Archivi Mensili: giugno 2015

Santa Maria Goretti, una santa giovane per i giovani

goretti

Santi Passionisti. Santa Maria Goretti, vergine e martire 

di Antonio Rungi 

Santa Maria Goretti, martire della purezza, elevata agli onori degli altari, con il titolo di santa e martire, da Pio XII, il 24 giugno 1950, canonizzazione avvenuta in Piazza San Pietro a Roma, davanti a migliaia di suoi devoti, è una giovane santa di grande attualità, sia perché il martirio dei cristiani prosegue in varie parti del mondo per la violenza assassina di persone senza Dio e sia per i valori morali che trasmette alle giovani generazioni del XXI secolo dell’era cristiana. Il riconoscimento del martirio di Santa Maria Goretti avvenne da parte della chiesa  il 25 marzo 1945, quando si ritenne per autentico l’eroico gesto della piccola Maria, allora dodicenne di preservare il suo corpo da ogni impurità. Maria Goretti morì nell’Ospedale di Nettuno il 6 luglio 1902, dopo essere stata ferita mortalmente, con 14 coltellate, dal giovane Alessandro Serenelli, coabitante nella Cascina Antica di Ferriere di Conca, presso Nettuno, alle ore 15,30 del giorno precedente, 5 luglio 1902, nel tentativo di abusare di lei sessualmente. Oggi parleremo di violenza sui minori, di pedofilia o di atti criminali che necessitano la massima condanna a livello religioso, morale e penale.

Il prossimo 6 luglio 2015, ricorrono 113 anni dalla morte di Maria Goretti. Ogni ricorrenza è un forte appello a chi commemora l’avvenimento per recuperare quel necessario ed indispensabile rapporto con la propria chiamata alla santità. Si manifesta, così, anche quella naturale stima verso chi ha raggiunto obiettivi importanti, da un punto di vista spirituale, come quello della santità. Stimare un santo, cogliere il messaggio della sua testimonianza di vita cristiana significa rivivere sulla propria persona e nella propria esperienza di fede i valori trasmessi. E Maria Goretti è una santa che va stimata ed amata per la sua eroica testimonianza di fede e di coraggio nella prova più dura della sua breve esistenza terrena

Maria Goretti, in appena 11 anni, 6 mesi e 21 giorni ha raggiunto il massimo grado della santità, perché il dono della sua vita a Dio è stato totale in un momento, come quello della violenza perpetrata nei suoi riguardi, da un uomo accecato, in quell’istante, dalla passione carnale, nel quale seppe scegliere il Signore, offrendo a lui la sua purezza, verginità, pur di non commettere peccato. Solo la grazia dello Spirito Santo così incisivamente operante in Marietta poté trasformare questa piccola fanciulla in una martire della purezza e perciò stesso in una piccola grande santa degli inizi del XX secolo. Il motivo di fondo in questa sua santità quasi “naturale” sta nei sacramenti dell’iniziazione cristiana ricevuti da bambina. In particolare è stato il sacramento dell’Eucaristia, ricevuto per la prima volta il 16 giugno 1901 nella Chiesa di Conca, oggi Borgo Montello, la sua energia interiore, capace di fronteggiare qualsiasi evento espressione del male. E’ la forza della fede che Marietta acquista e potenzia alla scuola del divino Maestro e alla sorgente della comunione con Dio nel sacramento dell’Eucaristia.

Le tappe di una santità straordinaria e eccezionale sono racchiuse in alcuni significativi momenti della breve esistenza di Marietta e in date e giorni ben precisi della sua vita.

Nasce il 16 ottobre 1890 a Corinaldo (Ancona) da Luigi Goretti ed Assunta Carlini: una famiglia di agricoltori. Il giorno successivo viene battezzata, con i nomi di Maria e Teresa, nella Chiesa di San Francesco in Corinaldo. Per esigenze di lavoro, il 12 dicembre 1896, la famiglia Goretti lascia Corinaldo e si trasferisce a Colle Granturco, presso Paliano, alle dipendenze del Senatore Scelsi. Qui conoscono i Serenelli e rimangono in questi luoghi fino al febbraio 1899, quando nuovamente l’intera famiglia Goretti trasloca, insieme ai Serenelli, in alta zona d’Italia. Giunge a Ferriere di Conca, presso Nettuno, per lavorare i campi alle dipendenze del Conte Mazzoleni e dove si stabilisce definitivamente.

Qui avvengono i fatti più dolori della vita di Marietta. Il 6 maggio 1900, all’età di 41, muore il papà Luigi per malaria, essendo la zona paludosa.

Qui avviene il mortale ferimento per opera di Alessandro Serenelli, un giovane, più grande della piccola Marietta, che si era invaghito di lei e cercava in tutti i modi di indurla al peccato, fino al giorno della brutale violenza del 5 luglio 1902.

La tragedia si consuma in una situazione di grave povertà morale da parte dell’aggressore e di grande dignità spirituale ed etica non solo di Marietta, ma di tutta la famiglia Goretti.

