo e  leggero il suo peso”.(C. Volpicelli).

Per la sua Famiglia religiosa, Caterina cercava anime che fossero “Adoratrici perpetue del Divin Beneplacito” e sintetizzava così il carisma: un’intima e forte unione con Dio senza ricerca della propria soddisfazione in nulla; una santa passione per la gloria di Dio e la salute delle anime; una fervida sollecitudine per la propagazione dell’amore al Cuore di Gesù.

 “L’Ancella del Sacro Cuore dev’essere essenzialmente un’ anima riparatrice ed apostolica, è come tra due fuochi di luce e di calore, Gesù e le anime, i quali si toccano in un punto solo, la CROCE”.

“La sostanza spirituale della nuova creatura che Caterina ha partorito alla Chiesa, e che si chiama Ancella del S. Cuore, è dunque l’umanità annientata per amore, informata dalla soprannaturale carità vivificante e che si svolge in una incessante operosità di riparazione e di apostolato”.

La consacrazione è fatta nella Chiesa e per la Chiesa, perciò ogni Ancella, come Santa Caterina Volpicelli, dovrà sentirsi tutta dedita al servizio del popolo di Dio e ogni comunità deve inserirsi nella Chiesa locale in modo vitale e attivo. Le Ancelle del Sacro Cuore vivono in perfetta vita comune e secondo l’intuizione della Fondatrice vestono l’abito secolare, “modesto nella forma, decente e serio nella qualità e nel colore, …senza totale uniformità, adattandosi all’uso comune dei tempi, senza seguire troppo la moda”. La rinuncia all’onore della divisa religiosa trova senso nell’imitazione delle specie umili dell’Eucaristia.

Alla luce della scuola e dell’insegnamento di Caterina Volpicelli, credo che  la parola giusta da assumere come motivo conduttore della nostra formazione spirituale permanente anche in questo anno 2014-2015, sia l’umiltà, da riscoprire non solo a titolo personale come virtù morale, ma come atteggiamento di fondo di fronte alla stessa validità, oggi, della vita consacrata.

Dobbiamo avere quella consapevolezza evangelica che siamo tutti utili, ma nessuno è indispensabile. Quando abbiamo fatto tutto, non abbiamo fatto nulla. Solo Dio è essenziale ed è indispensabile.

Pertanto, non siamo tanto necessari come abbiamo creduto e, forse, ancora crediamo come istituti, come ufficio, come luoghi dove siamo, in tutte le cose che facciamo.  Né i nostri Fondatori (penso anche al mio fondatore, San Paolo della Croce, la cui festa solenne abbiamo celebrato domenica scorsa, 19 ottobre 2014 nella Giornata mondiale delle missioni) né le nostre spiritualità e missioni ci hanno pensato e progettato in termini di imprescindibilità; però alcuni di noi hanno la tendenza a pensare così. Se ce ne andiamo cosa succede? Se mi, ci trasferiscono altrove finisce tutto. Se lasciamo il convento per mancanza di vocazioni e soprattutto per mancanza di testimonianza, sembra che finisca il mondo.

Non è così, carissime Ancelle, Piccole Ancelle e aggregate.

La storia di Dio e dell’umanità cammina su altri piani: siamo tutti di passaggio e tutto passa. Solo Dio resta, solo la Chiesa continua la sua missione, con i pastori, con i frati e le suore e soprattutto con i fedeli  laici di ogni tempo, che si alternano nei ruoli e nelle attività, con gli istituti che appaiono, si sviluppano e scompaiono.

Basta pensare a quanti istituti nati nel passato o recentemente sono finiti nell’arco di qualche secolo o di pochi. Lo Spirito Santo soffia dove e quando vuole e la Chiesa è di Cristo e non nostra come ha ricordato papa Benedetto XVI, il papa emerito, nell’atto della rinuncia al pontificato nel febbraio del 2013.