Mamma Assunta doveva pensare a portare avanti la famiglia, una volta che il marito era morto ed i bambini avevano bisogno del necessario. Senza presenza di una persona adulta in casa, la famiglia Goretti era più a rischio. Ma i sani principi morali, la profonda fede che accompagnava l’esperienza di tutti i componenti della famiglia Goretti erano garanzie certe per andare avanti anche nelle difficoltà più gravi.

La solitudine delle famiglie, l’isolamento ambientale, il duro lavoro dei campi creavano le condizioni psicologiche e sociali perché qualche persona andasse di testa e non riuscisse più a dominare istinti e tendenze bestiali.

Capitò proprio al giovane Alessandro Serenelli che coabitava a Cascina Antica con la famiglia Goretti ed aveva tutti gli accessi in casa per i buoni rapporti di vicinato e di collaborazione nel lavoro dei campi.

La fiducia di mamma Assunta non fu ripagata in modo retto ed onesto da parte del giovane, il quale pensò di poter approfittare della situazione, particolarmente favorevole a lui di poter abusare sessualmente di una giovane e attraente ragazzina, qual era Marietta Goretti.

Quando decise di attuare il piano non si attendeva il grande e coraggioso rifiuto della ragazzina.

Da qui il gesto assassino di sferrare sul corpo puro e fragile di Marietta colpi micidiali, assassini, espressione di una furia diabolica, che non si poteva assolutamente preventivare, né controllare.

Il dopo di questa tragica vicenda di cronaca nera è ben conosciuto. Fu riportato non solo negli atti giudiziari, ma anche nella storia di questo luogo.

Alessandro viene arrestato, processato e condannato all’ergastolo. Poi il pentimento, poi la grazia, ed infine una scelta di vita diversa, quella della consacrazione a Dio, con diventare frate.

Per Marietta la corsa in Ospedale nel tentativo estremo di poterla salvare. Non fu possibile. Le ferite erano profonde e mortali. Solo un giorno di agonia, ma prima di morire nelle piene facoltà di intendere e di volere, con il sostegno della grazia divina, Marietta perdonò di cuore il suo assassino e promise che avrebbe pregato per lui dal Paradiso.

La vita di questa ragazzina, assunta inizialmente a fatto di cronaca nera, subito diventò oggetto di studio da un punto di vista di fede.

Dopo la sepoltura nel cimitero di Nettuno, un continuo pellegrinaggio alla tomba della piccola martire incominciò ad avviare una profonda riflessione sul coraggio dimostrato da questa bambina in una situazione di grave imbarazzo.

Molti incominciavano a vedere in questo gesto un atto eroico, guidato dalla fede. Dopo 33 anni di attesa, di reperimento di testimonianze, comprese quelle della madre di Marietta e del suo assassino, il 31 maggio 1935 iniziò il processo informativo nella Diocesi di Albano, che si concluse con la canonizzazione di Marietta, alla quale parteciparono la madre e i fratelli, nonché Alessandro Serenelli, ormai pentito e incamminato su altra via.

Per tutti Maria Goretti è un forte appello a riscoprire il coraggio della fede e di essere cristiani oggi in un mondo segnato dalla tiepidezza e dell’indifferenza verso la fede, soprattutto oggi, anche davanti a tanti drammatici fatti di cronaca nera e di violenza che si sentono in Italia e nel mondo intero, di fronte al fenomeno terroristico di radice religiosa  e davanti ai tanti fatti di sangue che registriamo ogni giorno nello smarrimento generale e nell’angoscia e paura che prende piccoli e grandi.

Una ragazzina di 12 anni, Maria Goretti, oggi viene a ribadirci che l’amore di Dio prevale su tutto, quando è profondo e sincero ed è maturato al punto tale da  testimoniare la fede fino al martirio, pur di mantenersi pura e casta davanti a Dio ed alla propria coscienza. Maria Goretti è un costante richiamo ai giovani e agli adulti a seguire con coraggio la via del Vangelo abbandonandosi fiduciosamente in Dio.

 

P.RUNGI. UN INVITO ALLA VERA PREGHIERA INTERRELIGIOSA CONTO IL TERRORISMO

sangabry7

P.RUNGI. DOPO LE STRAGI DEL TERRORISMO UN CALDO INVITO ALLA VERA PREGHIERA INTERRELIGIOSA 

All’indomani delle ennesimi stragi del terrorismo di matrice islamica, di ieri 26 giugno 2015, padre Antonio Rungi, invita tutti i cristiani e tutti i fedeli della religione cristiana ed islamica ad associarsi in “un’accorata preghiera al Dio unico e vero, perché nel mondo, con le armi della pace e della non violenza, del dialogo e del confronto sereno, si possa vivere in serenità in tutto il mondo, già afflitto da tanti mali ed emergenze, che non ha affatto bisogno di farsi del male con le proprie mani e con guerre sanguinarie che non trovano giustificazione davanti a Dio, agli uomini e alla storia”.

Padre Rungi, per domani, domenica, vigilia della solennità dei Santi Pietro e Paolo, chiede a tutti i sacerdoti cattolici ed ai fedeli che si parteciperanno alla messa o pregheranno in casa, di rivolgere al Signore questa preghiera per pace, che padre Rungi ha composto per la circostanza: 

Signore Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo,

ci rivolgiamo a te, con il cuore triste ed angosciato,

in questi tempi di terrorismo senza confini,

perché doni la pace all’umanità sfinita.

 

Non permettere più che nel mondo

ci siamo stragi di persone innocenti,

di qualsiasi razza, religione, popolo,

nazione, condizione sociale e personale,

per questioni religiose o di integralismi

di varia estrazione culturale o ideologica.

 

Signore Gesù, principe della pace,

Ti eleviamo la nostra umile preghiera,

perché Tu possa illuminare le menti e i progetti

di chi si alimenta di odio e risentimento,

ed è incapace di guardare oltre i confini

delle proprie idee e convinzioni di fede.

 

Noi rinnoviamo la nostra fiducia in Te,

Dio della pace e della bontà,

e ci impegniamo a vivere in comunione con tutti

i nostri fratelli e sorelle del mondo,

specialmente con quanti professano

la fede nell’unico Dio,  che a tutti ha lasciato

come dovere fondamentale quello di Non uccidere.

 

Perdona quanti continuano a seminare terrore,

in ogni parte del mondo senza nessun motivo al mondo.

Converti il loro cuore e lava le loro mani

insanguinate per i tanti crimini contro l’umanità.

 

Mai più attacchi terroristici sulla questa nostra terra,

questa casa comune, in cui tutti hanno diritto a vivere, sognare e sperare.

Concedi solo pace e speranza  all’intera umanità

Te lo chiediamo per l’intercessione di Maria, Regina della pace. Amen.

 

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 28 GIUGNO 2015

davide027

XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Domenica 28 giugno 2015

La fede che salva e la speranza che guarisce il cuore

Commento di padre Antonio Rungi

Nel testo integrale del Vangelo di questa domenica XIII del tempo ordinario dell’anno liturgico, san Marco ci riporta il racconto di due miracoli di Gesù. Due miracoli con significati diversi, ma con una precisa finalità da sottolineare. Si tratta di una donna e di una bambina: l’una guarita e l’altra riportata in vita. L’attenzione grandissima da parte di Gesù alla figura della donna è qui ulteriormente confermata con il duplice suo intervento taumaturgo. Una donna malata di emorragia continua da 16 anni che, nonostante le cure, non guarisce e che ottiene da Gesù l’attesa guarigione, toccando soltanto il lembo del suo mantello. Potremmo dire una donna dissanguata nel corpo, nel soldi e soprattutto nello spirito che riprende energia e vita al semplice contatto con il Signore. La sua grande fede la guarisce, perché confida nel Signore. E di fede da parte del capo della Sinagoga, Giaro, si parla nel miracolo del risurrezione della sua figlia, il quale, come vide Gesù, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Anche in questo caso Gesù ascolta il grido di un padre angosciato per la morte della sua figlia. Un Gesù attento alle istanze del cuore dei genitori. Molto bello e significativo che sia stato proprio il capo della sinagoga a chiedere l’intervento del Signore e che sia un uomo. Quante volte pensiamo che la fede sia solo un patrimonio al femminile, che la preghiera, il chiedere grazie, soprattutto per i figli, sia un esercizio spirituale ad esclusivo appannaggio delle donne e delle madri. Qui vediamo un uomo, in vista, diciamo anche che conta nella società di allora, che con umiltà chiede a Gesù di salvare dalla morte la figlia, che nel frattempo Giaro si rivolgeva al Signore, già aveva terminato i suoi giorni. L’intervento del Signore nella casa del capo della Sinagoga, riporta alla vita la bambina. E Gesù opera questo miracolo, anticipo della sua risurrezione, in un contesto di preghiera, silenzio, raccoglimento. Ci insegna che le grazie ed i miracoli si chiedono con uno stile di fiducia in Dio, in cui ci sia soprattutto la preghiera convinta e sicura che rivolgiamo a Lui. E Lui ci ascolta e ci esaudisce. E quando la risposta della grazia o del miracolo non arriva, significa che la volontà di Dio è un’altra. A noi spetta solo di saperla decifrare ed accettare. Ecco perché di fronte a questi due miracoli su cui oggi riflettiamo, c’è solo una parola da condividere e fare nostra: dobbiamo aver fiducia nell’aiuto di Dio. A Lui nulla è impossibile, anche  quando a noi sempre tutto finito e destinato al fallimento e alla desolazione. Una donna che chiede, un padre che chiede e tutti e due ottengono quello che chiedono, grati al Signore per i doni che hanno ricevuto in quel momento e che li hanno sollevato dalla sofferenza di lunga o breve durata come si riconosce nella sofferenza dell’emorroissa o di Giaro che si trova di fronte al dramma più grande per una genitore quello di vedere la propria bambina morta. Ci sia di conforto quanto leggiamo oggi nel brano della prima lettura della liturgia della parola, tratto dal libro della Sapienza.Dio non ha creato la morte  e non gode per la rovina dei viventi.  Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano; le creature del mondo sono portatrici di salvezza,  in esse non c’è veleno di morte, né il regno dei morti è sulla terra. La giustizia infatti è immortale. Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura.  Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono”.  In questo contesto di riflessione sulla parola di Dio di questa domenica, mi piace sottolineare quanto ha scritto Papa Francesco nella sua recente Enciclica “Laudato si”: “Insistere nel dire che l’essere umano è immagine di Dio non dovrebbe farci dimenticare che ogni creatura ha una funzione e nessuna è superflua. Tutto l’universo materiale è un linguaggio dell’amore di Dio, del suo affetto smisurato per noi. Suolo, acqua, montagne, tutto è carezza di Dio. La storia della propria amicizia con Dio si sviluppa sempre in uno spazio geografico che diventa un segno molto personale, e ognuno di noi conserva nella memoria luoghi il cui ricordo gli fa tanto bene. Chi è cresciuto tra i monti, o chi da bambino sedeva accanto al ruscello per bere, o chi giocava in una piazza del suo quartiere, quando ritorna in quei luoghi si sente chiamato a recuperare la propria identità”. Nei testi della parola di Dio c’è questa aspetto importante della vita delle persone che si rivolgono a Gesù: chiedono a lui di recuperare la loro identità e la loro dignità. E Gesù opera per entrambi concedendo la grazia ed il miracolo. Ben sapendo tutto questo, noi cristiani, che vogliamo seguire più da vicino il Signore, come faceva tanta gente che si spostava da un posto all’altro della Palestina, per ascoltarlo, per ricevere insegnamento e per chiedere grazie, dobbiamo immetterci sulla strada del santo convincimento interiore, descritto con estrema chiarezza di contenuti e di finalità da San Paolo Apostolo nel brano della sua seconda lettera scritta ai Corìnzi che oggi ascoltiamo come testo della seconda lettura della liturgia della parola di questa domenica XIII: “Fratelli, come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest’opera generosa. Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: «Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno». Il modello di ogni nostro modo di pensare ed agire è Gesù Cristo che da ricco che era si fece povero per arricchire noi. Noi siamo i veri ricchi, pur essendo molte volte in situazione di vera povertà materiale, in quanto la nostra ricchezza che dura per sempre è Gesù stesso, è la sua grazia e la sua presenza nella nostra vita. Dobbiamo solo fare nostro il monito di Gesù al capo della Sinagoga, davanti ala dramma della notizia che la sua figlia era morta: “Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». Avere fede anche nelle situazioni più gravi della vita, quanto ci costa, ma è l’unica e certa via di guarire dal vero male della sfiducia nei confronti di Dio e del mondo.