Questo spiega una certa arroganza, il cattivo uso del potere, il disprezzo o l’emarginazione dei laici, la comodità del ritorno al passato e persino il pentimento o il dispiacere per aver cambiato tante cose e rinunciato ad altre nei convulsi anni dal ’60 al ’80. Tuttavia, dire che non siamo necessari non significa dire che non possiamo essere importanti. Ma lo saremo solo nella misura in cui saremo capaci di guardare con speranza gli orizzonti che ci si presentano, di impegnarci a capire le dinamiche del mondo d’oggi globale e diverso, di essere uomini e donne profondi per poter orientare ed essere fedeli allo spirito fondazionale e carismatico e non alle strutture centenarie che abbiamo costruito per altri tempi. In poche parole, saper dedicarci alla ricerca di una nuova santità che ci apra il futuro, che ci permetta di ricuperare le intuizioni fondazionali e farle nuove, e lanciarci in nuove avventure pur nell’incertezza e con il rischio di un possibile fallimento.

Vale la pena ricordare Churchill che, con la sua saggia ironia, segnalava che «il problema della nostra epoca è che gli uomini non vogliono essere utili, ma importanti». Oltre a essere necessari o importanti, ciò che vale è essere significativi nelle nostre missioni particolari, pensate come contributo alla società e possibilità di favorire la sua trasformazione, e significativi per i poveri per i quali dobbiamo giocarci e “ bruciare le navi”.

Qui si trova il nostro futuro e l’occasione di essere fermento evangelizzatore in questo momento.

Può darsi che i giovani religiosi stiano trovando un nuovo modo di esserlo e che quelli più avanti negli anni non siano in grado di vederlo o interpretarlo. Non dobbiamo dimenticare che la forma attuale di vita consacrata – le sue strutture, l’organizzazione, i metodi di lavoro, lo stile di vita – non risponde adeguatamente alle necessità e alle sfide di una società che è cambiata e sta cambiando radicalmente. Se non altro anche in ragione della provenienza dei religiosi giovani che arrivano dai Paesi sottosviluppati o in via di sviluppo dell’America del Sud, del Sud-Est asiatico, dall’Africa, dall’India. Il panorama delle congregazioni religiose è completamente cambiato, come è cambiato il mondo repentinamente dal secondo dopo-guerra in poi.

Questa società che è cambiata e sta cambiando la si descrive in molte maniere: pluralista, multiculturale, post-moderna, post-cristiana, globalizzata, plasmata dall’informazione moderna e dalle tecnologie di comunicazione, produttrice di nuove forme di povertà e di esclusione… Si tratta, insomma, di un cambio epocale, che suppone un cambiamento nel nostro modo di comprendere la persona umana e le sue relazioni con il mondo e con Dio, e ci porta a un nuovo paradigma.

Più che mai la vita consacrata deve evitare di spendere le sue forze in critiche interne e ideologiche, e vivere più in positivo, in alternativa e aperta a un vero pluralismo, riconoscendo che lo Spirito opera in modi diversi per costruire la Chiesa e potenziare la vita dei nostri popoli. Deve germogliare e far germogliare il seme di una nuova società, secondo il progetto del Regno di Dio e di un nuovo modo di essere Chiesa, fatta di comunità e di comunità vive, operose, non criticone, ma profondamente ancorate al Cristo, alla preghiera, alla vita interiore, alla contemplazione e parimenti alla missione che nasce dall’esperienza del Tabor.

Tutto questo suppone grandi cambiamenti che ogni carisma dovrà incarnare nella sua tradizione originale. Nessuno potrà esimersi dal mettersi in tale lunghezza d’onda. È una linea sapienziale, profondamente segnata dalla fede e in continuo dialogo culturale e religioso, aperto ai poveri di sempre e a quelli di oggi, e a quanti generano un nuovo pensiero e un nuovo modo di procedere.

La consacrazione (Ancelle, Piccole Ancelle ed Aggregate) fa di noi persone donate a Dio senza condizioni e, più concretamente, ci fa “memoria viva del modo di essere e di operare di Gesù” obbediente, povero e casto, secondo il proprio stato di vita, trasformandoci in segno e comunicatori dell’amore di Dio all’umanità nella nostra comunità, nelle nostre famiglie naturali, nella parrocchia, nelle missioni, nell’insegnamento e in qualsiasi altra attività svolta a nome e per conto dell’Istituto. Questo è il primo contributo che possiamo e dobbiamo offrire come religiosi o assimilati.

Purtroppo non lo si riconosce, perché un modello di pensiero riduttivo dell’uomo, molto frequente oggi , toglie alla vita umana la sua dimensione religiosa, fondandola in progetti di vita a breve scadenza.