Sia questa la nostra sincera preghiera al Signore: Cristo, sei la nostra speranza.

Cristo, nostra speranza,

aiutaci a camminare sulla via

dell’avvenire umano e cristiano,

senza ostacoli di natura sociale.

 

Non permettere, Signore della vita,

che nessun uomo su questa terra,

sperimenti la morte nel cuore

o gli venga negato il diritto a vivere

o almeno a sopravvivere.

 

Allontana da noi tutto ciò

che è depressione spirituale ed interiore,

che si manifesta con l’angoscia e il mal di vivere,

fino al punto da uccidere o di rifiutare la vita.

 

Nessuna sofferenza, prova e difficoltà

possa limitare il cammino della speranza,

in questa vita e in vista dell’eternità.

 

Tu Signore, sei la nostra speranza certa,

che non delude mai  

e sempre conforta ogni essere umano,  

che tu hai preso sulle tue spalle,

come il buon Pastore,

in cerca della pecorella smarrita,

nei tanti labirinti della vita.

 

Signore, aumenta in noi la speranza,

nelle delusioni e illusioni dell’esistenza.

 

La tua mano potente innalzi il livello

della piena fiducia in Te e della stima di noi stessi,

mai dimentichi che solo in Te,

ogni essere umano trova rifugio e conforto

in questo mondo e nell’eternità.

 

Signore, non abbandonare l’opera delle tue mani,

non abbandonarci nella tentazione, nella paura,

nella malattia, nella morte del cuore e nelle delusioni della vita.

Amen.

(Preghiera di padre Antonio Rungi)

 

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO – XII DOMENICA DEL TO – 21 GIUGNO 2015