Questo è ciò che lascia in noi il mito della scienza, della tecnica e dell’economia, con l’illusione che il progresso sia illimitato, condannando l’esistenza alla immanenza di questo mondo senza orizzonte di trascendenza definitiva, perché tutto finisce con la morte. Pur avendo questa certezza, che tutto passa e tutto finisce, la gioia terrena come la sofferenza terrena, ciò non ci esime dal lavorare bene per il regno dei cieli.

A un mondo centrato sulla efficienza e sulla produzione, sull’economia e sul benessere, il religioso si presenta come segno di Dio, della sua grazia, del suo amore. Gesù è venuto a darci Dio e il suo amore. Questa è la buona notizia di Dio! Dio è ciò che per primo possiamo dare all’umanità. Questa è la grande speranza che possiamo offrire. È la nostra prima profezia. È evidente che questa vita centrata in Dio e nella donazione agli altri va chiaramente controcorrente. Per cui non è raro sentire: ma chi ve lo fa fare? E a dirlo non sono le persone estranee a noi, molto più frequentemente sono gli stessi consacrati, come d’altra parte avviene in altre vocazioni come quella sacerdotale e coniugale, a dire: chi me lo ha fatto fare. E’ la crisi di identità e di testimonianza, che mette in chiara luce la struttura debole delle nostre istituzioni. Ma se siamo fedeli alla nostra vocazione e alle nostre scelte, allora sì che l’essere consacrato continua a dire qualcosa a questa umanità.

La vita consacrata, si imposta, come è giusto che sia, come un segno contro il valore assoluto dell’economia e del materialismo, contro l’edonismo e il culto del corpo, contro l’individualismo e qualsiasi forma di autoritarismo.

Viviamo in un contesto storico, culturale e sociale in cui i consigli evangelici non sono apprezzati e neppure capiti; sono considerati inumani e colpevoli di costruire persone non veramente mature e non realizzate; cioè sono qualcosa di cui ci si deve liberare. D’altra parte vedendo religiosi e religiose litigiosi, tristi, gelosi, capaci di fare volutamente male alle consorelle, ai confratelli o alle persone esterne, quale attrattiva possiamo dare o quale prospettiva di vita vera ed autentica possiamo offrire a chi minimamente ha intenzione di seguire un percorso di consacrazione totale a Dio.

Per esempio, l’obbedienza sembra attentare ai diritti fondamentali della persona umana, alla libertà di decidere da se stessi, di autodeterminarsi e di autorealizzarsi. La conseguenza è che non si ubbidisce più oppure chi sta in autorità pensa di potere fare a suo disfacimento circa le persone, i beni e l’organizzazione dell’istituto o di una comunità.

La castità è vista come privazione del bene del matrimonio: la rinuncia ad avere una persona con cui condividere i momenti belli e quelli brutti, gioie e tristezze, successi e fallimenti della vita; la rinuncia alla paternità, alla maternità, alla tenerezza, alla intimità di ogni giorno, a sapere che c’è una persona vicino a te; la rinuncia alla dolcezza di sguardi vicendevoli, a sentirsi dire: «che bello che ci sei, che amore che sei!». La conseguenza che non siamo felici di stare insieme alle consorelle e ai confratelli o ai familiari e troviamo conforto altrove e non sempre vivendo nella perfetta castità del cuore.

La povertà è ancora meno apprezzata, in un mondo che ha fatto del benessere e dell’economia i supremi valori; ciò fa pensare che la povertà sia considerata come un male che bisogna sconfiggere, un male del quale bisogna liberarsi per essere completamente autonomi, senza dover dipendere da qualcuno; l’importante è avere per poter essere, non dover privarsi di qualcosa, cercare forme di vita borghesi e consumiste. Questo ci fa essere insensibili ai poveri e incapaci di servire i più bisognosi. La conseguenza è che la povertà, quale voto o promessa, è un opzional per tanti religiosi e religiose. Chi ha tutto e chi ha poco o nulla. Chi gode di privilegi e chi non ha neppure il necessari. Chi puoi gestire autonomamente ogni bene della comunità o dell’istituto e chi deve chiedere l’elemosina per ottenere qualcosa. Ingiustizie e discrepanze anche nel mondo dei consacrati. Chi vive nel lusso e chi vive nella povertà. Chi ha case religiose da Hotel 5 Stelle e chi ha conventi come se fossero dei lazzaretti. Anche su questo bisogna ripensare la vita religiosa, senza andare molto lontano da noi.