davide026

XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

DOMENICA 21 GIUGNO 2015

LA TEMPESTA DELLA VITA, CALMATA DALLA PRESENZA DI CRISTO

COMMENTO DI PADRE ANTONIO RUNGI

Il vangelo di oggi, della XII domenica del tempo ordinario, ci presenta uno dei passi più belli di quanto troviamo scritto sulla vita di Gesù ed uno dei momenti più significativi del gruppo dei discepoli del Signore, che lo seguono per terra e per mare, molte volte in modo incosciente, senza rendersi conto dei rischi della vita. Oggi il brano del vangelo della tempesta sedata da Cristo, ci porta quasi istintivamente a pensare alle varie tempeste di ogni genere della nostra vita che possono essere e sono calmate solo meditante l’intervento di Dio, al quale dobbiamo rivolgerci con la fiducia e la fede necessaria. Senza questa fede che fa i miracoli, tutto quello che chiediamo non giunge a buon esito, ma si ferma lungo le strade delle nostre umane attese e speranze, che non possono avere compimento senza l’intervento dall’alto. Il messaggio è chiaro. Senza Dio non possiamo fare nulla, non possiamo salvarci da nulla e neppure dalla forza della natura. Lo costatiamo ogni volta che nel mondo succedono fatti drammatici, come terremoti, maremoti, tsunami, catastrofi naturali di ogni genere, che seminano distruzione e morte dovunque. L’esperienza degli apostoli fatta con Gesù sulla barca in quella notte tranquilla inizialmente e poi drammatica di lì a poco, ci aiuta a capire come cambiano facilmente gli scenari della nostra vita personale e degli altri e come cambia repentinamente la storia del mondo. Siamo davvero come si dice in gergo comune sotto il cielo e nessuno di noi può effettivamente ritenersi superiore a Dio. Chi pensa di esserlo illude se stesso ed illude chi crede in lui. Solo Dio è la nostra salvezza, come hanno sperimentato gli apostoli in quella notte terribile, vicini allo stesso Gesù che pure stava con loro e meravigliato della loro mancanza di fede e di fiducia il Lui, chiede: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». La mancanza di fede genera nell’uomo la paura di ogni cosa e soprattutto la paura di morire in modo innaturale, in modo violento. Questa paura gli apostoli l’avvertono quella sera davanti alla terribile tempesta d mare: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Ma Gesù, anche in questa circostanza, dimostra la sua bontà e la sua misericordia verso quelle persone impaurite e tremanti per il terrore di fine in fondo al mare. Allora lo svegliarono. Ed Egli si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. E’ quello che succede ogni volta ci affidiamo a Dio: dal dramma nasce la speranza, la gioia e la felicità, dalla morte si passa a vivere, a continuare a vivere, anche se le tempeste ritorneranno e allora si dovranno affrontare con una fede più grande e forte. Credere nella potenza di Dio e del suo Cristo, è il primo passo verso una fede fiducioso e fiduciale, che non ammette tentennamenti, anche davanti alle prove più terribili della vita, che può essere una malattia, una morte improvviso, un crollo economico o altre forme di prove a cui gli uomini di sempre sono soggetti, proprio per la debolezza umana e per la precarietà dell’esistenza terrena. La consapevolezza che in Cristo, con Cristo e per Cristo le cose cambiano della nostra vita, ci porta a far tesoro di quanto ci scrive l’apostolo Paolo nel brano della sua seconda lettera ai Corinti, che oggi ascoltiamo come secondo brano biblico della domenica: “Fratelli, l’amore del Cristo ci possiede; e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro. Cosicché non guardiamo più nessuno alla maniera umana; se anche abbiamo conosciuto Cristo alla maniera umana, ora non lo conosciamo più così. Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove”. In Cristo siamo creature nuone e non abbiamo paura di nulla. Tutto il passato, anche terribile della nostra ed altrui vita lo poniamo alle spalle e guardiamo avanti nella speranza del il meglio e non il peggio deve venire. Se non altro, se pensiamo seriamente all’eternità, al cielo e al paradiso il meglio davvero deve arrivare ed arriverà se noi valorizziamo il tempo che il Signore ci ha donato in questa vita proprio per costruire la casa futura di tutti, che è il paradiso. La nostra preghiera, oggi e sempre, deve essere questa: “Rendi salda, o Signore, la fede del popolo cristiano, perché non ci esaltiamo nel successo, non ci abbattiamo nelle tempeste, ma in ogni evento riconosciamo che tu sei presente e ci accompagni nel cammino della storia”. Non ci abbattiamo mai difronte alle tante delusioni della nostra vita, ma abbiamo fiducia nel Signore, come ci ricorda il libro di Giobbe, esempio di santa rassegnazione e pazienza, nel testo della prima lettura della liturgia della parola di questa XII domenica. Dio è tutto e può far tutto, come di fatto ha realizzato e continua a fare nella storia di questa debole e fragile umanità. Il salmo 106, che oggi leggiamo come salmo responsoriale della messa, ci fa una sintesi di quanto è detto nella parola di Dio di questo giorno santo, dedicato al Signore:Coloro che scendevano in mare sulle navi e commerciavano sulle grandi acque, videro le opere del Signore e le sue meraviglie nel mare profondo. Egli parlò e scatenò un vento burrascoso, che fece alzare le onde: salivano fino al cielo, scendevano negli abissi; si sentivano venir meno nel pericolo. Nell’angustia gridarono al Signore, ed egli li fece uscire dalle loro angosce. La tempesta fu ridotta al silenzio, tacquero le onde del mare. Al vedere la bonaccia essi gioirono, ed egli li condusse al porto sospirato. Ringrazino il Signore per il suo amore, per le sue meraviglie a favore degli uomini”.

Gridiamo con sempre maggiore forza al Signore la nostra sincera volontà di accogliere la sua parola e di metterla in pratica, facendola fruttificare per i granai del Regno dei cieli, dove saremo trasferiti per sempre alla fine dei nostri giorni, per vivere per sempre con il Signore, lontani dagli intrighi e le sofferenze del mondo. Il Signore ci conceda, fin d’ora, la gioia di assaporare l’incontro con Lui su questa terra, mediante la devota e sentita partecipazione al banchetto eucaristico, che alimento e sostegno nel cammino della nostra vita, in qualsiasi istante del suo natura, umano, biologico e spirituale sviluppo, che per tutti, ci auguriamo, possa essere di grande gioia e soprattutto di ricchezza spirituale ed interiore.

 

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DELLA DOMENICA XI DEL TEMPO ORDINARIO

davide026

XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

DOMENICA 14 GIUGNO 2015

IL SEME DELLA PAROLA CHE GERMINA NEL CUORE DEI FEDELI

 

COMMENTO DI PADRE ANTONIO RUNGI

 

 

Questa domenica undicesima del tempo ordinario dell’anno liturgico ci offre l’opportunità, attraverso i quattro testi biblici di riflettere sulla parola di Dio e sulla sua efficacia nella nostra vita di cristiani. Effettivamente, come leggiamo nel vangelo di oggi, che è quello di Marco, il regno di Dio è come un seminatore che esce a seminare e butta la sua semente e la lascia nella sua spontaneità e processo biologico naturale crescere e sviluppare. Egli non dovrà fare molto, ma deve fare molto il terreno che accoglie questa semente. Si tratta di una delle tante parabole di Gesù, finalizzate all’istruzione del popolo di Dio circa la disponibilità ad accogliere e far fruttificare la parola di Dio, che, se accolta sinceramente, fa crescere e sviluppare il regno di Dio, la casa di Dio, la comunità dei cristiani. E ciò non solo numericamente, perché la parola si diffonde di porta in porta, di bocca in bocca, ma qualitativamente, in quanto fa crescere il livello di moralità e santità, predispone il cuore e la mente delle persone a incamminarsi sulla strada della verità, della luce e della responsabilità. Basta, leggere con maggiore attenzione questa parabola, per entrare in questa logica della crescita, che non può ammettere tempi di arresto e di blocco. E’ come se nel processo naturale di sviluppo di una pianta, di un essere vivente, di una persona umana, si bloccasse il tutto e si rimanesse allo stadio iniziale, senza arrivare alla maturità, alla perfezione, alla stabilizzazione del processo di crescita. Leggiamo nel vangelo di oggi: “Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura”.

L’esempio del granello di senape che Gesù apporta nel suo ragionamento ci aiuta a capire cosa sia davvero il Regno di Dio: “Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra”.

Gesù, come abbiamo visto, parla in parabole in pubblico, rivolgendosi ad un uditorio di varia cultura e disponibilità ad accogliere il suo pensiero e la sua riflessione. Poi in privato, egli stesso spiega più approfonditamente le cose al gruppo dei suoi discepoli. Possiamo dire che Gesù stesso usa una doppia metodologia di insegnamento-apprendimento della parola di Dio. Quando questa è rivolta ad un pubblico vasto necessita di essere mediata e trasmessa con semplicità, immediatezza, con parole adatte ed accessibili a tutti. Poi nel privato, in un discorso di approfondimento meditativo della parola stessa è possibile andare a fondo delle tematiche. E’ come dire che durante la messa, il sacerdote tiene l’omelia per tutti e poi nel privato il cristiano si lascia guidare dalla parola stessa attraverso l’approfondimento del brano biblico per capire meglio e rispondere con maggiore coerenza personale a quanto la parola stessa ci chiede. Ma chi dedica questo tempo suppletivo alla parola di Dio, per approfondirla? A volte ci si stanca anche di ascoltare la semplice, e molto spesso pertinente omelia del sacerdote durante la messa, perché non siamo più abituati all’ascolto della parola, né tantomeno cerchiamo la parola di Dio per farne oggetto di meditazione personale al di fuori dei contesti liturgici o ufficiali.

Facciamo spiegare da Cristo stesso, nella preghiera e nella meditazione personale, cosa il Signore vuole comunicarci e dirci con quella parola, quel brano della Sacra Scrittura, con quel versetto del vangelo, con il salmo responsoriale.

Dalla parola ascoltata nasce e si sviluppa l’impegno, la coscienza che si deve andare oltre la stessa parola e la stessa riflessione e meditazione.