L’esempio di Caterina Volpicelli e del mio San Paolo della Croce ci possono aiutare meglio a vivere i voti di povertà, castità ed obbedienza, anche nel nostro contesto culturale e sociale profondamente modificato dopo il Concilio Vaticano II sia all’interno della Chiesa che al di fuori di essa. Basta rileggere la Costituzione pastorale sulla Chieda nel mondo contemporaneo, la Gaudium et spes sche pure ha una certa età, e capire in quale nuovo mondo viviamo per evangelizzare anche con il servizio della vita consacrata.

Senza dubbio, questo contesto socio-culturale ed ecclesiale influisce sulla vita consacrata e la mette in una situazione critica che si manifesta in vari sintomi, alcuni dei quali sono allarmanti: diminuzione delle entrate nei noviziati, aumento delle uscite, invecchiamento dei membri, sovrappeso delle istituzioni proprie, attivismo eccessivo e a volte stressante delle persone responsabili delle opere, indebolimento della vita comunitaria, della fraternità e della vita spirituale, frequenti problemi economici, preoccupazione per un futuro incerto.

Per alcuni, la forma attuale della vita consacrata nel mondo sta toccando il fondo; per altri soffre di “anemia” evangelica tradotta in poca passione, scarsa convinzione che porta alla frustrazione e al disincanto.

Il potere del disincanto è molto grande. Prendere coscienza di questo, e reagire come si deve, porterà la vita consacrata a risorgere più viva e forte che mai.

La situazione attuale nel mondo globalizzato è forse la più profonda crisi di senso della storia dell’umanità . Diciamo che la gente è sofferente e disorientata. Siamo di fronte a questa realtà, descritta come «il crollo di una incarnazione storica del cristianesimo», che possiamo considerare un nuovo invito alla rivitalizzazione e alla riforma della Chiesa.

È ovvio che abbiamo bisogno di conversione e di crescita, di risolvere le distorsioni che hanno indebolito la vita e la testimonianza ecclesiale, compresa la vita religiosa. Ci siamo abituati troppo ai privilegi, a considerare la nostra chiamata un “ufficio” o, peggio ancora, una “dignità”; siamo diventati insensibili alla nostra mancanza di austerità solidale e poche volte ci chiediamo se la nostra vita sia coerente con la “figura” del servo che dà la vita perché altri abbiano la vita. 

Il nostro modo di essere si configura effettivamente con quello del Servo sofferente di Javhè. È nostro dovere chiederci con onestà e umiltà se la nostra vita e le nostre attività sono strutturate secondo i principi dell’efficacia e dell’utilità, propri di questa logica, o secondo la testimonianza contro corrente della donazione come amore incondizionato di cui Gesù ci ha dato l’esempio.

La vita religiosa è nata come segno per andare contro-corrente, e un criterio della sua fedeltà alla missione è precisamente quello di mantenersi come alternativa di senso.

Chesterton diceva che ogni generazione è salvata dal santo che più la contraddice.

Caterina Volpicelli ha caratterizzato la Napoli di fine ottocento, ha dato senso, insieme ad altri santi del tempo e specificamente di Napoli alla vita sociale, ecclesiale ed umana di questa realtà, realizzando il santuario del Sacro Cuore di Gesù, centro non solo della spiritualità e della contemplazione, ma dell’amore e della carità che si fa dono.

Siamo invitati a rivedere con onestà i criteri sui quali fondiamo e organizziamo le nostre attività: la nostra preoccupazione è solo quella di renderle efficienti e produttive?

Siamo disposte a incarnare la logica della gratuità e della fiducia, anche se implica il rischio del fallimento?

Crediamo che nell’esperienza concreta del “fallimento” Dio si manifesta in forma privilegiata? Non dimentichiamo che la morte in croce del Signore fu un vero fallimento agli occhi del mondo. E neppure dimentichiamo che Paolo era convinto che nella sua debolezza si manifestava con più chiarezza la gloria di Dio.

 

 

FRATTAMAGGIORE (NA). PRIMO INCONTRO DEL CORSO DI FORMAZIONE PERMAMENTE PER LE ANCELLE DEL SACRO CUOREultima modifica: 2014-10-23T23:28:24+02:00da pace2005
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