Papa Francesco nella sua esortazione apostolica Evangelii gaudium ci ricorda a che cosa il  Regno ci chiama. “Leggendo le Scritture risulta peraltro chiaro che la proposta del Vangelo non consiste solo in una relazione personale con Dio. E neppure la nostra risposta di amore dovrebbe intendersi come una mera somma di piccoli gesti personali nei confronti di qualche individuo bisognoso, il che potrebbe costituire una sorta di “carità à la carte”, una serie di azioni tendenti solo a tranquillizzare la propria coscienza. La proposta è il Regno di Dio (Lc 4,43); si tratta di amare Dio che regna nel mondo. Nella misura in cui Egli riuscirà a regnare tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti. Dunque, tanto l’annuncio quanto l’esperienza cristiana tendono a provocare conseguenze sociali. Cerchiamo il suo Regno: «Cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33). Il progetto di Gesù è instaurare il Regno del Padre suo; Egli chiede ai suoi discepoli: «Predicate, dicendo che il Regno dei cieli è vicino» (Mt 10,7). Ed aggiunge commentando indirettamente il testo del vangelo di oggi: “Il Regno che viene anticipato e cresce tra di noi riguarda tutto e ci ricorda quel principio del discernimento che  Paolo VI proponeva in relazione al vero sviluppo: «ogni uomo e tutto l’uomo». Sappiamo che «l’evangelizzazione non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello, che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale, dell’uomo». Si tratta del criterio di universalità, proprio della dinamica del Vangelo, dal momento che il Padre desidera che tutti gli uomini si salvino e il suo disegno di salvezza consiste nel ricapitolare tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra, sotto un solo Signore, che è Cristo (cfr Ef  1,10). Il mandato è: «Andate in tutto il mondo e  proclamate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15), perché «l’ardente aspettativa della creazione è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio» (Rm 8,19). Tutta la creazione vuol dire anche tutti gli aspetti della natura umana, in modo che «la missione dell’annuncio della Buona Novella di Gesù Cristo possiede una destinazione universale. Il suo mandato della carità abbraccia tutte le dimensioni dell’esistenza, tutte le persone, tutti gli ambienti della convivenza e tutti i popoli. Nulla di quanto è umano può risultargli estraneo». La vera speranza cristiana, che cerca il Regno escatologico, genera sempre storia”. Il Salmo 91 di questa domenica ci rammenta, infatti, che Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano; piantati nella casa del Signore, fioriranno negli atri del nostro Dio”.

Sulla scia di queste riflessioni di Papa Francesco si comprendono anche gli altri tre testi biblici di oggi, di questa domenica XI del tempo ordinario, che celebriamo dopo aver completato anche le grandi feste e solennità post-pasquali, fino a quella di domenica scorsa del Corpus Domini.

Il profeta Ezechiele ci ammonisce circa quanto il Signore farà verso il suo popolo, verso chi è fedele e saggio e chi è infedele e stupido, espressi nel simbolismo e nell’immagine dell’albero della foresta, ovvero i singoli credenti e l’intero popolo di Dio: “Sapranno tutti gli alberi della foresta che io sono il Signore, che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso, faccio seccare l’albero verde e germogliare l’albero secco. Io, il Signore, ho parlato e lo farò”.  Mentre da parte sua, san Paolo apostolo nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla sua  seconda lettera  ai Corìnzi, ricorda di aver fiducia in Dio, che siamo lontani dalla nostra vera patria, che è il cielo e soprattutto che “tutti  dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male”.

La via della salvezza è indicata e tracciata. Sta a noi percorrerla nel modo migliore e consona alla parola di Dio che ci spinge ad agire continuamente verso il bene, rifiutando il peccato e il male e facendoci gustare la bellezza e la dolcezza interiore di fare il bene e vivere nel vero bene.

Sia questa la nostra preghiera oggi: “O Padre, che a piene mani semini nel nostro cuore il germe della verità e della grazia, fa’ che lo accogliamo con umile fiducia e lo coltiviamo con pazienza evangelica, ben sapendo che c’è più amore e giustizia ogni volta che la tua parola fruttifica nella nostra vita”. Amen

 

COMMENTO ALLA SOLENNITA’ DEL CORPUS DOMINI 2015

davide015

SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (ANNO B)
Domenica 7 giugno 2015

L’Eucaristia, il nostro vero ed eterno banchetto

Commento di padre Antonio Rungi

La liturgia della solennità di questa giornata del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, in latino, solennità del Corpus Domini, inizia con la preghiera di tutta la comunità ecclesiale, convocata, nel giorno del Signore, intorno alla mensa della parola e dell’eucaristia, con questa bellissima e significativa preghiera: “Signore, Dio vivente, guarda il tuo popolo radunato intorno a questo altare, per offrirti il sacrificio della nuova alleanza; purifica i nostri cuori, perché alla cena dell’Agnello possiamo pregustare la Pasqua eterna della Gerusalemme del cielo”. Oggi, in particolare siamo stati convocati da Cristo stesso per celebrare con lui la Pasqua, per rivivere come suoi discepoli e con i suoi discepoli il giorno del giovedì santo, quando nel cenacolo istituiva il sacramento dell’eucaristia, il sacramento del suo corpo e del suo sangue e parimenti il sacramento del sacerdozio, cioè di quel ministero ecclesiale finalizzato essenzialmente proprio alla celebrazione dell’eucaristia. Siamo quindi oggi in modo speciale a prendere parte a questo banchetto di amore e di purificazione, di gioia e speranza, di autentico cammino cristiano ed ecclesiale, alla sequela del Cristo, Agnello immolato sull’altare della croce per la nostra redenzione. A tale banchetto non possiamo essere assenti, ma è necessario parteciparvi con le migliori disposizioni dell’animo, nella grazia di Dio e nella pace con i nostri fratelli. Il senso più vero della celebrazione dell’annuale solennità del Corpus Domini sta sintetizzato nel passo della seconda lettura di oggi e nella sequenza: il sangue di Cristo purifica la nostra coscienza dalle opere di morte. Tali opere sono tutto ciò che è peccato davanti a Dio e che nel sacramento della confessione e della comunione vengono purificati, nella sincera volontà di chi si incammina sulla strada della conversione di cambiare vita ed uscire dal tunnel della morte spirituale, dalla spirale del male contro Dio, contro se stessi e contro gli altri. Impegnarsi in una vita di fedeltà a Dio, come ci ricorda il testo della prima lettura di oggi, tratta dal libro dell’esodo. Fare esperienza di condivisione dello stesso progetto di Cristo, come ci rammenta il testo del vangelo della solennità di oggi che ci riporta spiritualmente ed idealmente al cenacolo. In quel luogo ci siamo tutti noi, perché l’eucaristia che Gesù istituì è per tutti. Non a caso a conclusione del rito raccomando ai discepoli di rifare le stesse cose in sua memoria, in poche parole attualizzando il mistero della sua Pasqua nell’oggi continuo della storia e della Chiesa. Ecco il perché della santa messa, ecco il perché della conservazione delle specie eucaristiche. Ecco il perché il sacramento del corpo e sangue di Gesù, mediante il quale noi professiamo la fede nella presenza reale di Cristo, in corpo sangue anima e divinità, nell’ostia consacrata. E’ il sacramento della compagnia di Cristo, del suo soccorso, del suo aiuto, del suo accompagnamento terreno e di viatico, per quanti lasciano questa terra per incontrare Cristo nell’eternità. Nella stupenda sequenza del Corpus Domini, noi pensiamo all’eucaristia in questi termini spirituali e la pensiamo in ragione della sua estrema importanza nella vita di ogni cristiano: “Ecco il pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli: non dev’essere gettato. Con i simboli è annunziato,  in Isacco dato a morte, nell’agnello della Pasqua, nella manna data ai padri.  Buon pastore, vero pane, o Gesù, pietà di noi:  nutrici e difendici,  portaci ai beni eterni  nella terra dei viventi. Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra, conduci i tuoi fratelli alla tavola del cielo nella gioia dei tuoi santi”.

L’Eucaristia è essenziale alla vita di ogni cristiano. Infatti, “Il nostro Salvatore nell’ultima Cena, la notte in cui veniva tradito, istituì il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, col quale perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della croce, e per affidare così alla sua diletta Sposa, la Chiesa, il memoriale della sua Morte e Risurrezione: sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, “nel quale si riceve Cristo, l’anima viene ricolmata di grazia e viene dato il pegno della gloria futura” (SC, 47).

L’Eucaristia, poi,  è “fonte e apice di tutta la vita cristiana” (LG 11). “Tutti i sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere di apostolato, sono strettamente uniti alla sacra Eucaristia e ad essa sono ordinati. Infatti, nella Santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua” (PO, 5). Inoltre, “la comunione della vita divina e l’unità del popolo di Dio, su cui si fonda la Chiesa, sono adeguatamente espresse e mirabilmente prodotte dall’Eucaristia. In essa abbiamo il culmine sia dell’azione con cui Dio santifica il mondo in Cristo, sia del culto che gli uomini rendono a Cristo e per lui al Padre nello Spirito Santo”. Infine, mediante la celebrazione eucaristica, ci uniamo già alla liturgia del cielo e anticipiamo la vita eterna, quando Dio sarà tutto in tutti [1Cor 15,28 ]. In breve, l’Eucaristia è il compendio e la somma della nostra fede: “Il nostro modo di pensare è conforme all’Eucaristia, e l’Eucaristia, a sua volta, si accorda con il nostro modo di pensare” [Sant’Ireneo di Lione).

Sia questa oggi la nostra preghiera: “Gesù amabile, ostia santa, ostia d’amore, fa di noi, mediante te, ostie viventi consacrate all’amore, capaci di donarci a te nell’amore, un amore capace di prendere totalmente il nostro cuore, capaci di donarci agli altri senza riserve e senza alcun pentimento di aver data la nostra vita per gli amici, come tu ci hai insegnato, fino al sacrificio della croce. Gesù adorabile, ostia immacolata, pura e senza macchia fa’ di noi, sull’esempio del cuore immacolato di Maria, cuori puri ed anime pure, senza falsità, impurità, senza più macchie di peccato, senza odio e risentimenti, ma solo con una grande pace della mente, del cuore e dell’intelletto. Gesù mite agnello, immolato sull’altare della croce, per la redenzione dell’umanità, fa di noi uno strumento di perdono e di misericordia soprattutto quando più difficile si fa il perdono nel tuo santo nome. Gesù eucaristia, mentre ti adoriamo qui presente nel santissimo sacramento dell’altare, rinnovando la nostra fede in te che sei il Verbo Incarnato e il Redentore dell’umanità, fa di tutti noi un cuor solo ed un’anima sola, nell’immenso amore eucaristico, che fonda la Chiesa come unico popolo di Dio in cammino verso il banchetto eterno del cielo. Amen” (Preghiera di P.Antonio Rungi).